C-200/90 - Dansk Denkavit and Poulsen Trading v Skatteministeriet

Printed via the EU tax law app / web

EUR-Lex - 61990J0200 - IT

61990J0200

SENTENZA DELLA CORTE DEL 31 MARZO 1992. - DANSK DENKAVIT APS E P. POULSEN TRADING APS, SOSTENUTE DA MONSANTO-SEARLE A/S CONTRO SKATTEMINISTERIET. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: OESTRE LANDSRET - DANIMARCA. - ART. 33 DELLA SESTA DIRETTIVA IVA - EFFICACIA DIRETTA - IMPOSTA SULLA CIFRA D'AFFARI - LEGGE SUL CONTRIBUTO A SOSTEGNO DEL MERCATO DEL LAVORO. - CAUSA C-200/90.

raccolta della giurisprudenza 1992 pagina I-02217
edizione speciale svedese pagina I-00013
edizione speciale finlandese pagina I-00043


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


++++

1. Disposizioni fiscali - Armonizzazione delle legislazioni - Imposte sulla cifra d' affari - Sistema comune d' imposta sul valore aggiunto - Divieto di riscuotere altre imposte nazionali aventi il carattere di imposta sulla cifra d' affari - Obiettivo - Nozione di "imposte sulla cifra d' affari" - Portata - Imposta del tipo del contributo di sostegno al mercato del lavoro danese - Inclusione

(Direttiva del Consiglio 77/388, art. 33)

2. Disposizioni fiscali - Armonizzazione delle legislazioni - Imposte sulla cifra d' affari - Sistema comune d' imposta sul valore aggiunto - Divieto di riscuotere altre imposte nazionali aventi il carattere di imposta sulla cifra d' affari - Possibilità per i singoli di far valere la disposizione corrispondente

(Direttiva del Consiglio 77/388, art. 33)

3. Questioni pregiudiziali - Interpretazione - Efficacia nel tempo delle sentenze di interpretazione - Efficacia retroattiva - Sentenza che accerta l' incompatibilità di un' imposta nazionale con il diritto comunitario - Esclusione per mancanza di incertezza sulla portata degli obblighi che derivano dal diritto comunitario

(Trattato CEE, art. 177)

Massima


1. L' art. 33 della sesta direttiva 77/388, che vieta agli Stati membri di introdurre imposte, diritti e tasse aventi il carattere di imposte sulla cifra d' affari, ha lo scopo di evitare che siano istituiti imposte, diritti e tasse che, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi allo stesso modo dell' IVA, comprometterebbero il funzionamento comune di quest' ultima. In ogni caso devono essere considerati allo stesso modo di tali tributi le imposte, i diritti e le tasse che, pur non essendo del tutto simili all' IVA ne posseggono le caratteristiche essenziali.

La norma citata osta pertanto all' introduzione o al mantenimento di un' imposta del tipo del contributo di sostegno al mercato del lavoro riscossa in Danimarca, che

- viene versato sia per le attività soggette ad IVA sia per le altre attività a carattere industriale o commerciale consistenti nell' effettuazione di prestazioni a titolo oneroso;

- è riscosso, per quanto concerne le imprese soggette ad IVA, su una base imponibile identica a quella utilizzata per l' IVA, cioè sotto forma di una percentuale sull' importo delle vendite realizzate, previa detrazione dell' importo degli acquisti effettuati;

- a differenza dell' IVA, non viene percepito all' importazione, ma è riscosso sul prezzo pieno di vendita delle merci importate, al momento della loro prima rivendita nello Stato membro considerato;

- a differenza dell' IVA, non deve essere indicato a parte nella fattura;

- viene riscosso parallelamente all' IVA.

2. Il divieto imposto agli Stati membri dall' art. 33 della Sesta direttiva 77/388, di istituire imposte, diritti e tasse aventi il carattere di imposta sulla cifra d' affari, essendo chiaro, preciso e incondizionato, soddisfa le condizioni subordinatamente alle quali le disposizioni di una direttiva possono essere fatte salve dai singoli dinanzi ai giudici nazionali. Tale norma conferisce quindi ai privati diritti soggettivi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare.

3. La Corte non può accogliere la domanda di uno Stato membro di limitare nel tempo l' efficacia di una sentenza, pronunciata in via pregiudiziale, da cui risulti che un' imposta è stata riscossa in tale Stato in violazione del diritto comunitario, allorché, all' epoca in cui tale imposta era stata istituita, il divieto contro il quale essa urtava risultasse chiaramente da una disposizione comunitaria la cui portata era stata precisata dalla Corte e allorché la Commissione, alla quale il progetto di imposta era stato notificato, aveva molto rapidamente richiamato l' attenzione delle autorità dello Stato membro sui problemi che potevano sorgere in merito alla sua applicazione alla luce del diritto comunitario.

Parti


Nel procedimento C-200/90,

avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell' articolo 177 del Trattato CEE, dall' OEstre Landsret, nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Dansk Denkavit ApS e P. Poulsen Trading ApS,

sostenute da

Monsanto-Searle A/S

e

Skatteministeriet (ministero danese delle Finanze),

domanda vertente sull' interpretazione degli artt. 9 e segg. e 95 del Trattato CEE e 33 della Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme,

LA CORTE,

composta dai signori O. Due, presidente, R. Joliet, F.A. Schockweiler e F. Grévisse, presidenti di sezione, G.F. Mancini, C.N. Kakouris, J.C. Moitinho de Almeida, G.C. Rodríguez Iglesias, M. Díez de Velasco, M. Zuleeg e J.L. Murray, giudici,

avvocato generale: G. Tesauro

cancelliere: H.A. Ruehl, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate,

- per la Dansk Denkavit ApS, la P. Poulsen Trading ApS e la Monsanto-Searle A/S, dall' avv. K. Dyekjaer-Hansen, del foro di Copenaghen;

- per lo Skatteministeriet, dall' avv. M. Gregers Larsen, del foro di Copenaghen, e dal sig. J. Molde, consigliere giuridico, in qualità di agente;

- per il governo portoghese, dai sigg. L. Fernandes, direttore dei servizi degli affari giuridici presso la direzione generale delle Comunità europee, e A. Correia, vicedirettore generale dell' IVA, e dalla sig.ra T. Lemos, giurista del servizio amministrativo dell' IVA, in qualità di agenti;

- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. J. F. Buhl, consigliere giuridico, in qualità di agente;

vista la relazione d' udienza,

sentite le osservazioni orali della Dansk Denkavit ApS, della P. Poulsen Trading ApS e della Monsanto-Searle A/S, dello Skatteministeriet e della Commissione delle Comunità europee, all' udienza del 28 novembre 1991,

sentite le conclusioni dell' avvocato generale presentate all' udienza del 30 gennaio 1992,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 20 giugno 1990, pervenuta alla Corte il 2 luglio successivo, l' OEstre Landsret, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE, ha sottoposto alla Corte quattro questioni pregiudiziali relative all' interpretazione degli artt. 9 e segg. del Trattato CEE, 95 dello stesso Trattato e 33 della Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1, in prosieguo: la "Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE").

2 Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di un' azione promossa da due società danesi, la Dansk Denkavit ApS (in prosieguo: la "Dansk Denkavit") e la P. Poulsen Trading ApS (in prosieguo: la "Poulsen Trading"), contro lo Skatteministeriet (ministero danese delle Finanze), diretta ad ottenere il rimborso degli importi da esse versati nel 1988 e nel 1989 quale contributo di sostegno al mercato del lavoro (in prosieguo: il "contributo danese").

3 Risulta dagli atti che il contributo è stato istituito con legge 18 dicembre 1987, n. 840, sul contributo di sostegno al mercato del lavoro ("Lov om arbejdsmarkedsbidrag"), entrata in vigore il 1 gennaio 1988. Tale legge si inseriva nel contesto della politica economica all' epoca perseguita dal governo danese al fine di rilanciare la crescita e di sviluppare l' occupazione. Per ridurre i costi delle imprese, il governo danese ha ritenuto necessario fare finanziare dallo Stato talune spese a carattere sociale, in precedenza a carico dei datori di lavoro. Per procurarsi gli introiti necessari, esso ha proposto l' istituzione di un contributo destinato ad essere trasferito sui consumatori danesi.

4 Il contributo danese, che dal 1 gennaio 1992 è stato sostituito da un corrispondente aumento dell' aliquota IVA, veniva imposto alle imprese soggette ad IVA nonché ad altre imprese che avevano anch' esse beneficiato dell' assunzione da parte dello Stato delle spese sopra menzionate. L' aliquota del contributo era fissata al 2,5% dell' importo totale delle vendite realizzate da ciascuna impresa e dei servizi da essa prestati in un determinato periodo di tempo, detratto l' importo degli acquisti di beni e servizi effettuati nel corso dello stesso periodo dalla stessa impresa. Quando non era possibile seguire questo metodo, come nel caso di talune imprese non soggette ad IVA, la base imponibile era costituita dalla massa salariale dell' impresa in questione, maggiorata del 90%. Inoltre il contributo danese non veniva applicato alle esportazioni od importazioni di beni e servizi; in quest' ultimo caso, le imprese importatrici non potevano detrarre il valore dei prodotti o dei servizi importati all' atto della prima operazione commerciale effettuata in Danimarca.

5 Le ricorrenti nella causa principale, la Dansk Denkavit e la Poulsen Trading, acquistano beni nei Paesi Bassi e li rivendono in Danimarca. La prima commercia in mangimi, la seconda in altoparlanti. Negli anni 1988 e 1989, la Dansk Denkavit ha pagato allo Skatteministeriet 811 470 DKR a titolo di contributo danese, mentre la Poulsen Trading ha versato allo stesso ministero nel periodo indicato 745 756 DKR. Entrambe le società hanno adito il giudice nazionale per chiedergli di annullare questa imposta e di condannare lo Stato danese al rimborso delle somme che esse ritengono di aver indebitamente pagato. A sostegno della loro richiesta, esse hanno fatto valere, in via principale, che il contributo danese era un' imposta sulla cifra d' affari incompatibile con l' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE e, in subordine, che detto contributo costituiva una tassa di effetto equivalente vietata dagli artt. 9 e segg. del Trattato CEE, o, nel caso queste ultime disposizioni non fossero applicabili nella fattispecie, un' imposizione interna discriminatoria ai sensi dell' art. 95 dello stesso Trattato.

6 Considerando che l' esito della controversia dipendeva dall' interpretazione delle succitate disposizioni, l' OEstre Landsret, con ordinanza 20 giugno 1990, ha deciso di sospendere il giudizio e di chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sulle seguenti questioni:

"1) Se l' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, debba essere interpretato nel senso che vieta ad uno Stato membro di riscuotere un contributo fiscale che presenti le seguenti caratteristiche:

- Il contributo grava sia su attività soggette all' IVA sia su ogni altra attività industriale o commerciale consistente nell' effettuazione di prestazioni contro corrispettivo ed è calcolato secondo criteri dettagliatamente esposti nella legge, che non lasciano alle competenti autorità fiscali alcuna discrezionalità e non distinguono fra prodotti nazionali e prodotti importati.

- Nel caso di imprese soggette all' IVA, la base imponibile è identica a quella utilizzata per l' IVA; come l' IVA, il contributo è riscosso in ciascuna fase della catena commerciale (con esclusione delle esportazioni) sotto forma di percentuale delle vendite realizzate dall' impresa, previa detrazione degli acquisti effettuati, sulla base dei quali è stato riscosso il contributo a monte.

- Diversamente da ciò che accade nel sistema dell' IVA, il contributo non è riscosso all' importazione, ma è invece riscosso, sul prezzo pieno di vendita, in occasione della prima rivendita delle merci importate ad opera di un' impresa in Danimarca.

- A differenza dell' IVA, il contributo non deve essere indicato a parte nella fattura.

- Il contributo è calcolato secondo gli stessi criteri applicati per l' IVA; come per quest' ultima, le autorità doganali procedono ad un rimborso qualora la base imponibile del contributo risulti negativa.

- Il contributo viene riscosso parallelamente al sistema attuale dell' IVA; esso non sostituisce né integralmente né parzialmente l' IVA stessa, che deve essere pagata a norma della legge vigente in materia; inoltre esso fa parte del prezzo in base al quale si calcola l' IVA.

2) Se l' art. 33 della citata direttiva crei a favore dei privati cittadini, in relazione ad un contributo nazionale che presenti le caratteristiche illustrate nella prima questione, diritti soggettivi che i giudici nazionali devono tutelare.

3) Nel caso di soluzione negativa della prima e/o della seconda questione, se il divieto di tasse di effetto equivalente a dazi doganali, sancito dagli artt. 9 e segg. del Trattato CEE, debba essere interpretato nel senso che, trattandosi di prodotti importati, un regime impositivo come quello descritto nella prima questione è in contrasto col suddetto divieto, poiché per quanto riguarda le imprese soggette all' IVA il contributo viene calcolato a partire dalla base imponibile IVA, senza che ne possa essere detratto il valore dei prodotti importati.

4) Nel caso di soluzione negativa della terza questione, se l' art. 95 del Trattato CEE debba essere interpretato nel senso che, specialmente alla luce della considerazione svolta alla fine della terza questione, tale regime impositivo sia in contrasto col divieto di imposizioni interne discriminatorie sancito dal predetto articolo".

7 Per una più ampia illustrazione degli antefatti, una descrizione completa del contributo danese ed un riassunto delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d' udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.

Sulla prima questione

8 Con la sua prima questione, l' OEstre Landsret mira ad accertare, in sostanza, se l' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE vieti ad uno Stato membro di istituire o di mantenere un contributo fiscale che:

- gravi sia su attività soggette ad IVA che su altre attività a carattere industriale o commerciale consistenti nell' effettuazione di prestazioni contro corrispettivo;

- per quanto concerne le imprese soggette ad IVA, venga riscosso a partire dalla stessa base imponibile usata per l' IVA, cioè sotto forma di percentuale delle vendite realizzate, previa detrazione dell' importo degli acquisti effettuati;

- diversamente da ciò che accade per l' IVA, non venga pagato al momento dell' importazione, ma riscosso sul prezzo pieno di vendita delle merci importate al momento della prima rivendita effettuata nello Stato membro considerato;

- a differenza dell' IVA, non debba essere indicato a parte nella fattura;

- venga riscosso parallelamente all' IVA.

9 Per rispondere a tale quesito, occorre rammentare innanzitutto che, secondo l' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 77/388:

"Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sul gioco e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d' affari".

10 Secondo quanto già più volte precisato dalla Corte, in particolare nelle sentenze 3 marzo 1988, Bergandi, punti 10 e 11 della motivazione (causa 252/86, Racc. pag. 1343), e 13 luglio 1989, Wisselink, punti 13 e 14 della motivazione (causa 93/88, Racc. pag. 2671), tale disposizione, come risulta dalla sua formulazione, vieta agli Stati membri d' introdurre o mantenere imposte, diritti e tasse che abbiano il carattere di imposta sulla cifra d' affari. Ne deriva che, per rispondere alla prima questione, occorre innanzitutto determinare le caratteristiche di un' imposta sulla cifra d' affari ed esaminare quindi se un contributo quale il contributo danese debba essere considerato come un' imposta di tale tipo.

11 Per quanto riguarda, in primo luogo, la nozione di imposta sulla cifra d' affari, è necessario rilevare che, come precisato dalla Corte nelle succitate sentenze, nonché nella sentenza 27 novembre 1985, Rousseau Wilmot, punto 16 della motivazione (causa 295/84, Racc. pag. 3759), scopo dell' art. 33 è di evitare che vengano istituiti imposte, diritti e tasse che, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi allo stesso modo dell' IVA, comprometterebbero il funzionamento del sistema comune di quest' ultima. In ogni caso devono essere considerati gravanti sulla circolazione dei beni e dei servizi allo stesso modo dell' IVA le imposte, i diritti e le tasse che presentano le caratteristiche essenziali dell' IVA. Come precisato dalla Corte nelle succitate sentenze, queste caratteristiche sono le seguenti. L' IVA si applica in modo generalizzato a tutte le operazioni commerciali aventi ad oggetto beni o servizi; essa è proporzionale al prezzo di detti beni e servizi; è riscossa ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione; infine, si applica al valore aggiunto dei beni e dei servizi, deducendo dall' imposta dovuta per tale transazione quella già pagata in occasione dell' operazione commerciale a monte.

12 E' necessario verificare, in secondo luogo, se un contributo come quello danese presenti le caratteristiche essenziali dell' IVA e se pertanto debba essere considerato come imposta sulla cifra d' affari. A questo proposito si deve rilevare che, come l' IVA, questo contributo gravava su tutte le attività, soggette o meno ad IVA, aventi carattere industriale o commerciale, consistenti nella fornitura di beni o nella prestazione di servizi a titolo oneroso; che era riscosso in tutte le fasi di produzione e di distribuzione, e che, per le imprese soggette ad IVA, veniva calcolato sotto forma di una percentuale del valore dei beni venduti o dei servizi prestati in un determinato periodo, previa deduzione degli acquisti di beni e di servizi effettuati durante lo stesso periodo.

13 E' pur vero che, come ha fatto notare il governo danese, il contributo danese presentava le seguenti differenze con l' IVA. Innanzitutto esso colpiva imprese non soggette ad IVA, e pertanto la base imponibile veniva calcolata, quando non poteva essere applicato il metodo seguito per le imprese soggette ad IVA, sulla somma delle retribuzioni pagate dall' impresa, maggiorata del 90%. Inoltre, il contributo danese non veniva riscosso sulle importazioni e le imprese importatrici non erano autorizzate a dedurre dalla base imponibile il valore dei beni e dei servizi importati. Infine, era considerato come un elemento del prezzo di costo dei beni e dei servizi e, a questo titolo, non doveva essere menzionato a parte nella fattura.

14 Tuttavia, perché un tributo abbia il carattere di imposta sulla cifra d' affari, non è necessario che sia del tutto simile all' IVA; è sufficiente che ne possegga le caratteristiche essenziali. Nella fattispecie, le differenze rilevate non influiscono sulla natura di un contributo quale il contributo danese, che era analogo, nei suoi elementi essenziali, all' IVA. Ne deriva che, malgrado tali differenze, detto contributo conservava il suo carattere di imposta sulla cifra d' affari.

15 Di conseguenza, la prima questione va risolta nel senso che l' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d' affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, osta all' introduzione o al mantenimento di un contributo fiscale che:

- viene versato sia per attività soggette ad IVA sia per altre attività a carattere industriale o commerciale consistenti nell' effettuazione di prestazioni a titolo oneroso;

- è riscosso, per quanto concerne le imprese soggette ad IVA, su una base imponibile identica a quella utilizzata per l' IVA, cioè sotto forma di una percentuale sull' importo delle vendite realizzate, previa detrazione dell' importo degli acquisti effettuati;

- a differenza dell' IVA, non viene percepito all' importazione, ma è riscosso sul prezzo pieno di vendita delle merci importate, al momento della loro prima rivendita nello Stato membro considerato;

- a differenza dell' IVA, non deve essere indicato a parte nella fattura;

- viene riscosso parallelamente all' IVA.

Sulla seconda questione

16 A proposito della seconda questione, relativa alla possibilità d' invocare l' art. 33 dinanzi ai giudici nazionali, il governo danese fa valere che questa disposizione è una disposizione di tipo puramente formale ed è stata inserita nella Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE nell' esclusivo interesse delle Comunità. Nel corso dell' udienza, il suo rappresentante ha precisato che soltanto le disposizioni di tipo sostanziale, destinate a tutelare gli interessi dei singoli, possono essere dotate di efficacia diretta e che, nella fattispecie, tali condizioni non sono soddisfatte.

17 E' sufficiente a questo proposito rilevare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, una disposizione di una direttiva, nella misura in cui è chiara, precisa ed incondizionata, può essere invocata dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, e constatare che il divieto, imposto agli Stati membri dall' art. 33, di istituire imposte, diritti e tasse aventi il carattere di imposta sulla cifra d' affari soddisfa tali condizioni.

18 Di conseguenza, la seconda questione va risolta nel senso che l' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 77/388 conferisce ai privati diritti soggettivi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare.

Sulla terza e quarta questione

19 Tenuto conto della soluzione fornita alla prima e alla seconda questione, la terza e la quarta questione risultano prive di oggetto.

Sugli effetti nel tempo della presente sentenza

20 Facendo riferimento alle sentenze 8 aprile 1976, Defrenne (causa 43/75, Racc. pag. 455), 2 febbraio 1988, Blaizot (causa 24/86, Racc. pag. 379), e 17 maggio 1990, Barber (causa C-262/88, Racc. pag. I-1889), il governo danese ha chiesto alla Corte di limitare gli effetti nel tempo della presente sentenza, nell' ipotesi in cui si dichiari che il contributo danese è incompatibile con il diritto comunitario. A sostegno della sua richiesta, esso ha prospettato le gravissime conseguenze che questa sentenza avrebbe sulle finanze pubbliche e sul sistema giudiziario della Danimarca. Nel corso dell' udienza, il suo rappresentante ha spiegato che le somme percepite dallo Stato danese a titolo del contributo controverso ammontavano a circa 7 miliardi di ECU, pari al 4% delle entrate dello Stato nel periodo in questione. Il semplice fatto di dover prendere in considerazione le domande di rimborso di questo contributo, che del resto è stato trasferito sui consumatori, presentate da una parte soltanto delle 150 000/200 000 imprese che vi erano assoggettate, comporterebbe il crollo del sistema giudiziario danese. Inoltre, l' agente del governo danese ha sostenuto che, tenuto conto della giurisprudenza della Corte a quell' epoca, il suo governo poteva a buon diritto ritenere che il contributo impugnato con il ricorso nella causa principale non compromettesse il funzionamento del sistema comune di imposta sul valore aggiunto e che non fosse pertanto vietato dall' art. 33.

21 A questo riguardo occorre constatare come il governo danese non abbia dimostrato che, all' epoca dell' introduzione del contributo impugnato, il diritto comunitario potesse ragionevolmente essere interpretato nel senso che autorizzasse tale imposizione. Infatti il divieto di istituire imposte sulla cifra d' affari sancito da questa disposizione risulta chiaramente dalla sua formulazione. La portata di questo divieto è stata precisata dalla Corte sin dalla già citata sentenza 27 novembre 1985, Rousseau Wilmot, nella quale la Corte ha ritenuto che l' art. 33 "ha lo scopo di impedire che il funzionamento del sistema comune dell' IVA sia leso da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravano sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpiscono i negozi commerciali in modo analogo a quello che caratterizza l' IVA" (punto 16 della motivazione). Se ne deduce che un' imposta riscossa parallelamente all' IVA e che presenta le sue stesse caratteristiche essenziali, quali precisate al punto 15 della motivazione della succitata sentenza Rousseau Wilmot, colpisce le transazioni commerciali in modo analogo all' IVA compromettendo così il funzionamento del sistema comune.

22 Inoltre, sin dal 29 gennaio 1988, cioè soltanto poche settimane dopo l' istituzione del contributo danese, la Commissione, alla quale il governo danese aveva notificato il suo progetto nel novembre 1987, ha richiamato l' attenzione del governo danese sui problemi che potevano sorgere in merito a questo contributo alla luce dell' art. 33.

23 Ne consegue che, alla luce di quanto sopra, non è possibile limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

24 Le spese sostenute dal governo portoghese e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato le loro osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale, il presente procedimento ha il carattere di un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall' OEstre Landsret con ordinanza 20 giugno 1990, dichiara:

1) L' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, osta all' introduzione o al mantenimento di un contributo fiscale che:

- viene versato sia per attività soggette ad IVA che per altre attività a carattere industriale o commerciale consistenti nell' effettuazione di prestazioni a titolo oneroso;

- è riscosso, per quanto riguarda le imprese soggette ad IVA, su una base imponibile identica a quella utilizzata per l' IVA, cioè sotto forma di una percentuale sull' importo delle vendite realizzate, previa detrazione dell' importo degli acquisti effettuati;

- a differenza dell' IVA, non viene percepito all' importazione, ma è riscosso sul prezzo pieno di vendita delle merci importate, al momento della loro prima rivendita nello Stato membro considerato;

- a differenza dell' IVA, non deve essere indicato a parte nella fattura;

- viene riscosso parallelamente all' IVA.

2) L' art. 33 della Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE conferisce ai privati diritti soggettivi che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare.