C-96/08 - CIBA

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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 17 dicembre 2009 1(1)

Causa C‑96/08

CIBA Speciality Chemicals Central and Eastern Europe Szolgáltató, Tanácsadó és Kereskedelmi Kft.

contro

Adó‑ és Pénzügyi Ellenőrzési Hivatal Hatósági Főosztály Észak‑magyarországi Kihelyezett Hatósági Osztály

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pest Megyei Bíróság (Ungheria)]

«Fiscalità – Libertà di stabilimento – Calcolo del prelievo fiscale in base ai costi salariali dei lavoratori, compresi i lavoratori che operano in una succursale avente sede in un altro Stato membro»





1.        Nel caso di specie vengono sollevate due questioni delicate. La prima concerne la misura in cui la competenza degli Stati membri in materia di imposte dirette è delimitata dal Trattato CE (2). La seconda riguarda il ruolo della Corte nell’eliminazione delle doppie imposizioni (3). Il Pest Megyei Bíróság (Tribunale provinciale di Pest) ha chiesto se gli artt. 43 CE e 48 CE ostino alla riscossione, da parte delle autorità tributarie ungheresi, di un «onere contributivo relativo alla formazione professionale» (in prosieguo: l’«onere contributivo») calcolato sulla base dei costi salariali tenendo in considerazione il numero dei dipendenti, compresi i lavoratori che svolgono l’attività lavorativa in una succursale situata in un altro Stato membro, nel caso in cui l’impresa provveda agli adempimenti tributari e previdenziali per tali dipendenti.

 Contesto normativo

 Il Trattato CE

2.        L’art. 43 CE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. L’art. 48 CE prevede che tale divieto sia applicabile anche alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, che devono essere equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri (4).

 La convenzione bilaterale

3.        Come suggerisce il nome stesso, la Convenzione tra la Repubblica d’Ungheria e la Repubblica ceca, diretta a evitare la doppia imposizione e a prevenire l’evasione fiscale in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio (5) (in prosieguo: la «convenzione bilaterale»), disciplina sia la riscossione fiscale, sia l’esenzione fiscale, qualora persone o società siano potenzialmente soggette a tassazione in entrambi gli Stati firmatari.

4.        Gli artt. 1 e 2 della Convenzione bilaterale del 1996 (6) stabiliscono che questa si applica alle persone residenti in Ungheria, nella Repubblica ceca o in entrambi gli Stati, e alle imposte sul reddito e sul patrimonio, incluse le imposte sull’importo globale degli stipendi o dei salari pagati delle imprese.

Normativa ungherese pertinente

5.        Uno degli obiettivi menzionati nell’art. 1 della Legge LXXXVI del 2003 sull’onere contributivo relativo alla formazione professionale e sugli aiuti per lo sviluppo della formazione è consentire alle persone di acquisire qualificazioni riconosciute dalle autorità ungheresi e necessarie per svolgere un’attività o una professione nell’ambito del personale.

6.        Ai sensi dell’art. 2, le imprese aventi sede in Ungheria sono tenute a versare l’onere contributivo. Le persone giuridiche con sede all’estero sono altresì tenute a versare l’onere contributivo, qualora dispongano di una filiale ungherese.

7.        Ai sensi dell’art. 3, la base di calcolo dell’onere contributivo è costituita dai costi salariali, come definiti dalla normativa ungherese (Legge C del 2000 sulla contabilità).

8.        Un’impresa che scelga di versare l’onere contributivo direttamente alle autorità tributarie è tenuta ad assolvere la totalità dell’imposta dovuta. Tuttavia, l’art. 4, nn. 1 e 2, della Legge LXXXVI prevede che un’impresa organizzi i propri affari in modo da ridurre le proprie passività lorde (in prosieguo: lo «strumento di compensazione»). Un’impresa che intenda avvalersi dello strumento di compensazione può scegliere tra quattro opzioni: i) stipulare un accordo di cooperazione con un istituto di istruzione superiore che integri i requisiti della Legge LXXXVI del 1993 sulla formazione professionale, ii) stipulare un contratto di «apprendistato» per una formazione pratica, comprendente un «tirocinio» seguito da un periodo di addestramento presso una scuola di formazione tecnica, iii) concedere un contributo per lo sviluppo ad un istituto di formazione professionale e iv) concludere un contratto con un organismo autorizzato, per provvedere alla formazione dei propri dipendenti (7).

 Causa principale e questione pregiudiziale

9.        La CIBA Speciality Chemicals Central and Eastern Europe Szolgáltató, Tanácsadó és Kereskedelmi Kft. (in prosieguo: la «CIBA») è una società commerciale avente sede in Ungheria, operante nel settore della chimica. Essa dispone di una succursale nella Repubblica ceca, dove opera una parte dei suoi dipendenti. La CIBA provvede nella Repubblica ceca agli adempimenti tributari e previdenziali per i dipendenti che operano in tale Stato.

10.      L’autorità tributaria ungherese, l’Adó‑ és Pénzügy Ellenőrzési Hivatal (in prosieguo: l’«APEH»), ha effettuato un’ispezione fiscale presso la CIBA con riferimento agli esercizi 2003 e 2004. L’APEH ha constatato che la dichiarazione d’imposta della CIBA risultava insufficiente con riferimento a tale periodo. Questo perché, nel calcolare l’ammontare dell’onere contributivo dovuto, la CIBA non aveva tenuto conto sia dei costi salariali totali Ungheria, sia di quelli della sua filiale nella Repubblica ceca.

11.      La CIBA ha proposto ricorso dinanzi al Pest Megyei Bíróság, sostenendo di avere già versato, nella Repubblica ceca, un tributo analogo all’onere contributivo ungherese relativo alla formazione professionale, con riferimento ai propri dipendenti cechi (8).

12.      Il Pest Megyei Bíróság ha ritenuto che, ai sensi della legislazione nazionale, la CIBA fosse tenuta a corrispondere l’onere contributivo in Ungheria con riferimento sia ai dipendenti della sua filiale nella Repubblica ceca, sia con riferimento ai suoi dipendenti in Ungheria. Tale giudice, sebbene abbia ritenuto che la CIBA avesse effettivamente versato i contributi previdenziali e l’onere contributivo relativo alla formazione professionale nella Repubblica ceca dal 1° aprile 2000 al 22 agosto 2006, ha reputato che tale pagamento dell’onere contributivo in Ungheria non rientrasse nell’ambito di applicazione della convenzione bilaterale.

13.      Tuttavia, il tribunale ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se una norma ai sensi della quale una società commerciale avente sede in Ungheria è tenuta a versare oneri contributivi relativi alla formazione professionale anche qualora assuma lavoratori nella sua succursale estera e, a motivo di tale attività lavorativa, provveda agli adempimenti tributari e previdenziali nello Stato della succursale, sia censurabile in base all’interpretazione del principio della libertà di stabilimento, previsto agli artt. 43 e 48 CE».

14.      Hanno presentato osservazioni scritte la CIBA, il governo ungherese e la Commissione. Le tre parti, insieme al Regno Unito, hanno svolto le loro difese orali all’udienza.

 Analisi

15.      La CIBA sostiene che, a seguito dell’adesione dell’Ungheria all’Unione Europea, il 1° maggio 2004 (9), l’obbligo di versare l’onere contributivo relativo alla formazione professionale è incompatibile con il principio della libertà di stabilimento. Tale obbligo sanziona le imprese ungheresi che esercitano una libertà fondamentale garantita dal Trattato, per il fatto di essere tenute a corrispondere due volte un onere contributivo analogo per gli stessi lavoratori: alle autorità tributarie ungheresi (perché la società madre ha sede in Ungheria) e alle autorità tributarie ceche (perché la filiale ha sede nella Repubblica ceca) (10). La CIBA sostiene che ciò limita la libertà di stabilimento garantita dagli artt. 43 CE e 48 CE.

 Cos’è esattamente l’onere contributivo?

16.      Le parti contraenti sono in disaccordo sul fatto che l’onere contributivo relativo alla formazione professionale sia un’imposta. Come debba essere correttamente qualificato l’onere contributivo è chiaramente connesso alla questione se esso rientri nell’ambito di applicazione della competenza degli Stati membri in materia di imposizione diretta che, a sua volta, determina la misura in cui la CIBA può fare riferimento agli artt. 43 CE e 48 CE per far valere l’illegittimità della doppia imposizione che è tenuta a corrispondere.

17.      I governi ungherese e del Regno Unito sostengono che l’onere contributivo è un’imposta. La determinazione della base di calcolo rientra pertanto nella competenza fiscale degli Stati membri. Il fatto che la doppia imposizione sorga a seguito dell’obbligo di versare sia l’onere contributivo relativo alla formazione professionale in Ungheria, sia un’imposta comparabile nella Repubblica ceca, è semplicemente la conseguenza del fatto che due Stati membri esercitano la loro sovranità fiscale in parallelo. Per tale motivo non può costituire una restrizione ai sensi degli artt. 43 CE e 48 CE.

18.      La CIBA sostiene che l’onere contributivo non è tecnicamente un’imposta e che la doppia imposizione costituisce effettivamente una restrizione ai fini degli artt. 43 CE e 48 CE.

19.      La Commissione sostiene che l’onere contributivo è ciò che essa descrive come imposta «particolare», che costituisce nondimeno un ostacolo alla libertà di stabilimento, poiché la CIBA è obbligata a versare un’imposta analoga nella Repubblica ceca, sulla base dei costi salariali dei dipendenti. All’udienza la Commissione ha ampliato tale tesi, spiegando che considera l’onere contributivo un’imposta «particolare», poiché esiste un nesso diretto tra l’imposta riscossa e il vantaggio fornito dallo Stato: i fondi raccolti attraverso l’onere contributivo vengono destinati dal governo ungherese espressamente alla formazione professionale. La Commissione ritiene che esso si differenzi (ad esempio) dalla tassa sulle società, dove non è possibile stabilire siffatto nesso diretto tra i proventi derivati dall’imposta e gli scopi ai quali possono essere destinati. Pertanto, la Commissione ritiene che, nell’ambito della libertà di stabilimento, la Corte debba applicare per analogia i principi già applicabili ai sensi dell’art. 49 CE (libera prestazione dei servizi), allo scopo di eliminare l’ostacolo alla libera circolazione.

20.      È evidente che l’onere contributivo non presenta le caratteristiche di una tassa sulle società o di un’imposta sul reddito, nei limiti in cui non grava su una fonte di utili o di reddito (11). Piuttosto, esso viene calcolato basandosi sui costi salariali – una spesa. Inoltre, viene imposto per uno scopo specifico e, precisamente, per finanziare il programma di formazione professionale in Ungheria.

21.      Detto questo, sebbene l’onere contributivo venga riscosso per tale scopo, la CIBA non ha dimostrato (né ciò è stato accertato dal giudice nazionale) l’esistenza di un nesso diretto tra il debito fiscale e ciascuno dei servizi forniti dallo Stato ad un singolo datore di lavoro a beneficio dei suoi dipendenti.

22.      Ritengo, pertanto, che l’onere contributivo costituisca una partecipazione finanziaria dei datori di lavoro, riscossa per finanziare la formazione professionale in generale, ma che non esista un nesso diretto tra l’onere contributivo versato e il vantaggio conseguito da tale datore di lavoro con riferimento ai propri dipendenti.

23.      Per quanto concerne l’onere contributivo versato nella Repubblica ceca, le informazioni di cui dispone la Corte non consentono di accertarne la natura.

24.      Il giudice nazionale reputa che l’onere contributivo in Ungheria non rientri nell’ambito di applicazione della convenzione bilaterale. Pertanto, (e nonostante il provato pagamento di un equivalente onere contributivo nella Repubblica ceca) la doppia imposizione non è eliminata dall’operatività di tale convenzione nel modo in cui sono eliminate talune altre imposte dirette.

25.      Non è stata finora adottata, nell’ambito del diritto comunitario, alcuna misura di unificazione o armonizzazione intesa ad eliminare le situazioni di doppia imposizione (12). Pertanto, l’obbligo di pagare l’onere contributivo non costituisce, di per sé, violazione del diritto comunitario (13) e non costituisce, intrinsecamente, una restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento (14).

26.      Detto questo, la giurisprudenza della Corte ammette che gli oneri cumulativi risultanti dall’esercizio parallelo della sovranità fiscale da parte degli Stati membri «limitano» l’attività transfrontaliera. Nella fattispecie, condivido l’analisi dell’avvocato generale Geelhoed nella causa ACT (15), secondo il quale, ad un’analisi più attenta, esistono due tipi di «restrizioni» che possono sorgere in tali circostanze. Il primo (che ha definito «quasi‑restrizioni») è dato dalle restrizioni che costituiscono conseguenze inevitabili della coesistenza di sistemi fiscali nazionali. Indubbiamente esse danno luogo a «distorsioni dell’attività economica derivanti dal fatto che sistemi fiscali diversi devono coesistere fianco a fianco» e – come rilevato dall’avvocato generale Geelhoed – il risultato per gli operatori economici può essere vantaggioso o svantaggioso(16). Il secondo (che ha definito «restrizioni vere e proprie») è costituito da «restrizioni che vanno ben oltre le conseguenze inevitabili della coesistenza di sistemi fiscali nazionali». L’avvocato generale Geelhoed ha sostenuto che «sostanzialmente tutte le misure fiscali nazionali che costituiscono restrizioni in «senso proprio» possono, in pratica, anche essere considerate misure discriminatorie dirette o indirette». Successivamente, egli ha tracciato la distinzione tra «ostacoli alla libertà di stabilimento che derivano dalle disparità o dalle differenze tra i sistemi fiscali di due o più Stati membri» – che ha ritenuto esulare dall’ambito di applicazione dell’art. 43 CE, ma non dall’ambito di applicazione del Trattato – e ostacoli «derivanti da una discriminazione che si verifichi in conseguenza dell’applicazione di norme appartenenti ad un unico sistema fiscale» (17).

27.      Esistono due scuole di pensiero sulla questione se la Corte debba statuire sul fatto che la prima categoria di restrizioni deve essere eliminata.

28.       Pertanto, l’avvocato generale Geelhoed, facendo riferimento alla sentenza della Corte nella causa Schempp (18), ha sostenuto che l’art. 43 CE riguarda le restrizioni vere e proprie e non le quasi‑restrizioni: «(...) quando una restrizione alla libertà di stabilimento è una mera conseguenza della giustapposizione di amministrazioni tributarie nazionali, o è frutto delle divergenze tra i sistemi fiscali nazionali, o costituisce un effetto della ripartizione della competenza tributaria tra due sistemi fiscali (quasi‑restrizione), essa non ricade nel divieto di cui all’art. 43 CE. Al contrario, le restrizioni “vere e proprie”, cioè quelle restrizioni alla libertà di stabilimento che vanno oltre le conseguenze inevitabili della coesistenza di più sistemi fiscali nazionali, ricadono nel divieto di cui all’art. 43 CE, tranne che siano giustificate. (...) [u]n trattamento fiscale sfavorevole ricadrà nella sfera dell’art. 43 CE qualora derivi direttamente da una discriminazione operata dalle norme di un unico ordinamento fiscale, e non quando sia una mera conseguenza della diversità o della ripartizione della competenza tributaria tra (due o più) sistemi fiscali degli Stati membri» (19).

29.       La tesi alternativa è che, qualora gli oneri cumulativi risultanti da doppie imposizioni costituiscano restrizioni che limitano l’attività transfrontaliera, la Corte deve applicare, per analogia, la propria giurisprudenza sulle libertà fondamentali al fine di eliminare tali ostacoli (20). Secondo tale argomentazione, ridotta all’essenziale, qualsiasi ostacolo all’esercizio di una libertà fondamentale è «un fattore negativo». Se l’intento è di creare un vero mercato unico, capisco la valenza di tale argomento. Ritengo tuttavia importante sottolineare che non esiste attualmente una norma comunitaria generale, che statuisca quale Stato membro abbia priorità ai fini fiscali in tali circostanze. Come osservato dalla Corte nella sentenza Saint Gobain (21), in mancanza di misure di unificazione comunitaria, gli Stati membri restano competenti a determinare i criteri della tassazione dei redditi e del patrimonio al fine di eliminare, se del caso mediante convenzioni internazionali sottoposte alle norme comunitarie, le doppie imposizioni.

30.      A mio parere, l’onere contributivo in Ungheria di cui è causa non è una «quasi restrizione», conseguente alla coesistenza di sistemi fiscali nazionali. È evidente che la questione di come la Corte affronti le restrizioni risultanti dall’esistenza stessa della doppia imposizione è delicata ed importante. Tuttavia, non ritengo che la Corte debba entrare in tale dibattito per risolvere la presente causa.

31.       Ritengo sufficiente, nella fattispecie, prendere come punto di partenza la descrizione dell’avvocato generale Geelhoed di quelle che egli definisce «restrizioni vere e proprie»: «ossia, [le] restrizioni che vanno ben oltre le conseguenze inevitabili della coesistenza di sistemi fiscali nazionali, e che ricadono nell’ambito dell’art. 43 CE» (22).

 Individuazione delle restrizioni ai fini degli artt. 43 CE e 48 CE.

32.      La Commissione affronta la questione chiedendo se l’obbligo di corrispondere l’onere contributivo in Ungheria e un onere equivalente nella Repubblica ceca sia sufficiente per violare il diritto comunitario. Essa sostiene che tale obbligo scoraggia le imprese ungheresi dal costituire filiali estere, dal momento che le imprese che non esercitano la loro libertà di stabilimento all’estero non sono assoggettate al duplice obbligo di pagare l’onere contributivo o il suo equivalente. Pur ammettendo che la mera esistenza di una doppia imposizione non viola l’art. 43 CE, la Commissione invita la Corte ad applicare per analogia la sua decisione nella causa Arblade e a. (23).

33.       La causa Arblade e a. concerneva due società stabilite in Francia, ma incaricate dell’esecuzione di lavori edili in Belgio, il che richiedeva il distaccamento temporaneo del personale francese in Belgio. Esse sono state sottoposte a procedimento penale dinanzi alle autorità belghe, per non essersi conformate alla normativa belga in materia di previdenza sociale (24). La Corte ha dichiarato che: «Una normativa nazionale che obbliga il datore di lavoro che agisca in qualità di prestatore di servizi ai sensi del Trattato a versare contributi padronali agli enti previdenziali dello Stato membro ospitante, oltre ai contributi che egli ha già versato agli enti dello Stato membro in cui è stabilito, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Un obbligo del genere, infatti, comporta costi e oneri amministrativi ed economici supplementari per le imprese stabilite in un altro Stato membro, cosicché queste ultime non si trovano su un piano di parità, dal punto di vista della concorrenza, con i datori di lavoro stabiliti nello Stato membro ospitante, il che può quindi dissuaderle dal fornire prestazioni nello Stato membro ospitante» (25).

34.      Nella causa in esame, la Commissione sostiene che l’obbligo di pagare l’onere contributivo in Ungheria e di versare un’imposta analoga nella Repubblica ceca comporta oneri amministrativi ed economici supplementari per imprese come la CIBA. All’udienza, la Commissione ha ampliato tale argomento spiegando che, allorché un contributo in natura sia volto a finanziare un vantaggio definito espressamente, esiste un nesso diretto tra il pagamento del contributo e tale vantaggio. Di conseguenza, la Commissione ha sostenuto che l’Ungheria non può imporre ad un’impresa un contributo relativo ad un’attività svolta nella Repubblica ceca, lo Stato membro ospitante, poiché all’Ungheria, il paese di origine, non compete la concessione di tali vantaggi nella Repubblica ceca.

35.      Non ritengo che la Corte debba seguire l’invito della Commissione ad applicare, per analogia, la decisione nella causa Arblade e a.

36.      In primo luogo, contesto il fatto che la natura dell’obbligo del datore di lavoro, nella causa Arblade e a., di pagare i «timbres», sia paragonabile all’obbligo della CIBA di corrispondere l’onere contributivo. Nella causa Arblade e a. esisteva un potenziale nesso diretto tra il pagamento del contributo (i «timbres») e la (eventuale) concessione di un vantaggio sociale da parte del Belgio a tali lavoratori, per conto di chi aveva effettuato tale pagamento (26). Tuttavia, i lavoratori di cui trattasi erano stati temporaneamente distaccati in Belgio dai loro datori di lavoro aventi sede in Francia. Pertanto, essi erano già tutelati dal regime di previdenza sociale francese, attraverso i contributi corrisposti dai loro datori di lavoro alle autorità francesi. L’obbligo per i loro datori di lavoro di versare i contributi previdenziali anche in Belgio, tuttavia, è stato, giustamente, ritenuto un costo ed onere economico supplementare, che penalizzava i loro datori di lavoro dal punto di vista della concorrenza allorché intendevano fornire servizi nei confronti di datori di lavoro belgi (che dovevano versare solo i contributi belgi con riferimento ai propri dipendenti) (27).

37.      Nella causa in esame, tale nesso diretto tra l’onere versato e il vantaggio conseguito da un singolo dipendente non esiste (28). La CIBA non corrisponde un contributo previdenziale alle autorità ungheresi per conto dei suoi dipendenti cechi (né, peraltro, per conto dei suoi dipendenti ungheresi) al fine di garantire che ogni dipendente possa ricevere un vantaggio particolare concesso dallo Stato ungherese. Al contrario, la CIBA è tenuta a pagare un’imposta in Ungheria, applicata ai fini della formazione professionale per i lavoratori ungheresi in generale. La situazione è pertanto diversa dalla causa Arblade e a.

38.      In secondo luogo, identifico una restrizione «[derivante] direttamente da una discriminazione operata dalle norme [fiscali] di un unico ordinamento», diversa rispetto a quella individuata dalla Commissione.

39.       Secondo giurisprudenza costante, devono essere considerate restrizioni alla libertà di stabilimento tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà (29). Nella sentenza Hartlauer Handelsgesellschaft (30) la Corte ha confermato che il principio è applicabile nei casi in cui non vi sia addebito di discriminazioni in base alla cittadinanza. Anche se, in base al tenore letterale degli artt. 43 CE e 48 CE, essi intendono assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro di stabilimento, essi ostano parimenti a che lo Stato membro d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita conformemente alla propria legislazione (31).

40.      La causa in esame solleva una questione nuova, poiché alla Corte non viene chiesto di prendere in considerazione una tipica questione legata ad una discriminazione di natura fiscale – ad esempio, se debba essere accordato uno sgravio in caso di doppia imposizione economica, in ragione della differenza di trattamento fiscale dei redditi di origine nazionale rispetto a quelli di origine estera (32).

41.      A mio parere, l’esame della legislazione ungherese evidenzia una restrizione risultante dall’operatività di un unico sistema fiscale, che penalizza chiaramente un’impresa che cerca di esercitare il suo diritto alla libertà di stabilimento. Ritengo che lo svantaggio derivi dal fatto che un’impresa che intende stabilirsi all’estero deve tenere in considerazione che è tenuta pagare le imposte nello Stato membro d’origine sulla base, in parte, dei costi salariali dei propri lavoratori nello Stato membro ospitante. Tale obbligo può sommarsi (come nella fattispecie) all’obbligo di versare un’imposta analoga nello Stato membro in cui l’impresa apre una filiale. Infine, l’impresa potrebbe non essere in grado di avvalersi dello strumento di compensazione (33) per ridurre il costo del pagamento dell’onere contributivo nello Stato membro d’origine (Ungheria). Quest’ultimo punto riguarda l’interpretazione della legislazione ungherese che rimane, ovviamente, una questione riservata al giudice nazionale.

42.      La legislazione ungherese impone ad una società madre ungherese di corrispondere l’onere contributivo sia per i propri lavoratori in Ungheria, sia per quelli della sua filiale ceca. Essa può avvalersi dello strumento di compensazione con riferimento ai propri dipendenti stabiliti in Ungheria, come qualsiasi altra società con sede in Ungheria. Tuttavia, sembra che essa non possa concludere accordi di compensazione equivalenti all’interno della Repubblica ceca con riferimento ai propri lavoratori stabiliti nella Repubblica ceca, poiché tutti gli accordi di compensazione devono essere conformi al diritto ungherese (34). Di conseguenza, essa deve corrispondere la totalità dell’onere contributivo con riferimento ai propri dipendenti stabiliti nella Repubblica ceca (perdendo così il beneficio di avvalersi dello strumento di compensazione per finanziare una formazione che sia più attinente alle proprie esigenze aziendali specifiche e ridurre l’onere fiscale globale) oppure, avendo previsto accordi in Ungheria nel quadro dello strumento di compensazione, deve anche sostenere l’incomodo, e le spese, di trasportare i lavoratori dalla Repubblica ceca all’Ungheria e alloggiarli in Ungheria cosicché possano beneficiare della formazione che ha contribuito a finanziare.

43.      L’Ungheria sostiene che, ai sensi della propria legislazione, tutte le imprese vengono trattate in maniera identica – incluse quelle con filiali estere – e che, pertanto, non sussiste discriminazione. L’Ungheria rileva che la CIBA (proprio come un’impresa avente sede unicamente in Ungheria) è legittimata a ridurre le proprie passività lorde avvalendosi dello strumento di compensazione.

44.      Sebbene ciò sia indubbiamente vero, lo ritengo non pertinente.

45.      Un’impresa che intenda avvalersi dello strumento di compensazione deve rispettare le disposizioni specifiche della legislazione ungherese, che prevedono le quattro opzioni di compensazione. Richiamerò in breve ciascuna opzione.

46.      L’opzione i) consiste nello stipulare un accordo di cooperazione con un istituto di istruzione superiore, che integri i requisiti della Legge LXXXVI del 1993. Tale legge risulta strutturata in modo da significare che solo un istituto di istruzione superiore ungherese è destinato a soddisfare i suoi requisiti, diventando così partner accettabile per un siffatto accordo di cooperazione.

47.      L’opzione ii) consiste nello stipulare un contratto di «apprendistato» per una formazione pratica, comprendente un «tirocinio», seguito da un periodo di addestramento presso una scuola di formazione tecnica. Non è chiaro se il tirocinio iniziale possa avere luogo presso i locali situati nella Repubblica ceca, piuttosto che in Ungheria. Sembra, comunque, che quantomeno la seconda parte dell’accordo dovrebbe essere attuata con una scuola di formazione tecnica approvata dalle autorità ungheresi. Ciò sembrerebbe escludere l’opzione di avvalersi di una scuola di formazione tecnica nella Repubblica ceca.

48.      L’opzione iii) consiste nel concedere un contributo per lo sviluppo ad un istituto di formazione professionale. Dalle informazioni in possesso della Corte si deduce che questa opzione sembra limitarsi ad istituzioni con sede in Ungheria.

49.      Infine, l’opzione iv) comporta che l’impresa concluda un contratto con un organismo autorizzato, per provvedere alla formazione dei propri dipendenti. Ancora una volta, dalle informazioni in possesso della Corte risulta che «organismo autorizzato» significa un organismo autorizzato ai sensi del diritto ungherese. Anche supponendo che un siffatto organismo fosse pronto a stipulare un contratto per la formazione nella Repubblica ceca dei dipendenti CIBA stabiliti nella Repubblica ceca e che ciò sia ammissibile ai sensi del diritto ungherese, sembra plausibile presupporre che esso imporrebbe un prezzo maggiore rispetto ad una formazione analoga effettuata in Ungheria.

50.      Sembra pertanto possibile ritenere che lo strumento di compensazione sia disponibile, in sostanza, solo qualora un’impresa si avvalga di un’istituzione ungherese come partner per la formazione. Ritengo, in pratica, che ciò significhi privare un’impresa che svolge attività transfrontaliera della possibilità di avvalersi dello strumento di compensazione con riferimento alla parte dei propri dipendenti stabilita in un altro Stato membro.

51.      In definitiva, tuttavia, spetta al giudice nazionale (che dispone della prerogativa di un accesso più completo alle disposizioni nazionali di cui trattasi) verificare se a) la legislazione ungherese consentirebbe alla CIBA di ricorrere ad uno dei quattro accordi nello strumento di compensazione, ricorrendo a partner di formazione nella Repubblica ceca anziché in Ungheria e se b), in caso affermativo, i costi di tale accordo sarebbero paragonabili ai costi di utilizzo dello strumento di compensazione con un partner di formazione in Ungheria.

52.      Se questa conclusione è corretta, per tale impresa esistono almeno tre svantaggi (correlati), rispetto ad un’impresa che operi esclusivamente in Ungheria. In primo luogo, essa non può scegliere di finanziare, per i propri dipendenti nella Repubblica ceca, una formazione specifica direttamente attinente alle proprie esigenze aziendali, anziché corrispondere la totalità dell’onere contributivo; pertanto gode di minore flessibilità nella scelta della strategia. In secondo luogo, una volta versato l’onere contributivo (che sarà quindi destinato, in termini generali, ad ottimizzare i livelli di competenza dei lavoratori ungheresi), essa deve altresì chiedersi se sia necessario, in aggiunta, finanziare la formazione per ottimizzare le competenze dei propri dipendenti. In tal senso, essa può finire con il pagare non solo i due oneri contributivi relativi alla formazione (ai sensi del diritto ungherese e ceco), ma anche un importo ulteriore per la formazione specifica (che in genere non dovrebbe essere il caso di un’impresa con sede esclusivamente in Ungheria e in condizione di avvalersi dello strumento di compensazione). In terzo luogo, qualora si avvalga dello strumento di compensazione per sviluppare accordi di formazione in Ungheria per i propri dipendenti cechi, essa deve successivamente accettare i maggiori costi e oneri amministrativi connessi al trasporto in Ungheria dei propri lavoratori stabiliti nella Repubblica ceca, per partecipare al programma di formazione e fornire loro il vitto e l’alloggio durante la loro permanenza in loco.

53.      Concludo, pertanto, che il modo in cui l’onere contributivo viene imposto – che deriva direttamente dalla normativa fiscale di un singolo Stato membro, l’Ungheria – si traduce in una restrizione, poiché rende meno interessante l’esercizio del diritto alla libertà di stabilimento (35).

54.      Siffatta restrizione alla libertà di stabilimento sarebbe ammissibile solo se è fondata su elementi oggettivi giustificati da ragioni imperative di interesse generale e la sua applicazione è idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non eccede quanto necessario per raggiungerlo (36).

55.      Il governo ungherese non ha cercato di far valere giustificazioni nelle sue osservazioni scritte. Espressamente chiamato a dichiarare, nel corso dell’udienza, se intendesse far valere motivi di giustificazione, esso non si è avvalso di tale possibilità.

56.      Pertanto, suggerisco alla Corte di considerare che esiste una restrizione alla libertà di stabilimento, per la quale non è stata fatta valere alcuna giustificazione.

 Conclusione

57.      Sono pertanto del parere che la Corte debba statuire sulla questione proposta dal Pest Megyei Bíróság come segue:

«Il calcolo del prelievo di un onere contributivo relativo alla formazione professionale effettuato in base ai costi salariali dei dipendenti di un’impresa, compresi i lavoratori che operano in una succursale avente sede in un altro Stato membro (malgrado l’impresa provveda regolarmente anche agli adempimenti tributari e previdenziali nello Stato della succursale per quanto riguarda tali lavoratori), costituisce una restrizione ai sensi degli artt. 43 CE e 48 CE, qualora renda meno interessante l’esercizio della libertà di stabilimento».


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – V. sentenza 13 dicembre 2005, causa C‑446/03, Marks & Spencer (Racc. pag. I‑10837, punto 29, e giurisprudenza ivi citata) e, per la giurisprudenza più recente, sentenza 6 dicembre 2007, causa C‑298/05, Columbus Container Services (Racc. pag. I‑10451, punto 28, e giurisprudenza ivi citata).


3 – La doppia imposizione viene definita, in materia di imposte sul reddito, come doppia imposizione legale (giuridica) (duplice tassazione del medesimo reddito presso uno stesso contribuente), o doppia imposizione economica (tassazione del medesimo reddito, presso contribuenti diversi ˗ ad esempio, gli stessi utili vengono tassati inizialmente a titolo di imposta sulle società versata dalla società e successivamente a titolo di imposta sui redditi quando vengono distribuiti all’azionista). V. le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed relative alla sentenza 12 dicembre 2006, causa C‑374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation («ACT») (Racc. pag. I‑11673, paragrafi 4 e 5), in cui esamina tali concetti.


4 – V., ad esempio, sentenza 18 giugno 2009, causa C‑303/07, Aberdeen Property Fininvest Alpha (Racc. pag. I-5145, punto 37).


5 – Firmata a Praga il 14 gennaio 1993 e, pertanto, anteriore all’adesione all’Unione europea da parte di tali Stati membri.


6 – La legge XCIII del 1996 ha ratificato la convenzione bilaterale in Ungheria.


7 – Ho sintetizzato la sostanza degli artt. 1, e 4, nn. 1 e 2, della Legge LXXXVI del 2003, dall’allegato alle osservazioni scritte della CIBA. Le opzioni i) e ii) sono enunciate nell’art. 4, n. 1, della Legge LXXXVI del 2003. Le opzioni iii) e iv) sono riprese dalle osservazioni di entrambe le parti nella causa principale.


8 – Ai sensi della Legge 589/1992 relativa ai contributi previdenziali e ai contributi statali per l’occupazione nella Repubblica ceca.


9 – Il giudice nazionale prende in esame l’onere fiscale della CIBA con riferimento agli esercizi 2003 e 2004. Tuttavia, è chiaro che non può esservi incompatibilità con il diritto comunitario anteriormente alla data dell’adesione dell’Ungheria all’UE: v. sentenza 10 gennaio 2006, causa C‑302/04, Ynos (Racc. pag. I‑371, punti 35 e 36).


10 – Nella causa principale, la CIBA ha prodotto una relazione autenticata relativa alla corresponsione di un onere contributivo analogo nella Repubblica ceca, che a sua volta si basa sui costi salariali dei dipendenti. Dalla normativa ungherese risulta che, se la CIBA fosse un’impresa ceca con sede a Praga, che ha costituito una filiale a Budapest, essa sarebbe parimenti tenuta a versare l’onere contributivo (v. punto 6 supra).


11 – Ho fatto riferimento alla tassa sulle società e all’imposta sul reddito, in quanto chiaramente rappresentative delle imposte dirette, dal momento che entrambe le imposte sono comuni a tutti gli Stati membri.


12 – V. sentenze Columbus Container Services, cit. alla nota 2 (punto 45), e 14 novembre 2006, causa C‑513/04, Kerckhaert e Morres (Racc. pag. I‑10967, punto 22).


13 – L’onere contributivo relativo alla formazione professionale non rientra nell’ambito di applicazione delle misure di unificazione parziali sinora adottate e, precisamente, la direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati Membri diversi (GU L 225, pag. 6). La Convenzione del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (GU L 225, pag. 10) e la direttiva del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/48/CE, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi (GU L 157, pag. 38).


14 – V., ad esempio, sentenza 23 ottobre 2008, causa C‑157/07, Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt (Racc. pag. I‑8061, punto 50).


15 – I punti seguenti si richiamano, in generale (e con riconoscenza), all’analisi di cui alla sezione 2, lett. a) («Applicazione dell’art. 43 CE alle norme che disciplinano le imposte dirette: Introduzione»), ai paragrafi 32‑41 delle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa ACT, cit. alla nota 3.


16 – Come rilevato dall’avvocato generale Geelhoed al paragrafo 38, non sorprende che il primo tipo tenda a non dare luogo a controversie, dinanzi a giudici nazionali, tra un contribuente interessato e le autorità tributarie, che comportino una domanda di pronuncia pregiudiziale.


17 – Paragrafo 46 delle sue conclusioni; v. anche sentenza 28 febbraio 2008, causa C‑293/06, Deutsche Shell (Racc. pag. I‑1129, punti 28‑30) e paragrafi 40‑44 delle mie conclusioni.


18 – Sentenza 12 luglio 2005, causa C‑403/03 (Racc. pag. I‑6421, punto 45).


19 – Punto 55, il corsivo è mio.


20 – V., ad esempio, F. Vanistendael, «Does the ECJ have the power of interpretation to build a tax system compatible with the fundamental freedoms?», EC Tax Review 2008/2, pag. 52.


21 – Sentenza 21 settembre 1999, causa C‑307/97 (Racc. pag. I‑6161, punti 56 e 57).


22 – V. causa ACT, cit. alla nota 3, paragrafo 40 delle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed.


23 – Sentenza 23 novembre 1999, cause riunite C‑369/96 e C-376/96 (Racc. pag. I‑8453).


24 – La normativa belga di cui trattasi comprendeva obblighi di corrispondere contributi a titolo di regimi di «marche‑intemperie» e «marche‑fedeltà», sui quali mi sembra la Commissione concentri le proprie osservazioni nella causa in esame.


25 – V. sentenza Arblade e a., cit. alla nota 23 (punto 50) (in particolare con riferimento al versamento del contributo a titolo di «timbres‑intempéries» e «timbres‑fidélité»).


26 – La sentenza ha rimesso al giudice nazionale la determinazione se i contributi richiesti in Belgio dessero diritto ad un vantaggio sociale per i lavoratori di cui trattasi: v. punto 53 della sentenza.


27 – Parte del ragionamento sembra essere che i dipendenti «distaccati» non necessitavano, e/o non ricevevano necessariamente vantaggi supplementari in Belgio: v. punti 51‑54 della sentenza.


28 – V. punto 21 supra.


29 – V. Columbus Container Services, cit. alla nota 2 (punto 34, e giurisprudenza ivi citata).


30 – Sentenza 10 marzo 2009, causa C‑169/07 (Racc. pag. I-1721, punto 33).


31 – V. sentenza 15 maggio 2008, causa C‑414/06, Lidl Belgium (Racc. pag. I‑3601, punti 18 e 19, e giurisprudenza ivi citata); v. anche sentenza 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes (Racc. pag. I‑7995, punti 41 e 42).


32 – V. sentenza 15 luglio 2004, causa C‑315/02, Lenz (Racc. pag. I‑7063) in cui la Corte ha ritenuto che la possibilità di scegliere il trattamento fiscale che viene accordata ai titolari di dividendi di origine nazionale dev’essere estesa ai titolari di dividendi originari di un altro Stato membro. V. anche sentenza 14 dicembre 2006, causa C‑170/05, Denkavit International (Racc. pag. I‑11949), in cui la Corte ha dichiarato che l’art. 43 CE e l’art. 48 CE ostano ad una normativa nazionale che fa gravare l’onere di un’imposizione sui dividendi su una società madre non residente, mentre ne dispensa quasi totalmente le società madri residenti.


33 – V. punto 8 supra.


34 – Esaminerò questo punto più dettagliatamente ai punti 45‑49 infra.


35 – Secondo la mia analisi, non occorre accertare se l’Ungheria o la Repubblica ceca debbano avere priorità nell’imposizione dell’onere contributivo relativo alla formazione professionale (come avverrebbe se si paragonassero due regimi fiscali in due Stati membri diversi). La restrizione sorge esclusivamente dal modo in cui è strutturata la normativa ungherese.


36 – V. sentenza Lidl Belgium, cit. alla nota 31 (punto 27).