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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NIILO JÄÄSKINEN

presentate il 26 febbraio 2015 (1)

Causa C-657/13

Verder LabTec GmbH & Co. KG

contro

Finanzamt Hilden

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Finanzgericht Düsseldorf (Germania)]

«Libertà di stabilimento – Emersione e tassazione di riserve latenti conseguite dal trasferimento di attivi da una stabile organizzazione di un’impresa in uno Stato membro ad un’altra stabile organizzazione in un altro Stato membro – Esistenza di una restrizione – Determinazione, al momento del trasferimento, dell’importo delle plusvalenze non realizzate che concorrono agli utili imponibili – Giustificazione – Preservazione della ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri – Pagamento e riscossione in dieci rate annuali – Proporzionalità»





I –    Introduzione

1.        La presente pronuncia pregiudiziale riguarda la normativa fiscale nella Repubblica federale di Germania che stabilisce l’imposizione fiscale sulle riserve latenti (non rivelate) da pagarsi in rate annuali. Tali norme trovano applicazione quando gli attivi di proprietà aziendale vengono trasferiti da una stabile organizzazione appartenente ad un’impresa tedesca alla propria stabile organizzazione estera.

2.        Una società in accomandita semplice costituita in base alla legge tedesca ha trasferito proprietà aziendali consistenti in vari diritti di proprietà intellettuale dal compendio dei beni economici della propria stabile organizzazione in Germania a quello della propria stabile organizzazione nei Paesi Bassi. Secondo l’amministrazione finanziaria competente, ciò ha dato luogo ad imposizione fiscale ai sensi del diritto tedesco in relazione all’emersione delle riserve latenti connesse ai beni trasferiti. L’imposta, tuttavia, non è diventata immediatamente esigibile. Al contrario, le amministrazioni finanziarie hanno consentito il pagamento in rate annuali su un periodo di dieci anni.

3.        La società in accomandita semplice ha impugnato la decisione delle amministrazioni finanziarie dinanzi ai giudici tedeschi, così giungendo alla presente ordinanza di rinvio da parte del Finanzgericht Düsseldorf. Le questioni giuridiche originate dalla controversia riguardano l’interrogativo se le leggi tedesche in discussione restringano o meno la libertà di stabilimento; se esse possano essere giustificate tramite il riferimento alla necessità di preservare il potere impositivo della Germania in relazione alle plusvalenze non realizzate (riserve latenti) prodotte in tale Stato membro prima del trasferimento dei beni economici di cui trattasi; e se esse siano proporzionate, in particolare alla luce del fatto che, da una parte, l’imposta è esigibile anche prima che gli attivi siano effettivamente realizzati e, dall’altra, il periodo di recupero è di dieci anni.

4.        Tale genere di questioni è già stato affrontato dalla Corte, più precisamente in sentenze come National Grid Indus (2), in procedimenti di infrazioni distinti promossi dalla Commissione contro il Portogallo, la Spagna e la Danimarca (3) e più recentemente nella sentenza DMC (4). Tuttavia, la causa in esame presenta una nuova combinazione dei fatti.

II – Contesto normativo

5.        Il contesto normativo nazionale, particolarmente complesso, può essere riassunto nei seguenti termini.

6.        Inizialmente, la cosiddetta «separation taxation» (la tassazione dei prelevamenti di beni aziendali) non era disciplinata da alcuna norma di legge nel diritto tedesco. Essa si basava piuttosto sulla giurisprudenza della Corte federale tributaria (Bundesfinanzhof) del 1969, secondo la quale il trasferimento di un bene economico da un’impresa tedesca alla sua stabile organizzazione estera doveva essere considerato quale prelevamento di beni aziendali ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase, dell’Einkommensteuergesetz (Legge sull’imposta sul reddito) (in prosieguo, l’«EStG»). Per mitigare gli effetti di tale approccio per i soggetti passivi, le amministrazioni finanziarie consentivano loro, in via di prassi amministrativa, di scegliere tra contabilizzare immediatamente le plusvalenze non realizzate tra i redditi imponibili oppure posticiparne la tassazione, mettendo in conto tali utili come importo compensativo per le imposte non pagate nella relativa contabilità fiscale su di un periodo di dieci anni.

7.        La tassazione dei prelevamenti di beni aziendali è stata regolamentata per la prima volta dalla Gesetz über steuerliche Begleitmaßnahmen zur Einführung der Europäischen Gesellschaft und zur Änderung weiterer steuerlicher Vorschriften (Legge sulle misure di accompagnamento fiscale all’introduzione della Società europea e recante modifiche di altre norme fiscali) (in prosieguo, la «SEStEG») del 7 dicembre 2006 (5).

8.        La disciplina introdotta nell’EStg all’articolo 4, paragrafo 1, terza frase, dell’EStG recita: «L’esclusione o la limitazione del potere impositivo della Repubblica federale di Germania in relazione all’utile risultante dall’alienazione o dall’utilizzo di un bene economico sono considerate equivalenti ad un prelevamento di beni aziendali destinato a finalità estranee all’esercizio dell’impresa».

9.        La SEStEG ha inoltre introdotto nell’EStG l’articolo 4g, il quale dispone che, nei casi in cui un bene economico, per effetto della sua assegnazione ad una stabile organizzazione del medesimo soggetto passivo situata in un altro Stato membro dell’UE, si consideri oggetto di prelevamento ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, terza frase, dell’EStG, si procede, su domanda del soggetto passivo, alla creazione di una posta di bilancio compensativa pari alla differenza tra il valore contabile e il valore corrente del bene economico. Tale posta compensativa viene estinta, con corrispondente aumento dell’utile, nell’esercizio in cui essa è stata costituita nonché nei quattro esercizi successivi, in misura pari ad un quinto per ciascun anno.

10.      Nel 2010, l’articolo 4, paragrafo 1, dell’EStG è stato modificato in conseguenza di una sentenza del Bundesfinazhof (6). In primo luogo, dopo la terza frase, ne è stata inserita una quarta, del seguente tenore:

«Si determina un’esclusione o una limitazione del potere impositivo in relazione all’utile risultante dall’alienazione di un bene economico segnatamente nel caso in cui un bene economico sino ad allora imputabile ad una stabile organizzazione tedesca del soggetto passivo debba essere imputato ad una stabile organizzazione estera».

11.      In secondo luogo, l’articolo 52, paragrafo 8b, dell’EStG, il quale fino a quel momento stabiliva che l’articolo 4, paragrafo 1, terza frase, dell’EStG, così come modificato dal SEStG, era in vigore a partire dal 2006, è stato riformulato in modo tale che l’articolo 4, paragrafo 1, terza frase, dell’EStG trovi applicazione anche ai periodi di imposta precedenti qualora si sia verificato il trasferimento di un bene economico ad una stabile organizzazione estera, i cui redditi godano di esenzione in Germania in virtù di una convenzione contro le doppie imposizioni, e che la quarta frase dell’articolo 4, paragrafo 1, dell’EStG trovi applicazione in tutti i casi in cui debba essere applicata anche la terza frase del medesimo articolo 4, paragrafo 1.

III – Procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

12.      La Verder LabTec GmbH& Co KG (in prosieguo anche: la «società in accomandita semplice») è una società in accomandita semplice con sede ad Haan, Germania. La Verder LabTec Beteiligungs GmbH (in prosieguo: il «socio accomandatario»), avente anch’essa sede ad Haan, è il suo socio accomandatario (7). La Tarco BV e la Labo-Tech BV, aventi entrambi sede nei Paesi Bassi, sono i soci accomandanti. Dal maggio 2005 la società in accomandita semplice si è occupata esclusivamente della gestione dei propri diritti relativi a brevetti, marchi e modelli di utilità. Con contratto del 25 maggio 2005, essa ha trasferito tali diritti alla propria stabile organizzazione olandese ubicata a Vleuten (8).

13.      A seguito di una verifica fiscale, l’amministrazione finanziaria (Finanzamt Hilden) ha maturato il convincimento che il trasferimento dei diritti di proprietà intellettuale dovesse avvenire con dichiarazione di qualsiasi riserva latente sulla base del valore di mercato al momento del trasferimento. Tutte le parti hanno concordato sul valore delle riserve latenti e l’amministrazione finanziaria ha riconosciuto che, comunque, tale importo non era immediatamente assoggettabile a tassazione in misura piena. Piuttosto, esso avrebbe dovuto essere neutralizzato, per motivi di equità, mediante una posta di bilancio promemoria di pari importo; tale posta doveva quindi essere estinta in modo lineare su un periodo di dieci anni con corrispondente aumento dell’utile. In altre parole, il Finanzamt Hilden ha differito la riscossione per ragioni di equità, ripartendo le riserve latenti su di un periodo di dieci anni. Con decreto in data 17 agosto 2009 vertente sulla determinazione separata e unitaria della base imponibile per l’esercizio 2005, il Finanzamt Hilden ha accertato il reddito della società in accomandita semplice derivante da attività di impresa prendendo in considerazione le riserve latenti. Con decisione del 19 settembre 2011, il ricorso amministrativo in opposizione proposto avverso tale decreto è stato respinto dal Finanzamt Hilden in quanto infondato.

14.      La società in accomandita semplice sostiene dinanzi al giudice nazionale che la legislazione tedesca violi il principio di libertà di stabilimento previsto dall’articolo 49 TFUE. In aggiunta, sostiene che la riscossione immediata dell’imposta al momento del trasferimento dei beni economici era sproporzionata, mentre la riscossione al momento della realizzazione delle plusvalenze rappresentava un’alternativa meno drastica.

15.      Alla luce delle considerazioni che precedono, il Finanzgericht Düsseldorf ha chiesto alla Corte una pronuncia in via pregiudiziale sulla seguente questione:

«Se sia compatibile con la libertà di stabilimento sancita dall’articolo 49 TFUE il fatto che una normativa nazionale stabilisca che il trasferimento, nell’ambito di una medesima impresa, di un bene economico da una stabile organizzazione nazionale ad una stabile organizzazione estera costituisce un prelevamento di beni aziendali destinato a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, sicché, per effetto dell’emersione di riserve latenti, viene in essere un utile da prelevamento di beni aziendali, e che un’ulteriore normativa nazionale offra la possibilità di ripartire uniformemente tale utile su cinque o dieci esercizi annuali».

16.      La Verder Labtec GmbH & Co.KG, il Finanzamt Hilden, i governi belga, danese, tedesco, spagnolo, italiano, dei Paesi Bassi e svedese e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte. Non si è tenuta alcuna udienza.

IV – Analisi

A –    Osservazioni introduttive

1.      Ricevibilità

17.      Secondo la società in accomandita semplice, la questione pregiudiziale è irricevibile in quanto ipotetica. Ciò dipenderebbe dal fatto che nessuno dei periodi ai fini del recupero dell’imposta, di cinque oppure di dieci anni, menzionati dal Finanzgericht sarebbe applicabile all’esercizio 2005. La Commissione è dell’opinione che la questione pregiudiziale sia, o possa essere, ipotetica con riferimento al periodo di cinque anni, posto che esso non sarebbe applicabile per l’esercizio 2005. Il Finanzamt e il governo tedesco evidenziano inoltre che il periodo di cinque anni non appare rilevante per la risoluzione della presente controversia.

18.      A mio avviso, la questione pregiudiziale appare ipotetica nella misura in cui riguarda la proporzionalità del periodo di cinque anni per il pagamento dell’imposta. Questo in ragione del fatto che non vi sono decisioni delle amministrazioni finanziarie tedesche, relative alla società in accomandita semplice, in base alle quali tale periodo di tempo risulti applicabile. Al contrario, il Finanzamt concede un periodo di dieci anni per il pagamento di detta imposta, perciò, in relazione a tale aspetto, la questione pregiudiziale non è ipotetica. Pertanto, con riferimento al periodo di tempo per il recupero, la Corte dovrebbe limitarsi a valutare la compatibilità con il diritto dell’Unione del periodo di dieci anni in questione.

2.      Riserve latenti e «exit taxes» (tassazione in uscita)

19.      Il termine riserve latenti (non rivelate) fa riferimento agli utili, tipicamente plusvalenze, che non sono inclusi nella base imponibile del soggetto passivo ai fini dell’imposta sul reddito. Le riserve latenti potrebbero derivare da un aumento di valore di un bene economico e/o da norme fiscali che consentono il deprezzamento del bene stesso in misura maggiore rispetto al deprezzamento reale determinato dal logorio, e/o da altre deduzioni basate su spese non ancora sostenute (9).

20.      Le plusvalenze non realizzate non vengono tassate come reddito nell’anno in cui sono maturate. La loro imposizione viene piuttosto differita, solitamente all’anno in cui il reddito viene effettivamente realizzato. La ragione di ciò risiede nel fatto che, prima della realizzazione, la riserva latente non concorre alla capacità contributiva del soggetto passivo. Tuttavia, specialmente nel caso di beni di natura non finanziaria o di beni suscettibili di deprezzamento di valore, non necessariamente si verifica una realizzazione dell’attivo attraverso la disposizione, ma le riserve latenti metaforicamente «si disperdono» quando il valore economico del bene si avvicina allo zero, per esempio a causa del logorio dei macchinari o della scadenza di un diritto di proprietà intellettuale.

21.      Le riserve latenti contribuiscono inoltre alla formazione del reddito imponibile in situazioni nelle quali si verifica un prelevamento (alienazione) per finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Ciò significa che un bene economico viene sottratto dalla base imponibile del soggetto passivo. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, quando un bene economico viene trasferito dal patrimonio aziendale di un imprenditore al suo patrimonio privato, o da una società ai suoi soci, gratuitamente o ad un valore inferiore a quello di mercato. In ogni caso, gli esempi principali di alienazione fanno riferimento alla sottrazione al potere impositivo di uno Stato dal punto di vista soggettivo o territoriale.

22.      La sottrazione alle finanze pubbliche, che porta alla riscossione delle cosiddette «exit taxes» (tassazione in uscita), potrebbe riguardare il soggetto passivo, l’oggetto dell’imposizione o entrambi. L’emigrazione in un altro Stato di un soggetto passivo, persona fisica o giuridica, solitamente ha l’effetto di trasferire il potere impositivo in capo a questo secondo Stato. Lo stesso vale per il trasferimento di un «oggetto imponibile», quali sono i beni aziendali, da uno Stato ad un altro. Nel caso di stabili organizzazioni (10) potrebbe porsi la questione, a seconda dei casi, dell’uscita del soggetto passivo o dell’oggetto imponibile o di entrambi (11).

23.      Con riferimento alle imposte sugli utili d’impresa e sulle plusvalenze da capitale, gli articoli 7 e 13, paragrafo 2, dell’Accordo tipo di convenzione elaborato dall’OCSE, riconoscono il potere impositivo sia allo Stato di origine che allo Stato ospitante in relazione alle stabili organizzazioni delle società estere. Al fine di evitare la doppia imposizione sui medesimi utili, gli Stati di origine potrebbero astenersi dal tassare gli utili delle stabili organizzazioni all’estero delle loro società. Questo è appunto il caso che viene in rilevo con riferimento alla Germania, che esenta da imposizione i redditi delle stabili organizzazioni situate nei Paesi Bassi di società aventi sede in Germania (12).

24.      Per i soggetti passivi le exit taxes potrebbero condurre ad una situazione di doppia imposizione oppure di mancata imposizione delle riserve latenti. La prima ipotesi potrebbe verificarsi nel caso in cui lo Stato da cui il soggetto passivo sta uscendo preveda una exit tax basata sulla differenza tra il valore contabile (nella contabilità fiscale) e il valore reale dei beni economici, mentre lo Stato ospitante utilizzi il medesimo valore contabile come base imponibile per gli atti di disposizione del bene economico, senza consentire una detrazione della exit tax imposta dallo Stato di uscita. Al contrario, nella seconda ipotesi, la mancata imposizione delle riserve latenti potrebbe scaturire dalla combinazione tra la mancata imposizione di una exit tax da parte dello Stato di uscita e l’accettazione da parte dello Stato ospitante del valore reale del bene economico quale suo valore di entrata («stepping-up»), con successivo compimento degli atti di disposizione di tale bene economico sulla base di quel valore (13).

25.      Inoltre, una exit tax, quando riscossa prima della realizzazione dell’attivo, è destinata a creare uno svantaggio in termini di liquidità per il soggetto passivo.

26.      Le osservazioni presentate nella presente causa riflettono un contrasto persistente tra la Commissione e gli Stati membri in merito all’ammissibilità e alle modalità di funzionamento della exit tax nel mercato interno (14). Mentre la Commissione e il Consiglio sembrano condividere la posizione di base che considera le exit taxes come restrizioni delle libertà sul mercato interno, ma al tempo stesso come una conseguenza inevitabile del principio della territorialità fiscale che regola la distribuzione dei poteri impositivi tra gli Stati membri, le loro visioni divergono in merito alla giustificabilità e alla proporzionalità della stesse. Pertanto non può destare stupore il fatto che le exit taxes abbiano dato origine ad una giurisprudenza piuttosto copiosa da parte della Corte.

3.      Sintesi dei precedenti chiave

27.      Non vi è alcuna sentenza, nella giurisprudenza della Corte, che possa essere applicata in maniera diretta al presente caso. Ciò premesso, uno sguardo d’insieme dei problemi fattuali presi in esame in tali cause e delle decisioni della Corte fornisce una guida utile per stabilire se la doglianza mossa dalla società in accomandita semplice sia supportata dal diritto dell’Unione.

28.      Nella causa National Grid Indus (EU:C:2011:785), una società olandese aveva trasferito la propria sede amministrativa effettiva nel Regno Unito. Ai sensi della convenzione sulla doppia imposizione applicabile, a seguito del trasferimento si riteneva che essa avesse la propria residenza fiscale nel Regno Unito, pur rimanendo una società di diritto olandese che era, in linea di principio, soggetta ad imposizione fiscale nei Paesi Bassi. Poiché la società non aveva una stabile organizzazione nei Paesi Bassi, a seguito del trasferimento il diritto di tassare gli utili d’impresa e le plusvalenze da capitale di tale società spettava, ai sensi della convenzione sulla doppia imposizione, unicamente al Regno Unito. In forza del diritto dei Paesi Bassi, si era dovuta effettuare una liquidazione finale delle plusvalenze non ancora realizzate al momento del trasferimento.

29.      La Corte ha risposto alla questione pregiudiziale sollevata dal Gerechtshof Amsterdam, per quanto rileva ai fini del caso in oggetto, affermando che l’articolo 49 TFUE non osta alla normativa di uno Stato membro ai sensi della quale l’importo dell’imposizione sulle plusvalenze non ancora realizzate relative ai beni economici di una società venga fissato in maniera definitiva, senza tener conto delle minusvalenze o delle plusvalenze che potrebbero essere realizzate successivamente, nel momento in cui la società, in ragione del trasferimento della propria sede amministrativa effettiva in un altro Stato membro, cessa di percepire utili imponibili nel primo Stato membro. Tuttavia, l’articolo 49 TFUE osta ad una normativa di uno Stato membro che imponga ad una società che trasferisce in un altro Stato membro la propria sede amministrativa effettiva la riscossione immediata, al momento stesso di tale trasferimento, dell’imposta sulle plusvalenze non ancora realizzate relative agli elementi patrimoniali di tale società.

30.      Oltre ad introdurre una distinzione tra determinazione dell’importo delle plusvalenze imponibili e riscossione dell’imposta, la Corte ha concluso che la normativa dei Paesi Bassi era idonea ad assicurare il mantenimento della ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri interessati, poiché le plusvalenze latenti relative ad un bene economico sono pertanto tassate nello Stato membro nel quale sono state originate (15) (il corsivo è mio). Osservo che il fatto che la società rimanesse soggetta ad imposizione nei Paesi Bassi, pur non disponendo più di alcun utile imponibile in quello Stato membro, non appariva di importanza decisiva.

31.      Nella causa Commissione/Portogallo (EU:C:2012:521), la Corte ha considerato la prima parte del ricorso della Commissione come un’affermazione del fatto che le relative disposizioni della normativa portoghese implicavano ostacoli alla libertà di stabilimento, dato che, in caso di trasferimento, da parte di una società portoghese, della sua sede statutaria e della sua direzione effettiva verso un altro Stato membro, come pure in caso di trasferimento parziale o totale degli attivi di una stabile organizzazione di una società non residente in Portogallo verso un altro Stato membro (il corsivo è mio), una siffatta società era finanziariamente penalizzata rispetto ad un’analoga società che mantenesse le sue attività nel territorio portoghese (16). Poiché operazioni analoghe meramente nazionali non avevano condotto alla tassazione immediata delle plusvalenze latenti, la Corte ha ritenuto che la legislazione portoghese violasse l’articolo 49 TFUE.

32.      Nella causa Commissione/Danimarca (17) la Commissione ha impugnato come incompatibile con l’articolo 49 TFUE e con l’articolo 31 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, la normativa danese che prevedeva la tassazione immediata delle plusvalenze delle società a responsabilità limitata nel caso di trasferimento di beni economici ad una delle proprie sedi in un altro Stato membro, laddove simili operazioni all’interno del territorio danese (escludendo la Groenlandia e le Isole Faroe) non venivano tassate. La normativa danese in questione considerava questi trasferimenti compiuti oltre confine al pari di cessioni di tali beni economici, laddove analoghe operazioni compiute tra sedi della società all’interno del territorio danese non venivano considerate come alienazioni dei beni (18). La Corte ha ravvisato una violazione delle disposizioni invocate, poiché la normativa danese, che imponeva la tassazione immediata delle plusvalenze non realizzate in caso di trasferimento di beni economici compiuto da una società in accomandita semplice al di fuori del territorio della Danimarca continentale (19), risultava sproporzionata (20).

33.      Di particolare importanza nella suddetta causa appare la conclusione della Corte secondo la quale gli Stati membri hanno il potere, a fini dell’imposizione fiscale sulle plusvalenze generate nel loro territorio, di introdurre disposizioni che individuino come fatto generatore dell’imposta un evento diverso dalla effettiva realizzazione di tali utili, allo scopo di garantire, qualora l’impresa in questione non intenda compiere atti di disposizione dei beni economici, che essi siano comunque tassati, a condizione che l’imposta non venga riscossa al momento del trasferimento (21). Tale affermazione faceva riferimento alle argomentazioni del governo danese, secondo cui i beni economici di natura non finanziaria, quali i beni soggetti ad usura o i diritti immateriali, non sono idonei ad essere realizzati e tendono, a maggior ragione, ad essere soggetti a deprezzamenti di valore. Questo significava che il loro valore contabile sarebbe stato nullo, o in ogni caso inferiore rispetto all’importo dell’imposta dovuta (22).

34.      La causa DMC (EU:C:2014:20) riguardava l’imposizione delle plusvalenze non realizzate di una società in accomandita semplice tedesca che era stata sciolta poiché i sui soci accomandanti, due società a responsabilità limitata austriache, avevano trasferito le proprie partecipazioni nella società in accomandita semplice tedesca al socio accomandatario, una società a responsabilità limitata tedesca, in cambio di quote di partecipazione in tale socio accomandatario. La società in accomandita semplice era stata sciolta poiché tutti i diritti erano stati trasferiti al socio accomandatario tedesco.

35.      Ciò ha condotto alla tassazione dei soci accomandanti in Germania, sulla base delle plusvalenze non realizzate dalla società a responsabilità limitata tedesca, poiché essi, in quanto soci, erano soggetti ad imposizione fiscale in relazione agli utili, anche se non avevano alcuna sede in Germania a seguito dello scioglimento della società in accomandita semplice tedesca. Di conseguenza, la Germania non aveva più potere impositivo sulle plusvalenze maturate dai soci accomandanti in seguito alla cessione delle partecipazioni nel socio accomandatario tedesco quale corrispettivo del conferimento delle quote detenute da tali società nella società in accomandita semplice tedesca. Le quote conferite dai soci accomandanti al socio accomandatario tedesco al loro valore di stima, non al loro valore contabile, hanno pertanto dato luogo all’imposizione delle plusvalenze non realizzate sulle quote nella società in accomandita semplice tedesca.

36.      Nella causa DMC (EU:C:2014:20) il Finanzgericht Hamburg ha sottoposto alla Corte due questioni pregiudiziali. La prima riguardava la compatibilità con la libertà di stabilimento di una disciplina nazionale che, «in caso di conferimento di quote di partecipazione in una società di capitali, preveda che il patrimonio aziendale conferito debba essere necessariamente valutato in base al valore di stima (cosicché, attraverso la rivelazione delle riserve latenti, si verifica una plusvalenza da cessione in capo al soggetto conferente) laddove, al momento del conferimento in natura, la Repubblica federale tedesca sia priva di potestà impositiva sugli utili derivanti dalla cessione delle nuove quote societarie attribuite al soggetto conferente a fronte del conferimento».

37.      In secondo luogo, in caso di risposta negativa alla prima questione, il giudice dello Stato membro ha chiesto se la normativa nazionale fosse compatibile con la libertà di stabilimento, qualora al soggetto conferente venisse riconosciuto il diritto di richiedere, con riguardo alle imposte dovute a fronte della realizzazione delle riserve latenti, una dilazione senza interessi con la possibilità di versare le imposte dovute sulla plusvalenza da cessione in rate annuali su un periodo di cinque, a condizione che il versamento delle rate venisse assistito da garanzia.

38.      La Corte ha ritenuto che i fatti di causa attenessero alla libera circolazione dei capitali e non alla libertà di stabilimento. Inoltre essa ha ritenuto che la disposizione nazionale potesse essere compatibile con l’articolo 63 TFUE alla luce della giustificazione relativa al mantenimento di un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. Questo a condizione che non fosse in effetti impossibile per lo Stato membro esercitare i propri poteri impositivi in relazione alle plusvalenze non ancora realizzate nel momento in cui esse erano effettivamente realizzate (23).

39.      Quanto alla seconda questione pregiudiziale, la tassazione immediata delle plusvalenze non realizzate generate nel territorio dello Stato membro in questione fu ritenuta non sproporzionata, a condizione che il soggetto passivo potesse optare per il differimento del pagamento, e, in tal caso, qualsiasi obbligo di costituzione di una garanzia bancaria fosse imposto solo sulla base del rischio reale di mancato recupero dell’imposta (24). La Corte ha ravvisato, in particolare, che lo scaglionamento del versamento dell’imposta dovuta prima dell’effettiva realizzazione delle plusvalenze latenti su cinque annualità costituisce una misura adeguata e proporzionata per realizzare l’obiettivo di tutelare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, con riguardo al fatto che il rischio di mancata riscossione aumenta con il decorso del tempo (25) (il corsivo è mio).

40.      A mio avviso, la Corte ha accolto come regola generale quella secondo cui, in assenza di norme specifiche di diritto dell’Unione, dalla competenza degli Stati membri in materia di imposizione diretta consegue per essi la possibilità di tassare le plusvalenze non realizzate generate nel loro territorio, benché ciò generi una restrizione alla libertà di stabilimento o al libero movimento dei capitali, a seconda dei casi (26). Ciò si fonda più in generale sul riconoscimento, nell’ambito dell’uscita di un soggetto passivo, della possibilità per gli Stati membri di esercitare i propri poteri impositivi in relazione alle attività svolte sul loro territorio, conformemente al principio della territorialità fiscale (27).

41.      Tuttavia, alla luce della giurisprudenza delle cause Commissione/Portogallo (EU:C:2012:521) e Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480), tale riconoscimento degli effetti del principio di territorialità fiscale non è limitato alle situazioni in cui un soggetto passivo lascia il territorio di uno Stato membro, ma trova applicazione anche quando si verifica un trasferimento totale o parziale di beni economici in un altro Stato membro. Infatti, in termini di territorialità fiscale, è irrilevante che il soggetto passivo sia fuoriuscito o meno dalla competenza territoriale, qualora la competenza territoriale dello Stato membro venga meno in relazione ad una determinata base imponibile, quali gli utili riconducibili a determinati beni aziendali. In un caso del genere, diventa necessario che lo Stato membro definisca l’imposizione fiscale maturata prima che si verifichi il trasferimento della base imponibile all’interno dell’area di potere impositivo di un altro Stato membro, a condizione che il primo Stato membro, per effetto di una norma di diritto internazionale e/o della normativa interna, abbia ceduto al secondo Stato membro il proprio potere impositivo in relazione al momento successivo al trasferimento riguardante detta base imponibile.

42.      La Corte ha espressamente escluso in capo allo Stato di uscita qualsiasi obbligo di tenere conto dei mutamenti di valore dei beni economici ai quali le riserve latenti siano collegate, dopo che tali beni abbiano lasciato il territorio di detto Stato membro (28). Tuttavia, tale prerogativa di tassare le plusvalenze non realizzate generate nello Stato membro non potrà essere esercitata in misura sproporzionata per quanto riguarda la riscossione dell’imposta e le sue modalità.

B –    Esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento

43.      L’esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento viene spiegata dal giudice del rinvio con riferimento al fatto che analoghi trasferimenti di beni economici compiuti in Germania, da una stabile organizzazione ad un’altra, non avrebbero condotto alla tassazione delle riserve latenti (29). Questa posizione sembra essere condivisa dalle parti che hanno presentato osservazioni, con l’esclusione del Finanzamt e del governo belga.

44.      Secondo una giurisprudenza consolidata, una norma tributaria costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento quando, in presenza di situazioni comparabili, un’operazione transfrontaliera viene trattata in maniera più sfavorevole rispetto ad una nazionale (30).

45.      È indubbio che la legislazione tributaria tedesca tratti il trasferimento di beni economici verso una stabile organizzazione estera in maniera diversa rispetto all’operazione analoga compiuta tra due stabili organizzazioni nazionali. Nel primo caso, si applica la tassazione delle riserve latenti, nel secondo caso no. Tale differenza costituisce un trattamento meno favorevole dell’operazione transfrontaliera rispetto a quella nazionale, nella misura in cui si verifica uno svantaggio in termini di liquidità (31).

46.      A mio avviso, anche in assenza di svantaggi in termini di liquidità, verrebbe in rilievo un trattamento meno favorevole. La determinazione dell’importo con cui la plusvalenza non realizzata concorre a formare l’utile imponibile al momento del trasferimento del bene economico comporta la perdita per il soggetto passivo della possibilità di fare affidamento, nel calcolare la misura dell’imposizione, su eventuali successive diminuzioni del valore di mercato dei beni. Questa possibilità permane invece se i beni rimangono in Germania.

47.      Pertanto, nella causa in esame emerge una restrizione della libertà di stabilimento, a condizione che la situazione di un’impresa tedesca che trasferisce beni economici ad una stabile organizzazione in un altro Stato membro sia oggettivamente comparabile a quella di un trasferimento di beni ad una stabile organizzazione all’interno della Germania. Conformemente alla giurisprudenza, ciò sembra avvenire nel caso di specie (32).

48.      Tuttavia, secondo i governi tedesco e belga, le transazioni economiche transfrontaliere non vanno incontro ad alcun trattamento sfavorevole in ragione della vigenza della convenzione sulla doppia imposizione tra la Germania e i Paesi Bassi, applicata congiuntamente alla normativa tributaria dei Paesi Bassi. Ai sensi della convenzione, la Germania esenta da imposizione fiscale gli utili delle stabili organizzazioni nei Paesi Bassi dei soggetti passivi tedeschi, ma tali utili vanno incontro ad imposizione da parte dei Paesi Bassi. Ai sensi del diritto dei Paesi Bassi, i beni economici trasferiti dalla Germania ad una stabile organizzazione nei Paesi Bassi possono essere oggetto di step-up, vale a dire inseriti nella contabilità fiscale di quest’ultima con il loro valore di mercato, che quindi costituisce la base di partenza per deprezzamenti. Si sostiene, quindi, che qualsiasi exit tax tedesca sarebbe neutralizzata dalla normativa tributaria dei Paesi Bassi, la quale consente il deprezzamento a partire dal valore oggetto di step-up dei beni economici, pertanto riducendo il reddito imponibile generato da quei beni nei Paesi Bassi. In forza delle norme dei Paesi Bassi sul deprezzamento relative ai diritti di brevetto, il soggetto passivo potrebbe perfino trarre vantaggio da tale situazione.

49.      A mio avviso, questa linea argomentativa non modifica il fatto che la normativa tedesca compie una discriminazione nei confronti dei trasferimenti transfrontalieri di beni economici. Gli effetti della suddetta convenzione si riferiscono piuttosto alla giustificazione della restrizione, con riferimento alla necessità di distribuire in maniera equilibrata i poteri impositivi tra i due Stati. Affronterò tale questione di seguito.

50.      Inoltre, la giurisprudenza della Corte sembra respingere le argomentazioni secondo le quali le norme contenute nella convenzione sulla doppia imposizione possono, a priori, neutralizzare una restrizione per effetto di una normativa tributaria nazionale. La Corte ha ritenuto che «spetta effettivamente agli Stati membri determinare se, ed in quale misura, la doppia imposizione [fiscale] degli utili distribuiti debba essere evitata e introdurre, a tale effetto, in modo unilaterale o mediante convenzioni concluse con altri Stati membri, meccanismi che mirino a prevenire o ad attenuare tale doppia imposizione [fiscale]. Tuttavia, tale unico fatto non consente loro di applicare misure contrarie alle libertà di circolazione» (33).

51.      Pertanto, a mio avviso, le norme impugnate nei procedimenti principali danno vita ad una restrizione alla libertà di stabilimento.

C –    Giustificazione della restrizione alla libertà di stabilimento

1.      Mantenere l’equilibrata ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri

52.      Il giudice nazionale e i vari Stati membri che hanno preso parte al procedimento ritengono che le norme tedesche di cui trattasi possano trovare giustificazione con riferimento al mantenimento della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, che la Corte ha riconosciuto quale legittimo obiettivo di interesse generale, in grado di giustificare le restrizioni alla libertà di stabilimento. In aggiunta, la Germania si basa sulla coerenza del proprio sistema fiscale.

53.      Per contro, la Commissione sostiene che la prima di tali giustificazioni non sia invocabile in questo caso, poiché, tenuto conto della giurisprudenza del Bundesfinazhof (34), la Germania non perde il proprio potere impositivo in relazione alle plusvalenze maturate prima del trasferimento del bene economico.

54.      Raccomanderei alla Corte di non prendere posizione sull’argomentazione della Commissione, poiché essa deriva dalla sua interpretazione dei mutamenti intervenuti nella giurisprudenza del Bundesfinanzhof in relazione alla questione dell’equivalenza o meno tra il trasferimento di beni economici ad una stabile organizzazione estera e la cessione di un bene comportante una perdita del potere impositivo di tale Stato. Infatti, per la società in accomandita semplice, l’assoggettamento ad imposizione fiscale sembra essere dipeso unicamente dal trasferimento di beni economici ad una stabile organizzazione estera. È questa conseguenza, derivante dall’applicazione del diritto nazionale, che si richiede allo Stato membro di giustificare in relazione alla libertà di stabilimento.

55.      Se le norme tedesche siano o meno giustificate dal punto di vista del diritto dell’Unione dipende, in primo luogo, dalla circostanza se esse siano o meno appropriate e necessarie al mantenimento della ripartizione del potere impositivo sopra descritto e, in secondo luogo, se esse si spingano oltre rispetto a quanto necessario per realizzare tale obiettivo (35). A mio avviso, non è necessario analizzare nel dettaglio le norme tedesche in questione in merito alla conformità a tale schema, poiché ad esse è possibile applicare le relative decisioni della Corte nei precedenti casi descritti sopra.

56.      Rilevo che la giurisprudenza della Corte sulle exit taxes è stata fondata su di una distinzione tra, da una parte, la determinazione dell’importo dell’imposizione fiscale al momento dell’uscita e, dall’altra, la riscossione dell’imposta così fissata. La Corte ha riconosciuto come giustificata la prima di tali operazioni nell’ottica di garantire l’equilibrata ripartizione dei poteri impositivi (36) e per salvaguardare la coerenza fiscale (37).

57.      Nessuno contesta che la Germania conservi il diritto di tassare le plusvalenze non ancora realizzate generate nel proprio territorio prima del trasferimento. È evidente inoltre che, in ragione della convenzione sulla doppia imposizione applicabile, la Germania ha rinunciato al proprio potere impositivo in relazione agli utili e ai beni economici delle stabili organizzazioni delle imprese tedesche nei Paesi Bassi ed ha esentato da imposizione qualsiasi reddito riconducibile a tali stabili organizzazioni.

58.      Pertanto, i Paesi Bassi e la Germania sembrano aver coordinato i rispettivi poteri impositivi sugli utili generati dai beni economici in questione in modo tale che sia decisivo il momento del trasferimento. Affinché la Germania sia in grado di esercitare il proprio potere impositivo essa deve ovviamente essere in grado di determinare l’importo con cui le plusvalenze non ancora realizzate hanno concorso a formare l’utile imponibile della società in accomandita semplice al momento del trasferimento del bene economico. Diversamente, si creerebbe confusione tra tali plusvalenze ed eventuali plusvalenze (o perdite) maturate successivamente al trasferimento, e che ricadono nel potere impositivo dei Paesi Bassi.

2.      Esercizio del potere impositivo da parte della Germania (determinazione dell’importo delle plusvalenze non realizzate)

59.      Pertanto, la vera questione che si pone per la Germania è come poter esercitare in concreto il proprio potere impositivo. Il fatto che la società in accomandita semplice rimanga in Germania rende superflua la determinazione dell’importo delle plusvalenze non realizzate maturate in quel paese anteriormente al trasferimento del bene economico in questione, al fine di sostenere una distribuzione equilibrata del potere impositivo tra due Stati membri? La posizione della Commissione sembra essere questa. Essa si fonda su passaggi della sentenza DMC della Corte nei quali si è riconosciuto che l’obiettivo del mantenimento della ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri può giustificare la presenza, in tali Stati membri, di regole che altrimenti sarebbero illegittime, soltanto nel caso in cui allo Stato membro sul territorio del quale i redditi siano stati generati risulti effettivamente impedito l’esercizio del proprio potere impositivo sui redditi medesimi (38).

60.      Appare chiaro che la Germania conserva il potere impositivo rationae personae sulla società in accomandita semplice, in quanto la società non è in uscita. Lo stesso discorso vale per il socio accomandatario, una società a responsabilità limitata tedesca. Quanto alla posizione fiscale dei soci accomandanti, che sono società dei Paesi Bassi, nel fascicolo non vi è alcuna informazione relativa alla loro posizione fiscale in Germania.

61.      Dato il contenuto della sentenza della Corte nella causa National Grid Indus, non vedo quale obiezione possa essere mossa alla Germania in relazione al fatto di stimare gli utili imponibili facendo riferimento alla determinazione delle plusvalenze non realizzate collegate ai beni economici trasferiti alla stabile organizzazione della società in accomandita semplice nei Paesi Bassi. Ciò appare necessario per esigenze di certezza del diritto, poiché tali utili sono, in ogni caso, collegati al momento del trasferimento, e, di conseguenza, ad un determinato esercizio fiscale (39).

62.      A mio avviso non vi è alcuna differenza rilevante tra le situazioni in cui tutti i beni economici di una stabile organizzazione nazionale di un soggetto passivo residente in quel paese siano trasferiti ad una stabile organizzazione estera, e quelle in cui soltanto alcuni dei beni siano trasferiti, in quanto il soggetto di diritto che trasferisce i beni economici rimane assoggettato ad imposizione fiscale nello Stato di uscita. Nella sentenza Commissione/Portogallo, la Corte non ha operato alcuna distinzione tra il trasferimento parziale o totale di beni economici da stabili organizzazioni in Portogallo di una società non residente in quel paese (40). Questo dovrebbe avere un’importanza ancora minore nel caso di società residenti, poiché la base imponibile, ossia le plusvalenze non realizzate generate prima del trasferimento, rimane la medesima in entrambe le situazioni (41).

63.      In aggiunta, la giurisprudenza sembra ammettere l’imposizione della exit tax in relazione al trasferimento di beni economici anche nel caso in cui il soggetto passivo non si trasferisca in un altro Stato membro, a condizione che non vi sia riscossione immediata di tale imposta (42).

64.      In conclusione, al fine di mantenere il potere impositivo della Germania in relazione alle plusvalenze non realizzate generate prima del trasferimento del bene economico, che rappresenta il fatto generatore dell’imposta per l’insorgenza dell’obbligo fiscale, è necessario e al contempo appropriato che l’importo degli utili imponibili venga fissato in quel momento. Il fatto che la società in accomandita semplice, soggetto passivo in Germania, continui ad esistere non riguarda questo aspetto, ma attiene unicamente alla questione della riscossione.

65.      Infine, prima di trattare nel dettaglio la questione della riscossione dell’imposta, evidenzio che l’affidamento della Commissione nell’impossibilità pratica di tassare le plusvalenze non realizzate, circostanza che è stata messa in dubbio dalla Corte riguardo ai fatti nella sentenza DMC, è mal riposto. Nella sentenza DMC, la Corte si interrogava sul fatto se fosse impossibile per la Germania tenere conto delle plusvalenze non realizzate di una società in accomandita semplice tedesca disciolta ai fini della determinazione dell’imposta sulle società a carico della società a responsabilità limitata che ne era stata il socio accomandatario, nel momento in cui la società in accomandita semplice tedesca veniva assorbita, in conseguenza del suo scioglimento, dall’unico socio rimanente, ovvero la società a responsabilità limitata (43).

66.      In primo luogo, nella causa in esame è impossibile tenere conto delle relative plusvalenze non realizzate nella tassazione di qualsiasi altro soggetto diverso dalla società in accomandita semplice e, in ragione della tassazione trasparente, in definitiva dei suoi soci. In secondo luogo, la corretta demarcazione tra il potere impositivo della Germania e quello dei Paesi Bassi è assicurata soltanto quando viene definito l’importo delle plusvalenze non realizzate al momento del trasferimento di beni. Eventuali realizzazioni successive di tali plusvalenze non vanno ad alterare l’importo così definito, poiché tutte le plusvalenze o le perdite successive al trasferimento dei beni economici ricadono nel potere impositivo dei Paesi Bassi. Perciò, in definitiva, non è possibile tassare in Germania tali plusvalenze non realizzate se il loro importo al momento del trasferimento non viene definito.

3.      Riscossione dell’imposta

67.      Fin dalle sentenze Commissione / Danimarca e DMC appare chiaro che la Corte non guarda all’effettiva realizzazione, nello Stato ospitante, dell’attivo trasferito alla stabile organizzazione situata in tale Stato membro quale unico fatto generatore accettabile o obbligatorio, inteso nel senso di costituire il fatto che rende attuale l’obbligo di pagare l’imposta, contrapposto al fatto generatore di imposta, che invece determina l’insorgenza dell’obbligo fiscale (44). Inoltre, la Corte ha già in precedenza dichiarato che la riscossione immediata è sproporzionata, ma ha aggiunto che appare proporzionato fornire al soggetto passivo la scelta tra il pagamento immediato e quello in maniera rateizzata (45). Una volta riconosciuto il potere dello Stato membro di uscita di tassare le plusvalenze non realizzate generate nel proprio territorio, il fatto di limitare la riscossione di tale imposta unicamente alle situazioni in cui vi sia stata l’effettiva realizzazione dell’attivo finirebbe per lasciare l’esercizio del potere impositivo degli Stati di uscita in balìa del capriccio del soggetto passivo (46).

68.      A mio avviso la giurisprudenza è chiara al riguardo. La Corte ammette che eventi diversi dall’effettiva realizzazione rendono attuale l’obbligo di pagare la tassazione in uscita. La giurisprudenza della Corte non introduce l’obbligo per gli Stati membri di consentire il differimento del pagamento della tassazione in uscita fino al momento dell’effettiva realizzazione dell’attivo (47).

69.      È importante in particolare che l’effettiva realizzazione non venga individuata come l’unico fatto generatore ammissibile, oppure come un’alternativa obbligata, quando i beni aziendali trasferiti consistono in diritti di proprietà intellettuale. In primo luogo, tali diritti sono trasferibili, ma il loro titolare può facilmente sfruttarli anche senza cederne la titolarità. Pertanto, individuare l’effettiva realizzazione quale momento che rende attuale l’obbligo di pagamento della exit tax finirebbe, in pratica, col rendere il pagamento di tale imposta meramente volontario in molti casi. In secondo luogo, i diritti di proprietà intellettuale solitamente apportano reddito e, pertanto, concorrono alla capacità contributiva del loro titolare attraverso un flusso continuo di entrate sotto forma di royalties o come redditi d’impresa derivanti dallo sfruttamento del diritto, che nel caso dei brevetti, dei modelli di utilità o dei diritti d’autore è limitato nel tempo, ma nel caso dei marchi potrebbe essere illimitato. Pertanto, un periodo di riscossione in cui l’imposta sia pagabile in maniera rateizzata riflette meglio l’apporto di tali diritti alla capacità contributiva (48).

4.      Proporzionalità del periodo di dieci anni per il pagamento e la riscossione

70.      Infine, quanto alla proporzionalità del periodo di dieci anni per il pagamento e la riscossione dell’imposta, è inevitabile qualche forma di regime per il pagamento dell’imposta, posto che la Corte ha ritenuto che le normative degli Stati membri che prevedono l’immediata riscossione di una exit tax al momento del trasferimento siano sproporzionate (49), qualora non prevedano la possibilità di scelta circa il differimento del pagamento (50).

71.      Tale periodo di tempo potrebbe essere fissato in maniera individuale per ciascun bene economico trasferito, tenendo conto della vita economica prevista con riferimento al logorio o alla scadenza dei diritti di proprietà intellettuale, che sembra essere la posizione della Commissione. Tuttavia, questa soluzione potrebbe comportare notevoli inconvenienti pratici per il soggetto passivo e lo Stato membro di residenza, in ragione delle differenze nella durata residua della protezione accordata ai diritti soggettivi compresi nei beni trasferiti e della possibilità del successivo trasferimento degli stessi nell’ambito della struttura societaria, da ultimo verso altre giurisdizioni fiscali all’interno dell’Unione europea o di paesi terzi. Difficoltà di questa natura costituivano la ragione per cui la Corte ha respinto la tesi secondo cui l’effettiva realizzazione dovrebbe essere considerata l’unico fatto generatore d’imposta accettabile per la riscossione della exit tax (51).

72.      Da ciò consegue che può essere fissato schematicamente un periodo di tempo per il pagamento e la riscossione, senza che sia violato il principio di proporzionalità. Poiché il divieto di riscossione immediata delle exit taxes affermato dalla Corte è stato motivato sulla base degli svantaggi in termini di liquidità per il soggetto passivo, è evidente che tale periodo di tempo debba essere sufficientemente lungo da mitigare questo problema. D’altro canto, tale periodo dovrà essere adattato alle circostanze concrete, dal punto di vista economico e normativo, relative alla vita dell’impresa e all’imposizione sulle società, come le disposizioni riguardanti la conservazione della contabilità e la documentazione a supporto degli stessi.

73.      Nella sentenza DMC (EU:C:2014:20), la Corte ha dichiarato un periodo di tempo di cinque anni per il pagamento della exit tax proporzionato in relazione alle circostanze di quel caso specifico. Dato che la exit tax in esame nel presente caso dovrebbe essere pagata su di un periodo di dieci anni, non vedo su quali basi tale periodo possa essere considerato sproporzionato.

V –    Conclusione

74.      Per tali ragioni, propongo che alla questione sollevata dal Finanzgericht Düsseldorf sia data risposta nel modo seguente:

La libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE non osta ad una normativa nazionale che, a fronte del trasferimento di un bene economico da una stabile organizzazione nazionale ad una stabile organizzazione estera della medesima impresa, comporti la rivelazione delle riserve latenti che concorrono agli utili imponibili, laddove un’altra normativa nazionale offra la possibilità di ripartire uniformemente tale reddito su di un periodo di dieci esercizi annuali.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 –      Sentenza National Grid Indus (C-371/10, EU:C:2011:785).


3 – Sentenze Commissione/Spagna (C-269/09, EU:C:2010:43), Commissione/Portogallo (C-38/10, EU:C:2012:521) e Commissione/Danimarca (C-261/11, EU:C:2013:480).


4 – Sentenza DMC (C-164/12, EU:C:2014:20). Come rilevato nelle osservazioni scritte del governo italiano, il Finanzgericht non aveva potuto esaminare la sentenza DMC della Corte al momento dell’ordinanza di rinvio.


5 – Bundesgesetzblatt [Gazzetta delle leggi federali (BGBl)] I 2006, 2782.


6 – Con la sentenza del 17 luglio 2008, quindi in un momento in cui era già in vigore l’articolo 4, paragrafo 1, terza frase, dell’EstG, come introdotto dal SEStEG, il Bundesfinanzhof ha abbandonato la teoria del prelevamento in senso finalistico pronunciandosi in un caso relativo al periodo d’imposta 1985. Ha statuito che il trasferimento di un bene economico ad una stabile organizzazione estera della medesima impresa non costituiva un prelevamento di beni aziendali. Non occorreva considerare il trasferimento di un bene economico di un’impresa tedesca ad una stabile organizzazione estera di quest’ultima quale fattispecie configurante una realizzazione di utili, poiché la possibilità di tassare in un momento successivo le riserve latenti venute ad esistenza in Germania non era pregiudicata dal fatto che gli utili della stabile organizzazione estera fossero esentati dalla tassazione tedesca. Sulla base di tale ribaltamento giurisprudenziale, il legislatore ha deciso di modificare l’articolo 4, paragrafo 1, dell’EStG. Questo è avvenuto con il Jahressteuergesetz 2010 dell’8 dicembre 2010 (BGBl. I 2010, 1768), al fine di assicurare che i principi della sentenza del 17 luglio 2008 rimanessero confinati alla decisione relativa a quella singola causa, e che la teoria del prelevamento in senso finalistico, come normativamente stabilita all’articolo 4, paragrafo 1, terza frase, dell’EStG, trovasse applicazione a tutte le cause ancora in corso.


7 – In Germania le società in accomandita semplice aventi quale socio accomandatario una società a responsabilità limitata (denominate società GmbH & Co.) sono molto diffuse per ragioni fiscali. V. Hesler, M. e Stohn, L., Gesellschaftsrecht, 2. Edizione 2014, Beck, Monaco, pagg. 403, 404 e 511. In Germania vige la tassazione trasparente delle società in accomandita semplice, il che significa che tale tipo di società non è un soggetto passivo in quanto tale assoggettato ad imposta sulle società o sui redditi, ma soltanto un soggetto passivo nel senso che il reddito imponibile derivante dalle sue attività viene calcolato separatamente e poi attribuito ai suoi soci. La riscossione delle imposte avviene nei confronti dei singoli soci.


8 – Le parti di tale contratto non sono specificate nel rinvio pregiudiziale. Dal contesto deduco che esse fossero i soci della società in accomandita semplice. Tale questione non sembra rilevante ai fini della risposta alle questioni pregiudiziali.


9 – V. Von Brocke, K. e Müller, S., «Exit taxes», ECTax Review 6 (2013), pagg. 299-304. Inoltre, riserve latenti potrebbero accumularsi per effetto di beni intangibili come l’avviamento, generati dal soggetto passivo ma che in bilancio potrebbero non essere mostrati come beni economici.


10 – Ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, dell’OECD Model Tax Convention on Income and on Capital 2010 (Accordo tipo di convenzione fiscale riguardante i redditi e il patrimonio elaborato dall’OCSE del 2010) (OECD 2012, OECD Publishing, http://dx.doi.org/10.1787/978926417517-en) ai fini di tale Convenzione, il termine «permanent establishment» (stabile organizzazione) indica un centro di attività stabile nel quale viene svolta in tutto o in parte l’attività di impresa, e che comprende, in particolare, le succursali.


11 – Ricordo che nella direttiva 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 1), il conferimento di attivo ha un significato particolare e limitato. Ai sensi della definizione di cui all’articolo 2, lettera c) della direttiva 90/434, «[a]i fini dell’applicazione della presente direttiva, si deve intendere per (…) c) “conferimento d’attivo” l’operazione mediante la quale una società conferisce, senza essere sciolta, la totalità o uno o più rami della sua attività ad un’altra società, mediante consegna di titoli rappresentativi del capitale sociale della società beneficiaria del conferimento».


12 – Le relative disposizioni della convenzione fiscale del 1959 tra la Germania e i Paesi Bassi sono illustrate nelle osservazioni scritte del Belgio e della Germania. Ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, della convenzione, se la Germania è lo Stato di residenza del soggetto passivo, essa è tenuta ad escludere dalla base imponibile qualsiasi reddito o capitale che, in base alla convenzione, possa essere tassato dai Paesi Bassi. Questo è appunto il caso riguardante le stabili organizzazioni di società tedesche situate nei Paesi Bassi (v. articolo 5).


13 – V. Comunicazione del 19 dicembre 2006 della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo – Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri – COM (2006) 825 definitivo, pagg. 4-8. V. inoltre conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa National Grid Indus (EU:C:2011:563), paragrafi da 47 a 49.


14 – V. COM (2006) 825 definitivo, cit., e Risoluzione del Consiglio del 2 dicembre 2008 sul coordinamento in materia di tassazione in uscita (GU C 323, pag. 1).


15 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punto 48).


16 – Sentenza Commissione/Portogallo (EU:C:2011:785, punto 27).


17 – Sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480) (La sentenza è disponibile solo in lingua danese e francese).


18 – Sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punto 24).


19 – Sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punto 29).


20 – Sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punto 32).


21 – Sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punto 37).


22 – Sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punti da 12 a 14).


23 – Tale riserva era basata sulla eventuale possibilità di prendere in considerazione le plusvalenze da capitale per determinare l’imposta sulle società dovuta in Germania dalla società acquirente, ovvero dalla società a responsabilità limitata che era stata socio accomandatario della società in accomandita semplice sciolta in quel caso [sentenza DMC (EU:C:2014; 20, punto 57)].


24 – Sentenza DMC (EU:C:2014:20, punto 67).


25 – Sentenza DMC (EU:C:2014:20, punto 62).


26 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punto 46).


27 – Sentenza DMC (EU:C:2014, punto 49 e giurisprudenza citata).


28 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punto 56).


29 – Osservo che la disposizione del Trattato applicabile ratione temporis è l’articolo 43 CE, non l’articolo 49 TFUE, poiché il caso riguarda la tassazione di un trasferimento di beni economici che ha avuto luogo nel 2005. Cionondimeno, poiché non vi è nessuna differenza sostanziale tra queste due disposizioni, a mio avviso la Corte dovrebbe dare risposta alla questione pregiudiziale facendo riferimento alla disposizione citata da ultimo.


30 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punti 37 e 38 e la giurisprudenza ivi citata).


31 – Ibid, punto 37.


32 – Sentenze Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punto 31); Commissione/Portogallo (EU:C:2012:521, punto 29) e Commissione/Spagna (EU:C:2012:439, punto 60).


33 – Sentenza Amurta (C-379/05, EU:C:2007:655, punto 24). V. anche sentenza Bouanich (C-265/04, EU:C:2006:51, punti dal 49 al 51).


34 – V. sentenza del 17 luglio 2008 citato nella nota 6.


35 – V., per esempio, sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punto 42 e giurisprudenza citata).


36 – Sentenza DMC (EU:C:2014:20, punti 51 e 52).


37 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punto 81).


38 – V. sentenza DMC (EU:C:2014:20, punti 56 e 57).


39 – La situazione sarebbe diversa se il diritto dell’Unione imponesse di tenere conto, nella stima degli utili imponibili generati in Germania, dell’importo delle plusvalenze (o delle perdite) realizzate nell’eventualità e nel momento in cui si verificasse la realizzazione degli attivi nei Paesi Bassi. Tale requisito è stato rigettato dalla Corte nella sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punti da 56 a 57). V. anche sentenza DMC (EU:C:2014:20, punto 48). Ricordo che nella causa National Grid Indus la società restava, in linea di principio, soggetta ad imposizione fiscale nei confronti dei Paesi Bassi, pur avendo stabilito la propria sede nel Regno Unito. Osservo inoltre che, se uno Stato ha esentato da imposizione fiscale i redditi riconducibili alle stabili organizzazioni estere di imprese residenti in tale Stato, l’obbligo di tenere conto, a seguito dell’uscita, di tali minusvalenze relative ai beni economici ed esse trasferiti costituirebbe un’asimmetria che finirebbe per compromettere la coerenza del sistema tributario di tale Stato.


40 – Sentenza Commissione/Portogallo (EU:C:2012:521, punti 27 e 28). V. anche sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480), punto 28.


41 – V. sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punti 31 e 36).


42 – V. in tal senso, sentenza Commissione/Portogallo (EU:C:2012:521). In quel caso, la Corte ha ritenuto che la riscossione immediata dell’imposta sulle plusvalenze non ancora realizzate e relative a beni economici di una stabile organizzazione situata in territorio portoghese che erano stati trasferiti in un altro Stato membro non potesse essere considerata né giustificata né proporzionata. V. anche sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punti 36 e 37), nonché sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785), in cui la società è rimasta una società di diritto olandese benché la sua sede amministrativa effettiva fosse stata spostata in un altro Stato membro.


43 – Sentenza DMC (EU:C:2014:20, punto 57).


44 – Sentenza Commissione/Danimarca (EU:C:2013,480, punto 37) e sentenza DMC (EU:C:2014:20, punto 53).


45 –      Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785). In alcune circostanze, il pagamento immediato potrà sollevare il soggetto passivo e l’amministrazione finanziaria da oneri amministrativi sproporzionati, in ragione della necessità di tenere monitorati i mutamenti di valore di ogni singolo bene trasferito.


46 – Tale argomentazione è stata sostenuta dalla Danimarca nella causa Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punto 13). Ricordo che la Corte ha riconosciuto (v. punto 37) che lo Stato membro possa scegliere, per la riscossione dell’imposta, un fatto generatore diverso dall’effettiva realizzazione dell’attivo.


47 – Sentenze Commissione/Danimarca (EU:C:2013:480, punti dal 36 al 38) e DMC (EU:C:2014:20, punto 53).


48 – Ciò vale a prescindere dalle regole di deprezzamento, che, nel caso dei diritti di brevetto nei Paesi Bassi, sembrano essere piuttosto generose, stando alle osservazioni scritte del governo belga.


49 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punto 81).


50 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785, punto 73); sentenza DMC (EU:C:2014:20, punto 61).


51 – Sentenza National Grid Indus (EU:C:2011:785), punti 70 e 71.