C-10/92 - Balocchi / Ministero delle finanze dello Stato

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EUR-Lex - 61992C0010 - IT

61992C0010

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 24 marzo 1993. - MAURIZIO BALOCCHI CONTRO MINISTERO DELLE FINANZE DELLO STATO. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: TRIBUNALE DI GENOVA - ITALIA. - SESTA DIRETTIVA IVA - LIQUIDAZIONE DELL'IMPORTO NETTO DELL'IVA - ACCONTO DA PAGARE SU TALE IMPORTO. - CAUSA C-10/92.

raccolta della giurisprudenza 1993 pagina I-05105


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal presidente del Tribunale di Genova che è oggetto di questa causa riguarda l' interpretazione di alcune disposizioni della sesta direttiva del Consiglio relativa all' imposta sul valore aggiunto (direttiva del Consiglio 77/388/CEE; GU L 145, pag. 1). La questione centrale è se una normativa nazionale, che impone agli operatori commerciali di versare acconti provvisori prima della scadenza del periodo di imposta pertinente, sia compatibile con la sesta direttiva.

I fatti all' origine della causa

2. Il signor Balocchi, ricorrente nella causa principale, svolge in Italia l' attività di amministratore immobiliare. Come tale, egli è obbligato alla tenuta di un apposito registro ai fini dell' imposta sul valore aggiunto (IVA). Nella normativa italiana sull' IVA il periodo fiscale corrisponde all' anno solare (1 gennaio-31 dicembre). Gli operatori commerciali devono presentare una dichiarazione annuale relativa ad ogni periodo fiscale entro il 5 marzo dell' anno successivo. La dichiarazione annuale ha natura riepilogativa: nel corso dell' anno gli operatori commerciali debbono, su base mensile o trimestrale, calcolare l' importo dell' IVA dovuta e versarlo all' Erario; al momento della presentazione della dichiarazione l' operatore commerciale versa l' importo dell' IVA non ancora corrisposto relativo all' intero fatturato annuale (oppure, se del caso, ottiene il rimborso dell' importo a cui dovesse aver diritto). E' il giro d' affari dell' operatore commerciale a determinare la periodicità ° mensile o trimestrale ° dei pagamenti IVA. La norma fondamentale è contenuta nell' art. 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72 (nel testo modificato), secondo il quale l' operatore commerciale deve, entro il 20 di ogni mese, calcolare e pagare l' importo dell' IVA dovuto sulla base delle annotazioni eseguite nel suo registro IVA nel mese precedente (1). L' art. 33 del decreto n. 633/72 prevede tuttavia un regime semplificato per i piccoli operatori commerciali. Esso dispone, per quanto qui interessa, che gli operatori commerciali la cui attività consista nella prestazione di servizi ed il cui giro d' affari annuo nell' anno precedente non abbia superato 360 milioni di LIT debbano effettuare pagamenti periodici entro il quinto giorno del mese successivo a ciascuno dei primi tre trimestri dell' anno. L' IVA dovuta per l' ultimo trimestre dell' anno è di regola pagabile all' atto della dichiarazione annuale nel marzo dell' anno successivo. Tuttavia, a partire dal 1991 la situazione aveva subito sostanziali modifiche per effetto dell' art. 6, n. 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, il quale recitava:

"A decorrere dall' anno 1991, i contribuenti sottoposti agli obblighi di liquidazione e versamento previsti dall' art. 27 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (vale a dire gli operatori commerciali tenuti a pagamenti mensili), devono versare il giorno 20 del mese di dicembre, a titolo di acconto del versamento relativo al mese stesso, un importo pari al 65% (2) del versamento effettuato o che avrebbero dovuto effettuare per il mese di dicembre dell' anno precedente o, se inferiore, di quello da effettuare per lo stesso mese dell' anno in corso. Dell' acconto versato si tiene conto in sede di liquidazione relativa al mese di dicembre. Entro lo stesso giorno, i contribuenti di cui all' articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (vale a dire gli operatori commerciali tenuti a versamenti trimestrali), devono versare, a titolo di acconto del versamento da effettuare in sede di dichiarazione annuale, un importo pari al 65% del versamento effettuato o che avrebbero dovuto effettuare con la dichiarazione annuale dell' anno precedente o, se inferiore, di quello da effettuare in sede di dichiarazione relativa all' anno in corso; (...)".

L' art. 6, n. 5, della legge n. 405/90 dispone che:

"Chi non esegue in tutto o in parte i versamenti di cui al comma 2 è soggetto alla soprattassa del 20% delle somme non versate o versate in meno".

3. Poiché il giro d' affari del signor Balocchi nel 1990 non aveva superato i 360 milioni di LIT nel 1991, a norma dell' art. 33 del decreto n. 633/72, egli doveva effettuare versamenti IVA trimestrali. Entro il 20 dicembre 1991 egli era tenuto ad effettuare il pagamento a titolo di acconto di cui alla terza frase dell' art. 6, n. 2, della legge n. 405/90. Il signor Balocchi riteneva che l' obbligo di effettuare tale versamento prima della fine del trimestre fosse in contrasto con gli artt. 10 e 11 della sesta direttiva. Allo scopo di far dichiarare tale incompatibilità, egli promuoveva dinanzi al Tribunale di Genova un procedimento contro il ministero delle Finanze italiano. Detto procedimento veniva iniziato il 16 dicembre 1991 (vale a dire quattro giorni prima della data in cui andava effettuato il pagamento a titolo di acconto). Egli chiedeva anche che venisse disposta la sospensione in via provvisoria dell' obbligo di effettuare il pagamento a titolo di acconto. Il presidente del Tribunale di Genova accordava la sospensione e sottoponeva alla Corte di giustizia le seguenti domande di pronuncia pregiudiziale:

"1) Se le norme di cui agli artt. 10 e 11 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE (GU L 145, del 13 giugno 1977) abbiano armonizzato le nozioni di 'fatto generatore di imposta' e di 'momento di esigibilità' della stessa e, in caso positivo, se dette norme attribuiscano ai singoli diritti che possono essere fatti valere di fronte ai giudici nazionali.

2) In caso di risposta positiva al primo quesito, cosa debba considerarsi per 'fatto generatore di imposta' e per 'momento di esigibilità' dell' imposta e se gli artt. 10 e 11 della direttiva precitata, così come interpretati dalla Corte di giustizia, ostino ad una normativa nazionale (art. 6, legge n. 405/90) che imponga ai prestatori di servizi l' obbligo del versamento dell' imposta IVA in relazione a prestazioni non ancora effettuate e a corrispettivi non riscossi".

La normativa comunitaria pertinente

4. L' ordinanza di rinvio si richiama agli artt. 10 e 11 della sesta direttiva. La prima disposizione definisce il concetto di "fatto generatore dell' imposta" e stabilisce quando l' imposta diviene esigibile. Essa dispone, per quanto qui interessa:

"1. Si considera:

a) 'fatto generatore dell' imposta' il fatto per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l' esigibilità dell' imposta;

b) 'esigibilità dell' imposta' il diritto che l' Erario può far valere a norma di legge, a partire da un dato momento, presso il debitore, per il pagamento dell' imposta, anche se il pagamento può essere differito.

2. Il fatto generatore dell' imposta si verifica e l' imposta diventa esigibile all' atto della cessione di beni o della prestazione di servizi (...)".

5. L' art. 11 della sesta direttiva, che definisce la base imponibile (vale a dire l' importo sul quale è esigibile l' IVA), non sembra avere una diretta pertinenza in questa causa. Non è quindi necessario soffermarsi ulteriormente su di esso.

6. I nn. 4 e 5 dell' art. 22 della sesta direttiva, che non sono citati nell' ordinanza di rinvio, risultano invece pertinenti. Essi recitano:

"4. Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. Tale termine non dovrà superare di due mesi la scadenza di ogni periodo fiscale. Il periodo fiscale può essere fissato dagli Stati membri in un mese, due mesi, ovvero un trimestre. Tuttavia, gli Stati membri possono stabilire periodi diversi, non comunque superiori ad un anno.

Nella dichiarazione devono figurare tutti i dati necessari ad accertare l' importo dell' imposta esigibile e quello delle deduzioni da operarsi, compreso ° eventualmente e qualora risulti necessario per fissare la base imponibile ° l' importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali deduzioni, nonché l' importo globale delle operazioni esenti.

5. Ogni soggetto passivo deve pagare l' importo netto dell' imposta sul valore aggiunto al momento della presentazione della dichiarazione periodica. Gli Stati membri possono tuttavia stabilire un' altra scadenza per il pagamento di questo importo o per la riscossione di acconti provvisori".

7. Per ragioni che risulteranno chiare in seguito, sono pertinenti anche alcune disposizioni degli artt. 17 e 18. I suddetti articoli autorizzano l' operatore commerciale, salvo il rispetto di alcune condizioni, a dedurre dall' importo dell' IVA dovuta in un dato periodo l' importo dell' IVA posto a suo carico da altri soggetti passivi per prestazioni effettuate a suo favore nello stesso periodo. In particolare, l' art. 17, n. 1, recita:

"Il diritto a deduzione nasce quando l' imposta deducibile diventa esigibile".

E l' art. 18, n. 2, recita:

"Il soggetto passivo opera la detrazione sottraendo dall' importo totale dell' imposta sul valore aggiunto dovuta per un dato periodo fiscale l' ammontare dell' imposta per la quale, nello stesso periodo, è sorto (...) il diritto a deduzione (...)".

La tesi del signor Balocchi

8. L' argomento del signor Balocchi è molto semplice. Egli sostiene che, se fosse stato obbligato ad effettuare un pagamento a titolo di acconto il 20 dicembre 1991, conformemente all' art. 6, n. 2, della legge n. 405/90, egli si sarebbe potuto trovare a pagare l' IVA per operazioni che non avevano ancora avuto luogo. In particolare un' ipotesi del genere ricorrerebbe nel caso in cui egli avesse realizzato una percentuale estremamente rilevante del suo giro d' affari negli ultimi 11 giorni dell' anno, oppure se il suo giro d' affari nel 1991 avesse subito un calo significativo rispetto all' anno precedente. Per quanto in quest' ultima eventualità la normativa italiana gli consentisse di calcolare il pagamento a titolo di acconto con riguardo all' IVA da lui effettivamente dovuta nell' anno corrente, il 20 dicembre 1991 era per lui impossibile stabilire se in questo modo sarebbe risultato un importo inferiore rispetto a quello ottenuto mediante il calcolo basato sul fatturato dell' anno precedente, poiché egli non poteva conoscere il volume delle operazioni che avrebbe realizzato negli ultimi 11 giorni dell' anno. Così, al fine di essere certo di non incorrere nella soprattassa del 20% di cui all' art. 6, n. 5, della legge n. 405/90, egli avrebbe dovuto calcolare l' acconto con riguardo ai risultati dell' anno precedente.

9. Il signor Balocchi sostiene che la normativa italiana contestata è in contrasto con le disposizioni della sesta direttiva in quanto impone all' operatore commerciale di versare acconti dell' IVA per operazioni che non hanno ancora avuto luogo. In particolare, è in contrasto con l' art. 10, nn. 1, lett. b), e 2, in base al quale l' imposta diviene esigibile (nel senso che sorge a favore dell' Erario il diritto di esigerla dal soggetto passivo) all' atto "della cessione dei beni o delle prestazioni di servizi".

10. Il signor Balocchi osserva che nel settore in cui egli opera si tende a realizzare una quota eccezionalmente elevata del giro d' affari negli ultimi giorni dell' anno, ma che buona parte della sua attività ha natura aleatoria e non è possibile prevedere il suo giro d' affari finale. Egli menziona molte altre categorie di operatori commerciali il cui giro d' affari dipende da fattori stagionali e climatici, ad esempio proprietari di hotel situati in stazioni sciistiche.

11. Secondo il signor Balocchi, l' art. 22, n. 5, della sesta direttiva, il quale consente agli Stati membri di riscuotere acconti provvisori, non può avere la prevalenza sulla chiara norma contenuta nell' art. 10, n. 2, per la quale l' IVA è esigibile al momento del compimento dell' operazione in questione. A sostegno della propria tesi il signor Balocchi si richiama alla sentenza della Corte nella causa C-42/83, Dansk Denkavit/Ministeriet for Skatter og Afgifter (Racc. 1984, pag. 2649), in cui la Corte ha parlato (nel punto 19 della motivazione) del potere normativo degli Stati membri di "determinare l' intervallo tra il fatto generatore e il pagamento dell' imposta". Secondo il signor Balocchi, l' art. 22, n. 5, consente agli Stati membri di riscuotere un pagamento a titolo di acconto, ma non un anticipo.

12. La posizione del signor Balocchi è sostenuta dalla Commissione, la quale asserisce che l' art. 10 della sesta direttiva contiene una norma chiara, con il risultato che l' imposta diviene esigibile dopo che è stata compiuta l' operazione su cui va applicata l' imposta stessa. La Commissione, come il signor Balocchi, traccia una distinzione tra il pagamento a titolo di acconto e l' anticipo. L' art. 22, n. 5, della direttiva, consente il primo ma non il secondo. Esso autorizza gli Stati membri a esigere il pagamento di una parte del debito di imposta che è effettivamente sorto, in attesa di quantificare in via definitiva il debito in un dato momento successivo. Inoltre, la Commissione si sofferma alquanto a dimostrare che le pertinenti disposizioni della sesta direttiva sono sufficientemente chiare, precise ed incondizionate perché possano essere riconosciute come direttamente efficaci.

La posizione del governo italiano

13. Il governo italiano contesta l' ammissibilità della domanda pregiudiziale. E ciò per due motivi: primo, la causa avrebbe dovuto essere promossa dinanzi ad un organo giurisdizionale specializzato nel contenzioso tributario e non dinanzi al Tribunale di Genova, che è un tribunale civile ordinario e non ha competenza in materia; secondo, la decisione di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale è stata assunta in un procedimento sommario nel quale non era stata offerta all' Erario italiano la possibilità di esprimere il proprio punto di vista.

14. Nel merito, il governo italiano afferma che la normativa italiana contestata non obbliga il contribuente a pagare l' IVA su operazioni che non hanno ancora avuto luogo. Esso precisa che il contribuente ha la scelta tra pagare il 65% dell' importo dovuto nell' anno precedente o il 65% dell' importo dovuto nell' anno corrente: se il 20 dicembre egli accerta che il suo giro d' affari è diminuito rispetto all' anno precedente, può scegliere di basare il calcolo dell' acconto da pagare sul fatturato dell' anno corrente; se, invece, il suo giro d' affari è aumentato, può basare il calcolo dell' acconto sul più ridotto giro d' affari dell' anno precedente. Il governo italiano rileva anche che la normativa italiana dà agli operatori commerciali oltre due mesi (dal 2 gennaio al 5 marzo) per effettuare la dichiarazione IVA annuale relativa al fatturato dell' anno precedente. Gli operatori commerciali che siano in credito presentano le loro dichiarazioni il prima possibile, mentre quelli che hanno un debito d' imposta verso l' Erario attendono fino all' ultimo giorno. Il governo italiano afferma che l' art. 22, n. 4, primo comma, della sesta direttiva prescrive che il termine entro il quale va presentata la dichiarazione deve essere stabilito dagli Stati membri, ma non deve superare di due mesi la scadenza di ogni periodo fiscale. La normativa italiana concede agli operatori commerciali un periodo leggermente più lungo. Nonostante l' argomento relativo a tale punto non risulti del tutto chiaro, il suo significato pratico è che la normativa contestata si limita a controbilanciare l' eccessiva liberalità della norma secondo cui le dichiarazioni annuali non devono essere presentate fino al 5 marzo. Da ultimo, il governo italiano sostiene che gli obblighi imposti dalla normativa contestata sono del tutto conformi all' art. 22, n. 5, della sesta direttiva.

15. Dovrei menzionare anche un punto sottolineato in udienza dal rappresentante del governo italiano: la normativa italiana prevede soltanto un periodo fiscale di 12 mesi e una dichiarazione IVA annuale; anche se gli operatori commerciali sono tenuti a versare l' imposta mensilmente o trimestralmente, in base al loro giro d' affari, essi non presentano una dichiarazione, ai sensi dell' art. 22, n. 4, della sesta direttiva, nel momento in cui effettuano quei pagamenti ed i periodi a cui i pagamenti si riferiscono non sono periodi fiscali separati ai sensi dell' art. 22, n. 4. In senso stretto, ciò è indubbiamente corretto, in quanto gli operatori non sono tenuti a fornire i dati dettagliati richiesti dall' art. 22, n. 4, nel momento in cui effettuano i pagamenti mensili o trimestrali di cui agli artt. 27 e 33 del decreto n. 633/72. La questione è peraltro quasi esclusivamente accademica: in base alle disposizioni da ultimo indicate l' operatore commerciale è tenuto a calcolare ed a pagare il preciso ammontare dell' imposta dovuta relativamente al mese od al trimestre precedenti; se paga meno di quanto dovuto, incorre in una pena pecuniaria che va da due a quattro volte l' importo non pagato (v. l' art. 44, secondo comma, del decreto n. 633/72). In realtà il sistema italiano si presenta molto simile ad un sistema di dichiarazioni mensili o trimestrali, con la differenza che il calcolo del saldo viene eseguito ogni dodici mesi.

Ammissibilità

16. Non penso che la domanda di pronuncia pregiudiziale possa essere ritenuta inammissibile. Non vi sono dubbi che una domanda di pronuncia pregiudiziale può essere proposta nell' ambito di procedimenti sommari: v. la causa 70/77, Simmenthal/Amministrazione delle Finanze dello Stato (Racc. 1978, pag. 1453, punti 8-11 della motivazione).

17. Nella suddetta sentenza la Corte osservò che può "eventualmente risultare necessario, nell' interesse di una buona amministrazione della giustizia, che la questione pregiudiziale sia posta solo in seguito ad un dibattito in contraddittorio". Tuttavia, la Corte giunse alla conclusione che spetta al solo giudice nazionale decidere se sia necessario sentire il convenuto prima di emettere un' ordinanza di rinvio.

18. Può essere sufficiente il richiamo a questo precedente giurisprudenziale, nonostante sia giusto ancora una volta sottolineare che in generale sarebbe meglio si procedesse al rinvio solo dopo un dibattito in contraddittorio delle parti. Ciò potrebbe consentire di enunciare con più chiarezza le questioni nell' ordinanza di rinvio, che è l' unico documento su cui debbono basarsi le osservazioni degli Stati membri e della Commissione. Nella presente causa, se fosse stato sentito il ministero delle Finanze italiano, l' ordinanza di rinvio avrebbe menzionato l' art. 22 della sesta direttiva, che è indubbiamente pertinente.

19. Il punto se il Tribunale di Genova sia competente in materia di contenzioso tributario, questa è chiaramente, dal canto suo, una questione di diritto nazionale e come tale va risolto sulla base delle procedure che il suddetto diritto nazionale prevede per simili casi. Non è consentito alla Corte di giustizia contestare una decisione assunta dal presidente del Tribunale di Genova in ordine alla competenza del suo tribunale. Se tale decisione non è corretta, va impugnata ricorrendo alle procedure che il diritto nazionale a tal fine predispone. Nella causa C-65/81, Reina/Landeskreditbank Baden-Wuerttemberg (Racc. 1982, pag. 33), in cui si contestava l' ammissibilità del rinvio alla Corte per la ragione che il giudice a quo non era ritualmente costituito, la Corte ha dichiarato (punto 7 della motivazione):

"(...) non le (alla Corte) spetta (...) accertare se il provvedimento con cui è stata adita sia stato adottato in modo conforme alle norme di organizzazione e processuali del diritto nazionale. La Corte deve quindi attenersi al provvedimento di rinvio emesso da un giudice di uno Stato membro, fino a che esso non sia stato posto nel nulla in seguito ad un' impugnazione eventualmente contemplata dal diritto nazionale".

Gli effetti della normativa italiana contestata

20. L' effetto preciso della normativa italiana contestata relativa agli operatori commerciali tenuti ad effettuare pagamenti IVA trimestrali a norma dell' art. 33 del decreto n. 633/72 è alquanto dubbio. Il significato della prima frase dell' art. 6, n. 2, della legge n. 405/90 è chiaro: gli operatori commerciali che hanno l' obbligo di effettuare pagamenti mensili ex art. 27 del suddetto decreto devono versare il 20 dicembre un acconto provvisorio pari al 65% dell' imposta da loro dovuta nel dicembre precedente (o al 65% dell' imposta a cui infine risulteranno tenuti nel corrente mese di dicembre, se quest' ultimo importo è inferiore). La cifra del 65% può essere stata scelta in quanto corrisponde quasi esattamente alla parte del mese trascorsa alla data in questione (20/31 = 64,5%). Per quanto riguarda gli operatori commerciali che effettuano versamenti trimestrali, la situazione è meno chiara. La terza frase dell' art. 6, n. 2, della legge n. 405/90 impone loro di versare un acconto provvisorio pari al 65% dell' imposta che gli stessi hanno pagato o dovrebbero avere pagato in sede di dichiarazione annuale relativa all' anno precedente (o, se inferiore, al 65% dell' importo da pagare in sede di dichiarazione relativa all' anno corrente). L' elemento principale di cui gli operatori commerciali che effettuano pagamenti trimestrali ex art. 33 del decreto n. 633/72 debbono tener conto in sede di dichiarazione annuale è l' imposta relativa all' ultimo trimestre dell' anno precedente. Inoltre, qualsiasi altra somma in eccesso relativamente all' anno precedente è pagabile in sede di dichiarazione annuale. Tuttavia, dopo l' introduzione della normativa contestata, dal versamento effettuato in sede di dichiarazione annuale verrà detratto l' importo dell' acconto provvisorio versato il 20 dicembre. (Presumibilmente, laddove la terza frase dell' art. 6, n. 2, della legge n. 405/90 si riferisce al 65% dell' importo pagabile in sede di dichiarazione annuale, intende il 65% dell' importo di regola pagabile in sede di dichiarazione annuale, senza alcuna riduzione relativa ad un qualsiasi acconto provvisorio pagato il 20 dicembre dell' anno precedente).

21. Comunque, dalle osservazioni scritte del signor Balocchi (pagg. 8 e 9) e dalle copie delle dichiarazioni annuali allegate alle sue osservazioni emerge chiaramente che la normativa contestata, nel primo anno della sua applicazione, aveva l' effetto di obbligarlo a versare il 20 dicembre 1991 un acconto pari al 65% dell' imposta pagabile per l' ultimo trimestre del 1990 (o il 65% dell' imposta che ha anticipato dovendo pagare in relazione all' ultimo trimestre del 1991). Si può rilevare che nel caso di operatori commerciali che effettuano versamenti trimestrali non risulta più applicabile la relazione aritmetica osservata in precedenza tra l' importo dell' acconto provvisorio e la parte del periodo fiscale trascorsa nel momento in cui detto acconto viene effettuato: l' ultimo trimestre dell' anno comprende 92 giorni, per cui al 20 dicembre è trascorso non meno dell' 88% del periodo (81/92 = 88%).

22. Senza entrare nel merito del preciso significato delle disposizioni italiane contestate, non sembra esservi alcun dubbio, nonostante gli argomenti del governo italiano, che tali disposizioni possano dare luogo a casi in cui l' operatore commerciale è costretto a pagare un importo che supera quanto dallo stesso effettivamente dovuto a titolo di IVA nel momento in questione. Ciò può, ad esempio, accadere se il giro d' affari dell' operatore commerciale si riduce rispetto all' anno precedente ed egli versa un acconto provvisorio pari al 65% dell' imposta pagabile nel corrispondente periodo dell' anno precedente. Anche se in un simile caso l' acconto dovrebbe basarsi in linea di principio sul minor giro d' affari dell' anno corrente, tale soluzione è illusoria, in quanto, data la variabilità dell' attività commerciale, il 20 dicembre di regola non vi è alcun modo di determinare quale sarà l' importo finale dell' IVA che l' operatore commerciale sarà tenuto a pagare alla fine dell' anno (salvo ovviamente che egli non svolga alcuna attività nel periodo dal 20 al 31 dicembre). Anche se il 20 dicembre l' attività sembra in calo, l' operatore commerciale prudente calcolerà l' acconto con riferimento ai risultati dell' anno precedente; altrimenti, se egli basasse l' acconto provvisorio sulle sue previsioni relative all' anno corrente, rischierebbe di incorrere nella soprattassa del 20% di cui all' art. 6, n. 5, della legge n. 405/90, qualora vi fosse un improvviso incremento dell' attività e l' IVA che egli fosse tenuto a pagare nel periodo corrente superasse quella dovuta nel corrispondente periodo dell' anno precedente. Benché in udienza l' agente del governo italiano abbia affermato che la normativa italiana sull' IVA consente all' Erario di non riscuotere la soprattassa nel caso di un errore commesso in buona fede, non sembra vi sia alcun obbligo legale per cui esso debba fare uso del suo potere discrezionale in favore dell' operatore commerciale.

23. Un' altra situazione in cui l' operatore commerciale può dover pagare, in conseguenza della normativa contestata, un importo IVA che supera quello da lui dovuto nel momento in questione, si presenta qualora negli ultimi 11 giorni dell' anno realizzi una quota eccezionalmente elevata del suo giro d' affari. L' esempio fornito dal signor Balocchi dell' hotel nella stazione sciistica è conferente. Se non nevica nella prima metà di dicembre, l' attività può essere molto fiacca; ma se nevica abbondantemente alla metà del mese, l' hotel può funzionare al pieno delle sue capacità nel periodo delle vacanze alla fine dell' anno. Entro il 20 dicembre, il proprietario può essere in grado di calcolare, con un sufficiente grado di precisione, l' ammontare dell' IVA che egli dovrà per l' ultimo mese o trimestre dell' anno (se l' hotel è al completo) e può versare un acconto provvisorio calcolato su tale base, nel qual caso è probabile che si trovi a pagare un importo che supera quello dell' IVA che egli effettivamente deve il 20 dicembre.

24. La questione a cui occorre dare risposta è quindi se ed entro quali limiti sia conforme con le pertinenti disposizioni della sesta direttiva l' obbligo a carico degli operatori commerciali di pagare un acconto provvisorio dell' IVA che può essere superiore all' IVA dagli stessi effettivamente dovuta al momento del pagamento, tenendo ovviamente sempre presente che essi hanno il diritto a vedersi rimborsato ogni pagamento in eccesso quando presentano la loro dichiarazione annuale. Prima di cercare di rispondere alla suddetta questione prenderò anzitutto in esame gli argomenti presentati in udienza da parte del Regno Unito a sostegno della sua normativa recentemente introdotta, in cui è del pari previsto in alcuni casi l' obbligo di versare acconti provvisori dell' IVA.

La struttura dei pagamenti a titolo di acconto nel Regno Unito

25. Il Regno Unito spiega che esso non ha presentato osservazioni scritte poiché, basandosi sul tenore dell' ordinanza di rinvio, non ha ritenuto che le questioni sottoposte dal giudice italiano potessero avere delle implicazioni in ordine alla validità della normativa recentemente introdotta nel Regno Unito. Esso era tuttavia rappresentato in udienza ed i sistemi vigenti nel Regno Unito per la riscossione dell' IVA sono stati esaurientemente illustrati alla Corte. E' ovvio che la validità della normativa del Regno Unito non costituisce oggetto di questo procedimento, ma vale la pena di svolgere un' accurata analisi della suddetta normativa per le utili indicazioni che essa fornisce in merito alle questioni sollevate nella presente causa.

26. La normativa IVA del Regno Unito prevede in linea di massima dichiarazioni trimestrali e pagamenti trimestrali. Le dichiarazioni vanno presentate e l' IVA va assolta nel mese successivo alla scadenza di ogni trimestre. Nel 1991 il governo del Regno Unito annunciava la proposta di imporre ai maggiori contribuenti l' obbligo di effettuare dichiarazioni mensili. La proposta provocò una forte opposizione da parte degli operatori commerciali interessati, in particolare per gli ulteriori oneri amministrativi che le dichiarazioni mensili avrebbero comportato. Il governo quindi decise di lasciare inalterato il sistema delle dichiarazioni trimestrali e di obbligare i maggiori contribuenti ad effettuare pagamenti mensili a titolo di acconto.

27. Le necessarie modifiche vennero apportate dalla Value Added Tax (Payments on Account) (N. 2) Order 1992. Per ciascuno dei primi due mesi del trimestre il contribuente effettua un pagamento a titolo di acconto. La dichiarazione trimestrale viene quindi fatta nel modo normale ed il saldo dell' IVA dovuta per il trimestre è pagato in quel momento. Ogni pagamento a titolo di acconto va fatto ogni mese per il mese precedente. Così, se il periodo fiscale trimestrale va dal 1 gennaio al 31 marzo, il primo pagamento a titolo di acconto viene effettuato alla fine di febbraio, il secondo pagamento a titolo di acconto alla fine di marzo e, quindi, il saldo dovuto relativamente all' intero trimestre è pagato alla fine di aprile.

28. I pagamenti a titolo di acconto sono calcolati con riguardo all' IVA totale pagabile dall' operatore commerciale nel periodo di un anno che scade sei mesi prima dell' inizio del trimestre a cui si riferiscono i pagamenti. Ogni pagamento a titolo di acconto è pari a un dodicesimo dell' IVA totale pagabile nel suddetto periodo di riferimento. Qualora si manifestino modifiche della situazione tali da avere una significativa incidenza sull' IVA che l' operatore commerciale deve pagare e questi possa dimostrare che l' ammontare dell' imposta pagabile nell' anno corrente sarà inferiore all' 80% dell' ammontare pagabile nell' anno di riferimento, i pagamenti a titolo di acconto saranno ridotti di conseguenza. Inoltre, l' operatore commerciale, che ritenga il regime testé descritto inadeguato al tipo di attività che egli svolge, può optare per un sistema di dichiarazioni mensili, nel qual caso non sarà tenuto ad effettuare pagamenti a titolo di acconto.

29. In udienza l' agente del Regno Unito ha affermato che il sistema britannico dei pagamenti a titolo di acconto nel Regno Unito è compatibile con la sesta direttiva, in particolare perché nell' art. 22, n. 5, di quest' ultima sono specificamente consentiti acconti provvisori. A parere del Regno Unito, il fine a cui è integralmente rivolto l' art. 22, n. 5, è di concedere la possibilità di riscuotere l' ammontare stimato dell' IVA dovuta dall' operatore commerciale senza richiedere l' effettuazione dei complessi calcoli a cui si dovrà procedere alla fine del periodo fiscale: tale fine, si afferma, verrebbe compromesso se gli acconti provvisori potessero essere imposti solo una volta accertato l' esatto importo dell' IVA dovuta dall' operatore commerciale.

30. A fini di completezza si può notare che, in base alle informazioni fornite dalla Commissione in risposta ad un quesito della Corte, altri tre Stati membri ° il Belgio, la Francia ed il Lussemburgo ° in alcuni casi prevedono acconti provvisori basati sull' ammontare dell' imposta pagabile nei periodi precedenti.

La legittimità degli acconti provvisori in base alla sesta direttiva

31. L' art. 10, n. 2, della sesta direttiva dispone che "l' importo diviene esigibile all' atto della cessione di beni o della prestazione di servizi". Ai sensi dell' art. 10, n. 1, lett. b), con il termine "esigibile" si intende "il diritto che l' Erario può far valere a norma di legge, a partire da un dato momento, presso il debitore, per il pagamento dell' imposta, anche se il pagamento può essere differito". Per il signor Balocchi e per la Commissione da tali disposizioni si evince che, nonostante la lettera dell' art. 22, n. 5, non vi è alcun caso in cui si possa imporre agli operatori commerciali di effettuare un pagamento a titolo di acconto il quale si risolva nel dover versare un acconto IVA relativo ad operazioni che non hanno ancora avuto luogo. Nonostante la lettera dell' art. 10, almeno ad una lettura superficiale, sembri avvalorare questa tesi, a mio avviso il criterio seguito dal signor Balocchi e dalla Commissione è sbagliato. Detto criterio è basato sull' assunto che l' operatore commerciale contabilizza l' IVA separatamente per ogni specifica prestazione che esegue. La realtà è ovviamente assai diversa: l' accertamento dell' IVA dovuta dall' operatore commerciale presuppone una complessa operazione contabile in cui è necessario: a) individuare le prestazioni soggette ad imposta effettuate in un particolare periodo fiscale e sommare gli importi dell' IVA posti a carico dei clienti dell' operatore commerciale (imposta a valle); b) individuare le prestazioni soggette ad imposta effettuate a favore dell' operatore commerciale da altri soggetti passivi nello stesso periodo e sommare i corrispondenti importi dell' IVA posti a carico dell' operatore commerciale dalle persone che hanno eseguito le prestazioni (imposta a monte); c) detrarre l' ammontare dell' imposta a monte da quello dell' imposta a valle: la differenza tra le due costituisce l' importo che l' operatore commerciale deve versare all' Erario per il periodo in questione (o che ha diritto di farsi rimborsare dall' Erario se l' imposta a monte supera l' imposta a valle).

32. E' dunque chiaro che l' art. 10 della sesta direttiva non ha la funzione di determinare il momento in cui va pagata all' Erario l' imposta esigibile su un' operazione specifica. Esso riguarda la data in cui sorge il debito fiscale, non la data in cui l' imposta è pagabile. La sua funzione essenziale è di stabilire di quali operazioni occorra tener conto relativamente ad ogni periodo fiscale.

33. Ne consegue che una normativa del tipo in questione non può essere in contrasto con la sesta direttiva per le sole ragioni addotte dal signor Balocchi e dalla Commissione. Con questo, tuttavia, non abbiamo ancora concluso l' analisi sul punto. Dalla struttura della direttiva è chiaro che in via di principio l' IVA si paga ex post. Questo principio può essere dedotto dall' art. 22, nn. 4 e 5, in combinato disposto con gli artt. 10, 17 e 18. Così, la norma generale è che l' operatore commerciale paga l' importo alla presentazione della dichiarazione (art. 22, n. 5). La dichiarazione si presenta dopo la scadenza di ogni periodo fiscale, entro un termine che è fissato da ciascuno Stato membro ma che non supera i due mesi (art. 22, n. 4, primo comma). Nella dichiarazione devono figurare tutti i dati necessari ad accertare l' importo dell' imposta esigibile e quello delle deduzioni da operarsi (art. 22, n. 4, secondo comma). L' imposta esigibile è quella pagabile dal cliente dell' operatore commerciale per la cessione dei beni o la prestazione dei servizi nel corso del periodo fiscale in questione (art. 10, n. 2). Le deduzioni da operarsi sono quelle relative all' imposta pagabile dall' operatore commerciale per le prestazioni che ha ricevuto da altri soggetti passivi nel corso del periodo in questione (artt. 17, n. 1, e 18, n. 2). La norma generale è quindi che ogni operatore commerciale paga l' IVA sulla base del fatturato ottenuto in un periodo fiscale interamente trascorso al momento del pagamento. Una normativa nazionale che sia orientata in senso contrario a tale norma generale, in quanto impone agli operatori commerciali di liquidare una parte dell' IVA da loro dovuta relativamente ad un particolare periodo fiscale prima della scadenza del suddetto periodo, può essere legittima solo se ricade nell' ambito di applicazione della parte finale della seconda frase dell' art. 22, n. 5, che concede agli Stati membri la possibilità della "riscossione di acconti provvisori".

34. Non ho dubbi che tale disposizione consenta agli Stati membri, entro alcuni limiti che cercherò di definire, di effettuare una valutazione provvisoria dell' IVA dovuta dall' operatore commerciale prima della fine del periodo fiscale, quando non è ancora possibile accertare in via definitiva gli importi da questo effettivamente dovuti, e di riscuotere un pagamento a titolo di acconto commisurato alla valutazione stessa. Come il governo italiano ha affermato in udienza, nel campo dell' IVA l' operatore commerciale agisce come una specie di esattore dell' imposta per conto dello Stato. Poiché gli operatori commerciali liquidano l' IVA ex post in base al sistema istituito dalla sesta direttiva, essi possono accumulare o detenere una quantità estremamente rilevante di denaro pubblico nel corso del periodo fiscale (in particolare, se lo Stato membro fissa un periodo fiscale relativamente lungo, come può fare a norma dell' art. 22, n. 4). E' del tutto giustificato imporre agli operatori commerciali, in particolare a quelli con un grosso giro d' affari, di pagare una parte di tale denaro all' Erario prima di accertare esattamente quanto dovuto dagli stessi alla fine del periodo fiscale. A mio avviso ciò spiega perché l' art. 22, n. 5, autorizza gli Stati membri a riscuotere acconti provvisori.

35. Tale interpretazione trova sostegno nel testo dell' art. 22, n. 5. Così, la prima frase di tale disposizione contiene la norma fondamentale che l' IVA si paga al momento della presentazione della dichiarazione. Nella seconda frase la portata di tale norma viene ridotta laddove si prevede che "gli Stati membri possono tuttavia stabilire un' altra scadenza per il pagamento di questo importo (...)". Con ciò si deve intendere una data successiva a quella fissata per la presentazione della dichiarazione, poiché è grazie alla dichiarazione che va calcolato l' importo stesso. Ma la seconda frase dell' art. 22, n. 5, aggiunge a quel punto le parole "(...) o per la riscossione di acconti provvisori". Con queste parole sembra sia data agli Stati membri un' ulteriore possibilità di riscuotere un pagamento prima della presentazione della dichiarazione. Tale pagamento sarebbe "a titolo di acconto" o di carattere provvisorio, nel senso che l' importo definitivo non risulterebbe conosciuto fino alla presentazione della dichiarazione. Il pagamento sarebbe perciò basato su una stima.

36. Si potrebbe sostenere che la scelta a favore della riscossione di acconti provvisori può valere solo fra la fine del periodo fiscale e la data in cui va presentata la dichiarazione e che l' art. 22, n. 5, non ammette in alcun caso la riscossione di acconti provvisori prima della fine del periodo fiscale. A mio avviso, una simile interpretazione sarebbe inutilmente restrittiva. In primo luogo, dopo la scadenza del periodo fiscale l' esigenza di riscuotere acconti provvisori è molto più ridotta. In questa fase o immediatamente dopo, dovrebbero essere a disposizione tutti i dati in ordine all' imposta a monte ed all' imposta a valle dell' operatore commerciale nel periodo pertinente e può essere calcolato l' importo da quest' ultimo effettivamente dovuto. Sarebbe molto strano se non si potessero riscuotere acconti provvisori fino ad un momento in cui la giustificazione obiettiva per gli stessi è ampiamente ridotta. In secondo luogo, se l' acconto provvisorio è calcolato con riferimento all' ammontare stimato dell' imposta dovuta dall' operatore commerciale in un periodo precedente, il semplice fatto che non sia riscosso fino a dopo la scadenza del periodo in relazione al quale è versato non garantisce che esso non supererà quanto dallo stesso operatore effettivamente dovuto nel momento in questione. In terzo luogo, poiché la reale giustificazione degli acconti provvisori è di evitare che dei privati accumulino e detengano rilevanti quantità di denaro pubblico, in particolare quando sono stabiliti lunghi periodi fiscali, sarebbe compromesso l' intero fine degli acconti provvisori se questi potessero essere riscossi solo alla fine del periodo fiscale.

37. Una volta ammesso che gli acconti provvisori possono essere basati sull' ammontare dell' imposta che si stima dovuta dall' operatore commerciale, è difficile pensare ad un metodo di valutazione più adeguato di quello basato sull' imposta effettivamente dovuta dall' operatore commerciale nell' anno precedente. Una convincente indicazione nel senso che un tale metodo rientra nella previsione dell' art. 22, n. 5, è data dall' uso dell' espressione acomptes provisionnels (acconti provvisori) nella versione francese, che sembra essere un termine tecnico del diritto tributario francese; esso si riferisce a pagamenti a carattere provvisorio dell' imposta, il cui importo è calcolato con riferimento a quanto dovuto dal contribuente nel precedente anno fiscale (v. Manuel de droit fiscal, di G. Gest e G. Tixier, 4ª edizione, Parigi 1986, pag. 300; v. anche il dizionario Petit Robert, il quale definisce "acompte provisionnel" un pagamento a titolo di acconto "definito in relazione alle imposte dell' anno precedente e pagato in anticipo").

38. Qualsiasi metodo di valutazione venga usato, è ovviamente possibile, data la variabilità dell' attività commerciale, che un acconto provvisorio basato sull' ammontare stimato dell' imposta superi quanto effettivamente dovuto dall' operatore commerciale al momento del pagamento. Al fine di evitare eccessive deroghe alla norma generale secondo cui l' IVA si paga ex post, è perciò necessario porre alcuni limiti al potere degli Stati membri, di cui all' art. 22, n. 5, di riscuotere un acconto provvisorio basato sull' ammontare stimato dell' imposta dovuta dall' operatore commerciale. A mio parere, una normativa nazionale che preveda la riscossione di acconti provvisori deve essere strutturata in modo tale che gli operatori commerciali non siano obbligati a versare acconti provvisori per i quali esista la possibilità che superino in modo rilevante quanto dagli operatori stessi effettivamente dovuto a titolo di imposta nel momento in cui i pagamenti vengono fatti.

39. Per le ragioni che ho illustrato in precedenza (nei paragrafi 22 e 23), appare inevitabile che la normativa italiana contestata possa dare luogo ad alcune situazioni ° situazioni, inoltre, non necessariamente inusuali o atipiche ° in cui gli operatori commerciali siano tenuti a versare un acconto provvisorio che supera, magari in modo rilevante, l' ammontare dell' IVA da essi effettivamente dovuta nel momento in questione.

40. Si consideri ad esempio la situazione di un operatore commerciale che effettua pagamenti mensili dell' IVA a norma dell' art. 27 del decreto n. 633/72. Il 20 dicembre, quando è trascorso il 64,5% del mese, egli deve versare un acconto provvisorio pari al 65% dell' imposta pagabile nel mese corrispondente dell' anno precedente. Perfino un modesto calo del giro d' affari può tradursi in un acconto provvisorio che supera quanto dovuto per l' IVA alla data del 20 dicembre. Allo stesso risultato si può giungere se una quota eccezionalmente elevata del giro d' affari viene realizzata negli ultimi 11 giorni dell' anno. Nel caso di un operatore commerciale che effettua versamenti trimestrali dell' IVA a norma dell' art. 33 del decreto n. 633/72, è forse un po' meno probabile, ma niente affatto impossibile, che l' acconto provvisorio superi quanto effettivamente dovuto dall' operatore commerciale nel momento in questione. Se l' acconto provvisorio superasse l' ammontare effettivamente dovuto di un modesto importo, ciò potrebbe andare esente da critiche; tuttavia non vi è alcun meccanismo nella normativa italiana contestata per limitare il potenziale divario tra l' acconto provvisorio e l' ammontare effettivamente dovuto dall' operatore commerciale, divario che potrebbe facilmente risultare notevole. Non vedo come una normativa nazionale, atta a produrre risultati contrastanti con la struttura essenziale della sesta direttiva, possa essere ammissibile a norma dell' art. 22, n. 5, della direttiva.

41. Non vedo neanche come si possa rendere la normativa contestata compatibile con la sesta direttiva per via del fatto che all' operatore commerciale è concesso basare il suo acconto provvisorio sul fatturato effettivo ottenuto nel periodo fiscale in questione. Come ho già osservato, la scelta offerta all' operatore commerciale è illusoria, poiché nella maggioranza dei casi egli non può sapere il 20 dicembre quale sarà l' ammontare effettivo dell' IVA alla fine dell' anno e non può quindi sapere se incorrerà nella soprattassa del 20% qualora sottostimi l' ammontare effettivo da lui dovuto.

42. In udienza il governo italiano ha sostenuto che l' art. 48, ultimo comma, del decreto n. 633/72, autorizza l' Erario a non applicare la soprattassa se l' operatore commerciale ha commesso in buona fede errore nei calcoli. Questo articolo, il quale prevede che gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull' ambito di applicazione delle disposizioni di cui trattasi, ha carattere discrezionale e a mio avviso non offre sufficienti garanzie che l' operatore commerciale in buona fede non incorra nella soprattassa. Comunque, dal testo della disposizione non sembra che questa trovi applicazione nel caso di un operatore commerciale che sottostimi quanto da lui dovuto a titolo di IVA in conseguenza di incertezze circa il suo futuro volume d' affari; al contrario, sembra che riguardi ° il che non manca forse di suscitare qualche sorpresa ° errori dovuti ad incertezze circa il significato della normativa italiana sull' IVA.

43. Prima di concludere, desidero commentare brevemente la normativa del Regno Unito, anche se non è oggetto di questa causa, in quanto i punti su cui differisce da quella italiana servono a chiarire gli aspetti sotto i quali quest' ultima appare incompatibile con la sesta direttiva. Si possono notare le seguenti differenze.

44. In primo luogo, nell' applicazione della normativa inglese è molto meno probabile che gli acconti superino quanto effettivamente dovuto a titolo di IVA dall' operatore commerciale nel momento in cui vengono effettuati. Qui va ricordato che il primo acconto provvisorio è riscosso quando sono trascorsi due terzi del trimestre ed è pari ad un dodicesimo dell' ammontare effettivo dell' imposta dovuta dall' operatore commerciale nell' anno precedente. Il secondo acconto provvisorio, pari allo stesso importo, è riscosso alla fine del trimestre. L' unica ipotesi in cui l' acconto provvisorio potrebbe superare quanto effettivamente dovuto dall' operatore commerciale nel momento in questione è quella in cui il suo giro d' affari avesse subito un serio calo o fosse soggetto a notevoli fluttuazioni in conseguenza di fattori stagionali (ad esempio se l' attività è sospesa durante l' inverno).

45. In secondo luogo, se l' operatore commerciale può convincere l' amministrazione che l' IVA da lui dovuta nell' anno corrente sarà inferiore all' 80% dell' importo pagabile nel periodo di riferimento di 12 mesi, l' acconto provvisorio sarà ridotto di conseguenza.

46. In terzo luogo, se un operatore commerciale ritiene svantaggioso per la sua attività il pagamento di acconti provvisori, ha la possibilità di passare dal regime delle dichiarazioni trimestrali a quello delle dichiarazioni mensili, nel qual caso egli non avrà alcun obbligo di effettuare acconti provvisori.

47. In quarto luogo, il sistema del Regno Unito riguarda solo i grandi operatori commerciali che effettuano dichiarazioni trimestrali. Nel caso di tali operatori commerciali è più giustificato imporre acconti provvisori, in quanto altrimenti essi conserverebbero somme alquanto rilevanti di denaro pubblico per periodi relativamente lunghi. La normativa italiana contestata, all' opposto, si applica anche agli operatori commerciali con un giro d' affari riconosciuto basso (come nel caso del signor Balocchi) e ad operatori commerciali tenuti ad effettuare pagamenti mensili dell' IVA basati sull' ammontare da loro effettivamente dovuto. Non risulta assolutamente chiaro come si possa giustificare l' imposizione di acconti provvisori ai piccoli operatori commerciali ed agli operatori commerciali che liquidano quanto da loro effettivamente dovuto ogni mese entro il 20 del mese successivo.

48. A questo proposito sarebbe inutile per il governo italiano sostenere che la sua normativa prevede solo dichiarazioni annuali. Come ho rilevato in precedenza (v. paragrafo 15), il sistema italiano è in realtà appena distinguibile da un sistema di dichiarazioni mensili o trimestrali. In senso stretto, ovviamente, se si segue l' opinione espressa dal governo italiano, solo il pagamento effettuato in marzo in sede di dichiarazione annuale rientra nella previsione dell' art. 22, n. 5, prima frase, della direttiva; i pagamenti mensili o trimestrali imposti dagli artt. 27 e 33 del decreto n. 633/72 sono essi stessi acconti provvisori in base alla seconda frase dell' art. 22, n. 5, nel qual caso l' acconto provvisorio di cui all' art. 6, n. 2, della legge n. 405/90 equivale, come ha sostenuto la Commissione, ad un acconto sull' acconto. La giustificazione di una simile pratica è estremamente dubbia.

49. Senza tener conto di tale peculiarità, giungo alla conclusione che una normativa del tipo in questione, in quanto impone ad un operatore commerciale di versare un acconto provvisorio che può risultare largamente superiore all' importo da lui effettivamente dovuto nel momento in cui il pagamento è effettuato, è incompatibile con la sesta direttiva.

L' efficacia diretta

50. Come rileva la Commissione, fin dalla sentenza nella causa C-8/81, Becker/Finanzamt Muenster-Innenstadt (Racc. 1982, pag. 53, in particolare punti 29 e 30 della motivazione) si è riconosciuto che, per quanto gli Stati membri godano di una libertà relativamente ampia nell' attuazione di alcune disposizioni della sesta direttiva, i singoli possono nondimeno far valere, dinanzi ai giudici nazionali, le disposizioni della direttiva che sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate. Mi sembra che le pertinenti disposizioni degli artt. 10, 17, 18 e 22 della direttiva soddisfino tali criteri in quanto l' effetto risultante dall' applicazione congiunta degli stessi è di stabilire il principio che l' IVA non è pagabile in anticipo e che l' importo degli acconti provvisori riscossi non può essere tale per cui sia probabile che superi in modo rilevante l' ammontare dell' imposta effettivamente dovuta dall' operatore commerciale nel momento in questione.

Conclusioni

51. Conseguentemente, sono dell' avviso che alle questioni sottoposte dal presidente del Tribunale di Genova si dovrebbe rispondere in questi termini:

"Le disposizioni di un diritto nazionale che impongano ad un operatore commerciale di versare un acconto provvisorio dell' imposta sul valore aggiunto, che può superare in modo rilevante l' ammontare dell' imposta da lui effettivamente dovuta nel momento in cui il pagamento è eseguito, sono incompatibili con le disposizioni della sesta direttiva sull' imposta sul valore aggiunto (direttiva del Consiglio 77/388/CEE). Gli operatori commerciali tenuti a versare tali acconti provvisori possono far valere le pertinenti disposizioni della sesta direttiva nei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali".

(*) Lingua originale: l' inglese.

(1) ° Tuttavia, gli operatori commerciali che affidano a terzi la tenuta della contabilità, possono calcolare il pagamento mensile facendo riferimento alle annotazioni eseguite nel registro IVA il secondo mese precedente: v. art. 27, primo comma, seconda frase del decreto n. 633/72. La frase è stata aggiunta all' art. 27 dall' art. 1, n. 5, lett. c), del decreto legge 13 maggio 1991, n. 151.

(2) ° In forza dell' art. 1, n. 6, del decreto legge 13 maggio 1991, n. 151, l' importo è elevato al 70% per gli operatori commerciali che si sono avvalsi della disposizione di cui alla precedente nota 1.