C-309/06 - Marks AND Spencer

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Causa C‑309/06

Marks & Spencer plc

contro

Commissioners of Customs & Excise

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla House of Lords)

«Fiscalità — Sesta direttiva IVA — Esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte — Tassazione erronea in applicazione dell’aliquota normale — Diritto all’aliquota zero — Diritto al rimborso — Effetto diretto — Principi generali del diritto comunitario — Arricchimento senza causa»

Massime della sentenza

1.        Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra di affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Facoltà per gli Stati membri di mantenere esenzioni con rimborso dell’imposta pagata nella fase precedente

(Direttiva del Consiglio 77/388, art. 28, n. 2)

2.        Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra di affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Facoltà per gli Stati membri di mantenere esenzioni con rimborso dell’imposta pagata nella fase precedente

(Direttiva del Consiglio 77/388, art. 28, n. 2)

3.        Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra di affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Facoltà per gli Stati membri di mantenere esenzioni con rimborso dell’imposta pagata nella fase precedente

(Direttiva del Consiglio 77/388, art. 28, n. 2)

1.        Qualora uno Stato membro abbia mantenuto nella sua normativa nazionale, sul fondamento dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, sia anteriormente che successivamente all’introduzione delle modifiche apportate a tale disposizione dalla direttiva 92/77, un’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte riguardo a talune specifiche forniture o prestazioni, un operatore economico che effettui siffatte forniture o prestazioni non può avvalersi di alcun diritto, derivato dal diritto comunitario e direttamente rivendicabile, a che tali forniture o tali prestazioni siano soggette ad un’imposta sul valore aggiunto con applicazione dell’aliquota zero.

L’art. 28, n. 2, della sesta direttiva, nella parte in cui autorizza gli Stati membri ad applicare esenzioni con rimborso dell’imposta pagata, prevede una deroga alle norme che disciplinano l’aliquota normale dell’imposta sul valore aggiunto. È quindi esatto indicare che le esenzioni in parola, cosiddette «tassazioni ad aliquota zero», sono autorizzate proprio a norma del diritto comunitario. Tuttavia il diritto comunitario non impone agli Stati membri di mantenere tali esenzioni. Infatti, come risulta dal tenore stesso di tale disposizione, nella sua versione iniziale, le ipotesi di esenzione in essere al 31 dicembre 1975 «possono essere mantenute», il che significa che dipende unicamente dalla valutazione dello Stato membro interessato conservare o meno tale o tal altra normativa conforme, segnatamente, ai criteri di cui all’art. 17, ultimo trattino, della seconda direttiva 67/228, abrogata, secondo i quali le esenzioni con rimborso dell’imposta pagata potevano essere istituite soltanto per ragioni di interesse sociale ben definite e a favore dei consumatori finali.

(v. punti 22‑23, 28, dispositivo 1)

2.        Qualora uno Stato membro abbia mantenuto nella sua normativa nazionale, ai sensi dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, sia anteriormente sia successivamente all’introduzione delle modifiche apportate a tale disposizione dalla direttiva 92/77, un’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte rispetto a talune specifiche forniture o prestazioni, ma abbia interpretato in modo errato la propria normativa nazionale con la conseguenza che talune forniture o prestazioni, che avrebbero dovuto beneficiare dell’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte ai sensi della sua normativa nazionale, sono state assoggettate all’imposta con applicazione dell’aliquota normale, i principi generali del diritto comunitario, ivi compreso quello della neutralità fiscale, si applicano in modo tale da attribuire all’operatore economico, che ha effettuato tali forniture o prestazioni, un diritto a ripetere gli importi che gli sono stati erroneamente reclamati con riferimento a tali stesse forniture o prestazioni.

Infatti, il mantenimento di esenzioni o di aliquote ridotte dell’imposta sul valore aggiunto inferiori all’aliquota minima fissata dalla sesta direttiva è ammissibile solo se non viola, segnatamente, il principio della neutralità fiscale inerente al suddetto sistema. I principi che governano il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, tra cui quello della neutralità fiscale, trovano applicazione anche nel caso previsto all’art. 28, n. 2, della sesta direttiva e possono, all’occorrenza, essere invocati da un soggetto passivo contro una disposizione nazionale o contro l’applicazione della medesima che dovesse contrastare con tali principi. A tal riguardo, il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi in uno Stato membro in violazione di norme del diritto comunitario costituisce la conseguenza e il complemento di diritti attribuiti direttamente ai singoli dal diritto comunitario. Tale principio è applicabile anche alle imposte percepite in violazione di una normativa nazionale autorizzata ai sensi dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva.

(v. punti 33‑36, dispositivo 2)

3.        Benché i principi della parità di trattamento e della neutralità fiscale si applichino in linea di principio in una situazione in cui uno Stato membro abbia erroneamente tassato talune forniture o prestazioni che avrebbero dovuto beneficiare di un’esenzione che detto Stato membro ha mantenuto nella sua normativa nazionale ai sensi dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, e in cui l’operatore economico interessato chieda la ripetizione degli importi indebitamente versati, la violazione di detti principi non è costituita dal semplice fatto che un diniego di rimborso sarebbe stato fondato sull’arricchimento senza causa del soggetto passivo interessato.

Viceversa, il principio della neutralità fiscale osta a che il divieto di arricchimento senza causa sia opposto solo a soggetti passivi quali i «payment traders» (soggetti passivi per i quali, per un determinato periodo contabile, l’imposta riscossa a valle eccede l’imposta pagata a monte) e non a soggetti passivi quali i «repayment traders» (soggetti passivi la cui situazione è il contrario della precedente), nella misura in cui tali soggetti passivi hanno commercializzato merci analoghe, cosa che spetta al giudice nazionale verificare.

Inoltre, il principio generale della parità di trattamento, la cui violazione può essere contraddistinta, in materia tributaria, da discriminazioni che toccano operatori economici che non sono necessariamente concorrenti, ma versano nondimeno in una situazione comparabile per altri rapporti, osta ad una discriminazione tra i «payment traders» ed i «repayment traders», che non è obiettivamente giustificata.

Tale constatazione non è influenzata dalla prova dell’assenza di perdita o di svantaggio finanziari subiti dall’operatore economico cui è stato rifiutato il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto indebitamente percepita.

Infine, spetta al giudice nazionale trarre esso stesso le eventuali conseguenze, per il passato, della violazione del principio di parità sopra menzionata, secondo le regole relative agli effetti nel tempo del diritto nazionale applicabile, nell’osservanza del diritto comunitario e, segnatamente, del principio della parità di trattamento nonché del principio ai sensi del quale esso deve provvedere affinché le misure di risarcimento che accorda non siano contrarie al diritto comunitario.

(v. punti 54, 57, 64, dispositivo 3‑5)







SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

10 aprile 2008 (*)

«Fiscalità – Sesta direttiva IVA – Esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte – Tassazione erronea in applicazione dell’aliquota normale – Diritto all’aliquota zero – Diritto al rimborso – Efficacia diretta – Principi generali del diritto comunitario – Arricchimento senza causa»

Nel procedimento C‑309/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla House of Lords (Regno Unito) con decisione 12 luglio 2006, pervenuta in cancelleria il 17 luglio 2006, nella causa tra

Marks & Spencer plc

e

Commissioners of Customs & Excise,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus, J. Klučka, dalla sig.ra P. Lindh e dal sig. A. Arabadjiev (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. J. Swedenborg, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 ottobre 2007,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 dicembre 2007,

considerate le osservazioni presentate:

–        per Marks & Spencer plc, dal sig. D. Milne, QC, dal sig. A. Hitchmough, barrister, dall’avv. D. Waelbroeck, avocat, e dal sig. D. Slater, solicitor;

–        per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra Z. Bryanston‑Cross, in qualità di agente, assistita dai sigg. K. Lasok, QC, e P. Mantle, barrister;

–        per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra G. Clohessy, SC, e dal sig. N. O’Hanlon, BL;

–        per il governo cipriota, dalla sig.ra E. Simeonidou, in qualità di agente;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. R. Lyal e dalla sig.ra M. Afonso, in qualità di agenti,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»), secondo il testo iniziale, nonché del medesimo art. 28, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, nella versione risultante dalla direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/77/CEE (GU L 316, pag. 1).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Marks & Spencer plc (in prosieguo: la «Marks & Spencer)» ed i Commissioners of Customs & Excise (in prosieguo: i «Commissioners»), con riguardo ad un diniego di rimborso opposto da questi ultimi ad una domanda di rimborso presentata dalla Marks & Spencer e concernente diritti di imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») a torto acquisiti.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3        L’art. 12, n. 1, della sesta direttiva stabilisce che l’IVA è dovuta, in linea di principio, secondo «l’aliquota (…) in vigore al momento in cui si verifica il fatto generatore dell’imposta».

4        L’art. 28, n. 2, della sesta direttiva disponeva secondo il testo iniziale:

«Le aliquote ridotte e le esenzioni con rimborso delle imposte pagate allo stadio anteriore, esistenti al 31 dicembre 1975 e conformi ai criteri di cui all’ultimo trattino dell’articolo 17 della direttiva del Consiglio dell’11 aprile 1967, possono essere mantenute sino ad una data che sarà adottata all’unanimità dal Consiglio su proposta della Commissione, ma che non potrà essere posteriore alla soppressione delle imposizioni all’importazione e degli sgravi all’esportazione per gli scambi tra gli Stati membri. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per assicurare la dichiarazione da parte dei soggetti passivi dei dati necessari alla determinazione delle risorse proprie relative a tali operazioni esentate.

Ogni cinque anni il Consiglio procede, sulla base di una relazione della Commissione, ad un riesame dalle aliquote ridotte e delle esenzioni sopra indicate, e se del caso adotta all’unanimità, su proposta della Commissione, le misure necessarie per garantirne la soppressione progressiva».

5        Secondo il testo risultante dalla direttiva 92/77, tale art. 28, n. 2, lett. a), dispone:

«(…)

a)      Possono essere mantenute le esenzioni con rimborso della tassa pagata nella fase precedente e le aliquote ridotte inferiori all’aliquota minima prescritta all’articolo 12, paragrafo 3 in materia di aliquote ridotte, applicabili al 1° gennaio 1991, conformi alla legislazione comunitaria e rispondenti ai requisiti figuranti all’articolo 17, ultimo trattino della seconda direttiva dell’11 aprile 1967. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per la determinazione delle risorse proprie relative a dette operazioni.

(…)».

 La normativa nazionale

6        La legge del 1994 relativa all’imposta sul valore aggiunto (Value Added Tax Act 1994; in prosieguo: il «VAT Act 1994») pone, come regola generale, il principio dell’applicazione, nel Regno Unito, di un’IVA ad aliquota zero alla fornitura di generi alimentari. L’art. 30 del VAT Act 1994, intitolato «Tassazione ad aliquota zero», rinvia all’allegato 8 di tale legge, dal medesimo titolo, che precisa, nella seconda parte, alla rubrica «Gruppo 1 – Nutrizione», «Prodotti costituenti oggetto di un’eccezione», punto 2, che viene derogato all’applicazione dell’IVA ad aliquota zero per quanto concerne i dolciumi tranne che per le torte ed i biscotti, che sono assoggettati ad un’imposta ad aliquota zero, fatta eccezione per i biscotti ricoperti, in tutto o in parte, di cioccolato i quali sono tassati secondo l’aliquota normale.

7        L’art. 80 del VAT Act 1994 era redatto quanto al periodo di cui trattasi nella causa principale, come segue:

«1)      Una persona la quale (prima o dopo l’entrata in vigore della presente legge) abbia versato ai Commissioners un importo a titolo di IVA senza fondamento normativo ha diritto al rimborso di tale importo.

2)      I Commissioners sono tenuti a rimborsare l’importo dovuto ai sensi del presente articolo solo su domanda presentata a tale scopo.

3)      Avverso un’azione promossa in forza del presente articolo, i Commissioners possono eccepire che il rimborso di un determinato importo arricchirebbe indebitamente il ricorrente».

(…)».

8        L’art. 80 del VAT Act 1994 è stato modificato dall’art. 3 della seconda legge finanziaria del 2005 [Finance (n. 2) Act 2005] che, quanto all’eccezione di arricchimento senza causa, apporta importanti cambiamenti al suddetto art. 80. Esso sostituisce, in particolare, al summenzionato n. 3, il termine «rimborso» (repayment) col termine «credito» (crediting).

 Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali

9        A partire dall’istituzione dell’IVA nel Regno Unito, nel 1973, i Commissioners, che sono incaricati di percepire tale imposta, ritenevano che i «teacakes» (pasticcini da tè) ricoperti di cioccolato distribuiti dalla Marks & Spencer fossero biscotti e non torte e che dovessero quindi essere assoggettati all’aliquota normale dell’IVA e non all’aliquota zero. Tra l’aprile 1973 e l’ottobre 1994, la Marks & Spencer ha quindi assolto un’imposta che non era dovuta.

10      Con lettera del 30 settembre 1994 i Commissioners hanno riconosciuto il loro errore, poiché i «teacakes» risultano in definitiva delle torte, gravate come tali da IVA ad aliquota zero, errore in considerazione del quale la Marks & Spencer ha presentato, l’8 febbraio 1995, una domanda di rimborso per un importo di GBP 3,5 milioni. Tale domanda è stata accettata come tale solo sino alla concorrenza del 10% del suo importo (GBP 350 000), poiché i Commissioners hanno ritenuto che la catena di negozi in questione avesse ripercosso il 90% dell’IVA da essa pagata sui suoi clienti. I Commissioners hanno quindi eccepito alla Marks & Spencer l’arricchimento senza causa di cui all’art. 80, n. 3, del VAT Act 1994. Essi hanno inoltre applicato regole di prescrizione (nuove e retroattive) ai sensi delle quali non erano tenuti a rimborsare un importo loro versato più di tre anni prima della presentazione della domanda di rimborso. Finalmente, il 4 aprile 1997, una somma di GBP 88 440 era stata versata alla Marks & Spencer.

11      In seguito al rigetto del suo ricorso amministrativo, la Marks & Spencer ha adito il VAT and Duties Tribunal (Commissione tributaria in materia di IVA ed accise) che, con decisione 22 aprile 1998, ha confermato la tesi dei Commissioners. La Marks & Spencer ha proposto un ricorso dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Crown Office), che ha di nuovo respinto la sua domanda con decisione 21 dicembre 1998. Avverso tale decisione è stato interposto appello dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division), la quale, quanto alla domanda di rimborso relativa ai «teacakes», ha nuovamente respinto la domanda della Marks & Spencer. Tuttavia quest’ultimo giudice, riguardo ad un’altra parte della controversia (relativa alla tassazione di buoni d’acquisto venduti dalla Marks & Spencer), ha sollevato, con ordinanza 14 dicembre 1999, una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte vertente sulla compatibilità della prescrizione retroattiva di tre anni (v. punto 10 della presente sentenza) con i principi di effettività del diritto comunitario e di tutela del legittimo affidamento. Tale questione verteva in particolare sul punto se un singolo potesse derivare direttamente diritti da una direttiva dopo la sua trasposizione corretta in diritto nazionale qualora la portata della suddetta direttiva venisse posta in non cale dallo Stato membro.

12      Con sentenza 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer (Racc. pag. I‑6325), la Corte ha dichiarato che il principio di effettività ed il principio del legittimo affidamento ostano ad una normativa nazionale come quella del Regno Unito in questione.

13      Tenuto conto dei motivi accolti dalla Corte per quanto concerne l’incompatibilità della normativa che introduce retroattivamente un termine di prescrizione con i summenzionati principi del diritto comunitario, i Commissioners, al fine di trattare in maniera identica l’insieme delle domande presentate in forza dell’art. 80 del VAT Act 1994, hanno accolto, proprio motu, la domanda della Marks & Spencer diretta a che non le fosse eccepita la prescrizione ed hanno quindi rimborsato le somme richieste, nel limite del 10% oltre il quale, a loro avviso, vi sarebbe arricchimento senza causa.

14      Dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division), la Marks & Spencer ha mantenuto, sul diretto fondamento del diritto comunitario, le sue domande concernenti gli importi che presumeva costitutivi di arricchimento senza causa. Con ordinanza 21 ottobre 2003 tale giudice ha respinto la domanda presentata dalla Marks & Spencer, che ha allora proposto un ricorso dinanzi alla House of Lords.

15      La House of Lords ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Qualora, ai sensi dell’art. 28, n. 2, lett. a), della sesta direttiva (…) (sia anteriormente sia successivamente alla sua modifica, avvenuta nel 1992 mediante la direttiva 92/77), uno Stato membro abbia mantenuto nella sua normativa nazionale sull’IVA un’esenzione con rimborso dell’imposta pagata a monte riguardo a talune specifiche forniture o prestazioni, se un operatore economico che abbia effettuato tali forniture o prestazioni possa avvalersi di un diritto, derivato dal diritto comunitario e direttamente rivendicabile, ad essere soggetto all’imposta con applicazione dell’aliquota zero.

2)      In caso di soluzione negativa della prima questione: qualora, ai sensi dell’art. 28, n. 2, lett. a), della sesta direttiva IVA (…) (sia anteriormente sia successivamente alla sua modifica, avvenuta nel 1992 mediante la direttiva 92/77), uno Stato membro abbia mantenuto, nella sua normativa nazionale sull’IVA, un’esenzione con rimborso dell’imposta pagata a monte riguardo a talune specifiche forniture o prestazioni, ma abbia interpretato in modo errato la propria normativa nazionale, con la conseguenza che talune forniture o prestazioni, che avrebbero dovuto beneficiare dell’esenzione con rimborso dell’imposta pagata a monte ai sensi della sua normativa nazionale, sono state assoggettate all’imposta con applicazione dell’aliquota normale, se i principi generali del diritto comunitario, ivi compreso quello di neutralità fiscale, si applichino in modo tale da attribuire all’operatore economico che ha effettuato le forniture o le prestazioni un diritto a ripetere gli importi erroneamente versati con riferimento a tali stesse forniture o prestazioni.

3)      In caso di soluzione positiva della prima e della seconda questione: se i principi di diritto comunitario della parità di trattamento e della neutralità fiscale si applichino in linea di principio, con la conseguenza di una loro violazione, qualora l’operatore economico di cui trattasi non ottenga il rimborso integrale dell’importo versato erroneamente per le forniture o prestazioni dal medesimo effettuate, quando:

–        l’operatore economico beneficerebbe di un arricchimento senza causa in caso di rimborso integrale dell’importo, e

–        la normativa nazionale dispone che le imposte pagate in eccesso possono essere rimborsate solo fintantoché tale rimborso non provochi un arricchimento senza causa dell’operatore economico, ma

–        la normativa nazionale non contiene nessuna disposizione analoga a quella [menzionata al trattino precedente] nell’ipotesi di azioni promosse da “operatori da rimborsare” (un “operatore da rimborsare” è un soggetto passivo il quale, in un predeterminato periodo contabile, non effettua versamenti dell’IVA alle competenti autorità nazionali bensì riceve un versamento dalle medesime in quanto, in quel periodo, l’importo dell’IVA che egli ha il diritto di detrarre supera l’importo dell’IVA dovuta per le forniture o prestazioni dal medesimo effettuate).

4)      Se la soluzione della terza questione dipenda dall’esistenza o meno di una prova del fatto che la disparità di trattamento, tra operatori economici che promuovono azioni per il rimborso di un’imposta a valle versata in eccesso e operatori economici che promuovono azioni per ottenere importi aggiuntivi a seguito di detrazione dell’imposta versata a monte (risultante dalla dichiarazione in eccesso rispetto all’imposta applicata a valle), abbia provocato, o meno, una qualsiasi perdita economica o uno svantaggio ai primi citati e, eventualmente, con quali modalità.

5)      Qualora, nelle circostanze descritte nella terza questione, si applichino i principi di diritto comunitario della parità di trattamento e della neutralità fiscale, pena altrimenti la loro violazione, se l’ordinamento comunitario imponga o consenta agli organi giurisdizionali di porre rimedio alla disparità di trattamento mediante accoglimento della domanda di un operatore, volta ad ottenere il rimborso dell’imposta pagata in eccesso, in modo tale da provocare l’arricchimento senza causa del medesimo oppure imponga o consenta agli organi giurisdizionali di concedere un qualsivoglia altro rimedio (e, in tal caso, quale)».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione, relativa all’esistenza di un diritto, fondato sul diritto comunitario, a che una data operazione sia gravata da IVA con applicazione dell’aliquota zero

 Osservazioni presentate alla Corte

16      La Marks & Spencer considera che un diritto a che una data operazione sia gravata dall’IVA con applicazione dell’aliquota zero sussiste ai sensi dell’art. 12, n. 1, della sesta direttiva, il cui tenore è, stando al suo disposto, chiaro, preciso ed incondizionato, nonché del principio della parità di trattamento. La deroga di cui fruisce il Regno Unito sia ai sensi dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva nella versione iniziale, sia del suddetto art. 28, n. 2, lett. a), secondo il testo risultante dalla direttiva 92/77, non farebbe esulare la situazione dal campo di applicazione del diritto comunitario, come enuncerebbe la disposizione medesima.

17      Il governo del Regno Unito e l’Irlanda ritengono viceversa che un operatore non possa derivare dall’ordinamento comunitario alcun diritto, avente efficacia diretta, ad un’esenzione con rimborso dell’IVA pagata a monte. Il diritto a che tali operazioni siano gravate da un’imposta con applicazione dell’aliquota zero procederebbe quindi solo dal diritto nazionale.

18      Il governo cipriota precisa che l’errore compiuto dai Commissioners verte sull’applicazione delle disposizioni del diritto nazionale, anche se il mantenimento di queste ultime è autorizzato dalla sesta direttiva.

19      La Commissione, senza rispondere direttamente alla questione posta, da essa ritenuta non pertinente, sottolinea che l’amministrazione tributaria del Regno Unito ha interpretato erroneamente la normativa nazionale, ma non ha infranto alcun obbligo previsto dalla sesta direttiva.

 Risposta della Corte

20      La prima questione verte in sostanza sul punto se un operatore economico possa derivare direttamente dall’ordinamento comunitario il diritto ad essere soggetto all’imposizione con applicazione dell’aliquota zero quando tale aliquota risulta da disposioni del diritto nazionale.

21      Va in primo luogo indicato che la suddetta questione presenta un collegamento con i fatti sottoposti al giudice nazionale e risponde ad una necessità obiettiva per la decisione della controversia nella causa principale (v., in tal senso, sentenze 17 maggio 1994, causa C‑18/93, Corsica Ferries, Racc. pag. I‑1783, punto 14, e 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold, Racc. pag. I‑9981, punto 34). L’obiezione della Commissione fondata sull’irrilevanza della prima questione va quindi disattesa, poiché la Corte è competente a statuire sulla suddetta questione.

22      Occorre rilevare in secondo luogo che l’art. 28, n. 2, della sesta direttiva, laddove autorizza gli Stati membri ad applicare esenzioni con rimborso dell’imposta pagata, prevede una deroga alle norme che disciplinano l’aliquota IVA normale (sentenza 6 luglio 2006, causa C‑251/05, Talacre Beach Caravan Sales, Racc. pag. I‑6269, punto 17). È quindi esatto indicare che le esenzioni in parola, cosiddette «tassazioni ad aliquota zero», sono autorizzate proprio a norma del diritto comunitario.

23      Tuttavia il diritto comunitario non impone agli Stati membri di mantenere tali esenzioni. Infatti, come risulta dal tenore stesso di tale disposizione, nella sua versione iniziale, le ipotesi di esenzione in essere al 31 dicembre 1975 «possono essere mantenute», il che significa che dipende unicamente dalla valutazione dello Stato membro interessato conservare o meno tale o tal altra normativa conforme, segnatamente, ai criteri di cui all’art. 17, ultimo trattino, della seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/228/CE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Struttura e modalità d’applicazione del sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 1967, n. 71, pag. 1303), abrogata, secondo i quali le esenzioni con rimborso della tassa pagata potevano essere istituite soltanto per ragioni di interesse sociale ben definite e a favore dei consumatori finali.

24      L’art. 28, n. 2, lett. a), della sesta direttiva è pertanto assimilabile a una clausola di «stand‑still», diretta ad evitare l’insorgere di situazioni sociali difficili eventualmente riconducibili all’abolizione di agevolazioni fiscali previste dal legislatore nazionale, ma non riprese nella sesta direttiva (citata sentenza Talacre Beach Caravan Sales, punto 22). Tale mantenimento facoltativo dello status quo ante è quindi semplicemente inquadrato dalla sesta direttiva. Conseguentemente la Marks & Spencer può rivendicare l’esenzione con rimborso dell’imposta pagata a monte proprio in forza di una normativa nazionale che costituisce non già una misura di trasposizione della sesta direttiva (v., per analogia, sentenza 13 luglio 2000, causa C‑36/99, Idéal Tourisme, Racc. pag. I‑6049, punto 38), bensì la sopravvivenza di un vantaggio, autorizzato da quest’ultima, che alla luce della finalità sociali perseguite dalla normativa del Regno Unito non ripercuote sul consumatore finale l’IVA sui prodotti di alimentazione corrente.

25      La Marks & Spencer non può utilmente avvalersi dell’art. 12, n. 1, della sesta direttiva. Va infatti osservato che tale disposizione, a norma della quale l’aliquota applicabile alle operazioni imponibili è quella in vigore al momento in cui si verifica il fatto generatore dell’IVA, è rivolta a vietare al legislatore nazionale, come corroborato dall’art. 22, n. 2, della sesta direttiva, in caso di cambiamento dell’aliquota applicabile ad un dato prodotto, l’applicazione ad una data operazione di un’aliquota diversa da quella in vigore al momento del fatto generatore dell’IVA che ha gravato su tale operazione.

26      Pertanto la ragion d’essere di tale disposizione è chiaramente di disciplinare la questione della fissazione di un punto di riferimento temporale ai fini dell’applicazione di una determinata aliquota di IVA.

27      Del tutto diversa è l’ipotesi in questione nella causa principale in cui i Commissioners hanno constatato un errore circa la questione se un determinato prodotto dovesse fruire di un’esenzione con rimborso dell’imposta pagata, poiché si tratta non già di un cambiamento dell’aliquota nel tempo, ma del punto se un prodotto rientrasse o meno nel campo di applicazione di un’esenzione con rimborso dell’imposta pagata, autorizzata a norma dell’art. 28, n. 2, lett. a), della sesta direttiva.

28      Occorre quindi risolvere la prima questione nel senso che, qualora uno Stato membro abbia mantenuto nella sua normativa nazionale, sul fondamento dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva, sia prima che dopo l’introduzione delle modifiche apportate a tale disposizione dalla direttiva 92/77, un’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte riguardo a talune specifiche forniture o prestazioni, un operatore che effettui siffatte forniture o prestazioni non può avvalersi di alcun diritto, derivato dal diritto comunitario e direttamente rivendicabile, a che tali forniture o tali prestazioni siano soggette ad IVA con applicazione dell’aliquota zero.

 Sulla seconda questione, relativa all’esistenza di un diritto, derivato dai principi generali del diritto comunitario, al rimborso dell’IVA versata a torto

 Osservazioni presentate alla Corte

29      Secondo la Marks & Spencer i principi generali del diritto, ivi compreso quello di neutralità fiscale, si applicano in modo da fondare, a suo vantaggio, il diritto al rimborso dell’IVA indebitamente percepita poiché il complesso del sistema dell’IVA rimane, per definizione, nel campo di applicazione del diritto comunitario, anche nel caso, previsto all’art. 28, n. 2, della sesta direttiva sia secondo la versione iniziale sia secondo quella risultante dalla direttiva 92/77.

30      Il governo del Regno Unito, l’Irlanda ed il governo cipriota sottolineano che gli importi in questione nella causa principale non sono stati percepiti in violazione di una qualsiasi disposizione del diritto comunitario che ha efficacia diretta o conferisce un diritto. Si tratterebbe di una questione rigorosamente di diritto nazionale e non entrerebbe quindi per nulla in gioco l’applicazione dei principi generali del diritto comunitario. L’Irlanda aggiunge che, se il principio della neutralità fiscale dovesse trovare applicazione nel caso di specie per fondare un diritto al rimborso, occorrerebbe farne beneficiare il consumatore finale che ha sopportato l’onere dell’IVA.

31      La Commissione ricorda che le competenti autorità nazionali, quando applicano l’IVA, devono conformarsi ai principi essenziali immanenti al sistema comune dell’IVA, segnatamente il principio di neutralità. Tale obbligo si imporrebbe ad essi in occasione del rimborso di eccedenze di imposta. La Commissione non si pronuncia tuttavia direttamente sulla seconda questione.

 Risposta della Corte

32      La seconda questione verte in sostanza sul punto se un operatore economico abbia il diritto, ai sensi dei principi generali del diritto comunitario, segnatamente del principio della neutralità fiscale, a chiedere il rimborso dell’IVA indebitamente riscossa, quando l’aliquota che avrebbe dovuto essere applicata risulta dal diritto nazionale.

33      Occorre innanzi tutto sottolineare che i termini stessi dell’art. 28, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, secondo la versione risultante dalla direttiva 92/77, indicano che le normative nazionali di cui è autorizzato il mantenimento devono essere «conformi alla legislazione comunitaria» e rispondere ai requisiti figuranti all’art. 17, ultimo trattino, della direttiva 67/228. Benché l’aggiunta relativa alla «conformità con la legislazione comunitaria» sia avvenuta solo nel corso del 1992, un’esigenza siffatta, inerente al buon funzionamento ed all’interpretazione uniforme del sistema comune dell’IVA, vale per l’insieme del periodo di tassazione erroneo di cui trattasi nella causa principale. Come la Corte ha avuto modo di ricordare, il mantenimento di esenzioni o di aliquote IVA ridotte inferiori all’aliquota minima fissata dalla sesta direttiva è ammissibile solo se non viola, segnatamente, il principio della neutralità fiscale inerente al suddetto sistema (v., in tal senso, sentenze 7 settembre 1999, causa C‑216/97, Gregg, Racc. pag. I‑4947, punto 19, e 3 maggio 2001, causa C‑481/98, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑3369, punto 21).

34      Ne risulta quindi che i principi governanti il sistema comune dell’IVA, tra cui quello di neutralità fiscale, trovano applicazione anche nel caso previsto all’art. 28, n. 2, della sesta direttiva e possono all’occorrenza essere invocati da un singolo contro una disposizione nazionale o la sua applicazione che dovesse contrastare con tali principi.

35      Per quanto riguarda più specificamente il diritto al rimborso, come risulta dalla giurisprudenza costante della Corte, il diritto di ottenere il rimborso dei tributi riscossi da uno Stato membro in violazione di norme del diritto comunitario costituisce la conseguenza e il complemento di diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario (v. segnatamente, in tal senso, citata sentenza Marks & Spencer cit., punto 30, e giurisprudenza citata). Tale principio è quindi applicabile anche alle imposte percepite in violazione di una normativa nazionale autorizzata ai sensi dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva.

36      Occorre quindi risolvere la seconda questione nel senso che, qualora, ai sensi dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva, sia anteriormente sia successivamente all’introduzione della sua modifica mediante la direttiva 92/77, uno Stato membro abbia mantenuto nella sua normativa nazionale sull’IVA un’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte rispetto a talune specifiche forniture o prestazioni, ma abbia interpretato in modo errato la propria normativa nazionale con la conseguenza che talune forniture o prestazioni, che avrebbero dovuto beneficiare dell’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte ai sensi della sua normativa nazionale, sono state assoggettate all’imposta con applicazione dell’aliquota normale, i principi generali del diritto comunitario, ivi compreso quello della neutralità fiscale, si applicano in modo tale da attribuire all’operatore economico che ha effettuato tali forniture o prestazioni un diritto a ripetere gli importi erroneamente versati con riferimento a tali stesse forniture o prestazioni.

 Sulle questioni dalla terza alla quinta relative ai limiti eventuali del diritto al rimborso fondato sui principi della parità di trattamento e della neutralità fiscale

 Osservazioni presentate alla Corte

37      Secondo la Marks & Spencer, l’applicazione della regola dell’arricchimento senza causa ai «payment traders» (soggetti passivi per i quali, per un predeterminato periodo contabile, l’imposta riscossa a valle eccede l’imposta pagata a monte) e non ai «repayment traders» (soggetti passivi la cui situazione è il contrario della precedente) costituisce una violazione dei principi della parità di trattamento e della neutralità fiscale. Per questo non sarebbe necessario provare che il «payment trader» ha subito una perdita o uno svantaggio finanziario. Spetterebbe infine ad ogni Stato membro, nell’osservanza del diritto comunitario, che non osta all’eccezione di arricchimento senza causa così come non l’impone, definire il modo di rimediare alle disparità di trattamento giudicate contrarie ai summenzionati principi.

38      Il governo del Regno Unito è del parere che occorre risolvere negativamente le questioni pregiudiziali dalla terza alla quinta.

39      L’Irlanda ed il governo cipriota, tenuto conto della soluzione negativa che a loro avviso dev’essere data alle questioni prima e seconda, non hanno ritenuto che fosse necessario risolvere le questioni seguenti.

40      La Commissione indica che il diritto comunitario autorizza un diniego di rimborso fondato sull’arricchimento senza causa a condizione che ne sia provata l’esistenza. Inoltre un diniego siffatto dovrebbe essere fiscalmente neutro e non dovrebbe creare alcuna discriminazione tra gli operatori economici.

 Risposta della Corte

–       Osservazioni preliminari

41      È necessario ricordare che il diritto comunitario non osta a che un ordinamento giuridico nazionale rifiuti la restituzione di tasse indebitamente percepite a condizioni tali da causare un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto (sentenze 24 marzo 1988, causa 104/86, Commissione/Italia, Racc. pag. 1799, punto 6; 9 febbraio 1999, causa C‑343/96, Dilexport, Racc. pag. I‑579, punto 47, nonché 21 settembre 2000, cause riunite C‑441/98 e C‑442/98, Michaïlidis, Racc. pag. I‑7145, punto 31). Tuttavia il principio del divieto dell’arricchimento senza causa dev’essere attuato, per essere conforme al diritto comunitario, nel rispetto di principi come il principio della parità di trattamento.

42      Occorre inoltre ricordare che, se soltanto una parte dell’imposta è stata ripercossa, le autorità nazionali sono tenute a rimborsare l’importo non ripercosso (sentenza 14 gennaio 1997, cause riunite da C‑192/95 a C‑218/95, Comateb e a., Racc. pag. I‑165, punti 27 e 28). Va tuttavia precisato che, anche qualora l’imposta sia completamente inserita nel prezzo praticato, il soggetto passivo potrebbe subire un danno dovuto ad una diminuzione di volume delle sue vendite (v., in tal senso, citate sentenze Comateb e a., punti 29 e 30, e Michaïlidis, punti 34 e 35).

43      Pertanto l’esistenza e la misura dell’arricchimento senza causa che il rimborso di un tributo indebitamente riscosso riguardo al diritto comunitario causerebbe per un soggetto passivo potranno essere stabilite soltanto al termine di un’analisi economica che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti (v., segnatamente, sentenza 2 ottobre 2003, causa C‑147/01, Weber’s Wine World e a., Racc. pag. I‑11365, punti 94‑100).

44      Spetta quindi al giudice nazionale verificare se la valutazione effettuata dai Commissioners corrisponda all’esame descritto nel punto precedente della presente sentenza.

–       Sulla terza questione

45      Si chiede in sostanza alla Corte se i principi di diritto comunitario della neutralità fiscale e della parità di trattamento sarebbero violati qualora l’operatore economico non venisse rimborsato sino alla concorrenza dell’importo di IVA indebitamente riscosso dalle autorità tributarie per il motivo che tale rimborso provocherebbe a suo vantaggio un arricchimento senza causa, nella misura in cui tale motivo di diniego di rimborso non sia tuttavia previsto dalla normativa nazionale quando l’operatore economico si trovi, prima del rimborso, in posizione creditoria nei confronti del fisco.

46      Occorre esaminare se, nell’ambito di un diniego parziale di rimborso come quello di cui trattasi nella causa principale, il principio della neutralità fiscale ed il principio generale di diritto comunitario della parità di trattamento siano stati o meno posti in non cale dal diverso trattamento riservato ai «payment traders» e ai «repayment traders».

47      In primo luogo, quanto al principio della neutralità fiscale, occorre ricordare che tale principio il quale è un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA (v., segnatamente, sentenza 19 settembre 2000, causa C‑454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel, Racc. pag. I‑6973, punto 59), osta in particolare a che merci di uno stesso tipo, che si trovano quindi in concorrenza le une con le altre, siano trattate in maniera diversa sotto il profilo dell’IVA (sentenze 11 giugno 1998, causa C‑283/95, Fischer, Racc. pag. I‑3369, punti 21 e 27, e Commissione/Francia, citata, punto 22). Ne consegue che i suddetti prodotti devono essere assoggettati ad un’aliquota uniforme (v., in tal senso, sentenza Commissione/France, citata, punto 22).

48      Pertanto, nell’ipotesi in cui un errore di aliquota tocchi più soggetti passivi ed il rimborso delle somme percepite a torto a causa di tale errore sia, almeno in parte, rapportabile alla situazione originaria, creditoria o debitoria verso il Tesoro in ragione dell’IVA, dei suddetti soggetti passivi, a questi viene applicata, in realtà, una diversa tassazione effettiva, simile a quella che avrebbe potuto risultare dall’applicazione di diverse aliquote di IVA a merci di uno stesso tipo. Una disparità siffatta è quindi contraria al principio della neutralità fiscale, nei limiti in cui i soggetti passivi in questione hanno distribuito merci di uno stesso tipo, cosa che il giudice nazionale dovrà verificare.

49      È necessario ricordare, in secondo luogo, che il principio della neutralità fiscale costituisce la traduzione in materia di IVA del principio della parità di trattamento (sentenza 8 giugno 2006, causa C‑106/05, L.u.P., Racc. pag. I‑5123, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, mentre la violazione del principio della neutralità fiscale può essere contemplato solo tra operatori economici concorrenti, com’è stato ricordato al punto 47 della presente sentenza, la violazione del principio generale della parità di trattamento può essere contraddistinta, in materia tributaria, da altri tipi di discriminazioni, che toccano operatori economici i quali non sono necessariamente concorrenti, ma versano nondimeno in una situazione comparabile per altri rapporti.

50      Il principio generale della parità di trattamento è quindi idoneo ad essere applicato in una situazione ove operatori economici sono tutti detentori di un credito di IVA, cercano di ottenerne il rimborso presso autorità tributarie e vedono la loro domanda di rimborso trattata in maniera diversa a prescindere dai rapporti di concorrenza che possono esistere tra loro. Occorre quindi esaminare se il suddetto principio osti, in quanto tale, ad una normativa quale l’art. 80 del VAT Act 1994.

51      Occorre ricordare in proposito che il principio generale della parità di trattamento impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che una differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata (sentenze 25 novembre 1986, cause riunite 201/85 e 202/85, Klensch e a., Racc. pag. 3477, punto 9, nonché Idéal tourisme, citata, punto 35).

52      La Corte è indotta a rilevare che, in una normativa nazionale come quella applicabile nella causa principale, la disparità di trattamento tra gli operatori economici in rapporto alla nozione di arricchimento senza causa in funzione della loro situazione originaria, creditoria o debitoria in materia di IVA verso il Tesoro, non è obiettivamente giustificata. Infatti la circostanza che un operatore economico fruisca di un arricchimento senza causa è estranea alla situazione del suddetto operatore economico nei confronti dell’amministrazione tributaria prima del rimborso dell’IVA poiché l’arricchimento senza causa deriva, quando è in essere, dal rimborso medesimo, e non dalla situazione preliminare, di creditore o debitore del fisco, del suddetto operatore economico.

53      Tale esame si trova ad essere corroborato, se necessario, dalla modifica della normativa del Regno Unito consecutiva alla lettera di diffida inviata dalla Commissione a tale Stato membro nell’ambito dell’avvio di un ricorso per inadempimento. A norma dell’art. 3 della seconda legge finanziaria del 2005, menzionata al punto 8 della presente sentenza, non si opera più, infatti, alcuna distinzione in funzione della situazione del soggetto passivo verso il Tesoro.

54      Occorre quindi risolvere la terza questione nel senso che, benché i principi della parità di trattamento e della neutralità fiscale si applichino in linea di principio alla causa principale, la loro violazione non è costituita dal semplice fatto che un diniego di rimborso sarebbe stato fondato sull’arricchimento senza causa del soggetto passivo interessato. Viceversa il principio della neutralità fiscale osta a che il divieto di arricchimento senza causa sia opposto solo a soggetti passivi quali i «payment traders» e non a soggetti passivi quali i «repayment traders», nella misura in cui tali soggetti passivi hanno distribuito merci di uno stesso tipo. Spetterà al giudice nazionale verificare se ciò accada nella suddetta causa. Inoltre il principio generale della parità di trattamento la cui violazione può essere contraddistinta, in materia tributaria, da discriminazioni che toccano operatori economici i quali non sono necessariamente concorrenti, ma versano nondimeno in una situazione comparabile per altri rapporti, osta ad una discriminazione tra i «payment traders» e i «repayment traders», che non è obiettivamente giustificata.

–       Sulla quarta questione

55      Con tale questione il giudice nazionale chiede in sostanza alla Corte se la soluzione della terza questione sarebbe diversa in caso di prova dell’assenza di perdita o di svantaggio finanziari subiti dall’operatore economico cui è stato rifiutato il rimborso per il motivo dell’arricchimento senza causa risultante dal medesimo.

56      Occorre indicare al riguardo, da un lato, che l’assenza di perdita o di svantaggio finanziari non è necessariamente il corollario della traslazione integrale dell’IVA sul consumatore finale in quanto, anche in tale ipotesi, com’è stato ricordato al punto 42 della presente sentenza, l’operatore economico può aver subìto una perdita connessa alla diminuzione del volume delle sue vendite. Dall’altra, la violazione del principio della parità di trattamento, rilevata ai punti 52‑54 della presente sentenza, ad opera di una normativa nazionale come quella in questione nella causa principale, è costituita dalla discriminazione tra operatori economici in rapporto al loro diritto al rimborso dell’IVA indebitamente percepita, che è indipendente dal punto se i suddetti operatori abbiano o meno, in maniera certa, subìto una perdita o uno svantaggio finanziari.

57      Occorre quindi risolvere la quarta questione nel senso che la soluzione della terza questione non è influenzata dalla prova dell’assenza di perdita o di svantaggio finanziari subiti dall’operatore economico cui è stato rifiutato il rimborso dell’IVA indebitamente percepita.

–       Sulla quinta questione

58      Con tale questione il giudice nazionale chiede in sostanza alla Corte se il diritto comunitario imponga o consenta al giudice nazionale di porre rimedio alla violazione del principio della parità di trattamento menzionata ai punti 52‑54 della presente sentenza ingiungendo di rimborsare integralmente all’operatore economico vittima di tale violazione l’imposta indebitamente percepita, anche se un rimborso siffatto implicasse un arricchimento senza causa a vantaggio del suddetto operatore ovvero se esso imponga o consenta che sia posto rimedio in un altro modo a tale violazione del principio della parità di trattamento.

59      È necessario rammentare al riguardo che, secondo una costante giurisprudenza, in mancanza di una disciplina comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare il giudice competente e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v. sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe‑Zentralfinanz e Rewe‑Zentral, Racc. pag. 1989, punto 5, nonché 30 settembre 2003, causa C‑224/01, Köbler, Racc. pag. I‑10239, punto 46).

60      Spetta quindi al giudice nazionale trarre esso stesso le eventuali conseguenze per il passato della violazione del principio della parità di trattamento menzionato ai punti 52‑54 della presente sentenza.

61      Nondimeno incombe alla Corte indicare taluni criteri o principi del diritto comunitario che devono essere rispettati nell’esercizio di tale valutazione.

62      Nell’ambito di quest’ultima il giudice del rinvio deve rispettare il diritto comunitario e, segnatamente, il principio della parità di trattamento quale ricordato al punto 51 della presente sentenza. Il giudice nazionale deve, in linea di principio, ingiungere di procedere al rimborso integrale dell’IVA dovuta all’operatore economico vittima di una discriminazione al fine di ovviare alla violazione del principio generale della parità di trattamento a meno che, secondo il diritto nazionale, esistano altri mezzi che permettono di rimediare a tale violazione.

63      A tale riguardo, come ha fatto osservare l’avvocato generale al paragrafo 74 delle sue conclusioni, va rilevato che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione nazionale discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti del gruppo sfavorito lo stesso regime che viene riservato alle persone della categoria privilegiata.

64      Occorre conseguentemente risolvere la quinta questione nel senso che spetta al giudice del rinvio trarre esso stesso le eventuali conseguenze per il passato della violazione del principio di parità menzionato ai punti 52‑54 della presente sentenza, secondo le regole relative agli effetti nel tempo del diritto nazionale applicabile nella causa principale, nell’osservanza del diritto comunitario e, segnatamente, del principio della parità di trattamento nonché del principio ai sensi del quale esso deve provvedere a che le misure di risarcimento accordate non siano contrarie al diritto comunitario.

 Sulle spese

65      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1)      Qualora uno Stato membro abbia mantenuto nella sua normativa nazionale, sul fondamento dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, sia prima che dopo l’introduzione delle modifiche apportate a tale disposizione dalla direttiva 92/77, un’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte riguardo a talune specifiche forniture o prestazioni, un operatore che effettui siffatte forniture o prestazioni non può avvalersi di alcun diritto, derivato dal diritto comunitario e direttamente rivendicabile, a che tali forniture o tali prestazioni siano soggette ad un’imposta sul valore aggiunto con applicazione dell’aliquota zero.

2)      Qualora uno Stato membro abbia mantenuto nella sua normativa nazionale, ai sensi dell’art. 28, n. 2, della sesta direttiva 77/388, sia anteriormente sia successivamente all’introduzione della sua modifica mediante la direttiva 92/77, un’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte rispetto a talune specifiche forniture o prestazioni, ma abbia interpretato in modo errato la propria normativa nazionale con la conseguenza che talune forniture o prestazioni, che avrebbero dovuto beneficiare dell’esenzione con rimborso delle imposte pagate a monte ai sensi della sua normativa nazionale, sono state assoggettate all’imposta con applicazione dell’aliquota normale, i principi generali del diritto comunitario, ivi compreso quello della neutralità fiscale, si applicano in modo tale da attribuire all’operatore economico che ha effettuato tali forniture o prestazioni un diritto a ripetere gli importi erroneamente versati con riferimento a tali stesse forniture o prestazioni.

3)      Benché i principi della parità di trattamento e della neutralità fiscale si applichino in linea di principio alla causa principale, la loro violazione non è costituita dal semplice fatto che un diniego di rimborso sarebbe stato fondato sull’arricchimento senza causa del soggetto passivo interessato. Viceversa il principio della neutralità fiscale osta a che il divieto di arricchimento senza causa sia opposto solo a soggetti passivi quali i «payment traders» (soggetti passivi per i quali, per un predeterminato periodo contabile, l’imposta riscossa a valle eccede l’imposta pagata a monte) e non a soggetti passivi quali i «repayment traders» (soggetti passivi la cui situazione è il contrario della precedente) nella misura in cui tali soggetti passivi hanno distribuito merci di uno stesso tipo. Spetterà al giudice nazionale verificare se ciò accada nella suddetta causa. Inoltre il principio generale della parità di trattamento la cui violazione può essere contraddistinta, in materia tributaria, da discriminazioni che toccano operatori economici i quali non sono necessariamente concorrenti, ma versano nondimeno in una situazione comparabile per altri rapporti, osta ad una discriminazione tra i «payment traders» ed i «repayment traders», che non è obiettivamente giustificata.

4)      La soluzione della terza questione non è influenzata dalla prova dell’assenza di perdita o di svantaggio finanziari subiti dall’operatore economico cui è stato rifiutato il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto indebitamente percepita.

5)      Spetta al giudice del rinvio trarre esso stesso le eventuali conseguenze per il passato della violazione del principio di parità menzionato al punto 3 del dispositivo della presente sentenza, secondo le regole relative agli effetti nel tempo del diritto nazionale applicabile nella causa principale, nell’osservanza del diritto comunitario e, segnatamente, del principio della parità di trattamento nonché del principio ai sensi del quale esso deve provvedere a che le misure di risarcimento accordate non siano contrarie al diritto comunitario.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.