Causa C-210/06
Cartesio Oktató és Szolgáltató bt
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Szegedi Ítélőtábla)
«Trasferimento della sede di una società in uno Stato membro diverso da quello di sua costituzione — Domanda di modifica dell’iscrizione relativa alla sede nel registro delle imprese — Diniego — Appello proposto avverso una decisione di un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese — Art. 234 CE — Rinvio pregiudiziale — Ricevibilità — Nozione di “giurisdizione” — Nozione di “giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno” — Appello proposto avverso una decisione che dispone un rinvio pregiudiziale — Potere del giudice d’appello di riformare tale decisione — Libertà di stabilimento — Artt. 43 CE e 48 CE»
Massime della sentenza
1. Questioni pregiudiziali — Rinvio alla Corte — Giurisdizione nazionale ai sensi dell’art. 234 CE — Nozione
(Art. 234 CE)
2. Questioni pregiudiziali — Ricevibilità — Limiti
(Art. 234 CE)
3. Questioni pregiudiziali — Rinvio alla Corte — Obbligo di rinvio
(Art. 234, terzo comma, CE)
4. Questioni pregiudiziali — Rinvio alla Corte — Competenze dei giudici nazionali
(Art. 234 CE)
5. Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento
(Artt. 43 CE e 48 CE)
1. Un organo giurisdizionale adito in appello avverso una decisione di un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese recante rigetto di una domanda di modifica di un’iscrizione figurante nel registro in parola deve essere qualificato come organo giurisdizionale competente a proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, nonostante il fatto che né la decisione di detto tribunale né l’esame dell’appello da parte del giudice del rinvio intervengano nel contesto di un procedimento in contraddittorio.
Se è vero, infatti, che un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese, quando svolge funzioni di autorità amministrativa senza dovere, al tempo stesso, dirimere una controversia, non può essere considerato come un organo che esercita una funzione giurisdizionale, per contro, un giudice adito in sede di appello avverso una decisione di un organo giurisdizionale di grado inferiore incaricato della tenuta di un registro che rifiuti di accogliere una siffatta domanda di iscrizione, ove l’impugnazione abbia ad oggetto l’annullamento di tale decisione asseritamente lesiva di un diritto del richiedente, è investito di una controversia ed esercita una funzione giurisdizionale. Pertanto, in un caso di questo genere, il giudice d’appello in linea di principio dev’essere considerato un organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 234 CE, competente a disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte.
(v. punti 57-59, 63, dispositivo 1)
2. Le questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego di pronuncia, da parte della Corte, su un rinvio pregiudiziale proposto da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con la realtà o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte.
Tale presunzione di rilevanza non è superata dalla circostanza che, nel caso di una questione pregiudiziale relativa alla qualificazione di un giudice come organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, tale giudice abbia già sottoposto la propria questione pregiudiziale alla Corte. Sarebbe contrario allo spirito di cooperazione che deve presiedere alle relazioni tra i giudici nazionali e la Corte, così come alle esigenze di economia processuale, pretendere che un giudice nazionale debba dapprima presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale con la quale si limiti a chiedere se tale organo giurisdizionale rientri tra quelli previsti all’art. 234, terzo comma, CE prima di poter eventualmente formulare, successivamente e mediante una seconda domanda di pronuncia pregiudiziale, questioni relative a determinate disposizioni del diritto comunitario riguardanti il merito della controversia ad esso sottoposta.
Detta presunzione di rilevanza non è nemmeno superata in una situazione di incertezza in ordine alla natura ipotetica della controversia. Una tale incertezza è presente ove gli elementi di cui dispone la Corte per decidere sull’eventuale incompatibilità di una normativa nazionale in materia di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale in forza dell’art. 234 CE non consentano di constatare che contro detta decisione non è stato o non può più essere proposto alcun gravame e, conseguentemente, che essa ha acquistato autorità di cosa giudicata, nel qual caso la questione di tale incompatibilità avrebbe effettivamente rivestito carattere ipotetico.
(v. punti 67, 70, 73, 83-86)
3. Un organo giurisdizionale le cui decisioni adottate nel contesto di una controversia sono ricorribili per cassazione non è qualificabile come organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, anche qualora il sistema procedurale nell’ambito del quale deve essere definita detta controversia imponga restrizioni per quanto attiene alla natura dei motivi che possono essere invocati dinanzi a un tale organo giurisdizionale, i quali devono essere attinenti a una violazione di legge.
Infatti, restrizioni di tale genere, al pari della mancanza di effetto sospensivo del ricorso per cassazione, non comportano che le parti costituitesi dinanzi a un organo giurisdizionale le cui decisioni possono essere oggetto di un’impugnazione di questo tipo siano private della possibilità di esercitare effettivamente il loro diritto di proporre detto ricorso contro la decisione di quest’ultimo organo allorché dirime la controversia. Tali restrizioni e tale mancanza di effetto sospensivo non implicano pertanto che quest’ultimo debba essere qualificato come organo giurisdizionale le cui decisioni non sono impugnabili.
(v. punti 77-79, dispositivo 2)
4. In presenza di norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale, caratterizzate dal fatto che l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice del rinvio, mentre soltanto la decisione di rinvio è oggetto di un appello limitato, l’art. 234, secondo comma, CE deve essere interpretato nel senso che la competenza che tale disposizione del Trattato conferisce a qualsiasi giudice nazionale di disporre un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte non può essere rimessa in discussione dall’applicazione di siffatte norme, che consentono al giudice adito in appello di riformare la decisione che dispone un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte, di rendere privo di effetti detto rinvio e di ordinare al primo giudice di riprendere la trattazione del procedimento di diritto nazionale sospeso.
Infatti, sebbene l’art. 234 CE non escluda che i provvedimenti di rinvio pregiudiziale alla Corte, adottati da un giudice nazionale che non sia di ultima istanza, siano soggetti ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno, tuttavia l’esito di un tale ricorso di impugnazione non può limitare la competenza in capo a detto giudice, conferitagli dall’art. 234 CE, di adire la Corte se ritiene che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad esso pendente, siano sorte questioni relative all’interpretazione di disposizioni del diritto comunitario per le quali è necessaria una pronuncia della Corte.
Peraltro, in una situazione in cui un giudice di primo grado debba statuire per la seconda volta in una causa, dopo l’annullamento di una sua precedente sentenza da parte di un giudice di ultima istanza, detto giudice di primo grado resta libero di adire la Corte a norma dell’art. 234 CE anche se il diritto interno contempla una norma che vincola i giudici al rispetto delle valutazioni giuridiche emananti da un giudice di grado superiore.
Orbene, in caso di applicazione di norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale, caratterizzate dal fatto che l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice del rinvio, mentre soltanto la decisione di rinvio è oggetto di un appello limitato, l’autonoma competenza ad adire la Corte che l’art. 234 CE conferisce al primo giudice sarebbe rimessa in discussione se, riformando la decisione che dispone il rinvio pregiudiziale, rendendola priva di effetti e ordinando al giudice che ha emanato tale decisione di riprendere la trattazione del procedimento sospeso, il giudice dell’appello potesse impedire al giudice del rinvio di esercitare la facoltà di adire la Corte conferitagli dal Trattato CE.
Infatti, in conformità all’art. 234 CE, la valutazione della rilevanza e della necessità della questione pregiudiziale rientra, in via di principio, esclusivamente nell’ambito della responsabilità del giudice che dispone il rinvio pregiudiziale, fatta salva la limitata verifica effettuata dalla Corte. Incombe quindi a tale giudice trarre le conseguenze di una sentenza pronunciata in secondo grado contro la decisione che dispone il rinvio pregiudiziale e, in particolare, concludere che occorre mantenere immutata, modificare o revocare la sua domanda di pronuncia pregiudiziale.
Ne discende che, in una situazione in cui possa essere presentato ricorso avverso il provvedimento del giudice del rinvio che sottopone una questione pregiudiziale, la Corte, anche per chiarezza e per garantire la certezza del diritto, deve attenersi a detto provvedimento di rinvio pregiudiziale, che produrrà i suoi effetti finché non sarà stato revocato o modificato dal giudice che lo ha emanato, perché solo quest’ultimo può decidere in merito a una siffatta revoca o modifica.
(v. punti 93-98, dispositivo 3)
5. Allo stato attuale del diritto comunitario, gli artt. 43 CE e 48 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro che impedisce ad una società costituita in forza del diritto nazionale di tale Stato membro di trasferire la propria sede in un altro Stato membro conservando al contempo il suo status di società soggetta al diritto nazionale dello Stato membro a norma della cui legislazione è stata costituita.
Infatti, conformemente all’art. 48 CE, dal momento che il diritto comunitario non ha fornito un’uniforme definizione delle società autorizzate a beneficiare del diritto di stabilimento in funzione di un unico criterio di collegamento idoneo a determinare il diritto nazionale applicabile a una società, la questione se l’art. 43 CE si applichi a una società che invoca la libertà fondamentale sancita da tale norma − analogamente a quella se una persona fisica sia un cittadino di uno Stato membro che, a tale titolo, può beneficiare di tale libertà − costituisce una questione preliminare che, allo stato attuale del diritto comunitario, può trovare risposta solo nel diritto nazionale applicabile. Quindi, soltanto qualora risulti che tale società beneficia effettivamente della libertà di stabilimento tenuto conto delle condizioni enunciate dall’art. 48 CE occorre accertare se detta società si trovi di fronte a una restrizione di tale libertà ai sensi dell’art. 43 CE.
Uno Stato membro dispone pertanto della facoltà di definire sia il criterio di collegamento richiesto a una società affinché essa possa ritenersi costituita ai sensi del suo diritto nazionale e, a tale titolo, possa beneficiare del diritto di stabilimento, sia quello necessario per continuare a mantenere detto status. Tale facoltà include la possibilità, per lo Stato membro in parola, di non consentire a una società soggetta al suo diritto nazionale di conservare tale status qualora intenda riorganizzarsi in un altro Stato membro trasferendo la sede nel territorio di quest’ultimo, sopprimendo in questo modo il collegamento previsto dal diritto nazionale dello Stato membro di costituzione.
Inoltre, le iniziative legislative e pattizie nel settore del diritto delle società previste, rispettivamente, agli artt. 44, n. 2, lett. g), CE e 293 CE non hanno finora riguardato la disparità tra le legislazioni nazionali in materia di luogo di collegamento delle società e quindi non l’hanno ancora abolita. È indubbio che, se taluni regolamenti, come il regolamento n. 2137/85, relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico, il regolamento n. 2157/2001, relativo allo statuto della Società europea, ed il regolamento n. 1435/2003, relativo allo statuto della Società cooperativa europea, adottati sul fondamento dell’art. 308 CE, prevedono effettivamente un sistema che consente ai nuovi soggetti giuridici da essi istituiti di trasferire la loro sede sociale e, quindi, anche la loro sede effettiva − dal momento che le due sedi devono essere ubicate nel medesimo Stato membro − in un altro Stato membro senza dar luogo né a uno scioglimento della persona giuridica iniziale né alla creazione di una nuova persona giuridica, un siffatto trasferimento comporta tuttavia necessariamente un mutamento per quanto riguarda il diritto nazionale applicabile al soggetto che lo effettua.
Orbene, qualora una società intenda esclusivamente trasferire la sua sede effettiva da uno Stato membro ad un altro, restando al contempo una società di diritto nazionale, e quindi senza cambiamenti per quanto riguarda il diritto nazionale cui è soggetta, l’applicazione mutatis mutandis di tali regolamenti non può comunque produrre il risultato atteso in una siffatta situazione.
(v. punti 109-110, 114-115, 117, 119, dispositivo 4)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
16 dicembre 2008 (*)
«Trasferimento della sede di una società in uno Stato membro diverso da quello di sua costituzione − Domanda di modifica dell’iscrizione relativa alla sede nel registro delle imprese − Diniego − Appello proposto avverso una decisione di un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese − Art. 234 CE − Rinvio pregiudiziale − Ricevibilità – Nozione di “giurisdizione” − Nozione di “giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno” − Appello proposto avverso una decisione che dispone un rinvio pregiudiziale – Potere del giudice d’appello di riformare tale decisione – Libertà di stabilimento − Artt. 43 CE e 48 CE»
Nel procedimento C-210/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dallo Szegedi Ítélőtábla (Ungheria) con decisione 20 aprile 2006, pervenuta in cancelleria il 5 maggio 2006, nella causa promossa dalla
Cartesio Oktató és Szolgáltató bt,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans (relatore), A. Rosas, K. Lenaerts, A.Ó Caoimh e J.-C. Bonichot, presidenti di sezione, dai sigg. K. Schiemann, J. Makarczyk, P. Kūris, E. Juhász, L. Bay Larsen e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 luglio 2007,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Cartesio Oktató és Szolgáltató bt, dagli avv.ti G. Zettwitz e P. Metzinger, ügyvédek;
– per il governo ungherese, dalla sig.ra J. Fazekas e dal sig. P. Szabó, in qualità di agenti;
– per il governo ceco, dal sig. T. Boček, in qualità di agente;
– per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dal sig. A. Collins, SC, e dal sig. N. Travers, BL;
– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster e dal sig. M. de Grave, in qualità di agenti;
– per il governo polacco, dalla sig.ra E. Ośniecka-Tamecka, in qualità di agente;
– per il governo sloveno, dalla sig.ra M. Remic, in qualità di agente;
– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra T. Harris, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra J. Stratford, barrister;
– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. G. Braun e V. Kreuschitz, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 maggio 2008,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 43 CE, 48 CE e 234 CE.
2 La domanda di cui trattasi è stata presentata nell’ambito di un ricorso proposto dalla Cartesio Oktató és Szolgáltató bt (in prosieguo: la «Cartesio»), società stabilita a Baja (Ungheria), avverso la decisione che ha respinto la sua domanda diretta a ottenere l’iscrizione nel registro delle imprese del trasferimento della sua sede in Italia.
Contesto normativo nazionale
La normativa in materia di procedura civile
3 L’art. 10, n. 2, della legge n. III del 1952 che ha istituito il codice di procedura civile (a Polgári perrendtartásról szóló 1952. évi III. Törvény; in prosieguo: il «codice di procedura civile») dispone come segue:
«Si pronunciano in secondo grado:
(…)
b) nelle cause che rientrano nella competenza dei tribunali regionali (o del tribunale di Budapest), le corti d’appello regionali».
4 L’art. 155/A di tale codice così recita:
«1) Il giudice può chiedere alla Corte di giustizia delle Comunità europee una pronuncia pregiudiziale ai sensi delle norme del Trattato che istituisce la Comunità europea.
2) Il giudice decide con ordinanza in merito alla domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee e dispone al contempo la sospensione del procedimento. (…)
3) Contro l’ordinanza di rinvio pregiudiziale può essere interposto appello. Non è appellabile l’ordinanza con la quale viene respinta la domanda di rinvio pregiudiziale.
(…)».
5 Ai sensi dell’art. 233, n. 1, di detto codice:
«Salvo disposizioni contrarie, avverso le decisioni dei giudici di primo grado può essere interposto appello dalle parti (…)».
6 L’art. 233/A dello stesso codice così dispone:
«Sono impugnabili con ricorso in appello le ordinanze emesse in secondo grado in relazione alle quali esiste un diritto di appello ai sensi delle norme applicabili ai procedimenti di primo grado (…)».
7 L’art. 249/A del codice di procedura civile enuncia:
«Può altresì essere interposto appello avverso la decisione emessa in secondo grado con la quale viene respinta la domanda di rinvio pregiudiziale (art. 155/A)».
8 L’art. 270 di detto codice ha il seguente tenore:
«1) Salvo disposizioni contrarie, il Legfelsőbb Bíróság (Corte suprema) conosce dei ricorsi per cassazione applicando, mutatis mutandis, le norme generali.
2) Avverso le sentenze passate in giudicato o le ordinanze definitive che riguardano il merito della causa può essere interposto ricorso per cassazione dinanzi al Legfelsőbb Bíróság, per violazione di legge, dalle parti, dagli intervenienti nonché dai soggetti interessati dalla decisione avverso la parte di tale decisione che li riguarda.
(…)».
9 L’art. 271, n. 1, di tale codice così dispone:
«Non può essere proposto ricorso per cassazione:
a) avverso le decisioni passate in giudicato in primo grado, eccettuati i casi nei quali la legge lo consente;
b) se una parte non ha esercitato il diritto di presentare ricorso in appello e il giudice di secondo grado conferma la sentenza di primo grado sulla base di un ricorso di appello interposto dalla controparte;
(…)».
10 Ai sensi dell’art. 273, n. 3, di detto codice:
«La presentazione del ricorso per cassazione non ha effetti sospensivi sull’esecuzione della decisione. Tuttavia, su istanza di parte, il Legfelsőbb Bíróság può eccezionalmente sospendere l’esecuzione della sentenza. (…)».
Il diritto societario
11 L’art. 1, n. 1, della gazdasági társaságokról szóló 1997. évi CXLIV. törvény (legge CXLIV del 1997, relativa alle società commerciali) così dispone:
«La presente legge regola la costituzione, l’organizzazione e il funzionamento delle società commerciali con sede sociale nel territorio ungherese, i diritti, gli obblighi e la responsabilità dei soci fondatori e dei soci azionisti come pure la trasformazione, le fusioni e le scissioni (...) delle società commerciali e il loro scioglimento».
12 Ai sensi dell’art. 11 di tale legge:
«Il contratto di società (atto costitutivo, statuto della società) menziona:
a) la denominazione sociale e la sede della società commerciale
(…)».
13 L’art. 1, n. 1, della cégnyilvántartásról, cégnyilvánosságról és a bírósági cégeljárásról szóló 1997. évi CXLV. törvény (legge CXLV del 1997, sul registro delle imprese, sulla pubblicità delle società e sui procedimenti giudiziari in materia commerciale; in prosieguo: la «legge sul registro delle imprese»), così dispone:
«Si intende per società un’organizzazione commerciale (…) o un altro soggetto di diritto a carattere commerciale (…) che, salvo disposizioni contrarie previste da una legge o un decreto governativo, si costituisce mediante iscrizione nel registro delle imprese al fine di realizzare un’attività commerciale lucrativa (…)».
14 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, di detta legge:
«I soggetti di diritto di cui all’art. 1 possono figurare nel registro delle imprese se la legge rende obbligatoria o possibile l’iscrizione nel detto registro».
15 L’art. 11 della medesima legge così dispone:
«1) Il tribunale regionale (o di Budapest), in qualità di tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese, iscrive le società in tale registro (…).
2) (…) sono competenti per l’iscrizione di una società nel registro delle imprese, e per predisporre qualsiasi procedura relativa a quest’ultima prevista nella presente legge, i tribunali nella cui circoscrizione è ubicata la sede della società.
(…)».
16 L’art. 12, n. 1, della medesima legge dispone come segue:
«I dati relativi alle società previsti dalla presente legge sono iscritti nel registro delle imprese. Per tutte le società, il registro include:
(...)
d) la sede della società (…)».
17 Ai sensi dell’art. 16, n. 1, della legge sulla registrazione delle società:
«La sede della società (…) è il luogo in cui si trova la sede direttiva (…)».
18 L’art. 29, n. 1, di detta legge così recita:
«Salvo disposizioni contrarie, qualsiasi domanda di iscrizione delle modifiche dei dati registrati relativi alle imprese deve essere presentata al Tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese entro i 30 giorni che seguono la data nella quale la detta modifica è avvenuta».
19 Ai sensi dell’art. 34, n. 1, di tale legge:
«Ogni trasferimento della sede di una società in un luogo che rientra nella circoscrizione di un altro tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese dev’essere registrato, in quanto modifica, presso il tribunale nella cui circoscrizione rientra la sede precedente. Quest’ultimo giudice esamina le domande di modifica anteriori al cambiamento di sede e dispone il trasferimento».
Il diritto internazionale privato
20 L’art. 18 del nemzetközi magánjogról szóló 1979. évi 13. törvényerejű rendelet (decreto legge n. 13 del 1979 relativo al diritto internazionale privato) è così formulato:
«1) La capacità giuridica delle persone giuridiche, il loro status di soggetto esercente un’attività commerciale, i diritti derivanti dalla loro personalità giuridica come pure i rapporti giuridici tra i rispettivi membri sono fissati in base alla loro legge regolatrice.
2) La legge regolatrice delle persone giuridiche è la legge dello Stato nel cui territorio sono registrate.
3) Se una persona giuridica è stata iscritta in forza della normativa di più Stati ovvero se, ai sensi delle norme vigenti nello Stato della sede sociale indicata nello statuto, non è necessaria l’iscrizione, la legge regolatrice della detta persona giuridica è la legge vigente nel luogo della sede indicata nello statuto.
4) Qualora, conformemente allo statuto sociale, la persona giuridica non abbia una sede sociale o ne abbia in diversi Stati membri e, ai sensi della normativa di uno degli Stati, non ne sia necessaria l’iscrizione, la legge regolatrice è quella dello Stato nel cui territorio è situata la sede direttiva».
Causa principale e questioni pregiudiziali
21 La Cartesio veniva costituita il 20 maggio 2004 con la forma giuridica di una «betéti társaság» (società in accomandita semplice) a norma della legge ungherese e la sua sede veniva stabilita a Baja (Ungheria). Si provvedeva all’iscrizione della stessa nel registro delle imprese in data 11 giugno 2004.
22 La società ha quale accomandante − colui che si impegna esclusivamente a effettuare un conferimento di capitale − e quale accomandatario − colui che si accolla una responsabilità illimitata per le obbligazioni della società − due persone fisiche residenti in Ungheria aventi la cittadinanza di tale Stato membro. Essa opera, in particolare, nel settore delle risorse umane, della segreteria, della traduzione, dell’insegnamento e della formazione.
23 L’11 novembre 2005 la Cartesio presentava una domanda presso il Bács-Kiskun Megyei Bíróság (Tribunale regionale di Bács-Kiskun), in veste di Cégbíróság (Tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese), al fine di formalizzare il trasferimento della sua sede a Gallarate (Italia) e pertanto di modificare l’iscrizione relativa alla sua sede nel registro delle imprese.
24 Con decisione 24 gennaio 2006 tale domanda veniva respinta argomentando che la legge ungherese in vigore non consente a una società costituita in Ungheria di trasferire la sua sede all’estero continuando al contempo a essere soggetta alla normativa ungherese quale legge regolatrice.
25 La Cartesio proponeva appello contro tale decisione dinanzi allo Szegedi Ítélőtábla (Corte d’appello di Szeged).
26 Fondandosi sulla sentenza 13 dicembre 2005, causa C-411/03, SEVIC Systems (Racc. pag I-10805), la Cartesio ha osservato dinanzi al giudice del rinvio che, nei limiti in cui effettua una distinzione tra società commerciali in funzione dello Stato membro nel quale le dette società hanno la loro sede, la normativa in parola è in contrasto con gli artt. 43 CE e 48 CE. Da tali norme discenderebbe che la normativa ungherese non può imporre alle società ungheresi di scegliere l’Ungheria per stabilirvi la sede.
27 La Cartesio ha altresì sostenuto che il giudice del rinvio è obbligato a sottoporre una questione pregiudiziale in merito a tale aspetto, giacché costituisce un giudice nazionale le cui decisioni non sono soggette a impugnazione.
28 Il giudice del rinvio rileva che né il procedimento dinanzi ai tribunali incaricati della tenuta del registro delle imprese né quello dinanzi agli organi giurisdizionali che si pronunciano in secondo grado sulle decisioni dei primi hanno carattere contraddittorio secondo la legge ungherese. Esso si pone pertanto la questione se possa essere qualificato come «giurisdizione» ai sensi dell’art. 234 CE.
29 Qualora tale questione venga risolta in termini affermativi, il giudice del rinvio ritiene inoltre che non sia certo se, ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE, esso debba essere qualificato come organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno.
30 Esso osserva a questo proposito che, sebbene, ai sensi della legislazione ungherese, le sue decisioni adottate in secondo grado abbiano forza di cosa giudicata e siano esecutive, esse tuttavia possono essere oggetto di un ricorso straordinario, vale a dire un ricorso per cassazione dinanzi al Legfelsőbb Bíróság.
31 Tuttavia, dal momento che la finalità del ricorso per cassazione è quella di garantire l’unità della giurisprudenza, le possibilità di presentare un siffatto ricorso sono limitate, in particolare, dal presupposto di ricevibilità dei motivi consistente nell’obbligo di invocare una violazione di legge.
32 Il giudice a quo osserva inoltre che, nella dottrina e nella giurisprudenza nazionali, ci si è interrogati in merito alla compatibilità con l’art. 234 CE delle disposizioni contenute agli artt. 155/A e 249/A del codice di procedura civile, relative al ricorso contro le decisioni di rinvio pregiudiziale alla Corte.
33 A tale riguardo, il giudice del rinvio osserva che tali disposizioni potrebbero comportare che un giudice d’appello impedisca a un organo giurisdizionale che abbia deciso di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale di provvedervi, nonostante l’interpretazione da parte della Corte di una disposizione di diritto comunitario sia necessaria al fine di risolvere la controversia sottoposta a detto organo.
34 Per quanto riguarda il merito della causa principale, il giudice a quo rileva, facendo riferimento alla sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust (Racc. pag. 5483), che la libertà di stabilimento prevista agli artt. 43 CE e 48 CE non comporta il diritto, per una società costituita in forza della legislazione di uno Stato membro e in quest’ultimo registrata, di trasferire la sua amministrazione centrale, e pertanto il centro principale di attività, in un altro Stato membro conservando al contempo la sua personalità giuridica e la sua nazionalità d’origine ove le autorità competenti vi si oppongano.
35 Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, la giurisprudenza successiva della Corte potrebbe aver stemperato questo principio.
36 A questo proposito, tale giudice ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, costituiscono restrizioni alla libertà di stabilimento delle società tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà, riferendosi al riguardo, in particolare, alla sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France (Racc. pag I-8961, punti 11 e 12).
37 Il giudice del rinvio rileva altresì come, nella citata sentenza SEVIC Systems, la Corte abbia statuito che gli artt. 43 CE e 48 CE ostano a che, in uno Stato membro, l’iscrizione nel registro nazionale delle imprese della fusione di due società per scioglimento senza liquidazione di una società e trasmissione universale del patrimonio di quest’ultima all’altra sia generalmente rifiutata se una delle due società ha sede in un altro Stato membro, mentre tale iscrizione è possibile, purché siano rispettate talune condizioni, se le società partecipanti alla fusione hanno entrambe sede nel territorio del primo Stato membro.
38 Costituirebbe inoltre un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte il fatto che i diritti nazionali non possono fare distinzioni tra le società in funzione della nazionalità del soggetto che ne chiede l’iscrizione nel registro delle imprese.
39 Da ultimo, il giudice del rinvio osserva che il regolamento (CEE) del Consiglio 25 luglio 1985, n. 2137, relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico (GEIE) (GU L 199, pag. 1), e il regolamento (CE) del Consiglio 8 ottobre 2001, n. 2157, relativo allo statuto della Società europea (SE) (GU L 294, pag. 1), sanciscono per le forme d’impresa comunitaria da essi introdotte previsioni più flessibili e meno onerose consentendo alle stesse di trasferire la sede o un centro di attività in un altro Stato membro senza un previo procedimento di liquidazione.
40 In tali circostanze, lo Szegedi Ítélőtábla, reputando che la soluzione della controversia a esso sottoposta dipenda dall’interpretazione del diritto comunitario, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se un giudice di secondo grado, chiamato a decidere un appello proposto avverso una decisione emessa da un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese in un procedimento di modifica dell’iscrizione [di una società] nel registro delle imprese, possa sollevare una domanda di pronuncia pregiudiziale conformemente all’art. 234 [CE], qualora né il procedimento per l’adozione della decisione del tribunale [di primo grado] né il procedimento di appello abbiano carattere contraddittorio.
2) Qualora il giudice di secondo grado rientri nel concetto di organo giurisdizionale competente a sottoporre alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 [CE], se detto giudice debba essere considerato come un giudice di ultima istanza che, conformemente all’art. 234 [CE], è obbligato a sottoporre alla Corte le questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario.
3) Se limiti o possa limitare la competenza dei giudici ungheresi a sollevare questioni pregiudiziali – competenza che deriva loro direttamente dall’art. 234 [CE] – una norma nazionale che consenta di impugnare ai sensi delle norme di diritto nazionale un’ordinanza di rinvio pregiudiziale qualora, in caso di gravame, l’organo giurisdizionale nazionale di grado superiore possa riformare detta ordinanza, rendere privo di effetti il rinvio pregiudiziale e ordinare al giudice che ha emesso l’ordinanza di riprendere la trattazione del procedimento nazionale sospeso.
4) a) Qualora una società costituita in Ungheria ai sensi del diritto societario ungherese sia iscritta nel registro delle imprese ungherese e intenda trasferire la propria sede in un altro Stato membro dell’Unione [europea], se la regolamentazione di tale fattispecie ricada nella sfera del diritto comunitario o, in mancanza di armonizzazione delle normative nazionali, sia applicabile esclusivamente il diritto nazionale.
b) Se una società ungherese possa chiedere il trasferimento della sua sede in un altro Stato membro dell’Unione invocando direttamente il diritto comunitario (artt. 43 [CE] e 48 [CE]). In caso di soluzione affermativa, se un siffatto trasferimento possa essere assoggettato ad una qualche condizione o autorizzazione da parte dello Stato membro di origine o dello Stato membro ospitante.
c) Se gli artt. 43 [CE] e 48 [CE] debbano interpretarsi nel senso che è incompatibile con il diritto comunitario una normativa o una prassi nazionale che effettua una distinzione, in materia di esercizio dei diritti relativi a società commerciali, tra tali società in funzione dello Stato membro in cui è stabilita la sede.
[d)] Se gli artt. 43 [CE] e 48 [CE] debbano interpretarsi nel senso che è incompatibile con il diritto comunitario una normativa o una prassi nazionale che impedisce ad una società [dello Stato membro interessato] di trasferire la propria sede in un altro Stato membro (...)».
Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento
41 Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 9 settembre 2008, l’Irlanda ha chiesto alla Corte di disporre, per quanto riguarda la quarta questione pregiudiziale, la riapertura della fase orale, ai sensi dell’art. 61 del regolamento di procedura.
42 A sostegno della sua domanda, l’Irlanda indica che, contrariamente a quanto considera l’avvocato generale nelle sue conclusioni, la decisione di rinvio non deve essere intesa nel senso che la quarta questione verte sul trasferimento della sede della società, definito nella legge ungherese come il luogo dell’amministrazione centrale, e quindi la sede effettiva, della società.
43 Secondo l’Irlanda, dalla traduzione in inglese della decisione di rinvio discende che tale questione riguarda il trasferimento delle sede sociale.
44 Pertanto, l’Irlanda rileva in sostanza che una delle premesse di fatto sulle quali si fonda l’analisi dell’avvocato generale è erronea.
45 Tuttavia, l’Irlanda reputa che, se la Corte dovesse fondarsi sulla stessa premessa, dovrebbe riaprire la fase orale onde offrire l’opportunità alle parti interessate nel presente procedimento di sottoporre osservazioni sulla base di una siffatta premessa.
46 Dalla giurisprudenza della Corte risulta che essa può, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, ovvero su domanda delle parti, riaprire la fase orale del procedimento, ai sensi dell’art. 61 del regolamento di procedura, qualora ritenga di non avere sufficienti chiarimenti o che la causa debba essere decisa sulla base di un argomento che non sia stato oggetto di discussione tra le parti (v., in particolare, sentenza 26 giugno 2008, causa C-284/06, Burda, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).
47 Al riguardo occorre constatare, in primo luogo, che dalla decisione di rinvio globalmente considerata emerge che la quarta questione verte non già sul trasferimento della sede sociale della società di cui trattasi nella causa principale, ma, piuttosto, sul trasferimento della sua sede effettiva.
48 Infatti, secondo quanto risulta nella decisione di rinvio, dalla normativa ungherese relativa alla registrazione della società discende che, ai fini dell’applicazione di tale normativa, la sede di una società è definita come il luogo in cui si trova la sua sede direttiva.
49 Inoltre, il giudice del rinvio ha collocato la causa principale nel contesto della situazione oggetto della causa che ha dato origine alla citata sentenza Daily Mail and General Trust, che descrive come una fattispecie relativa a una società, costituita in forza della legislazione di uno Stato membro e in quest’ultimo registrata, che intendeva trasferire la sua amministrazione centrale, e quindi il suo centro principale di attività, in un altro Stato membro, pur conservando la sua personalità giuridica e la sua nazionalità d’origine, ove le autorità competenti vi si opponevano. Esso si pone in particolare il problema di stabilire se il principio sancito da tale sentenza, secondo il quale gli artt. 43 CE e 48 CE non conferiscono alle società il diritto a un siffatto trasferimento della loro amministrazione centrale pur mantenendo la loro personalità giuridica quale è stata loro conferita nello Stato a norma della cui legislazione tali società sono state costituite, non sia stato stemperato dalla giurisprudenza successiva della Corte.
50 In secondo luogo, l’Irlanda, al pari d’altronde degli altri interessati, è stata espressamente invitata dalla Corte a concentrare le proprie osservazioni sull’ipotesi che il problema sollevato nel contesto della causa principale riguardi il trasferimento della sede effettiva della società interessata, ossia il luogo in cui è situata la sua sede direttiva, in un altro Stato membro.
51 Sebbene, nelle sue osservazioni, l’Irlanda si sia tuttavia concentrata sull’ipotesi che la fattispecie in esame verta sul trasferimento della sede sociale, essa ha altresì esposto, ancorché sinteticamente, la sua opinione in merito all’ipotesi secondo cui la causa principale verterebbe sul trasferimento della sede effettiva della società, opinione che essa ha d’altronde ribadito nella sua domanda di riapertura della fase orale del procedimento.
52 In tale contesto, la Corte, sentito l’avvocato generale, ritiene di disporre di tutti gli elementi necessari per risolvere le questioni proposte dal giudice del rinvio e che la causa non debba essere definita sulla base di un argomento che non è stato discusso tra le parti.
53 Non occorre pertanto disporre la riapertura della fase orale del procedimento.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
54 Con tale questione si chiede in sostanza alla Corte di stabilire se un organo giurisdizionale come il giudice del rinvio, adito in appello avverso una decisione di un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese recante rigetto di una domanda di modifica di un’iscrizione figurante nel registro in parola, debba essere qualificato come organo giurisdizionale competente a proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, nonostante il fatto che né la decisione di detto tribunale né l’esame da parte del giudice del rinvio dell’appello presentato avverso tale decisione intervengano nel contesto di un procedimento in contraddittorio.
55 Al riguardo va rammentato che, secondo costante giurisprudenza, per valutare se l’organo del rinvio possegga le caratteristiche di una «giurisdizione» ai sensi dell’art. 234 CE, questione unicamente di diritto comunitario, la Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali il fondamento legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (v., in particolare, sentenza 27 aprile 2006, causa C-96/04, Standesamt Stadt Niebüll, Racc. pag. I-3561, punto 12 e la giurisprudenza ivi citata).
56 Peraltro, per quanto riguarda il carattere contraddittorio del procedimento dinanzi al giudice del rinvio, l’art. 234 CE non subordina il rinvio alla Corte al carattere contraddittorio di tale procedimento. Ciò che risulta invece da detto articolo è che i giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi sia pendente una lite e se essi siano stati chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di natura giurisdizionale (v. in tal senso, in particolare, sentenza 15 gennaio 2002, causa C-182/00, Lutz e a., Racc. pag. I-547, punto 13 e la giurisprudenza ivi citata).
57 Così, quando svolge funzioni di autorità amministrativa senza dovere, al tempo stesso, dirimere una controversia, un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese non può essere considerato come un organo che esercita una funzione giurisdizionale. Ciò accade, per esempio, quando esso statuisce su una domanda di iscrizione di una società in un registro nell’ambito di un procedimento non avente ad oggetto l’annullamento di un atto asseritamente lesivo di un diritto del richiedente (v. in tal senso, in particolare, sentenza Lutz e a., cit., punto 14 e la giurisprudenza ivi citata).
58 Per contro, un giudice adito in sede di appello avverso una decisione di un organo giurisdizionale di grado inferiore incaricato della tenuta di un registro che rifiuti di accogliere una siffatta domanda di iscrizione, ove l’impugnazione abbia ad oggetto l’annullamento di tale decisione asseritamente lesiva di un diritto del richiedente, è investito di una controversia ed esercita una funzione giurisdizionale.
59 Pertanto, in un caso di questo genere, il giudice d’appello in linea di principio dev’essere considerato un organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 234 CE, competente a disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte (v. per analoghi esempi, in particolare, sentenze 15 maggio 2003, causa C-300/01, Salzmann, Racc. pag. I-4899, SEVIC Systems, cit., nonché 11 ottobre 2007, causa C-117/06, Möllendorf e a., Racc. pag. I-8361).
60 Dal fascicolo presentato alla Corte si evince che, nella fattispecie di cui alla causa principale, il giudice del rinvio si pronuncia in secondo grado in merito a un ricorso di annullamento della decisione con cui un organo giurisdizionale di grado inferiore incaricato della tenuta del registro delle imprese ha respinto la domanda di una società diretta all’ottenimento dell’iscrizione in tale registro del trasferimento della sua sede, il che impone di modificare un’iscrizione figurante nel registro in parola.
61 Quindi, nella causa principale il giudice del rinvio è investito di una controversia ed esercita una funzione giurisdizionale, nonostante l’assenza di carattere contraddittorio del procedimento pendente dinanzi a tale giudice.
62 Di conseguenza, tenuto conto della giurisprudenza menzionata ai punti 55 e 56 della presente sentenza, il giudice del rinvio deve essere qualificato come «giurisdizione» ai sensi dell’art. 234 CE.
63 Alla luce di quanto precedentemente considerato, occorre risolvere la prima questione nel senso che un organo giurisdizionale, come il giudice del rinvio, adito in appello avverso una decisione di un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese recante rigetto di una domanda di modifica di un’iscrizione figurante nel registro in parola deve essere qualificato come organo giurisdizionale competente a proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, nonostante il fatto che né la decisione di detto tribunale né l’esame dell’appello da parte del giudice del rinvio intervengano nel contesto di un procedimento in contraddittorio.
Sulla seconda questione
64 Con tale questione si chiede, in sostanza, alla Corte se un organo giurisdizionale come il giudice del rinvio, le cui decisioni emanate nel contesto di una controversia come quella di cui alla causa principale sono ricorribili per cassazione, debba essere qualificato come giudice avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE.
Sulla ricevibilità
65 La Commissione delle Comunità europee sostiene che tale questione è irricevibile in quanto manifestamente irrilevante al fine di risolvere la controversia di cui alla causa principale, considerato che la domanda di pronuncia pregiudiziale è già stata sottoposta alla Corte, così che, a suo parere, risulta del tutto superfluo interrogarsi sul carattere obbligatorio o meno del rinvio.
66 Tale obiezione deve essere respinta.
67 Secondo costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego di pronuncia, da parte della Corte, su un rinvio pregiudiziale proposto da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con la realtà o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in tal senso, sentenza 7 giugno 2007, cause riunite da C-222/05 a C-225/05, van der Weerd e a., Racc. pag I-4233, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata).
68 Come è stato osservato al punto 27 della presente sentenza, la Cartesio ha sostenuto dinanzi al giudice del rinvio che quest’ultimo era obbligato a presentare alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale, dal momento che tale organo giurisdizionale dovrebbe essere qualificato come giudice avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE.
69 Nutrendo dubbi sul motivo dinanzi ad esso sollevato, il giudice del rinvio ha deciso di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale al riguardo.
70 Orbene, sarebbe contrario allo spirito di cooperazione che deve presiedere alle relazioni tra i giudici nazionali e la Corte, così come alle esigenze di economia processuale, pretendere che un giudice nazionale debba dapprima presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale con la quale si limiti a chiedere se tale organo giurisdizionale rientri tra quelli previsti all’art. 234, terzo comma, CE prima di poter eventualmente formulare, successivamente e mediante una seconda domanda di pronuncia pregiudiziale, questioni relative a determinate disposizioni del diritto comunitario riguardanti il merito della controversia ad esso sottoposta.
71 Peraltro, la Corte ha già risolto una questione relativa alla natura del giudice del rinvio alla luce dell’art. 234, terzo comma, CE in un contesto che presenta indubbie analogie con quello di cui alla presente domanda di pronuncia pregiudiziale, senza che sia stata messa in discussione la ricevibilità della questione (sentenza 4 giugno 2002, causa C-99/00, Lyckeskog, Racc. pag I-4839).
72 In tale contesto non risulta, o quantomeno non risulta in modo manifesto, che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non presenti alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della controversia della causa principale.
73 Pertanto, la presunzione di rilevanza di cui godono le domande di pronuncia pregiudiziale non è superata, per quanto riguarda la presente questione pregiudiziale, dall’obiezione sollevata dalla Commissione (v., in particolare, sentenza van der Weerd e a., cit., punti 22 e 23).
74 Ne discende che la seconda questione pregiudiziale è ricevibile.
Nel merito
75 Con la presente questione si domanda quindi se il giudice del rinvio debba essere qualificato come «giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno», ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE. Dalla decisione di rinvio emerge che tale questione viene sollevata in considerazione del fatto, rilevato ai punti 30 e 31 della presente sentenza, che, sebbene la legislazione ungherese preveda che le decisioni emanate in secondo grado da tale giudice possono essere oggetto di un ricorso straordinario, in particolare di un ricorso per cassazione dinanzi al Legfelsőbb Bíróság, dal momento che la finalità di quest’ultimo ricorso è quella di garantire l’unità della giurisprudenza, le possibilità di presentare un siffatto gravame sono limitate, in particolare dal presupposto di ricevibilità dei motivi consistente nell’obbligo di invocare una violazione di legge, e altresì in considerazione del fatto, parimenti rilevato nella decisione di rinvio, che, in base alla legislazione ungherese, un ricorso in cassazione in linea di principio non comporta che sia sospesa l’esecuzione della decisione adottata in secondo grado.
76 La Corte ha già affermato che le decisioni di un giudice nazionale d’appello impugnabili dalle parti dinanzi ad una Corte suprema non promanano da una «giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno», ai sensi dell’art. 234 CE. Dalla circostanza che l’esame nel merito di detta impugnazione sia subordinato alla previa declaratoria di ricevibilità da parte della Corte suprema non deriva l’effetto di privare le parti dell’esperibilità di rimedi giurisdizionali (sentenza Lyckeskog, cit., punto 16).
77 Ciò vale a maggior ragione per quanto riguarda un sistema procedurale come quello nell’ambito del quale deve essere definita la causa principale, dal momento che quest’ultimo non prevede una siffatta previa dichiarazione di ricevibilità dell’impugnazione da parte della Corte suprema, ma si limita a imporre restrizioni per quanto attiene in particolare alla natura dei motivi che possono essere invocati dinanzi a un tale organo giurisdizionale, i quali devono essere attinenti a una violazione di legge.
78 Restrizioni di tale genere, al pari della mancanza di effetto sospensivo del ricorso per cassazione dinanzi al Legfelsőbb Bíróság, non comportano che le parti costituitesi dinanzi a un organo giurisdizionale le cui decisioni possono essere oggetto di un’impugnazione di questo tipo siano private della possibilità di esercitare effettivamente il loro diritto di proporre detto ricorso contro la decisione di quest’ultimo organo allorché dirime una controversia come quella di cui alla causa principale. Tali restrizioni e tale mancanza di effetto sospensivo non implicano pertanto che quest’ultimo debba essere qualificato come organo giurisdizionale le cui decisioni non sono impugnabili.
79 Alla luce di quanto precede, si deve risolvere la seconda questione nel senso che un organo giurisdizionale, come il giudice del rinvio, le cui decisioni adottate nel contesto di una controversia come quella di cui alla causa principale sono ricorribili per cassazione non è qualificabile come organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE.
Sulla terza questione
Sulla ricevibilità
80 L’Irlanda rileva che la presente questione è ipotetica e, pertanto, irricevibile, dal momento che, non essendo stato proposto alcun ricorso contro la decisione di rinvio che verta su un aspetto giuridico, per il giudice a quo la soluzione di tale questione risulta inutile.
81 La Commissione invita anch’essa la Corte a dichiarare che non occorre pronunciarsi su tale questione a motivo del suo carattere ipotetico, dal momento che la decisione di rinvio ha acquisito autorità di cosa giudicata ed è pervenuta alla Corte.
82 Tali obiezioni non possono essere accolte.
83 È indubbio, come ricordato al punto 67 della presente sentenza, che la presunzione di rilevanza di cui godono le domande di pronuncia pregiudiziale in presenza di determinate circostanze può essere superata, in particolare qualora la Corte constati che il problema è di natura ipotetica.
84 L’Irlanda e la Commissione sostengono che il problema dell’eventuale incompatibilità con l’art. 234, secondo comma, CE delle norme nazionali in materia di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte, problema sul quale verte la presente questione, è di natura ipotetica, dal momento che, nella fattispecie in esame, la decisione di rinvio non è stata impugnata ed ha acquistato autorità di cosa giudicata.
85 Tuttavia, né tale decisione né il fascicolo trasmesso alla Corte consentono di constatare che contro detta decisione non è stato o non può più essere proposto alcun gravame.
86 Tenuto conto della costante giurisprudenza rammentata al punto 67 della presente sentenza, in una tale situazione di incertezza, dal momento che la responsabilità per quanto riguarda l’esattezza della definizione del contesto di diritto e di fatto nel quale rientra la questione pregiudiziale incombe al giudice nazionale, la presunzione di rilevanza di cui gode la presente questione pregiudiziale non è superata.
87 Ne consegue che la terza questione pregiudiziale è ricevibile.
Nel merito
88 L’art. 234 CE conferisce ai giudici nazionali la facoltà – ed eventualmente impone loro l’obbligo – di effettuare un rinvio pregiudiziale se il giudice rileva, vuoi d’ufficio vuoi su domanda di parte, che il merito della controversia solleva un aspetto previsto al primo comma di detto articolo. Ne discende che le magistrature nazionali godono della più ampia facoltà di adire la Corte se ritengono che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad esse pendente, siano sorte questioni, essenziali per la pronuncia nel merito, che implicano un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto comunitario (sentenza 16 gennaio 1974, causa 166/73, Rheinmühlen-Düsseldorf, Racc. pag. 33, punto 3).
89 Emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte che, nel caso di un giudice che non sia di ultima istanza, l’art. 234 CE non esclude che i relativi provvedimenti di rinvio pregiudiziale alla Corte siano soggetti ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno. Tuttavia, per chiarezza e per garantire la certezza del diritto, la Corte deve comunque attenersi al provvedimento di rinvio, che produrrà i suoi effetti finché non sarà stato revocato (sentenza 12 febbraio 1974, causa 146/73, Rheinmühlen-Düsseldorf, Racc. pag I-139, punto 3).
90 Inoltre, la Corte ha già dichiarato che il sistema introdotto dall’art. 234 CE per assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti (sentenza 12 febbraio 2008, causa C-2/06, Kempter, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 41).
91 Infatti, il rinvio pregiudiziale si basa su un dialogo tra giudici, il cui avvio si basa interamente sulla valutazione della pertinenza e della necessità del detto rinvio compiuta dal giudice nazionale (sentenza Kempter, cit., punto 42).
92 Dalla decisione di rinvio discende che, secondo la legislazione ungherese, può essere proposto un separato gravame avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte, mentre l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice da cui promana tale decisione e il procedimento viene sospeso fino alla pronuncia della sentenza della Corte. Il giudice d’appello in questo modo adito, ai sensi della legislazione ungherese, è autorizzato a riformare detta ordinanza, a rendere privo di effetti il rinvio pregiudiziale e a ordinare al primo giudice di riprendere la trattazione del procedimento di diritto nazionale sospeso.
93 Come risulta dalla giurisprudenza evocata ai punti 88 e 89 della presente sentenza, nel caso di un giudice nazionale che non sia di ultima istanza, l’art. 234 CE non esclude che i relativi provvedimenti di rinvio pregiudiziale alla Corte siano soggetti ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno. Tuttavia, l’esito di un tale ricorso di impugnazione non può limitare la competenza in capo a detto giudice, conferitagli dall’art. 234 CE, di adire la Corte se ritiene che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad esso pendente, siano sorte questioni relative all’interpretazione di disposizioni del diritto comunitario per le quali è necessaria una pronuncia della Corte.
94 Peraltro, occorre ricordare che la Corte ha già dichiarato che, in una situazione in cui un giudice di primo grado debba statuire per la seconda volta in una causa, dopo l’annullamento di una sua precedente sentenza da parte di un giudice di ultima istanza, detto giudice di primo grado resta libero di adire la Corte a norma dell’art. 234 CE anche se il diritto interno contempla una norma che vincola i giudici al rispetto delle valutazioni giuridiche emananti da un giudice di grado superiore (sentenza 12 febbraio 1974, Rheinmühlen-Düsseldorf, cit.).
95 Orbene, in caso di applicazione di norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale, caratterizzate dal fatto che l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice del rinvio, mentre soltanto la decisione di rinvio è oggetto di un appello limitato, l’autonoma competenza ad adire la Corte che l’art. 234 CE conferisce al primo giudice sarebbe rimessa in discussione se, riformando la decisione che dispone il rinvio pregiudiziale, rendendola priva di effetti e ordinando al giudice che ha emanato tale decisione di riprendere la trattazione del procedimento sospeso, il giudice dell’appello potesse impedire al giudice del rinvio di esercitare la facoltà di adire la Corte conferitagli dal Trattato CE.
96 Infatti, in conformità all’art. 234 CE, la valutazione della rilevanza e della necessità della questione pregiudiziale rientra, in via di principio, esclusivamente nell’ambito della responsabilità del giudice che dispone il rinvio pregiudiziale, fatta salva la limitata verifica effettuata dalla Corte conformemente alla giurisprudenza evocata al punto 67 della presente sentenza. Incombe quindi a tale giudice trarre le conseguenze di una sentenza pronunciata in secondo grado contro la decisione che dispone il rinvio pregiudiziale e, in particolare, concludere che occorre mantenere immutata, modificare o revocare la sua domanda di pronuncia pregiudiziale.
97 Ne discende che, in una situazione quale quella di cui alla controversia principale, la Corte, anche per chiarezza e per garantire la certezza del diritto, deve attenersi al provvedimento di rinvio pregiudiziale, che produrrà i suoi effetti finchè non sarà stato revocato o modificato dal giudice che lo ha emanato, perché solo quest’ultimo può decidere in merito a una siffatta revoca o modifica.
98 Alla luce di quanto sopra considerato, si deve risolvere la terza questione sollevata dichiarando che, in presenza di norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale, caratterizzate dal fatto che l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice del rinvio, mentre soltanto la decisione di rinvio è oggetto di un appello limitato, l’art. 234, secondo comma, CE deve essere interpretato nel senso che la competenza che tale disposizione del Trattato conferisce a qualsiasi giudice nazionale di disporre un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte non può essere rimessa in discussione dall’applicazione di siffatte norme, che consentono al giudice adito in appello di riformare la decisione che dispone un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte, di rendere privo di effetti detto rinvio e di ordinare al primo giudice di riprendere la trattazione del procedimento di diritto nazionale sospeso.
Sulla quarta questione
99 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli artt. 43 CE e 48 CE debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro che impedisce a una società costituita a norma del diritto nazionale di detto Stato membro di trasferire la sua sede in un altro Stato membro, mantenendo al contempo il suo status giuridico di società soggetta al diritto nazionale dello Stato membro a norma della cui legislazione è stata costituita.
100 Dalla decisione di rinvio emerge che la Cartesio, società costituita a norma della legge ungherese, che al momento della sua costituzione aveva stabilito la propria sede in Ungheria, ha trasferito la sede in Italia, ma intende mantenere lo status giuridico di società di diritto ungherese.
101 Secondo la legge relativa alla registrazione delle società, la sede di una società di diritto ungherese è il luogo in cui si trova la sua sede direttiva.
102 Il giudice del rinvio espone che la domanda d’iscrizione nel registro delle imprese della modifica relativa alla sede della Cartesio, presentata da quest’ultima, è stata respinta dal tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese in quanto, ai sensi della legislazione ungherese, una società costituita in Ungheria non può, al contempo, trasferire la sua sede, come prevista nella legge in parola, all’estero e continuare ad essere soggetta alla legge ungherese quale legge che ne disciplina lo status.
103 Un siffatto trasferimento richiederebbe la previa cessazione della società e la sua ricostituzione in conformità alla legislazione dello Stato nel cui territorio essa intende stabilire la propria nuova sede.
104 A tale riguardo, la Corte ha ricordato, al punto 19 della citata sentenza Daily Mail and General Trust, che una società costituita in forza di un ordinamento giuridico nazionale esiste solo in forza della normativa nazionale che ne disciplina la costituzione e il funzionamento.
105 Al punto 20 della medesima sentenza, la Corte ha osservato che le legislazioni degli Stati membri presentano notevoli differenze sia quanto al criterio di collegamento al territorio nazionale richiesto per la costituzione di una società, sia quanto alla facoltà di una società costituita secondo tale legislazione di modificare in seguito detto criterio di collegamento. Talune legislazioni esigono che non solo la sede sociale, ma anche la sede effettiva, cioè l’amministrazione centrale della società, siano ubicate sul territorio degli Stati membri di cui trattasi, ragion per cui lo spostamento dell’amministrazione centrale al di fuori di tale territorio presuppone lo scioglimento della società, con tutte le conseguenze che ne discendono sotto il profilo del diritto societario. Altre legislazioni riconoscono alle società il diritto di trasferire all’estero la loro amministrazione centrale, ma alcune sottopongono tale diritto ad alcuni limiti e gli effetti giuridici del trasferimento variano da uno Stato membro all’altro.
106 La Corte ha inoltre dichiarato, al punto 21 di detta sentenza, che il Trattato CEE ha tenuto conto di tali differenze fra le legislazioni nazionali. Nel definire, all’art. 58 (divenuto art. 58 del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 48 CE), le società che possono godere del diritto di stabilimento, il Trattato CEE ha posto sullo stesso piano la sede sociale, l’amministrazione centrale e il centro d’attività principale come criteri di collegamento.
107 Nella sentenza 5 novembre 2002, causa C-208/00, Überseering (Racc. pag I-9919, punto 70), la Corte, nel confermare tali considerazioni, ne ha desunto che la facoltà, per una società costituita in conformità alla normativa di uno Stato membro, di trasferire la sua sede, sociale o effettiva, in un altro Stato membro senza perdere la personalità giuridica di cui essa gode nell’ordinamento giuridico dello Stato membro di costituzione e, eventualmente, le modalità di tale trasferimento sono determinate dalla normativa nazionale secondo la quale tale società è stata costituita. Essa ne ha concluso che uno Stato membro ha la possibilità di imporre ad una società costituita in forza del suo ordinamento giuridico restrizioni al trasferimento della sede effettiva di quest’ultima al di fuori del suo territorio affinché tale società possa conservare la personalità giuridica di cui beneficia in base al diritto di questo stesso Stato membro.
108 Si deve d’altronde sottolineare che la Corte è giunta a tale conclusione anche sul fondamento del disposto dell’art. 58 del Trattato CEE. Infatti, definendo in tale norma le società che possono beneficiare del diritto di stabilimento, il Trattato CEE ha considerato la diversità delle legislazioni nazionali relative sia al criterio di collegamento richiesto per le società soggette a dette legislazioni sia alla facoltà e, eventualmente, alle modalità di un trasferimento della sede, sociale o effettiva, di una società di diritto nazionale da uno Stato membro all’altro come una difficoltà lasciata irrisolta dalle norme sul diritto di stabilimento, ma la cui soluzione dev’essere affidata ad iniziative legislative o pattizie non ancora giunte a compimento (v., in tal senso, citate sentenze Daily Mail and General Trust, punti 21-23, e Überseering, punto 69).
109 Pertanto, conformemente all’art. 48 CE, dal momento che il diritto comunitario non ha fornito un’uniforme definizione delle società autorizzate a beneficiare del diritto di stabilimento in funzione di un unico criterio di collegamento idoneo a determinare il diritto nazionale applicabile a una società, la questione se l’art. 43 CE si applichi a una società che invoca la libertà fondamentale sancita da tale norma – analogamente, d’altronde, a quella se una persona fisica sia un cittadino di uno Stato membro che, a tale titolo, può beneficiare di tale libertà – costituisce una questione preliminare che, allo stato attuale del diritto comunitario, può trovare risposta solo nel diritto nazionale applicabile. Quindi, soltanto qualora risulti che tale società beneficia effettivamente della libertà di stabilimento tenuto conto delle condizioni enunciate dall’art. 48 CE occorre accertare se detta società si trovi di fronte a una restrizione di tale libertà ai sensi dell’art. 43 CE.
110 Uno Stato membro dispone pertanto della facoltà di definire sia il criterio di collegamento richiesto a una società affinché essa possa ritenersi costituita ai sensi del suo diritto nazionale e, a tale titolo, possa beneficiare del diritto di stabilimento, sia quello necessario per continuare a mantenere detto status. Tale facoltà include la possibilità, per lo Stato membro in parola, di non consentire a una società soggetta al suo diritto nazionale di conservare tale status qualora intenda riorganizzarsi in un altro Stato membro trasferendo la sede nel territorio di quest’ultimo, sopprimendo in questo modo il collegamento previsto dal diritto nazionale dello Stato membro di costituzione.
111 Tuttavia, una siffatta ipotesi di trasferimento della sede di una società costituita a norma della legislazione di uno Stato membro in un altro Stato membro senza cambiamento del diritto cui è soggetta deve essere distinta da quella relativa al trasferimento di una società appartenente a uno Stato membro verso un altro Stato membro con cambiamento del diritto nazionale applicabile, ove la società si converte in una forma societaria soggetta al diritto nazionale dello Stato membro in cui si è trasferita.
112 Infatti, in quest’ultimo caso, la facoltà, richiamata al punto 110 della presente sentenza, lungi dall’implicare una qualsiasi immunità della legislazione nazionale in materia di costituzione e di scioglimento delle società rispetto alle norme del Trattato CE relative alla libertà di stabilimento, non può segnatamente giustificare che lo Stato membro di costituzione, imponendo lo scioglimento e la liquidazione di tale società, impedisca a quest’ultima di trasformarsi in una società di diritto nazionale dell’altro Stato membro nei limiti in cui detto diritto lo consenta.
113 Un siffatto ostacolo all’effettiva trasformazione di una società di questo tipo, senza previo scioglimento e previa liquidazione, in una società costituita a norma della legge nazionale dello Stato membro in cui intende trasferirsi costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento della società interessata che, a meno che non sia giustificata da ragioni imperative di interesse pubblico, è vietata in forza dell’art. 43 CE (v. in tal senso, in particolare, sentenza CaixaBank France, cit., punti 11 e 17).
114 Occorre altresì constatare che, dopo le citate sentenze Daily Mail and General Trust e Überseering, le iniziative legislative e pattizie nel settore del diritto delle società previste, rispettivamente, agli artt. 44, n. 2, lett. g), CE e 293 CE non hanno finora riguardato la disparità tra le legislazioni nazionali rilevata in tali sentenze e quindi non l’hanno ancora abolita.
115 La Commissione sostiene tuttavia che la mancanza di una normativa comunitaria in materia, constatata dalla Corte al punto 23 della citata sentenza Daily Mail and General Trust, è stata colmata dalle norme comunitarie sul trasferimento della sede in un altro Stato membro, contenute in testi normativi quali i regolamenti nn. 2137/85 e 2157/2001, relativi, rispettivamente, al GEIE e alla SE, o anche il regolamento (CE) del Consiglio 22 luglio 2003, n. 1435, relativo allo statuto della Società cooperativa europea (SCE) (GU L 207, pag. 1), così come dalla normativa ungherese adottata in seguito a tali regolamenti.
116 Essa reputa che tali norme potrebbero o, addirittura, dovrebbero essere applicate mutatis mutandis al trasferimento transfrontaliero della sede effettiva di una società costituita a norma del diritto nazionale di uno Stato membro.
117 A questo proposito, occorre constatare che, sebbene tali regolamenti, adottati sul fondamento dell’art. 308 CE, prevedano effettivamente un sistema che consente ai nuovi soggetti giuridici da essi istituiti di trasferire la loro sede sociale e, quindi, anche la loro sede effettiva – dal momento che le due sedi devono essere ubicate nel medesimo Stato membro – in un altro Stato membro senza dar luogo né a uno scioglimento della persona giuridica iniziale né alla creazione di una nuova persona giuridica, un siffatto trasferimento comporta tuttavia necessariamente un mutamento per quanto riguarda il diritto nazionale applicabile al soggetto che lo effettua.
118 Ciò emerge, ad esempio, per una SE, dagli artt. 7-9, n. 1, lett. c), ii), del regolamento n. 2157/2001.
119 Orbene, nella causa principale, la Cartesio intende esclusivamente trasferire la sua sede effettiva dall’Ungheria in Italia, restando al contempo una società di diritto ungherese, e quindi senza cambiamenti per quanto riguarda il diritto nazionale cui è soggetta.
120 Pertanto, l’applicazione mutatis mutandis della normativa comunitaria alla quale si riferisce la Commissione, anche supponendo che debba imporsi in caso di trasferimento transfrontaliero della sede di una società soggetta al diritto nazionale di uno Stato membro, non può comunque produrre l’atteso risultato in una situazione come quella di cui trattasi nella causa principale.
121 Per quanto attiene poi all’incidenza della citata sentenza SEVIC Systems sul principio sancito nelle citate sentenze Daily Mail and General Trust e Überseering, occorre constatare che tali sentenze non affrontano lo stesso problema, cosicché non si può sostenere che la prima abbia precisato la portata delle seconde.
122 Infatti, la causa da cui ha avuto origine la citata sentenza SEVIC Systems riguardava il riconoscimento, nello Stato membro di costituzione di una società, di un’operazione di stabilimento mediante fusione transfrontaliera effettuata da tale società in un altro Stato membro, fattispecie fondamentalmente diversa dalla situazione oggetto della causa che ha dato origine alla citata sentenza Daily Mail and General Trust. In tal senso, la fattispecie della citata sentenza SEVIC Systems è affine a situazioni su cui si sono pronunciate altre sentenze della Corte (v. sentenze 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Racc. pag I-1459; Überseering, cit., nonché 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art, Racc. pag I-10155).
123 Orbene, in siffatte situazioni, la questione preliminare che sorge non è quella, enunciata al punto 109 della presente sentenza, se la società interessata possa essere considerata come una società avente la nazionalità dello Stato membro a norma della cui legislazione è stata costituita, ma piuttosto se tale società, di cui è pacifico lo status di società di diritto nazionale di uno Stato membro, si trovi o meno di fronte a una restrizione nell’esercizio del suo diritto di stabilimento in un altro Stato membro.
124 In considerazione di quanto sopra esposto, occorre risolvere la quarta questione dichiarando che, allo stato attuale del diritto comunitario, gli artt. 43 CE e 48 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro che impedisce ad una società costituita in forza del diritto nazionale di tale Stato membro di trasferire la propria sede in un altro Stato membro conservando al contempo il suo status di società soggetta al diritto nazionale dello Stato membro a norma della cui legislazione è stata costituita.
Sulle spese
125 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Un organo giurisdizionale, come il giudice del rinvio, adito in appello avverso una decisione di un tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese recante rigetto di una domanda di modifica di un’iscrizione figurante nel registro in parola deve essere qualificato come organo giurisdizionale competente a proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, nonostante il fatto che né la decisione di detto tribunale né l’esame dell’appello da parte del giudice del rinvio intervengano nel contesto di un procedimento in contraddittorio.
2) Un organo giurisdizionale, come il giudice del rinvio, le cui decisioni adottate nel contesto di una controversia come quella di cui alla causa principale sono ricorribili per cassazione non è qualificabile come organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 234, terzo comma, CE.
3) In presenza di norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale, caratterizzate dal fatto che l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice del rinvio, mentre soltanto la decisione di rinvio è oggetto di un appello limitato, l’art. 234, secondo comma, CE deve essere interpretato nel senso che la competenza che tale disposizione del Trattato conferisce a qualsiasi giudice nazionale di disporre un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte non può essere rimessa in discussione dall’applicazione di siffatte norme, che consentono al giudice adito in appello di riformare la decisione che dispone un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte, di rendere privo di effetti detto rinvio e di ordinare al primo giudice di riprendere la trattazione del procedimento di diritto nazionale sospeso.
4) Allo stato attuale del diritto comunitario, gli artt. 43 CE e 48 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro che impedisce ad una società costituita in forza del diritto nazionale di tale Stato membro di trasferire la propria sede in un altro Stato membro conservando al contempo il suo status di società soggetta al diritto nazionale dello Stato membro a norma della cui legislazione è stata costituita.
Firme
* Lingua processuale: l’ungherese.