C-397/21 - HUMDA

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Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)

13 ottobre 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Armonizzazione delle normative fiscali – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Vendite non assoggettate all’IVA – IVA indebitamente fatturata e assolta – Liquidazione del prestatore – Rifiuto di rimborso da parte dell’autorità tributaria al destinatario dell’IVA indebitamente versata – Principi di effettività, neutralità fiscale e non discriminazione»

Nella causa C‑397/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), con decisione del 25 maggio 2021, pervenuta in cancelleria il 29 giugno 2021, nel procedimento

HUMDA Magyar Autó-Motorsport Fejlesztési Ügynökség Zrt.

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága,

LA CORTE (Settima Sezione),

composta da M.L. Arastey Sahún, presidente di sezione, F. Biltgen (relatore) e J. Passer, giudici,

avvocato generale: T. Ćapeta

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la HUMDA Magyar Autó-Motorsport Fejlesztési Ügynökség Zrt., da Gy. Hajdu, ügyvéd;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e R. Kissné Berta, in qualità di agenti;

–        per il governo ceco, da O. Serdula, M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da K. Talabér-Ritz e V. Uher, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la HUMDA Magyar Autó-Motorsport Fejlesztési Ügynökség Zrt. (in prosieguo: la «Humda») e la Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága (direzione dei ricorsi dell’amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane, Ungheria) (in prosieguo: la «direzione dei ricorsi»), in merito al rigetto da parte di quest’ultima della domanda della Humda di ottenere il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) che le era stata fatturata erroneamente su un’operazione non soggetta all’IVA in Ungheria e relativa a un bene situato in un altro Stato membro.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

3        L’articolo 167 della direttiva IVA prevede quanto segue:

«Il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile».

4        L’articolo 168, lettera a), di tale direttiva stabilisce quanto segue:

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a)      l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo».

5        L’articolo 183 di detta direttiva dispone quanto segue:

«Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite.

Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante».

 Diritto ungherese

6        L’articolo 2, lettera a), dell’általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény (legge n. CXXVII del 2007 relativa all’imposta sul valore aggiunto) [Magyar Közlöny 2007/155. (XI.16)], nella versione applicabile al procedimento principale, dispone quanto segue:

«Conformemente alla presente legge sono soggette all’imposta:

a)      le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio nazionale da un soggetto passivo che agisce in quanto tale».

7        L’articolo 39 di tale legge prevede quanto segue:

«1)      Il luogo delle prestazioni di servizi direttamente relativi a un bene immobile è quello in cui il bene è situato.

2)      I servizi direttamente relativi a un bene immobile di cui al paragrafo 1, comprendono, in particolare: i servizi di agenti immobiliari e di periti, i servizi di alloggio commerciale, il trasferimento dei diritti di utilizzo di beni immobili, nonché i servizi per la preparazione e il coordinamento dell’esecuzione di lavori edili».

8        L’articolo 64, paragrafo 3, dell’adózás rendjéről szóló 2017. évi CL. törvény (legge n. CL del 2017 recante il codice di procedura tributaria), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «codice di procedura tributaria»), prevede quanto segue:

«Fatto salvo il paragrafo 1, a condizione che il soggetto passivo non abbia presentato la sua domanda di rimborso in una dichiarazione fiscale che pone fine alla liquidazione (liquidazione semplificata) o alla liquidazione volontaria (liquidazione volontaria semplificata), il rimborso dell’IVA richiesto avviene entro un termine di 30 giorni che comincia a decorrere dalla data di ricezione della dichiarazione fiscale, ma non prima della scadenza; tale termine è esteso a 45 giorni quando il rimborso dell’imposta è superiore a 1 milione di [fiorini ungheresi (HUF) (circa EUR 2 500)] sempre che il soggetto passivo abbia pagato integralmente, alla data di presentazione della dichiarazione, l’importo, comprensivo dell’imposta, del corrispettivo indicato nella fattura corrispondente a ciascuna delle operazioni che danno diritto al trasferimento dell’IVA — esercitando il suo diritto alla detrazione dell’imposta per il periodo d’imposta di cui trattasi sulla base della fattura o delle fatture che attestano la realizzazione di tali operazioni — o purché il suo debito si sia estinto integralmente in altro modo e il soggetto passivo indichi nella propria dichiarazione che tale requisito è soddisfatto. Se, durante tale periodo, viene avviata o è in corso un’ispezione fiscale del soggetto passivo per la sovvenzione di bilancio richiesta, il termine per la concessione di tale sovvenzione di bilancio inizia a decorrere dalla data in cui la decisione sui risultati dell’ispezione diventa irrevocabile. Ai fini dell’applicazione di tale disposizione, il corrispettivo si considera pagato se la sua trattenuta avviene esclusivamente in forza di una garanzia di esecuzione precedentemente stipulata nel contratto».

9        L’articolo 65, paragrafo 1, del codice di procedura tributaria enuncia quanto segue:

«In caso di ritardato pagamento di un importo da parte dell’autorità tributaria, essa versa, per ogni giorno di ritardo nel pagamento, interessi di importo pari a quello della penalità di mora. Malgrado un eventuale ritardo nel pagamento, non è dovuto alcun interesse se la domanda (dichiarazione) è giuridicamente infondata per oltre il 30% della somma richiesta (dichiarata) o se il pagamento non è possibile a causa dell’omissione da parte del soggetto passivo o della persona tenuta a fornire le informazioni».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

10      La dante causa della Humda aveva incaricato la «BHA» Bíró Hűtéstechnikai és Acélszerkezetgyártó Ipari Kft. (in prosieguo: la «BHA») di fornirle servizi nell’ambito del progetto di costruzione del padiglione ungherese dell’esposizione universale tenutasi a Milano nel 2015 (in prosieguo: la «fornitura dei servizi di cui trattasi»). In relazione a tali servizi, la BHA aveva emesso nove fatture comprensive di IVA, per un importo totale di HUF 486 620 000 (circa EUR 1 230 500). Tali fatture sono state pagate dalla dante causa della Humda e la BHA ha versato l’IVA fatturata all’amministrazione tributaria ungherese. In occasione di un controllo, quest’ultima ha constatato che, in forza della normativa ungherese, l’IVA in questione non era dovuta in Ungheria, dato che la fornitura dei servizi di cui trattasi riguardava un bene situato in Italia. Pertanto, l’IVA in questione era stata fatturata erroneamente.

11      La Humda, al fine di recuperare la somma corrispondente all’IVA indebitamente pagata, ha presentato alla Nemzeti Adó- és Vámhivatal Észak-budapesti Adó- és Vámigazgatóság (direzione regionale delle imposte e delle dogane di Budapest-Nord, facente capo all’amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane, Ungheria) una domanda diretta al rimborso della somma di HUF 126 248 760 (circa EUR 320 000), corrispondente all’importo di tale IVA, nonché al versamento dei relativi interessi. Secondo la Humda, sebbene essa sia tenuta a chiedere il rimborso di tale somma all’emittente della fattura nell’ambito di un procedimento civile, il quale dovrebbe poi regolarizzare la sua situazione dinanzi all’autorità tributaria competente, essa è posta, nel caso di specie, di fronte al fatto che la BHA è stata sottoposta a una procedura di liquidazione giudiziaria e che, secondo il suo liquidatore, il credito della Humda è irrecuperabile.

12      Poiché tale domanda e il successivo ricorso dinanzi alla direzione dei ricorsi sono stati respinti, la Humda ha adito il giudice del rinvio, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), chiedendo, in sostanza, la riforma o l’annullamento della decisione adottata dalla direzione dei ricorsi. Secondo le informazioni contenute nella domanda di pronuncia pregiudiziale, detta domanda è basata essenzialmente sulle sentenze della Corte del 26 aprile 2017, Farkas (C‑564/15, EU:C:2017:302), e dell’11 aprile 2019, PORR Építési Kft. (C‑691/17, EU:C:2019:327).

13      La direzione dei ricorsi sostiene che tali sentenze non sono pertinenti, in quanto, nel caso di specie, la fornitura dei servizi di cui trattasi non è stata realizzata nel territorio ungherese e non ha dato diritto alla detrazione in capo alla Humda. Inoltre, quest’ultima non avrebbe inteso esercitare il suo diritto a detrazione. Orbene, nelle sentenze invocate da tale società, la Corte si sarebbe pronunciata sull’indebito versamento dell’IVA da parte del beneficiario ai prestatori di servizi sulla base di una fattura erroneamente emessa secondo le regole della tassazione ordinaria, mentre l’operazione a cui si riferiva tale fattura rientrava nel regime dell’autoliquidazione. La direzione dei ricorsi rileva che, poiché la fornitura dei servizi di cui trattasi non rientra nell’ambito di applicazione della normativa ungherese sull’IVA, il rimborso richiesto dalla Humda non può essere effettuato.

14      Il giudice del rinvio si chiede, alla luce di tali sentenze, se le disposizioni nazionali applicabili e la prassi amministrativa nazionale siano compatibili con la direttiva IVA e, più in particolare, con i principi di effettività, neutralità dell’IVA e divieto di discriminazione. Esso precisa al riguardo che, nel caso di specie, il recupero dell’IVA indebitamente pagata è impossibile o eccessivamente difficile nell’ambito di un procedimento di diritto civile, poiché, in primo luogo, la BHA è stata nel frattempo sottoposta a una procedura di liquidazione, in secondo luogo, il suo liquidatore avrebbe dichiarato di non poter modificare la fattura emessa a suo tempo dalla BHA, in terzo luogo, quest’ultima non ha chiesto il rimborso dell’imposta indebitamente pagata, in quarto luogo, la Humda ha tuttavia avviato un procedimento civile contro l’amministrazione tributaria ungherese, in quinto luogo, è innegabile che l’IVA sia stata versata all’erario e, in sesto luogo, è escluso qualsiasi sospetto di frode.

15      Il giudice del rinvio si chiede inoltre se, supponendo che la Humda sia autorizzata a presentare una domanda di rimborso direttamente all’amministrazione tributaria ungherese, quest’ultima sia obbligata a pagare interessi moratori sulla somma oggetto di tale rimborso e, in caso affermativo, quali siano i termini da prendere in considerazione a tal fine.

16      In tali circostanze, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le disposizioni della direttiva IVA, lette alla luce dei suoi principi generali, in particolare dei principi di effettività e di neutralità fiscale, debbano essere interpretate nel senso che ostano a una normativa e alla relativa prassi nazionale in forza delle quali, quando un soggetto passivo IVA emette erroneamente una fattura con IVA per una cessione esente da IVA e versa tale imposta all’Erario in modo dimostrabile, e il destinatario della fattura paga l’IVA di cui trattasi all’emittente della fattura, l’autorità tributaria nazionale non restituisce tale IVA né all’emittente né al destinatario della fattura.

2)      In caso di risposta affermativa della Corte di giustizia alla prima questione pregiudiziale, se le disposizioni della direttiva IVA, lette alla luce dei suoi principi generali, in particolare dei principi di effettività, di neutralità fiscale e di non-discriminazione, debbano essere interpretate nel senso che ostano a una normativa nazionale che, nel caso descritto [nella prima questione], non consenta in alcun modo al destinatario della fattura di rivolgersi direttamente all’autorità tributaria nazionale per chiedere il rimborso dell’IVA o lo consenta solo laddove sia impossibile o estremamente difficile chiedere tale rimborso dell’IVA mediante altri strumenti di diritto civile, in particolare quando nel frattempo sia sopravvenuta la messa in liquidazione dell’emittente della fattura.

3)      In caso di risposta affermativa alla precedente questione pregiudiziale, se in un caso siffatto l’autorità tributaria nazionale sia obbligata a pagare gli interessi sull’IVA oggetto di rimborso e, in tal caso, per quale periodo di tempo, e se tale obbligo sia soggetto alle regole generali di rimborso dell’IVA».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima e sulla seconda questione

17      Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva IVA, letta alla luce dei principi di effettività e di neutralità dell’IVA, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale un soggetto passivo al quale un altro soggetto passivo abbia fornito un servizio non può chiedere direttamente all’amministrazione tributaria il rimborso dell’importo corrispondente all’IVA che gli è stata indebitamente fatturata da tale prestatore e che quest’ultimo ha versato all’erario, qualora il recupero di tale importo presso detto prestatore sia impossibile o eccessivamente difficile a causa della messa in liquidazione di quest’ultimo.

18      Si deve ricordare, in via preliminare, che il principio di neutralità dell’IVA, che è al centro del sistema comune di IVA istituito dalla normativa dell’Unione, è garantito dal meccanismo del diritto alla detrazione volto a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche e che garantisce, di conseguenza, la neutralità per quanto riguarda l’onere fiscale di tutte le attività economiche, indipendentemente dagli scopi o dai risultati di tali attività, a condizione che queste ultime siano, in linea di principio, esse stesse soggette all’IVA (v., in tal senso, sentenza del 1° luglio 2021, Tribunal Económico Administrativo Regional de Galicia, C‑521/19, EU:C:2021:527, punto 28 e giurisprudenza ivi citata). È vero che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta espressamente che la Humda avesse diritto a detrarre l’IVA fatturata e assolta erroneamente. Tuttavia, poiché, nella sua prima e seconda questione, il giudice del rinvio fa riferimento al principio di neutralità dell’IVA, si deve ritenere, salvo verifica da parte di detto giudice, che la Humda o la sua dante causa avessero diritto alla detrazione di tale IVA.

19      Posta tale premessa, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, in assenza di una disposizione, nella direttiva IVA, relativa alla regolarizzazione, da parte di chi emette la fattura, dell’IVA indebitamente fatturata, spetta in via di principio agli Stati membri determinare le condizioni in cui tale IVA può essere regolarizzata (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C‑35/05, EU:C:2007:167, punto 38, nonché del 2 luglio 2020, Terracult, C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

20      Per garantire la neutralità dell’IVA, spetta agli Stati membri contemplare, nel rispettivo ordinamento giuridico interno, la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede (sentenza del 2 luglio 2020, Terracult, C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

21      Dalla giurisprudenza della Corte emerge altresì che una normativa nazionale in forza della quale, da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’IVA alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito contro tale prestatore rispetta i principi di neutralità dell’IVA e di effettività. Tale sistema, infatti, consente al destinatario gravato dell’IVA erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C‑35/05, EU:C:2007:167, punto 39).

22      Se il rimborso dell’IVA risulta impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d’insolvenza del prestatore, i principi di neutralità dell’IVA e di effettività impongono che gli Stati membri prevedano gli strumenti necessari per consentire al destinatario di recuperare l’IVA indebitamente fatturata e pagata, in particolare inviando la sua domanda di rimborso direttamente all’amministrazione tributaria (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C‑35/05, EU:C:2007:167, punto 41, e dell’11 aprile 2019, PORR Építési Kft., C‑691/17, EU:C:2019:327, punto 48).

23      La Corte ne ha dedotto che gli Stati membri devono prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività (sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C‑35/05, EU:C:2007:167, punto 41).

24      Fatte salve le considerazioni preliminari esposte al punto 18 della presente sentenza, tale giurisprudenza è applicabile a una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale. Infatti, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta, da un lato, che la fornitura dei servizi di cui trattasi riguardava un bene immobile situato in uno Stato membro diverso da quello in cui l’IVA è stata erroneamente assolta. Orbene, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C‑35/05, EU:C:2007:167), neppure le prestazioni di servizi erano soggette all’IVA nello Stato membro coinvolto, essendo state fornite in un altro Stato membro. Da detta domanda emerge, dall’altro lato, che, nel caso di specie, non vi è stato né abuso né frode, dato che il prestatore e il destinatario dei servizi erano entrambi in buona fede. Ne consegue che, tanto nel procedimento principale quanto nella causa che ha dato luogo a detta sentenza, non sussiste alcun rischio di perdita di gettito fiscale ed è impossibile o eccessivamente difficile per il destinatario ottenere dal prestatore il rimborso dell’IVA indebitamente pagata, poiché quest’ultimo è stato nel frattempo sottoposto ad una procedura di liquidazione.

25      Contrariamente a quanto sostenuto dal governo ungherese nelle sue osservazioni scritte, l’applicabilità alla presente causa della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C‑35/05, EU:C:2007:167), non può essere contestata sulla base del fatto che la controversia di cui al procedimento principale non riguarderebbe il diritto a detrazione del beneficiario. Invero, in tale sentenza, la Corte non ha tenuto conto di detta differenziazione, ma si è espressa in termini generali. Inoltre, come nel caso di specie, le circostanze della causa che ha dato luogo a detta sentenza riguardavano una prestazione non soggetta a IVA nello Stato membro in cui tale imposta era stata fatturata e nel bilancio del quale era stata versata.

26      Tuttavia, si deve aggiungere che gli Stati membri hanno il diritto di corredare gli obblighi formali dei soggetti passivi di sanzioni tali da incoraggiare questi ultimi a rispettare detti obblighi al fine di assicurare il corretto funzionamento del sistema di IVA, e che, pertanto, una sanzione amministrativa pecuniaria può essere applicata nei confronti di un soggetto passivo la cui domanda di rimborso dell’IVA indebitamente versata derivi dalla sua stessa negligenza (sentenza del 2 luglio 2020, Terracult, C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

27      Al riguardo la Corte ha precisato che, anche supponendo che sia dimostrata la negligenza del soggetto passivo, circostanza che spetta ai giudici nazionali constatare, lo Stato membro interessato deve ricorrere a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dalla normativa nazionale, pregiudichino il meno possibile i principi stabiliti dalla normativa dell’Unione, quale il principio di neutralità dell’IVA. Pertanto, in considerazione del ruolo che tale principio occupa nel sistema comune dell’IVA, appare sproporzionata una sanzione consistente in un diniego assoluto del diritto al rimborso dell’IVA erroneamente fatturata e indebitamente versata (sentenza del 2 luglio 2020, Terracult, C‑835/18, EU:C:2020:520, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

28      Occorre inoltre ricordare che è vero che la lotta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA. Del pari, la Corte ha più volte dichiarato che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto, è compito delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto al rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e assolta ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto viene invocato fraudolentemente o abusivamente (v., in tal senso, sentenza del 28 luglio 2016, Astone, C‑332/15, EU:C:2016:614, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

29      Tuttavia, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che la disciplina di cui trattasi nel procedimento principale, come applicata dall’amministrazione tributaria ungherese, conduce, di fatto, a negare al destinatario, nelle circostanze descritte nella prima questione e in assenza di rischio di frode o di abuso da parte dei soggetti passivi interessati, il rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e pagata. Ne consegue che, fatte salve le verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare, tale disciplina è sproporzionata.

30      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che la direttiva IVA, letta alla luce dei principi di effettività e di neutralità dell’IVA, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale un soggetto passivo al quale un altro soggetto passivo abbia fornito un servizio non può chiedere direttamente all’amministrazione tributaria il rimborso dell’importo corrispondente all’IVA che gli è stata indebitamente fatturata da tale prestatore e che quest’ultimo ha versato all’erario, qualora il recupero di tale importo presso detto prestatore sia impossibile o eccessivamente difficile a causa della sua messa in liquidazione e anche se non possa contestarsi alcuna frode o abuso a questi due soggetti passivi, cosicché non sussiste un rischio di perdita di gettito fiscale per detto Stato membro.

 Sulla terza questione

31      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva IVA debba essere interpretata nel senso che, nell’ipotesi in cui un soggetto passivo al quale un altro soggetto passivo abbia fornito un servizio possa chiedere direttamente all’amministrazione tributaria il rimborso dell’importo corrispondente all’IVA che gli è stata indebitamente fatturata dal prestatore e che quest’ultimo ha versato all’erario, tale amministrazione ha l’obbligo di versare interessi su detto importo e, in caso affermativo, per quale periodo e secondo quali modalità.

32      Per quanto riguarda l’obbligo di versare interessi, si deve ricordare che la Corte ha più volte dichiarato che, qualora uno Stato membro abbia prelevato imposte in violazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, i singoli hanno diritto al rimborso non solo dell’imposta indebitamente riscossa, ma altresì degli importi pagati a questo Stato o trattenuti da quest’ultimo che siano in relazione diretta con tale imposta. Ciò comprende anche le perdite derivanti dall’indisponibilità di somme di danaro a seguito dell’esigibilità anticipata dell’imposta. Pertanto, il principio dell’obbligo, posto a carico degli Stati membri, di restituire, corredati di interessi, gli importi delle imposte percepite in violazione del diritto dell’Unione discende dal diritto dell’Unione medesimo (v., in tal senso, sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C‑591/10, EU:C:2012:478, punti 25 e 26 e giurisprudenza ivi citata).

33      La Corte ha aggiunto che, in assenza di disciplina dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti in presenza dei quali siffatti interessi devono essere corrisposti, segnatamente per quanto riguarda l’aliquota degli interessi medesimi e le loro modalità di calcolo (interessi semplici o interessi composti). Tali requisiti devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non devono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su disposizioni di diritto interno né essere congegnati in modo tale da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C‑591/10, EU:C:2012:478, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

34      Tuttavia, è giocoforza constatare che, nel procedimento principale, l’amministrazione tributaria ungherese ha chiesto il pagamento dell’IVA di cui trattasi non già in violazione della normativa dell’Unione, bensì ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA, il quale dispone che «chiunque indichi l’IVA in una fattura è debitore dell’imposta indicata in tale fattura», cosicché è dovuta un’IVA fatturata erroneamente. Infatti, dalla giurisprudenza della Corte emerge che l’IVA indicata in una fattura è dovuta dall’emittente di tale fattura, anche in assenza di una qualsiasi operazione imponibile reale (sentenza dell’8 maggio 2019, EN.SA., C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 26).

35      Pertanto, non si può ritenere che, nel caso di specie, l’IVA sia stata prelevata «in violazione del diritto dell’Unione», ai sensi della sentenza del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a. (C‑591/10, EU:C:2012:478), cosicché da detta sentenza non può essere tratta alcuna indicazione in merito agli eventuali interessi che l’amministrazione tributaria deve pagare in una situazione come quella di cui al procedimento principale.

36      Ciò premesso, poiché, come risulta dalla risposta alle prime due questioni, gli Stati membri sono tenuti a prevedere la possibilità di regolarizzare o di rimborsare l’IVA fatturata e pagata erroneamente a un soggetto passivo avente diritto alla detrazione dell’IVA così pagata, qualora, in particolare, non vi sia alcun rischio di perdita di gettito fiscale per lo Stato membro interessato e tale rimborso di un credito IVA possa, per sua natura, essere paragonato ad un’«eccedenza di IVA» ai sensi dell’articolo 183 della direttiva IVA, è opportuno, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, fare riferimento a quest’ultima disposizione.

37      La Corte ha dichiarato al riguardo che, sebbene l’articolo 183 della direttiva IVA non preveda l’obbligo di corresponsione di interessi sull’eccedenza di IVA da rimborsare né specifichi il dies a quo ai fini della determinazione degli interessi stessi, il principio di neutralità del sistema fiscale dell’IVA richiede che le perdite finanziarie generate da un rimborso di un’eccedenza di IVA effettuato oltre un termine ragionevole siano compensate dal pagamento di interessi di mora (sentenza del 12 maggio 2021, technoRent International e a., C‑844/19, EU:C:2021:378, punto 40).

38      Orbene, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, caratterizzata dalla circostanza che il rimborso dell’IVA da parte del prestatore di servizi che l’ha fatturata erroneamente è impossibile o eccessivamente difficile a causa della messa in liquidazione di quest’ultimo, il soggetto passivo beneficiario della prestazione di servizi che abbia pagato un’IVA non dovuta sopporta, in attesa del rimborso di detta IVA, un danno finanziario a seguito dell’indisponibilità della somma corrispondente all’importo di detta imposta. In tali circostanze, se l’amministrazione tributaria non rimborsa tale IVA indebitamente versata entro un termine ragionevole dopo aver ricevuto una richiesta in tal senso da parte di detto soggetto passivo, basata sul fatto che il recupero della somma indebitamente pagata al prestatore di servizi è impossibile o eccessivamente difficile, ne deriva una violazione del principio di neutralità fiscale.

39      Per quanto concerne le modalità di applicazione degli interessi per il rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e assolta, dal punto 33 della presente sentenza risulta che, in mancanza di disposizioni al riguardo nella direttiva IVA, tali modalità rientrano nell’autonomia procedurale degli Stati membri, che trova un limite nei principi di equivalenza e di effettività.

40      Per quanto riguarda il principio di effettività, l’unico principio di cui trattasi nel caso di specie, quest’ultimo richiede che le norme nazionali relative, in particolare, al calcolo degli interessi eventualmente dovuti non abbiano l’effetto di privare il soggetto passivo di un risarcimento adeguato per la perdita causata dal mancato rimborso dell’IVA entro un termine ragionevole. Spetta al giudice del rinvio, alla luce di tutte le circostanze del procedimento principale, stabilire se tale ipotesi ricorra nella specie.

41      Si deve ricordare, in proposito, che, secondo costante giurisprudenza della Corte, sia le autorità amministrative sia i giudici nazionali incaricati di applicare, nell’ambito delle loro rispettive competenze, le norme del diritto dell’Unione hanno l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme (sentenza del 12 maggio 2021, technoRent International e a., C‑844/19, EU:C:2021:378, punto 52 e giurisprudenza ivi citata), procedendo eventualmente ad un’interpretazione conforme del diritto interno.

42      L’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale richiede che il giudice nazionale prenda in considerazione il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in che misura quest’ultimo possa ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato in contrasto con il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2021, technoRent International e a., C‑844/19, EU:C:2021:378, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

43      Ciò premesso, il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale conosce alcuni limiti. Infatti, l’obbligo, per il giudice nazionale, di fare riferimento al contenuto del diritto dell’Unione nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto interno trova un limite nei principi generali del diritto, ivi compreso il principio della certezza del diritto, e non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (sentenza del 12 maggio 2021, technoRent International e a., C‑844/19, EU:C:2021:378, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

44      Nel caso di specie, spetterà al giudice del rinvio esaminare se sia possibile garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione prendendo in considerazione il diritto nazionale nel suo complesso e procedendo, se del caso, ad un’applicazione mutatis mutandis delle disposizioni di quest’ultimo diritto.

45      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 183 della direttiva IVA, letto alla luce del principio di neutralità dell’IVA, deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un soggetto passivo al quale un altro soggetto passivo abbia fornito un servizio possa chiedere direttamente all’amministrazione tributaria il rimborso dell’importo corrispondente all’IVA che gli è stata indebitamente fatturata da tale prestatore e che quest’ultimo ha versato all’erario, tale amministrazione ha l’obbligo di corrispondere gli interessi su detto importo se non ha effettuato il rimborso entro un termine ragionevole dopo essere stata invitata a farlo. Le modalità di applicazione degli interessi su tale importo rientrano nell’autonomia procedurale degli Stati membri, che trova un limite nei principi di equivalenza e di effettività, fermo restando che le norme nazionali relative, in particolare, al calcolo degli interessi eventualmente dovuti non devono avere l’effetto di privare il soggetto passivo di un risarcimento adeguato per la perdita causata dal rimborso tardivo del medesimo importo. Spetta al giudice del rinvio procedere a tutto quanto rientri nella propria competenza per garantire la piena efficacia di detto articolo 183, dando un’interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto dell’Unione.

 Sulle spese

46      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara:

1)      La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, letta alla luce dei principi di effettività e di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA),

deve essere interpretata nel senso che:

essa osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale un soggetto passivo al quale un altro soggetto passivo abbia fornito un servizio non può chiedere direttamente all’amministrazione tributaria il rimborso dell’importo corrispondente all’IVA che gli è stata indebitamente fatturata da tale prestatore e che quest’ultimo ha versato all’erario, qualora il recupero di tale importo presso detto prestatore sia impossibile o eccessivamente difficile a causa della sua messa in liquidazione e anche se non possa contestarsi alcuna frode o abuso a questi due soggetti passivi, cosicché non sussiste un rischio di perdita di gettito fiscale per detto Stato membro.

2)      L’articolo 183 della direttiva 2006/112, letto alla luce del principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA),

deve essere interpretato nel senso che:

nell’ipotesi in cui un soggetto passivo al quale un altro soggetto passivo abbia fornito un servizio possa chiedere direttamente all’amministrazione tributaria il rimborso dell’importo corrispondente all’IVA che gli è stata indebitamente fatturata da tale prestatore e che quest’ultimo ha versato all’erario, tale amministrazione ha l’obbligo di corrispondere gli interessi su tale importo se non ha effettuato il rimborso entro un termine ragionevole dopo essere stata invitata a farlo. Le modalità di applicazione degli interessi su detto importo rientrano nell’autonomia procedurale degli Stati membri, che trova un limite nei principi di equivalenza e di effettività, fermo restando che le norme nazionali relative, in particolare, al calcolo degli interessi eventualmente dovuti non devono avere l’effetto di privare il soggetto passivo di un risarcimento adeguato per la perdita causata dal rimborso tardivo del medesimo importo. Spetta al giudice del rinvio procedere a tutto quanto rientri nella propria competenza per garantire la piena efficacia di detto articolo 183, dando un’interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto dell’Unione.

Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.