C-566/07 - Stadeco

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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 12 marzo 2009 1(1)

Causa C‑566/07

Staatssecretaris van Financiën

contro

Stadeco BV

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad der Nederlanden)

«Sesta direttiva IVA – Imposta esposta in una fattura per una prestazione di servizi non imponibile nello Stato di residenza del prestatore di servizi – Rimborso dell’imposta – Rettifica della fattura»





I –    Introduzione

1.        Lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte di cassazione dei Paesi Bassi) sottopone alla Corte due questioni relative all’interpretazione della sesta direttiva IVA (2). Da un lato, chiede se un soggetto passivo sia tenuto a versare l’IVA dal medesimo esposta in una fattura malgrado la prestazione di servizi ivi conteggiata non fosse effettivamente soggetta ad IVA nello Stato membro in cui risiede o ha sede il soggetto emittente. Segue l’ulteriore questione se il rimborso dell’imposta possa eventualmente essere assoggettato alla condizione che la fattura erronea sia sostituita da una fattura di rettifica.

2.        Ciò corrisponde a quanto preteso dall’amministrazione fiscale olandese nell’ambito della causa principale. Le disposizioni di diritto nazionale sulle quali si fonda tale pretesa sono volte a impedire che il destinatario della fattura porti a detrazione l’imposta ivi erroneamente esposta anche nel caso in cui il soggetto che ha emesso la fattura non abbia corrisposto l’imposta oppure questa gli sia stata rimborsata. Nel caso concreto, peraltro, tale rischio di fatto non sussiste, essendo il destinatario della prestazione di servizi un ufficio pubblico privo del diritto a detrazione fiscale. Pertanto si pone la questione se l’applicazione delle disposizioni controverse ad un caso come quello in esame vada al di là di quanto necessario al conseguimento di tale obiettivo.

II – Contesto normativo

A –    Il diritto comunitario

3.        L’art. 21 della sesta direttiva, come modificato dall’art. 28 octies della sesta direttiva (3), così dispone:

«L’imposta sul valore aggiunto è dovuta:

1)      in regime interno

(...)

c)       da chiunque indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in un altro documento che ne fa le veci; (…)».

B –    Il diritto nazionale

4.        L’art. 37 della Wet op de Omzetbelasting (legge sull’imposta sulla cifra d’affari) del 1968 stabilisce che il soggetto che in qualsiasi modo esponga un’imposta sulla cifra d’affari da lui stesso non dovuta – salvo ai sensi del medesimo articolo – è tenuto al versamento di tale imposta dal momento di emissione della relativa fattura e deve corrisponderla al momento della dichiarazione.

III – Fatti, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

5.        La Stadeco BV noleggia stand per fiere, che provvede anche a montare e smontare in loco. Negli anni 1993-1995 essa forniva le suddette prestazioni all’Economische Voorlichtingsdienst (Ufficio di informazioni economiche; in prosieguo: l’«EVD»), un Ufficio del Ministerie van Economische Zaken (Ministero dell’economia) olandese, per fiere ed esposizioni in Germania e in Stati terzi. A tale titolo, essa emetteva alcune fatture intestate all’EVD con esposizione dell’IVA e versava detta imposta. L’EVD utilizzava le prestazioni fornite dalla Stadeco esclusivamente nell’ambito di attività per le quali esso non ha diritto alla detrazione dell’IVA, in quanto componente di un ente pubblico.

6.        L’amministrazione finanziaria comunicava alla Stadeco che essa non era tenuta al versamento dell’IVA nei Paesi Bassi in relazione a tali prestazioni di servizi, poiché queste ultime non erano state effettuate nei Paesi Bassi. La Stadeco richiedeva pertanto, nel 1996, il rimborso dell’imposta per un importo complessivo pari a NLG 230 314 (EUR 104 512). L’amministrazione finanziaria chiedeva alla Stadeco di emettere una nota di accredito a favore dell’EVD per gli importi oggetto della richiesta di rimborso e di trasmetterle una copia. Con decisione 7 febbraio 1997 veniva concesso alla Stadeco il rimborso richiesto.

7.        In occasione di un controllo effettuato nel 2000, veniva rilevato che la Stadeco non aveva emesso alcuna nota di accredito a favore dell’EVD e che non aveva provveduto alla restituzione di alcun importo. Di conseguenza, l’amministrazione finanziaria emanava un avviso di riscossione posticipata, che la Stadeco impugnava con successo dinanzi al Gerechtshof te ‘s-Gravenhage (Corte d’appello di Gravenhage).

8.        Investito del ricorso per cassazione avverso tale decisione, lo Hoge Raad con decisione 30 novembre 2007 ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che non è dovuta l’IVA nello Stato membro in cui sia residente o abbia la propria sede il soggetto che emette la fattura, allorché questi addebita su tale fattura l’IVA per un’operazione che, ai sensi del sistema comune di imposta sul valore aggiunto, si considera effettuata in un altro Stato membro o in un paese terzo.

2)      In caso di soluzione negativa, se, nell’eventualità in cui una fattura ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva sia stata rilasciata a un destinatario non avente diritto alla detrazione dell’IVA (per cui non si configura alcun rischio di perdita di gettito fiscale), gli Stati membri possano assoggettare la rettifica dell’IVA, erroneamente fatturata e pertanto dovuta in forza di questa disposizione, alla condizione che il soggetto passivo consegni al destinatario delle sue prestazioni una fattura di rettifica sulla quale non sia esposto alcun importo di IVA».

9.        Nel procedimento dinanzi alla Corte, i governi greco, tedesco, italiano ed olandese, nonché la Commissione delle Comunità europee hanno presentato osservazioni scritte e orali. La Stadeco ha svolto osservazioni orali unicamente all’udienza.

IV –  Analisi

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

10.      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che il soggetto che ha emesso una fattura è tenuto a versare l’IVA di uno Stato membro esposta in tale fattura, anche qualora in detto Stato la prestazione non fosse concretamente imponibile.

11.      Occorre rilevare in limine che la suddetta disposizione trova applicazione in un caso come quello di specie, nel quale le prestazioni di servizi sono state fornite nel territorio di un altro Stato membro.

12.      L’art. 21, n. 1, individua i debitori dell’IVA in regime interno. A tale riguardo, la norma non include soltanto operazioni interne a uno Stato, come sembra lasciare intendere la versione linguistica olandese (binnenlands verkeer) (4). Dalle altre versioni linguistiche emerge piuttosto che la norma si riferisce alle operazioni compiute all’interno della Comunità (5). Ciò risulta anche dal contesto logico-sistematico. Infatti, le operazioni in regime interno di cui al n. 1 si contrappongono alle importazioni nella Comunità di cui al n. 2. Inoltre, l’equivocabile riferimento al regime interno è scomparso nella nuova versione di cui all’art. 203 della direttiva 2006/112/CE (6).

13.      Del resto, nella sentenza Reemtsma (7), a fronte di una fattispecie analoga, la Corte ha presupposto l’applicabilità dell’art. 21, n. 1, lett. c). Anche quella controversia riguardava la responsabilità del soggetto che aveva emesso una fattura per l’imposta ivi esposta, imposta in realtà dovuta dal destinatario della prestazione di servizi in un altro Stato membro. In conclusione, l’applicazione di detta disposizione è stata tuttavia negata perché la rettifica dell’imposta non era stata richiesta dal soggetto che aveva emesso la fattura, bensì dal suo destinatario.

14.      Tuttavia, l’art. 21, n. 1, lett. c), prevede un debito d’imposta unicamente nei confronti dello Stato la cui IVA sia stata esposta nella fattura. In mancanza di un’indicazione espressa, al fine di stabilire di quale IVA si tratti, occorre interpretare la fattura. Importanti fattori al riguardo possono essere costituiti dalla misura dell’aliquota, dalla valuta dell’importo fatturato, dalla sede del soggetto emittente e da quella del suo destinatario, nonché dal luogo delle prestazioni conteggiate, se ed in quanto risultino dalla fattura. Siffatta interpretazione restrittiva mira ad escludere che, sulla base di una stessa fattura, più Stati membri possano rivendicare il diritto a riscuotere l’imposta.

15.      In forza dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, un soggetto diviene debitore dell’IVA per il solo fatto di avere esposto detta imposta in una fattura (8).

16.      Sorge la questione se tale circostanza formale sia di fatto sufficiente per riscuotere l’imposta ovvero se non occorra che si realizzi, al contempo, un’operazione imponibile ai sensi degli artt. 5-7 o 28 bis della sesta direttiva all’interno dello Stato la cui IVA sia stata esposta nella fattura. In quest’ultimo caso, il rimborso potrebbe essere richiesto anche in mancanza di una previa rettifica della fattura, laddove risultasse la non imponibilità in tale Stato dell’operazione in questione.

17.      Tuttavia, la formulazione e la ratio dell’art. 21, n. 1, lett. c), sembrano escludere che il debito d’imposta ai sensi di tale disposizione debba dipendere dall’ulteriore condizione che l’esposizione dell’imposta si fondi su di un’effettiva operazione imponibile nello Stato di cui trattasi.

18.      La normativa è volta ad escludere il rischio di perdita di gettito fiscale per effetto dell’utilizzazione della fattura ai fini della detrazione dell’imposta (9). Infatti, mediante l’esposizione dell’IVA in una fattura, il soggetto emittente dà l’impressione di aver effettuato un’operazione imponibile e di avere versato l’IVA o, comunque, l’intendimento di versarla. Ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), il soggetto emittente deve pertanto essere responsabile anche del versamento dell’imposta; infatti, in forza dell’art. 18, n. 1, lett. b), per esercitare il diritto a detrazione fiscale è sufficiente che il soggetto passivo destinatario sia in possesso di una fattura che esponga l’IVA conformemente alle prescrizioni dell’art. 22, n. 3, della direttiva. L’art. 21, n. 1, lett. c), garantisce che non venga portata in detrazione alcuna IVA che non sia stata effettivamente versata.

19.      È vero che nella sentenza Genius Holding (10) la Corte ha dichiarato che, in ogni caso, non sussiste alcun diritto alla detrazione fiscale qualora l’imposta esposta in fattura non sia correlata alle cessioni di merci e prestazioni di servizi. Tuttavia, non sempre vi è la garanzia che le autorità fiscali giungano a conoscenza di tale circostanza. Inoltre, può accadere che la detrazione fiscale sia già stata riconosciuta, prima che venga in luce la circostanza che la prestazione di servizi conteggiata in fattura non fosse imponibile, ovvero non lo fosse nella misura ivi esposta. Pertanto, il soggetto che ha emesso la fattura deve versare l’imposta ivi esposta, fintanto che la fattura non venga rettificata e il rischio di perdita del gettito fiscale non sia scongiurato (11).

20.      Il debito d’imposta ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), non viene meno soltanto perché il destinatario della fattura non ha diritto alla detrazione fiscale. Infatti, come giustamente sottolineato dal governo tedesco, dalla sola fattura non è possibile desumere se il destinatario abbia o meno diritto alla detrazione fiscale.

21.      Conseguentemente, la prima questione pregiudiziale deve essere risolta dichiarando che l’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che il soggetto che ha emesso una fattura è tenuto a versare l’IVA di uno Stato membro esposta nella fattura medesima, anche qualora in detto Stato la prestazione non fosse, in realtà, imponibile.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

22.      Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se il rimborso dell’imposta erroneamente esposta in una fattura possa essere assoggettato alla condizione che il soggetto passivo sostituisca detta fattura con una fattura rettificativa.

23.      A tale riguardo occorre rilevare che la sesta direttiva non contiene alcuna disposizione concernente la rettifica di una fattura in cui sia stata erroneamente esposta l’IVA di uno Stato nonostante l’operazione realizzata non fosse, in realtà, imponibile in detto Stato. Di conseguenza, spetta agli Stati membri garantire la neutralità dell’IVA, prevedendo nel loro ordinamento giuridico interno la possibilità di rettificare l’imposta indebitamente fatturata (12).

24.      In tale contesto la Corte ha sottolineato nella sentenza Schmeink & Cofreth e Strobel (13), che le misure che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 22, n. 8, della sesta direttiva per garantire l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine. Pertanto, esse non possono essere utilizzate in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. Quando il soggetto che ha emesso la fattura ha eliminato in tempo utile, e completamente, il rischio di perdite di entrate fiscali, non è necessario che egli dimostri la propria buona fede allo scopo di garantire la riscossione dell’IVA e di evitare frodi (14).

25.      Una siffatta affermazione potrebbe essere intesa nel senso che, in un caso come quello in esame, in cui non sussite alcun rischio di perdite di gettito fiscale, le disposizioni nazionali non possono stabilire ulteriori condizioni per la riscossione dell’imposta. Nel caso di specie, posto che l’EVD, destinatario della fattura, non ha diritto alla detrazione fiscale dell’IVA olandese erroneamente esposta nella medesima fattura, non sussiste alcun rischio di perdite fiscali per i Paesi Bassi.

26.      Tuttavia, non ritengo che la Corte intendesse imporre agli Stati membri limiti così rigidi. Al legislatore nazionale resta invece un ampio margine discrezionale nella predisposizione delle disposizioni concernenti la rettifica ed il rimborso dell’imposta erroneamente esposta in una fattura, fermo restando il rispetto dei principi dell’equivalenza e dell’effettività (15) e dei principi fondamentali del diritto, in particolare del principio di proporzionalità (16).

27.      In tale contesto, una norma di diritto nazionale che prescriva in linea generale la sostituzione di una fattura erronea con una rettificata non appare sproporzionata. Tale requisito costituisce, di regola, un mezzo adeguato al fine di evitare un’indebita detrazione fiscale fondata sulla prima fattura. Il fatto che le autorità fiscali non siano tenute in ogni singolo caso a verificare se, eventualmente, il destinatario della fattura non abbia diritto alla detrazione fiscale, di modo che non sussista alcun rischio di perdite di gettito fiscale, è funzionale alla semplificazione amministrativa.

28.      Occorre altresì tenere in considerazione che, con l’emissione della fattura erronea, è lo stesso soggetto passivo ad avere causato il presupposto del procedimento di rimborso e che, di norma, la sostituzione della fattura non rende eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al rimborso. Tutt’al più, qualora in casi particolari la sostituzione della fattura non fosse possibile, ad esempio in quanto smarrita, restando esclusa la sua utilizzabilità ai fini della richiesta di detrazione fiscale, il diniego del rimborso per la mancata sostituzione della fattura potrebbe contrastare con il principio di proporzionalità.

29.      Ciò non si pone in contraddizione con l’affermazione della Corte nella sentenza Collée (17), secondo cui «un provvedimento nazionale che essenzialmente subordini il diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma, senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano soddisfatti, eccede quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta». Diversamente dalle norme sulla tassazione degli acquisti comunitari e sull’esenzione di una cessione intracomunitaria, il debito d’imposta non dipende direttamente dal fatto che un’operazione sia effettivamente imponibile, ma è connesso soltanto al criterio formale dell’esposizione in fattura, ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva.

30.      Inoltre, secondo costante giurisprudenza, il diritto comunitario non osta a che un ordinamento giuridico nazionale neghi la restituzione di tasse indebitamente percepite qualora detta restituzione determini un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto (18). Il rimborso può essere pertanto assoggettato a una condizione atta a contrastare un arricchimento senza causa del soggetto che ha emesso la fattura.

31.      Nel caso in cui inizialmente fosse stato esposto in fattura un importo dell’IVA che, in realtà, non avrebbe dovuto essere versato, ovvero non avrebbe dovuto esserlo in quella misura, il destinatario della fattura avrebbe, quindi, il diritto di ripetizione dell’indebito arricchimento relativamente agli importi corrisposti senza causa, salvo particolari accordi contrattuali (19). Le disposizioni nazionali, nella misura in cui subordinano il rimborso dell’imposta al soggetto che ha emesso la fattura alla sostituzione della fattura stessa oppure alla sua adeguata rettifica, garantiscono che il destinatario riceva le informazioni necessarie al fine di esercitare il diritto alla restituzione.

32.      Non appare necessario risolvere in questa sede la questione se gli Stati membri possano inoltre esigere che il soggetto che ha emesso la fattura abbia effettivamente restituito alla propria controparte contrattuale l’importo indebitamente versato a titolo di IVA. Stando alle considerazioni formulate dal governo olandese, sembra che le autorità fiscali olandesi lo esigano, tuttavia il giudice del rinvio non ha posto la questione dell’ammissibilità di tale ulteriore condizione (20).

33.      Da ultimo, occorre rilevare che neppure il diritto comunitario contiene disposizioni particolari per la rettifica dell’imposta nel caso in cui la prestazione di servizi non sia imponibile nello Stato membro la cui IVA sia stata esposta nella fattura, ma lo sia in altri Stati membri o in Stati terzi.

34.      Più in particolare, la sesta direttiva non obbliga il primo Stato membro succitato a garantire il rimborso dell’imposta subordinatamente alla condizione che la fattura sostitutiva esponga l’imposta dell’altro Stato membro, come sostenuto dal governo italiano, perché a tal fine il primo Stato dovrebbe necessariamente accertare se, ed in quale misura, il soggetto che ha emesso la fattura sia debitore dell’imposta nell’altro Stato membro. Tuttavia, un tale accertamento non è così facilmente eseguibile nello Stato la cui IVA deve essere rimborsata. Ad esempio, nell’altro Stato il debitore dell’imposta potrebbe non essere il soggetto che ha effettuato la prestazione di servizi, bensì il suo destinatario, ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. b). Inoltre, nell’altro Stato, potrebbe essere applicata un’esenzione non armonizzata, oppure un’aliquota ridotta.

35.      A prescindere da tali considerazioni, però, il soggetto che ha emesso la fattura è obbligato, a esporre nella fattura rettificata l’imposta eventualmente dovuta nello Stato membro in cui la prestazione di servizi sia effettivamente soggetta a imposta, ai sensi del combinato disposto dell’art. 22, n. 3, della sesta direttiva e delle corrispondenti disposizioni di recepimento adottate dallo Stato medesimo.

36.      Per questi motivi, la seconda questione pregiudiziale deve essere risolta nel senso che il diritto comunitario non osta a che gli Stati membri subordinino la rettifica dell’IVA, erroneamente fatturata e pertanto dovuta in forza dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, alla condizione che il soggetto passivo emetta nei confronti del destinatario delle prestazioni una fattura di rettifica. Ciò vale anche nel caso in cui il destinatario della fattura non abbia diritto alla detrazione fiscale.

V –    Conclusione

37.      In conclusione propongo di risolvere le questioni pregiudiziali nei seguenti termini:

1)         L’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva 77/388/CEE, come modificato dalla direttiva 91/680/CEE, deve essere interpretato nel senso che il soggetto che ha emesso una fattura è tenuto a versare l’IVA di uno Stato membro esposta in tale fattura, anche qualora in detto Stato la prestazione non fosse, in realtà, imponibile.

2)         Il diritto comunitario non osta a che gli Stati membri subordinino la rettifica dell’IVA, erroneamente fatturata e pertanto dovuta in forza dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, alla condizione che il soggetto passivo emetta nei confronti del destinatario delle sue prestazioni una fattura di rettifica. Ciò vale anche nel caso in cui il destinatario della fattura non abbia diritto alla detrazione fiscale.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), sostituita, a decorrere dal 1° gennaio 2007, dalla direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1).


3 – Come modificata dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376, pag. 1). Mediante la direttiva del Consiglio 17 ottobre 2000, 2000/65/CE, che modifica la direttiva 77/388/CEE quanto alla determinazione del debitore dell'imposta sul valore aggiunto (GU L 269, pag. 44) – non ancora applicabile ratione temporis al caso oggetto del procedimento principale – la lett. c) è divenuta lett. d) senza modificazioni del suo contenuto. La norma corrispondente si trova ora all’art. 203 della direttiva 2006/112.


4 – V. in proposito le considerazioni esposte ai paragrafi 5.2.-5.8. delle conclusioni dell’Advocaat General W. de Wit 29 giugno 2007, parte integrante dell’ordinanza di rinvio dello Hoge Raad.


5 – V., inter alia, FR: «régime interne»; IT: «regime interno»; EN: «internal system»; ES: «régimen interior».


6 – Cit. supra, nota 2.


7 – Sentenza 15 marzo 2007, causa C‑35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken (Racc. pag. I‑2425).


8 – V. sentenze 13 dicembre 1989, causa C‑342/87, Genius Holding (Racc. pag. 4227, punto 19), 19 settembre 2000, causa C‑454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel (Racc. pag. I‑6973, punto 53), e 6 novembre 2003, cause riunite da C‑78/02 a C‑80/92, Karageorgou e a. (Racc. pag. I‑13295, punto 50), e Reemtsma Cigarettenfabriken, cit. alla nota 7 (punto 23).


9 – V., in tal senso, la proposta della Commissione 29 giugno 1973 per la sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (Bollettino delle Comunità europee, Supplemento 11/73, pag. 22).


10 – Sentenza Genius Holding, cit. alla nota 8 (punto 15).


11 – Al riguardo, v., in particolare, le considerazioni relative alla seconda questione pregiudiziale.


12 – V., in tal senso, sentenze, citate alla nota 8, Genius Holding (punto 18), Schmeink & Cofreth e Strobel (punti 48,49 e 56) e Karageorgou e a., (punti 49 e 50).


13 – Cit. alla nota 8, punto 59, con rimando alla sentenza 21 marzo 2000, cause riunite da C‑110/98 a C‑147/98, Gabalfrisa e a. (Racc. pag. I‑1577, punto 52). V. anche sentenza 27 settembre 2007, causa C‑146/05, Collée (Racc. pag. I‑7861, punto 26).


14 – Sentenze, citate alla nota 8, Schmeink & Cofreth e Strobel (punto 60) e Karageorgou e a (punto 50).


15 – V., inter alia, sentenza Reemtsma Cigarettenfabriken, cit. alla nota 7 (punto 37 e giurisprudenza ivi citata).


16 – In ordine al vincolo delle disposizioni nazionali di attuazione e/o di completamento della sesta direttiva al rispetto del principio di proporzionalità, v., inter alia, sentenze 18 dicembre 1997, cause riunite C‑286/94, C‑340/95, C‑401/95 e C‑47/96, Molenheide e a. (Racc. pag. I‑7281, punto 48), e 10 luglio 2008, causa C‑25/07, Sosnowska (Racc. pag. I‑5129, punto 23).


17 – Cit. alla nota 13, punto 29.


18 – Sentenze 24 marzo 1988, causa 104/86, Commissione/Italia (Racc. pag. 1799, punto 6), 9 febbraio 1999, causa C‑343/96, Dilexport (Racc. pag. I‑579, punto 47), e 10 aprile 2008, causa C‑309/06, Marks & Spencer (Racc. pag. I-2283, punto 41).


19 – Nella sentenza Reemtsma Cigarettenfabriken, cit. alla nota 7 (punto 39), la Corte ha espressamente riconosciuto che la neutralità dell’IVA può essere garantita attraverso l’azione civilistica di ripetizione dell’arricchimento senza causa.


20 – Nel corso della trattazione orale la rappresentante del governo olandese ha ammesso, rispondendo a una richiesta della Corte, che tale condizione non era espressamente prevista dal diritto nazionale nel periodo di tempo rilevante ai fini del caso in esame.