C-48/07 - Les Vergers du Vieux Tauves

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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 3 luglio 2008 1(1)

Causa C‑48/07

État belge - SPF Finances

contro

Les Vergers du Vieux Tauves SA


«Direttiva 90/435 – Società madre – Titolare del diritto di usufrutto su azioni»





1.        Nel presente procedimento, la Cour d’Appel de Liège (Corte d’appello di Liegi) (Belgio), chiede sostanzialmente alla Corte se una società titolare di un diritto di usufrutto sulle azioni di un’altra società possa o debba considerarsi quale società madre ai sensi della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (2) (in prosieguo: la «direttiva società madri‑figlie» o la «direttiva»).

 La direttiva società madri‑figlie

2.        La direttiva società madri‑figlie mira ad eliminare la penalizzazione fiscale in cui incorrono società di Stati membri diversi rispetto a società dello stesso Stato membro, qualora queste intendano cooperare formando gruppi di controllanti e controllate (3). La direttiva persegue tale obiettivo in due modi.

3.        In primo luogo, per quanto qui rileva, l’art. 4, n. 1, prevede che:

«Quando una società madre, in veste di socio, riceve dalla società figlia utili distribuiti (…), lo Stato della società madre:

–        si astiene dal sottoporre tali utili a imposizione;

–        o li sottopone a imposizione, autorizzando però detta società madre a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta pagata dalla società figlia a fronte dei suddetti utili (…)».

4.        Secondariamente, l’art. 5 impone agli Stati membri di esentare dalla ritenuta alla fonte gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre.

5.        L’art. 3 fornisce la definizione di «società madre». Tale articolo così recita:

«1.   Ai fini dell’applicazione della presente direttiva:

a)       la qualità di società madre è riconosciuta almeno ad ogni società di uno Stato membro che soddisfi alle condizioni di cui all’articolo 2 [(4)] e che detenga nel capitale di una società di un altro Stato membro che soddisfi alle medesime condizioni una partecipazione minima del 25%;

b)       si intende per “società figlia” la società nel cui capitale è detenuta la partecipazione indicata alla lettera a).

2.     In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri hanno la facoltà:

–        di sostituire, mediante accordo bilaterale, il criterio di partecipazione al capitale con quello dei diritti di voto;

–        di non applicare la presente direttiva a quelle società di questo Stato membro che non conservano, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, una partecipazione che dia diritto alla qualità di società madre o alle società nelle quali una società di un altro Stato membro non conservi, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, siffatta partecipazione».

6.        Dal momento che l’art. 3, n. 1, lett. a), definisce la società madre facendo riferimento ad almeno quelle società di cui all’art. 2 che detengano una partecipazione minima del 25%, è evidente che gli Stati membri hanno la facoltà di fornire una definizione più ampia così da includervi, ad esempio, società con una partecipazione minima di percentuale inferiore. La partecipazione minima di cui all’art. 3, n. 1, lett. a), è stata inoltre ridotta al 20% a decorrere dal 2 febbraio 2004, e al 15% a decorrere dal 1° gennaio 2007, e sarà ridotta al 10% a decorrere dal 1° gennaio 2009 (5).

7.        L’art. 1, n. 2, prevede che la direttiva non pregiudichi l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.

 La normativa belga pertinente

 Attuazione della direttiva società madri‑figlie

8.        La decisione di rinvio nel caso di specie offre solo una descrizione estremamente sintetica della normativa nazionale di rilievo. In base alle poche informazioni fornite, completate dalle più utili indicazioni offerte nelle loro osservazioni scritte dalla Les Vergers du Vieux Tauves SA (in prosieguo: la «ricorrente») e dal governo belga, la situazione risulterebbe essere la seguente.

9.        Il Belgio ha optato per il metodo dell’esenzione di cui al primo trattino dell’art. 4, n. 1, della direttiva. In sintesi, la disciplina nazionale pertinente (6) prevede che i dividendi ricevuti dalle società figlie ai sensi della direttiva vengano inclusi in un primo momento nella base imponibile della società madre e, in un secondo momento, vengano dedotti dalla detta base imponibile in misura pari al 95% (7), purché la società madre abbia realizzato utili imponibili (8).

10.      Per quanto qui rileva, l’art. 202 del Codice dell’imposta sul reddito (in prosieguo: l’ «art. 202») (9) all’epoca dei fatti disponeva quanto segue:

«1.   Dagli utili del periodo d’imposta vanno altresì dedotti, nei limiti in cui vi sono inclusi:

1       I dividendi (…)

(…)

2.     Gli utili di cui al paragrafo 1, n. 1 (…) sono deducibili solo nella misura in cui alla data della dichiarazione o del pagamento la società beneficiaria detenga una partecipazione nel capitale della società distributrice non inferiore al 5% (…)».

11.      Il Codice del 1992 ha sostituito quello del 1964 (10). L’art. 202 riproduce in parte l’art. 111 del Codice del 1964 nel testo di cui alla legge 23 ottobre 1991 di trasposizione della direttiva (in prosieguo: la «legge di trasposizione») (11). Le modifiche apportate al Codice del 1964 dalla legge di trasposizione includono la soppressione del requisito espresso, precedentemente previsto, che, per poter usufruire del regime fiscale agevolato di cui all’art. 111, la società beneficiaria dei dividendi detenga come proprietaria a pieno titolo le azioni produttive dei dividendi. L’art. 202 è stato in seguito modificato così da prevedere tale requisito espresso (12), ma solo con effetto a partire dagli esercizi finanziari successivi a quelli di cui al procedimento in esame.

12.      Il governo belga ha chiarito che la legge di trasposizione aveva lo scopo di coprire anche un’area non toccata dalla direttiva, vale a dire quella delle relazioni tra società interne, al fine di evitare una discriminazione in senso inverso, riguardo al trattamento dei dividendi, nei confronti di società belghe aventi controllate belghe rispetto a società belghe aventi controllate in altri Stati membri.

 L’usufrutto nel diritto belga

13.      Il Belgio chiarisce che, nel diritto belga, per usufrutto si intende «le droit de jouir des choses dont un autre a la propriété, comme le propriétaire lui‑même, mais à la charge d’en conserver la substance» (il diritto di godere al pari del proprietario stesso di cose di proprietà altrui, ma con l’obbligo di mantenerne inalterata la sostanza). L’usufruttuario quindi possiede solo l’usus e il fructus; mentre non ha il potere di disporre del bene (abusus), che permane in capo al nudo proprietario (13).

14.      Più in particolare, l’usufrutto su una partecipazione conferisce unicamente un diritto di godimento, ossia un diritto agli utili prodotti dalla partecipazione e non al capitale che essa rappresenta. Pertanto, rispetto agli utili realizzati dalla società l’azionista usufruttuario non detiene alcun diritto diverso dal diritto di percepire i dividendi dichiarati. Né detiene alcun diritto sulle riserve. Sebbene l’azionista nudo proprietario non riceva tali riserve, ciò nondimeno esse incrementano il suo capitale e, qualora la società venga liquidata in stato di solvenza, egli riceverà in effetti una quota delle riserve accumulate. In via di principio, e a seconda dello statuto della società, solo il detto nudo proprietario può esercitare i diritti di voto connessi alle azioni. Da ultimo, l’usufruttuario non detiene il diritto di alienazione, di cui rimane titolare il nudo proprietario.

 Fatti del procedimento e questione pregiudiziale

15.      L’ordinanza di rinvio è del pari estremamente laconica per quanto riguarda il contesto fattuale. Tuttavia, dalle osservazioni scritte della ricorrente e del governo belga emergono i seguenti elementi, sui quali le parti concordano.

16.      Nel giugno 1999 la ricorrente, una società belga, acquistava diritti di usufrutto su azioni della società Narda SA (in prosieguo: la «Narda») per un periodo di dieci anni; un’altra società, la Bepa SA (in prosieguo: la «Bepa»), acquistava la nuda proprietà delle azioni. Al termine del periodo di dieci anni la Bepa diventerà proprietaria a pieno titolo di tali azioni. Tra il soggetto venditore delle azioni da un lato e la ricorrente e la Bepa dall’altro non sussisteva un legame di partecipazione azionaria. La ricorrente desiderava acquistare nel breve termine le azioni della Narda allo scopo di ottimizzare le proprie risorse finanziarie ed incrementare la gamma dei propri prodotti. La Bepa desiderava acquistare le azioni nel medio o lungo termine per ragioni di natura strategica, economica e finanziaria di più lungo termine, aumentando il numero delle sue controllate.

17.      La Narda è una società belga. Il suo statuto prevede che, quando l’usufrutto e la nuda proprietà di una partecipazione sono scisse, il nudo proprietario può votare solo in relazione all’aumento del capitale ed al prolungamento o allo scioglimento della società; in tutti gli altri casi il diritto di voto compete all’usufruttuario.

18.      Nel 2000, nel 2001 e nel 2002 la ricorrente intendeva detrarre dalla propria base imponibile i dividendi ricevuti dalla Narda. Le autorità fiscali belghe proponevano di rettificare le dichiarazioni fiscali della ricorrente relative ai detti anni e assoggettare i dividendi ad imposta adducendo il fatto che il diritto di usufrutto di cui la ricorrente era titolare non era una «partecipazione nel capitale» della Narda. La ricorrente presentava un reclamo che veniva respinto con decisione 22 gennaio 2004 dalle autorità fiscali belghe. La ricorrente impugnava con successo tale decisione dinanzi al Tribunal de Première Instance de Namur (Tribunale di primo grado di Namur). In sede di appello, la Cour d’Appel de Liège ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la legge 28 dicembre 1992, che modifica il testo dell’art. 202 del [CIR] del 1992 con riferimento alla direttiva [90/435] richiedendo che il soggetto beneficiario di dividendi detenga una partecipazione nel capitale della società distributrice di tali dividendi, sia compatibile con le disposizioni della detta direttiva relative alle partecipazioni nel capitale, in particolare con i suoi artt. 3, 4 e 5, laddove la suddetta legge non specifica expressis verbis che la proprietà deve essere a pieno titolo e quindi implicitamente ammetterebbe l’interpretazione datane dalla convenuta, vale a dire che la mera titolarità di un diritto di usufrutto sui titoli rappresentativi del capitale comporta il diritto di beneficiare dell’esenzione fiscale sui detti dividendi».

19.      Hanno presentato osservazioni scritte la ricorrente, i governi belga, francese, tedesco, greco, italiano, olandese, spagnolo e del Regno Unito e la Commissione. Tutti sono stati rappresentati all’udienza, ad eccezione dei governi francese, tedesco ed olandese.

 Ricevibilità

20.      Tutti i governi che hanno presentato osservazioni hanno sollevato la questione della ricevibilità, anche se le loro tesi non sono univoche. La ricorrente e la Commissione affermano entrambe che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile. Le osservazioni sul tema della ricevibilità della questione pregiudiziale si incentrano essenzialmente su due aspetti: la limitatezza delle informazioni fornite dall’ordinanza di rinvio e l’apparente assenza di elementi comunitari.

21.      Può essere utile richiamare brevemente la giurisprudenza della Corte sul tema della ricevibilità dei rinvii pregiudiziali da parte dei giudizi nazionali.

22.      La Corte ha dichiarato che l’art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione giudiziaria, grazie al quale essa fornisce ai giudici nazionali gli elementi d’interpretazione del diritto comunitario che possono essere loro utili per valutare gli effetti di una disposizione di diritto nazionale controversa nell’ambito della causa sulla quale essi sono chiamati a pronunciarsi (14). Nell’ambito di tale strumento di collaborazione, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (15).

23.      Pertanto, quando un rinvio pregiudiziale concerne l’interpretazione del diritto comunitario, la Corte è di regola tenuta a pronunciarsi (16). Le questioni di interpretazione del diritto comunitario godono quindi di una presunzione di rilevanza e il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto comunitario non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (17).

24.      Inoltre, quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che essa apporta a situazioni puramente interne, a quelle adottate nel diritto comunitario, la Corte ha affermato che esiste un interesse comunitario certo a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto comunitario ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (18).

 Insufficienza delle informazioni

25.      La Germania, l’Italia, la Spagna ed il Regno Unito fanno valere che l’ordinanza di rinvio non contiene informazioni esaurienti per quanto concerne l’interpretazione della normativa nazionale.

26.      È senz’altro vero che l’ordinanza di rinvio è estremamente sintetica e che la Corte ha stabilito che l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate (19). I rinvii pregiudiziali che non soddisfino tale requisito possono senz’altro essere rigettati come irricevibili.

27.      Peraltro, la Corte ha mitigato la rigidità della detta regola in talune circostanze, ritenendo che tale necessità sia meno imperativa nell’ipotesi in cui le questioni si riferiscano ad aspetti tecnici precisi e consentano alla Corte di dare una soluzione utile, anche se il giudice nazionale non ha fornito una presentazione esauriente della situazione di diritto e di fatto (20). Nel caso di specie, dalle osservazioni presentate dai governi degli Stati membri e dalla Commissione, conformemente all’art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia, risulta che le informazioni fornite nell’ordinanza di rinvio hanno consentito loro di prendere utilmente posizione sulle questioni proposte alla Corte; inoltre, le informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio possono essere completate da tali osservazioni (21).

28.      Ciò premesso, ritengo che nel caso in esame la domanda di rinvio pregiudiziale, anche se inopportunamente laconica quanto alle informazioni di fondo, non debba per tale unica ragione essere considerata irricevibile.

 Assenza dell’elemento comunitario

29.      La maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni rileva che l’ordinanza di rinvio non indica la presenza di alcun elemento comunitario nei fatti del procedimento in esame. Piuttosto, il giudice del rinvio chiede l’interpretazione di una normativa nazionale che, nel trasporre la direttiva nell’ambito delle società madri e figlie aventi la loro sede in diversi Stati membri, applica disposizioni analoghe alle relazioni società madre‑figlia in ambito puramente nazionale.

30.      In effetti, il giudice del rinvio non specifica se la causa principale riguardi una società controllata stabilita in un altro Stato membro. Pare peraltro che la risposta sia negativa. Tuttavia, nelle sue osservazioni scritte il governo belga afferma che l’art. 202, n. 2, è volto ad attuare la direttiva estendendone la portata alla sfera nazionale e ad un ambito d’applicazione più ampio di quello richiesto dalla direttiva. Sembra pertanto, come rilevano la ricorrente, la Francia, la Germania, la Grecia, i Paesi Bassi e la Commissione, che la fattispecie sia analoga alla situazione in esame in quello che può definirsi come il filone giurisprudenziale Leur‑Bloem (22), ove il giudice del rinvio chiede che venga interpretata una normativa nazionale che, oltre a trasporre una direttiva, si applica a situazioni interne affini alle situazioni comunitarie che ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva interessata.

31.      Come le dette parti del procedimento hanno sottolineato, e come risulta dalla giurisprudenza sopra riassunta, la Corte ha costantemente sostenuto che essa è competente ad interpretare le disposizioni del diritto comunitario ove i fatti nella causa principale concernano una controversia interna e la normativa nazionale fornisca per le situazioni interne le stesse soluzioni adottate dal diritto comunitario.

32.      Nella fattispecie in esame risulta che esiste un’unica disposizione nazionale che prevede l’esenzione fiscale in favore di società madri e figlie indipendentemente dal fatto che queste ultime siano stabilite in Belgio ovvero in Stati membri diversi. Inoltre, dalle osservazioni del governo belga risulta che l’art. 202, n. 2, è stato reso applicabile sul piano nazionale onde evitare una discriminazione in senso inverso in danno delle società belghe in funzione del luogo della sede delle loro controllate. Tale volontario avvicinamento del diritto nazionale alle prescrizioni della direttiva, unitamente alla richiesta da parte del giudice nazionale di indicazioni interpretative, costituisce, a mio avviso, motivo sufficiente per ricondurre la domanda di pronuncia pregiudiziale nei termini della ricevibilità.

33.      Il Belgio, la Germania ed il Regno Unito osservano inoltre che l’interpretazione della direttiva non è pertinente, posto che l’art. 202, n. 2, ha una portata più ampia: esso si applica ad entrate anche diverse dai dividendi e stabilisce una quota minima di partecipazione al capitale notevolmente più bassa rispetto a quella di cui alla direttiva.

34.      A mio avviso, tuttavia, il fatto che la legge nazionale non effettui una trasposizione della direttiva in termini identici non significa necessariamente che vada considerata come irricevibile la richiesta da parte di un giudice nazionale di un’interpretazione della direttiva di base. A parte l’ovvio principio generale per cui le direttive sono vincolanti quanto al risultato, proprio la direttiva in esame nel caso specifico attribuisce agli Stati membri un più ampio margine di discrezionalità. È inoltre certo che le disposizioni nazionali e comunitarie utilizzano entrambe la stessa espressione «partecipazione nel capitale» (23), con l’unica differenza che in Belgio la partecipazione del 5% è sufficiente ad attribuire alla società madre l’esenzione fiscale. Il fatto che venga impiegata la stessa espressione mostra che il legislatore nazionale aveva inteso applicare il termine allo stesso modo.

35.      In base alla giurisprudenza della Corte, tenendo a mente che un’unica disposizione nazionale dà attuazione alla direttiva e al contempo disciplina le situazioni interne, è evidentemente nell’interesse delle Comunità che la detta disposizione debba essere interpretata in modo uniforme ove applicata a situazioni transfrontaliere e nazionali.

36.      Da ultimo, il Regno Unito rileva che, indipendentemente dalla interpretazione della direttiva resa dalla Corte, spetterà in definitiva al giudice nazionale definire la questione interna come esso ritiene appropriato. Alla luce di ciò, una pronuncia della Corte sull’interpretazione della direttiva non sarebbe né direttamente né indirettamente applicabile, e sarebbe quindi del tutto ipotetica. In senso analogo, in udienza si è discusso della rilevanza della sentenza Kleinwort Benson (24), ove uno dei fattori che hanno indotto la Corte a rigettare la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dinanzi ad essa in quanto irricevibile è stata la circostanza che nel caso di specie il diritto nazionale non imponeva ai giudici nazionali di definire le controversie di cui sono investiti applicando, in modo assoluto e incondizionato, l’interpretazione del diritto comunitario fornita loro dalla Corte (25).

37.      È innegabile che, giacché la direttiva non disciplina situazioni nazionali, la pronuncia della Corte nella fattispecie in esame potrebbe essere considerata puramente consultiva – resterebbe aperta per lo Stato membro la facoltà di modificare la propria normativa ovvero ignorare semplicemente la pronuncia. Naturalmente tale sarà in ogni caso la situazione in un’ipotesi come quella della causa Leur‑Bloem (26). In effetti, questo è il senso di tale giurisprudenza. Ciò non ha tuttavia impedito alla Corte di dichiarare ricevibili quei casi, e non c’è motivo per ritenere il caso in esame diverso dagli altri.

38.      Ritengo di conseguenza che nel presente procedimento la domanda di pronuncia pregiudiziale sia ricevibile.

 Nel merito

39.      Con la sua questione il giudice del rinvio chiede se la legge nazionale di attuazione della direttiva, richiedendo che il soggetto beneficiario di dividendi detenga una partecipazione nel capitale della società distributrice di tali dividendi, sia compatibile con la direttiva, laddove la suddetta legge non specifica expressis verbis che la partecipazione deve essere a pieno titolo e quindi implicitamente ammette che la mera titolarità di un diritto di usufrutto sui titoli rappresentativi di tale partecipazione comporta il diritto di beneficiare dell’esenzione fiscale sui detti dividendi.

40.      Prima di tentare di risolvere la suesposta questione è opportuno ‑ come hanno implicitamente o esplicitamente suggerito diverse fra le parti che hanno presentato osservazioni scritte – riformulare la stessa.

41.      Secondo giurisprudenza costante, la Corte non è competente a conoscere della compatibilità di disposizioni del diritto nazionale con il diritto comunitario (27). Inoltre, in una questione pregiudiziale spetta alla Corte fornire al giudice a quo una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia con cui è adito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se del caso, riformulare la questione sottoposta al suo giudizio (28). Nel caso di specie, il giudice del rinvio chiede se la direttiva obbliga gli Stati membri a concedere il favorevole trattamento fiscale dei dividendi che una società madre abbia ricevuto da una società figlia, imposto dall’art. 4, n. 1, nell’ipotesi in cui la proprietà delle azioni della società figlia sia stata scissa, in modo tale che i dividendi vengono percepiti da una società in virtù di un diritto di usufrutto, mentre la nuda proprietà permane in capo ad un’altra società. Qualora la questione venisse risolta in senso affermativo, ciò sarebbe motivo sufficiente per autorizzare il giudice nazionale ad accogliere il ricorso della ricorrente. Se, invece, essa venisse risolta in senso negativo, si porrebbe la questione se gli Stati membri possano tuttavia, in sede di trasposizione della direttiva, estendere il favorevole trattamento fiscale dei dividendi al titolare di un mero diritto di usufrutto sulle azioni.

 La direttiva va applicata ad un diritto di usufrutto?

42.      In sostanza, la ricorrente e la Commissione considerano che la portata dell’art. 4, n. 1, si estende ai dividendi percepiti da un usufruttuario (29), mentre i governi belga, francese, greco, italiano, olandese, spagnolo e del Regno Unito sostengono la tesi opposta. Il governo tedesco ritiene che l’art. 4, n. 1, non si applichi ai dividendi percepiti da un usufruttuario salvo il caso in cui la posizione dell’usufruttuario sia, da un punto di vista economico, equivalente a quella del proprietario.

 La finalità della direttiva

43.      Tutte le parti richiamano l’obiettivo della direttiva. Sono anch’io del parere che sia corretto far partire da esso l’analisi.

44.      Il primo ‘considerando’ del preambolo dichiara che i raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono essere necessari per creare nella Comunità condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per assicurare così l’attuazione ed il buon funzionamento del mercato comune; che queste operazioni non debbono essere intralciate da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri; che occorre quindi instaurare per questi raggruppamenti norme fiscali che siano neutre nei riguardi della concorrenza al fine di permettere alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato comune, di accrescere la loro produttività e di rafforzare la loro posizione concorrenziale sul piano internazionale.

45.      Il secondo ‘considerando’ sottolinea che i raggruppamenti in questione possono risolversi nella creazione di gruppi di società madri e figlie. Il terzo ‘considerando’ evidenzia che le attuali disposizioni fiscali che disciplinano le relazioni tra società madri e società figlie di Stati membri diversi variano sensibilmente da uno Stato membro all’altro e sono, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro; che la cooperazione tra società di Stati membri diversi viene perciò penalizzata rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro; che occorre eliminare questa penalizzazione instaurando un regime comune e facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello comunitario per assicurare il funzionamento del mercato comune. Il quarto ed il quinto ‘considerando’ si limitano ad indicare i due strumenti principali mediante i quali conseguire tali obiettivi, in sostanza anticipando il testo degli artt. 4, n. 1, e 5.

46.      Come prevedibile, la Corte nelle sue pronunce sulla direttiva ha costantemente incentrato la propria attenzione sugli obiettivi così come espressi nel preambolo. Essa ha affermato che, come risulta in particolare dal terzo ‘considerando’, la direttiva mira ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro ed a facilitare in tal modo la cooperazione transfrontaliera (30), o i raggruppamenti di società a livello comunitario (31). Più in generale, la necessità della direttiva risulta dalla doppia imposizione a cui possono essere assoggettati gruppi di società stabilite in più Stati (32).

47.      La direttiva risulta dunque fondata sul presupposto che la doppia imposizione fiscale dei dividendi all’interno di un raggruppamento transfrontaliero disincentivi la creazione di siffatti raggruppamenti. Essa tenta di rimuovere tale ostacolo obbligando gli Stati membri ad esentare i detti dividendi dall’imposizione fiscale a carico della società madre. Il preambolo alla direttiva di modifica 2003/123 enuncia in termini vigorosi che lo scopo della direttiva società madri‑figlie è di «esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi ed altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello di società madre» (33). Inoltre, la Corte ha recentemente definito la direttiva quale «misura di unificazione o di armonizzazione intesa ad eliminare le situazioni di doppia imposizione» (34).

48.      In tale contesto, concordo con la ricorrente e con la Commissione che sarebbe contrario alla finalità della direttiva assoggettare il dividendo percepito dall’usufruttuario a una doppia imposizione in circostanze in cui l’art. 4, n. 1, imporrebbe l’esenzione ove non fosse stato creato alcun diritto di usufrutto. Come sottolineato dalla Commissione, il problema della doppia tassazione non viene meno nel caso in cui la proprietà delle azioni sia scissa. Senza tale esenzione, i dividendi pagabili sulle dette azioni potrebbero essere soggetti ad imposizione nello Stato di residenza dell’azionista ed anche alla ritenuta alla fonte nello Stato della società controllata. Circostanza che, come asserito nel preambolo della direttiva, penalizza la cooperazione tra società stabilite in Stati membri diversi ‑ esattamente ciò che la direttiva mira a rimuovere.

49.      Anche gli Stati membri che hanno presentato osservazioni fondano i loro argomenti principalmente sugli obiettivi della direttiva. Ma mentre concordano sul fatto che la sua finalità sia quella di agevolare i raggruppamenti di società, essi fanno valere che il sistema della neutralità fiscale dei dividendi non è concepito come fine a se stesso, ma piuttosto come uno strumento per perseguire tale finalità. La direttiva pertanto mira a consentire i raggruppamenti in senso economico tra società di Stati membri diversi in modo da metterle in condizione di operare come se si trovassero all’interno di un mercato unico. Questa prospettiva esige che le società che danno vita a tali raggruppamenti siano legate da un vincolo di natura economica ed operativa, e non da un vincolo di natura meramente finanziaria. Questa situazione si può verificare soltanto se la società madre possiede nella controllata una partecipazione che le attribuisca tutti i diritti connessi alla qualità di azionista, vale a dire il diritto di voto in tutti i tipi di assemblea, onde dirigere l’attività economica della società figlia, ed il diritto ai dividendi, onde beneficiare dei risultati economici della detta attività economica e della detta attività di direzione. Per converso, quando tali due situazioni sono scisse, non si può parlare di un reale raggruppamento di società in senso economico con la società nella quale esse detengono una partecipazione. Il titolare di un mero diritto di usufrutto non può essere considerato pertanto come parte di un vero raggruppamento.

50.      A mio avviso, tale argomento presuppone che il tipo di relazione intersocietaria che la direttiva è intesa ad incoraggiare sia limitato ai raggruppamenti nel senso tradizionale del diritto societario. La direttiva tuttavia non definisce la sua portata facendo riferimento ad alcuno dei criteri di regola impiegati per identificare un raggruppamento, ossia da un lato l’esistenza di una direzione centrale o unitaria (35) e dall’altro l’esistenza di una maggioranza dei diritti di voto e/o il diritto di nominare o revocare la maggioranza del consiglio di amministrazione e/o un’influenza dominante. Viceversa, nella sua versione originale la direttiva richiedeva una partecipazione minima del 25% e successive modifiche hanno progressivamente ridotto tale partecipazione minima, che sarà del 10% a partire dal 1° gennaio 2009 (36). Siffatta partecipazione è ben lontana da quella normalmente considerata atta ad indirizzare un gruppo nel senso di controllo e struttura.

51.      Alcuni degli Stati membri che hanno presentato osservazioni rilevano che se, come nel caso di specie, un soggetto detiene un diritto ai dividendi ed un diritto di voto limitato alle assemblee generali ed un altro soggetto possiede il diritto di voto per gli atti più importanti (aumento di capitale, scioglimento della società e prolungamento della società), possono sorgere conflitti di interesse tra questi due soggetti. In particolare, l’usufruttuario sarà interessato essenzialmente a riscuotere nel breve termine il maggiore importo di dividendi, laddove invece il nudo proprietario sarà interessato al rafforzamento della società nel lungo periodo, e potrebbe addirittura preferire che nel breve o medio periodo gli utili vengano reinvestiti nella società anziché essere distribuiti. Non può pertanto corrispondere alla finalità della direttiva che l’azionista usufruttuario rientri nella sua sfera di applicazione.

52.      Mentre ovviamente è vero che possono sorgere conflitti di interesse tra l’azionista usufruttuario e l’azionista nudo proprietario, non ritengo che ciò sia rilevante nel caso al vaglio della Corte. La direttiva, come sopra chiarito, mira ad eliminare la doppia imposizione economica dei dividendi in un raggruppamento transfrontaliero di società. Tale obiettivo viene a mio avviso perseguito al meglio garantendo che l’esenzione da tale doppia imposizione, prevista dall’art. 4, n. 1, della direttiva, sia applicata ai dividendi prodotti da azioni di una società appartenente ad un siffatto raggruppamento, detenute da un’altra società, indipendentemente da come il titolo relativo a tali azioni sia configurato. Il rischio – segnalato in particolare dall’Italia e dal Regno Unito – che tale criterio possa consentire che le esenzioni fiscali di cui alla direttiva vengano sfruttate per operazioni fraudolente potrebbe essere scongiurato mediante disposizioni nazionali adeguate o misure bilaterali contro frodi e abusi, che l’art. 1, n. 2, della direttiva esplicitamente autorizza.

 L’impianto della direttiva

53.      Il primo trattino dell’art. 3, n. 2, della direttiva prevede una deroga che consente agli Stati membri di sostituire il criterio della partecipazione nel capitale con quello dei diritti di voto. Il Belgio e l’Italia invocano tale deroga a sostegno della loro interpretazione. Essi affermano in sostanza che uno Stato membro che si avvalga di essa può escludere l’usufruttuario dal beneficio di cui alla direttiva, dato che per avere un integrale diritto di voto è necessaria la proprietà a pieno titolo. Perché i diversi criteri impiegati dalla direttiva siano coerenti, occorre che anche il criterio della partecipazione nel capitale esiga una proprietà a pieno titolo per poter beneficiare delle agevolazioni conferite dalla direttiva.

54.      Tale argomento non è a mio parere convincente. Come accade in genere quando si argomenta una tesi invocando una deroga, la stessa può condurre ad opposte soluzioni (37). Allo stesso modo si potrebbe affermare quindi che, se gli Stati membri possono sostituire il criterio della partecipazione nel capitale con quello dei diritti di voto, ciò deve significare che non è di regola necessario possedere diritti di voto per beneficiare della direttiva. Conseguentemente, non ritengo che la facoltà di cui al primo trattino dell’art. 3, n. 2, fornisca indicazioni valide ai fini della soluzione del quesito che ci occupa.

 La lettera della direttiva

55.      L’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva definisce la società madre come quella società che «[detenga una partecipazione nel capitale]» di un’altra società che, concorrendo tutti gli altri elementi della definizione, costituirà la sua società figlia. L’art. 4 della direttiva prevede che l’obbligo di esentare i dividendi dall’imposizione fiscale o di autorizzare la società madre a dedurre l’imposta pagata si applichi quando una società madre riceve «in veste di socio» dalla società figlia utili distribuiti. La Francia, la Grecia, l’Italia, i Paesi Bassi, la Spagna ed il Regno Unito invocano la formulazione dell’una o di entrambe tali disposizioni a sostegno della loro tesi.

56.      Riconosco che possa sembrare anomalo considerare la titolarità di un semplice diritto di usufrutto alla stregua di «[una partecipazione nel capitale]» di una società. Il capitale di una società è per convenzione costituito dagli azionisti che contribuiscono in misura pari al valore delle loro azioni. L’usufruttuario, però, non ha contribuito con capitale.

57.      Analogamente, può sembrare artificioso ritenere che il detentore di un diritto di usufrutto sulle azioni di una società percepisca dividendi «in veste di socio» di tale società. L’usufruttuario non è realmente socio della società; il suo diritto a riscuotere dividendi deriva invece da un rapporto contrattuale con il nudo proprietario delle azioni.

58.      Nessuno degli argomenti sopra esposti è tale comunque da persuadermi che la mia ricostruzione della direttiva sia errata. Secondo costante giurisprudenza, il diritto comunitario deve essere interpretato non esclusivamente alla luce del suo testo, ma anche in considerazione dell’economia generale e degli obiettivi del sistema del quale fa parte (38). Ho chiarito sopra quelli che a mio avviso sono l’impianto e gli obiettivi della direttiva nonché i motivi per cui ritengo che l’interpretazione delle sue disposizioni da me fornita sia conforme ad essi. Le nozioni di «[partecipazione nel capitale]» di una società e di «veste di socio» di una società madre nei confronti della sua società figlia devono comprendersi in tale contesto, che, di nuovo, non è principalmente un contesto di diritto delle società.

59.      Il recente ampliamento della sfera di applicazione ratione personae della direttiva ad opera della direttiva 2003/123 corrobora la mia tesi (39). Ho già segnalato che la direttiva 2003/123 riduce la quota minima della partecipazione richiesta perché una società madre benefici dell’art. 4, n. 1. Per di più, essa amplia l’elenco delle società cui la direttiva società madri‑figlie si applica, in modo tale da includervi talune cooperative, talune società non basate sul capitale, casse di risparmio e associazioni, fondi e associazioni con attività commerciale. Evidentemente tale direttiva contempla che il socio di una società di questo genere possa essere considerato titolare di «[una partecipazione nel suo capitale]», e riscuotere dividendi «in veste di socio» della stessa, indipendentemente dalla circostanza che esso non sia titolare di una partecipazione nel capitale della controllata in senso convenzionale. Analogamente, la direttiva 2003/123 modifica l’art. 4, n. 1, della direttiva società madri‑figlie in modo da estenderne la portata al caso in cui una società madre o la sua stabile organizzazione, in virtù del rapporto di partecipazione tra la società madre e la sua società figlia, riceve utili distribuiti. Anche questa circostanza fa supporre che il legislatore non consideri incompatibile con la finalità della direttiva che gli Stati membri siano tenuti a garantire il trattamento fiscale agevolato anche per utili percepiti in situazioni diverse dalla convenzionale relazione società madre‑figlia.

60.      Infine, sottolineo che dall’analisi sopra esposta non discende per la Corte, a mio avviso, il dovere di elaborare un’autonoma nozione comunitaria del diritto di usufrutto. Ciò che è importante per la determinazione della sfera di applicazione della direttiva non sono gli esatti meccanismi che un dato ordinamento giuridico permette ad un azionista di utilizzare per configurare diverse variazioni del diritto di proprietà. L’elemento determinante è piuttosto, come suggerito dalla Commissione, che ci sia stata una partecipazione corrispondente ai vari criteri enunciati dalla direttiva e che sia stato versato un dividendo in virtù di tale partecipazione.

 La direttiva può essere applicata ad un diritto di usufrutto?

61.      Ho chiarito i motivi per cui ritengo che la direttiva obblighi gli Stati membri a concedere il favorevole trattamento fiscale dei dividendi che una società madre abbia ricevuto da una società figlia, imposto dall’art. 4, n. 1, nell’ipotesi in cui la proprietà delle azioni della società figlia sia stata scissa, in modo tale che i dividendi vengono percepiti da una società in virtù di un diritto di usufrutto, mentre la nuda proprietà permane in capo ad un’altra società. Alla luce di ciò, non occorre risolvere la seconda parte della questione riformulata così come da me suggerito (40), ossia se gli Stati membri possano tuttavia, in sede di trasposizione della direttiva, estendere il favorevole trattamento fiscale dei dividendi al titolare di un mero diritto di usufrutto sulle azioni.

62.      Se, tuttavia, la Corte ritenesse di adottare una diversa soluzione rispetto a quella da me sopra suggerita, essa sarebbe tenuta a risolvere l’ultimo quesito. In tal caso, ritengo che la questione andrebbe risolta in senso affermativo. A mio avviso tale conclusione discende in modo incontrovertibile dall’impianto della direttiva. Come sopra rilevato (41), dal momento che l’art. 3, n. 1, lett. a), definisce la società madre facendo riferimento ad almeno ogni società che soddisfi alle condizioni di cui all’art. 2 e che detenga una partecipazione minima del 25%, è chiaro che gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere una definizione più ampia. Non vedo niente che precluda agli Stati membri di configurare tale definizione così da includervi l’azionista usufruttuario.

63.      Nel caso in cui la Corte opti per tale soluzione, spetterà allora al giudice nazionale decidere se la normativa nazionale di trasposizione definisca in tal modo la nozione ai sensi del diritto interno. Si noti che il governo belga respinge strenuamente questa tesi.

 Conclusione

64.      Per le ragioni sopra esposte, ritengo che la questione pregiudiziale proposta dalla Cour d’Appel de Liège debba essere risolta come segue:

«La direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, obbliga gli Stati membri a concedere il favorevole trattamento fiscale dei dividendi che una società madre abbia ricevuto da una società figlia, imposto dall’art. 4, n. 1, nell’ipotesi in cui la proprietà delle azioni della società figlia sia stata scissa, in modo tale che i dividendi vengono percepiti da una società in virtù di un diritto di usufrutto, mentre la nuda proprietà permane in capo ad un’altra società».


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – (GU L 225, pag. 6). La direttiva è stata successivamente modificata, ma la causa principale riguarda solo la versione originale.


3 – V. il terzo ‘considerando’ del preambolo. Il preambolo viene analizzato più dettagliatamente sotto, ai paragrafi 44 e 45.


4 –      Ai sensi dell'art. 2, per «società di uno Stato membro» deve intendersi qualsiasi società: a) che abbia una delle forme enumerate; b) abbia domicilio fiscale in uno Stato membro, e c) sia assoggettata ad una delle imposte enumerate.


5 – Direttiva del Consiglio 22 dicembre 2003, 2003/123/CE, di modifica della direttiva 90/435/CEE (GU 2004 L 7, pag. 41).


6 – Artt. 202, 204 e 205 del Code des impôts sur les revenus (Codice dell'imposta sul reddito) 1992.


7 – L'art. 4, n. 2, della direttiva in effetti autorizza gli Stati membri che abbiano optato per il metodo dell'esenzione a limitare l'esenzione stessa al 95% dei dividendi ricevuti.


8 – La questione se tale sistema attui correttamente la direttiva è attualmente al vaglio della Corte nella causa C‑138/07, Cobelfret, nella quale ho presentato le mie conclusioni l'8 maggio 2007.


9 – Moniteur belge, 30 luglio 1992, nella versione applicabile all'epoca dei fatti. L'art. 202, n. 2, era stato inserito (quale art. 203, n. 2, successivamente diventato art. 202, n. 2) dalla Loi portant dispositions fiscales, financières et diverses (legge recante disposizioni fiscali, finanziarie e varie) 28 Dicembre 1992, Moniteur belge, 31 Dicembre 1992, citata dal giudice del rinvio nella sua ordinanza (v. sotto, paragrafo 18).


10 – Moniteur belge del 10 aprile 1964.


11 – Loi du 23 octobre 1991 transposant en droit belge la Directive du Conseil des Communautés européennes du 23/07/1990 concernant le régime fiscal commun applicable aux sociétes mères et filiales, Moniteur belge del 15 Novembre 1991.


12 – Legge 24 dicembre 2002, Moniteur belge del 31 dicembre 2002.


13 – Per ragioni di brevità mi riferirò al titolare di un diritto di usufrutto su partecipazioni come «usufruttuario» ovvero «azionista usufruttuario», ed al proprietario di tali partecipazioni come «nudo proprietario» ovvero «azionista nudo proprietario».


14 – Sentenze 15 maggio 2003, causa C‑300/01, Salzmann, Racc. pag. I‑4899, punto 28 e 11 dicembre 2007, causa C‑280/06, ETI, Racc. pag. I‑4899, punto 19.


15 – Sentenza 7 gennaio 2003, causa C‑306/99, BIAO, Racc. pag. I‑1, punto 88.


16 – Sentenza Salzmann, cit. alla nota 14, punto 29, e ETI, cit. alla nota 14, punto 20.


17 – Sentenza 8 novembre 2007, causa C‑379/05, Amurta, Racc. pag. I‑9569, punto 64.


18 – Sentenze 18 ottobre 1990, cause riunite C‑297/88 e C‑197/89, Dzodzi, Racc. pag. I‑3763, punto 37; 17 luglio 97, causa C‑28/95, LeurBloem, Racc. pag. I‑4161, punto 32; 11 gennaio 2001, causa C‑1/99, Kofisa Italia, Racc. pag. I‑207, punto 37, e ETI, cit. alla nota 14, punto 20.


19 – Sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C‑320/90 a C‑322/90, Telemarsicabruzzo, Racc. pag. I‑393, punto 5.


20 – Sentenza 3 marzo 1994, causa C‑316/93, Vaneetveld, Racc. pag. I‑763, punto 13.


21 – Sentenza 19 febbraio 2002, causa C‑35/99, Arduino, Racc. pag. I‑1529, punti 28 e 29.


22 – V. nota 18.


23 – Lo stesso dicasi per le versioni originali francese e neerlandese dell'art. 202 e della direttiva. La versione francese dell'art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva si riferisce a «toute société (…) qui détient, dans le capital d'une société (…), une participation (…)», mentre l'art. 202, n. 2, richiede che «la société (…) détienne dans le capital de la société (…) une participation (…)»; la versione neerlandese dell'art. 3, n. 1, lett. a), si riferisce a « ‘iedere vennootschap (…) die een deelneming (…) bezit in het kapitaal van een vennootschap», mentre l'art. 202, n. 2, dispone che «de vennootschap (…) in het kapitaal van de vennootschap (…) een deelneming bezit».


24 – Sentenza 28 marzo 1995, causa C‑346/93, Racc. pag. I‑615.


25 – Con particolare riferimento alla sentenza Kleinwort Benson, v. sentenze Leur‑Bloem, punti 29‑31; Kofisa Italia, punti 29 e 30, entrambe sopra citate, nota 18, e ETI, cit. alla nota 14, punti 16 e 22. In nessuna di queste sentenze la Corte ha seguito l'impostazione enunciata alla sentenza Kleinwort Benson.


26 – V. paragrafo 61 delle conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa BIAO, cit. alla nota 15.


27 – V. ad esempio, sentenza 7 luglio 1994, causa C‑130/93, Lambire, Racc. pag. I‑3215, punto 10.


28 – V. ad esempio sentenza 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑6325, punto 32.


29 – Sul presupposto – come emerge nel seguito della discussione – che ricorrano gli altri elementi rilevanti della definizione del rapporto tra società madre e figlia data dalla direttiva.


30 – Sentenza 17 ottobre 1996, cause riunite C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, Denkavit, Racc. pag. I‑5063, punto 22.


31 – Sentenza 4 ottobre 2001, causa C‑294/99, Athinaïki Zithopoiia, Racc. pag. I‑6797, punto 25.


32 – Ibid., punto 5.


33 – Secondo ‘considerando’.


34 – Sentenza 20 maggio 2008, causa C‑194/06, Orange European Smallcap Fund, Racc. pag. I‑3747, punto 32.


35 – Il concetto è utilizzato nella Settima direttiva in materia di diritto delle società [Settima direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE, basata sull'art. 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti consolidati (GU 1983, L 193, pag. 1)], dove era stato importato dalla normativa tedesca sui conti consolidati. Un rappresentante del Department of Trade (Dipartimento del commercio) del Regno Unito, al quale era stato chiesto dinanzi al Select Committee della Camera dei Lord del Regno Unito se fosse in grado di fornire qualche chiarimento in merito a come tale concetto operasse in Germania, rispose: «Abbiamo fatto notevoli sforzi, incluso l'invio di alcuni colleghi in Germania per discutere con imprese contabili britanniche che ivi operano e con l'Istituto tedesco dei Revisori su come il sistema funzioni, ma non posso dire di aver ottenuto una soddisfacente comprensione della questione o che sia utile per la commissione. Ci è stato spiegato che la direzione centrale ed unificata è come un elefante, che si riconosce quando si vede ma non si può descrivere. Neanche tale indicazione mi pare estremamente utile [House of Lords Select Committee's 25th Report (Sessione 1976‑77, HL Paper 118) 11‑12].


36 – V. sopra, paragrafo 6.


37 – All'udienza infatti la ricorrente ha invocato la medesima deroga in sostegno della sua tesi, asserendo che la possibilità riconosciuta agli Stati membri di sostituire il criterio della partecipazione nel capitale con quello dei diritti di voto mostra l'intento del legislatore di consentire al soggetto che detiene un effettivo potere di controllo, anche, come nel caso della ricorrente, in modo limitato nel tempo, di beneficiare della esenzione dalle imposte di cui alla direttiva.


38 – Sentenza 9 gennaio 2003, causa C‑292/00, Davidoff, Racc. pag. I‑389, punto 24. La sentenza Davidoff è un esempio limite di tale approccio.


39 – Cit. alla nota 5.


40 – V. sopra, paragrafo 41.


41 – V. paragrafo 6.