Edizione provvisoria
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
del 10 febbraio 2022 (1)
Causa C-596/20
DuoDecad Kft.
contro
Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága
(domanda di pronuncia pregiudiziale del Fővárosi Törvényszék [Corte di Budapest-Capitale, Ungheria])
«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Diritto tributario – Imposta sul valore aggiunto – Direttiva 2006/112/CE – Luogo delle prestazioni di servizi – Individuazione del destinatario della prestazione – Incidenza di una possibile pratica abusiva tra il destinatario e un terzo sulla determinazione del luogo della prestazione – Principio di neutralità – Prevenzione della doppia imposizione – Obbligo di cooperazione delle amministrazioni finanziarie degli Stati membri»
I. Introduzione
1. Il presente procedimento pregiudiziale mostra i limiti dell’armonizzazione del diritto nell’Unione. Sebbene tutti gli Stati membri abbiano trasposto correttamente la direttiva di base, la sua applicazione a un servizio transfrontaliero porta tuttavia a risultati diversi. Tanto il Portogallo quanto l’Ungheria indicano il luogo di una prestazione di servizi nel loro territorio e reclamano per sé il versamento dell’IVA. Il che si traduce in una vera e propria doppia imposizione di una stessa operazione nonostante la piena armonizzazione della normativa.
2. Ciò risulta particolarmente problematico perché, in base all’approccio della direttiva IVA, le imprese interessate non sono i veri soggetti passivi, bensì unicamente – come afferma la Corte (2) – collettori d’imposta per conto dello Stato. In realtà, l’IVA dovrebbe avere un carattere neutro per l’impresa che si limita a riscuoterla. Il che è possibile esclusivamente se l’imposta è riscossa una sola volta, per cui occorre, d’altro canto, che il luogo delle prestazioni di servizi sia fissato in un unico Stato membro, come previsto, in linea di principio, anche dalla direttiva IVA. Tuttavia, allo stesso tempo, deve escludersi che in entrambi gli Stati membri si possa validamente decidere che detto luogo si trovi al contempo nell’uno e nell’altro Stato. In altre parole, è necessario evitare conflitti nella qualificazione.
3. Inoltre, nel presente procedimento è sollevata la questione dell’individuazione del beneficiario della prestazione rilevante ai fini della localizzazione della prestazione medesima, ove a quest’ultimo e a un terzo venga imputata una pratica abusiva. Ciò rileva, nel presente caso, ai fini della corretta determinazione del luogo di prestazione. Infatti, allorché tale addebito sia pertinente, si pone conseguentemente la questione se la censura dell’abuso di diritto nel rapporto intercorrente tra il terzo e il destinatario possa incidere sul prestatore, ossia sul luogo della prestazione di quest’ultimo.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione
1. Direttiva IVA
4. Il contesto normativo è determinato dalla direttiva IVA (3) nella versione vigente per gli anni di riferimento 2009 (4) e 2011 (5).
5. L’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA recita come segue:
«1. Sono soggette all’IVA le operazioni seguenti:
c) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;».
6. Secondo l’articolo 24, paragrafo 1, della medesima direttiva:
«1. Si considera “prestazione di servizi” ogni operazione che non costituisce una cessione di beni.
7. Il successivo articolo 28 dispone quanto segue:
«Qualora un soggetto passivo che agisca in nome proprio ma per conto terzi partecipi ad una prestazione di servizi, si ritiene che egli abbia ricevuto o fornito tali servizi a titolo personale».
8. Le disposizioni concernenti il luogo delle prestazioni di servizi sono state modificate a decorrere dal 1° gennaio 2010 (6), cosicché con riguardo ai due anni di riferimento trovavano applicazione diverse disposizioni.
9. Quanto all’anno di riferimento 2009, l’articolo 43 della direttiva è così formulato:
«Il luogo di una prestazione di servizi è il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica o dispone di una stabile organizzazione a partire dalla quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di tale stabile organizzazione, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale».
10. Con riguardo all’anno di riferimento 2009, tale disposizione veniva integrata tramite l’articolo 56, paragrafo 1, lettera k), della direttiva IVA:
«1. Il luogo delle seguenti prestazioni di servizi, fornite a destinatari stabiliti fuori della Comunità o a soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma fuori del paese del prestatore, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o dispone di una stabile organizzazione per la quale è stata resa la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o stabile organizzazione, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale:
k) i servizi prestati per via elettronica, segnatamente quelli di cui all’allegato II;».
11. Detto allegato II, intitolato «Elenco indicativo dei servizi forniti per via elettronica di cui all’articolo 56, paragrafo 1, punto k)», menziona, in particolare, la «(f)ornitura di siti web e web–hosting, gestione a distanza di programmi e attrezzature», nonché la «fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di basi di dati».
12. Per l’anno di riferimento 2009, l’articolo 196 della menzionata direttiva disciplinava il meccanismo di inversione contabile sul destinatario nel caso di prestazione di servizi resa da un soggetto passivo stabilito all’estero nel modo seguente:
«L’IVA è dovuta dai destinatari soggetti passivi di servizi di cui all’articolo 56, o dai destinatari, identificati ai fini dell’IVA nello Stato membro in cui è dovuta l’imposta, di servizi di cui agli articoli 44, 47, 50, 53, 54 e 55, se i servizi sono resi da un soggetto passivo non stabilito in tale Stato membro».
13. Quanto all’anno di riferimento 2011, l’articolo 44 della medesima direttiva prevede invece il luogo delle prestazioni di servizi resi a un soggetto passivo come segue:
«Il luogo delle prestazioni di servizi resi a un soggetto passivo che agisce in quanto tale è il luogo in cui questi ha fissato la sede della propria attività economica. Tuttavia, se i servizi sono prestati ad una stabile organizzazione del soggetto passivo situata in un luogo diverso da quello in cui esso ha fissato la sede della propria attività economica, il luogo delle prestazioni di tali servizi è il luogo in cui è situata la stabile organizzazione. In mancanza di tale sede o stabile organizzazione, il luogo delle prestazioni di servizi è il luogo dell’indirizzo permanente o della residenza abituale del soggetto passivo destinatario dei servizi in questione».
14. L’articolo 196 della direttiva in parola (Inversione contabile sul destinatario) è così formulato, con riguardo all’anno di riferimento 2011:
«L’IVA è dovuta dai soggetti passivi o dalle persone giuridiche che non sono soggetti passivi identificate ai fini dell’IVA a cui è reso un servizio ai sensi dell’articolo 44, se il servizio è reso da un soggetto passivo non stabilito nel territorio di tale Stato membro».
2. Regolamento n. 904/2010
15. Inoltre, la cooperazione amministrativa degli Stati membri in materia di IVA è disciplinata dal regolamento (UE) n. 904/2010 (7).
16. Il considerando 7 di tale regolamento è così formulato:
«Ai fini della riscossione dell’imposta dovuta gli Stati membri dovrebbero cooperare per assicurare l’accertamento corretto dell’IVA. Essi devono pertanto non solo controllare l’applicazione corretta dell’imposta dovuta nel loro territorio, ma dovrebbero anche fornire assistenza ad altri Stati membri per assicurare la corretta applicazione dell’imposta connessa a un’attività che si svolge sul loro territorio e dovuta in un altro Stato membro».
17. Secondo l’articolo 1, paragrafo 1, del medesimo regolamento:
«Il presente regolamento stabilisce le condizioni secondo le quali le autorità competenti degli Stati membri preposte all’applicazione della legislazione relativa all’IVA devono collaborare tra loro e con la Commissione allo scopo di assicurare l’osservanza di tale legislazione.
A tal fine esso definisce norme e procedure che consentono alle autorità competenti degli Stati membri di collaborare e di scambiare tra loro ogni informazione che possa consentire di accertare correttamente l’IVA, di verificarne la corretta applicazione, in particolare sulle transazioni intracomunitarie, e di lottare contro la frode all’IVA. Esso definisce in special modo le norme e le procedure che consentono agli Stati membri di raccogliere e scambiare per via elettronica le suddette informazioni».
B. Diritto ungherese
18. La direttiva IVA è stata trasposta con la Az általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény (legge n. CXXVII del 2007 relativa all’imposta generale sulla cifra d’affari).
III. Procedimento principale
A. Antefatto della domanda di pronuncia pregiudiziale
19. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale trae origine dalle decisioni divergenti adottate dalle amministrazioni finanziarie portoghese e ungherese in merito al luogo delle prestazioni di servizi di supporto informatico rese da un’impresa ungherese (DuoDecad Kft. – in prosieguo: la «ricorrente») ad un’impresa portoghese (Lalib Gestao e Investimentos LDA – in prosieguo: la «Lalib»).
20. Tali decisioni costituiscono, in ultima analisi, il proseguimento di una controversia, a quanto pare non ancora risolta, concernente il riconoscimento a fini fiscali della concessione di licenze da parte di un’altra impresa ungherese, la WebMindLicenses (in prosieguo: la «WML»), alla stessa società portoghese (Lalib). Si tratta di un contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how che consentiva lo sfruttamento di un sito internet tramite il quale erano prestati servizi audiovisivi interattivi. Tale controversia è stata oggetto di un procedimento pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia già anni orsono (8).
21. In tale precedente procedimento, un giudice ungherese chiedeva alla Corte, in sostanza, se il contratto di licenza tra la WML e la Lalib dovesse essere considerato abusivo, o, rispettivamente, quali fossero i criteri rilevanti per tale accertamento. Inoltre, veniva chiesto alla Corte se il regolamento n. 904/2010 dovesse essere interpretato nel senso che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilità dell’IVA per prestazioni che sono già state assoggettate all’IVA in altri Stati membri sia tenuta a rivolgere una richiesta di cooperazione alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri.
22. La Corte rispondeva, in particolare, che spetta al giudice del rinvio analizzare l’insieme delle circostanze del procedimento principale per accertare se tale contratto costituiva una costruzione puramente artificiosa intesa a dissimulare il fatto che la prestazione di servizi di cui trattasi non era effettivamente resa dalla società che ha acquisito la licenza, ma era di fatto resa dalla società che ha concesso la licenza, verificando in particolare se la sede dell’attività economica o della stabile organizzazione della società che ha acquisito la licenza non era effettiva o se tale società, ai fini dell’esercizio dell’attività economica considerata, non aveva una struttura adeguata in termini di locali, di personale e di strumenti tecnici, o ancora se detta società non esercitava tale attività economica in proprio nome e per proprio conto, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio. Inoltre, sarebbe necessario rivolgere una richiesta di informazioni alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro.
23. Tali informazioni sono state ottenute medio tempore dalle autorità portoghesi nel procedimento tra la WML e l’amministrazione finanziaria ungherese. Secondo la ricorrente, le autorità portoghesi presumono che l’impresa portoghese sia effettivamente stabilita in Portogallo. A quanto pare, però, l’amministrazione finanziaria ungherese insiste nel considerare abusiva la stipula del contratto tra la WML e l’impresa portoghese. Pertanto, il sito internet sarebbe sfruttato unicamente dalla WML e il fatturato così generato verrebbe trasferito da quest’ultima al di fuori dell’Ungheria. Ne discenderebbe come «conseguenza logica» che tutti i servizi di supporto informatico correlati allo sfruttamento del sito internet erano del pari forniti non all’impresa portoghese, bensì solo alla WML in Ungheria.
B. Il procedimento giurisdizionale principale
24. La ricorrente è un’impresa che fornisce servizi di supporto informatico ai gestori di siti internet. Essa è stata costituita in data 8 ottobre 2007. A quanto pare, esiste un certo collegamento con la WML, ma detta circostanza non si evince in maniera sufficientemente chiara dalla domanda di pronuncia pregiudiziale. In base alla seconda questione sollevata dal giudice del rinvio, il proprietario della WML è, allo stesso tempo, amministratore delegato e/o proprietario della ricorrente.
25. La ricorrente aveva alle sue dipendenze personale specializzato con esperienza pluriennale e, grazie alle sue solide competenze tecniche, è considerata la leader del mercato nella trasmissione di contenuti multimediali via internet. La cliente più importante della ricorrente era la società portoghese Lalib, nei confronti della quale, per il periodo tra luglio e dicembre 2009 e l’intero anno civile 2011, venivano emesse fatture relative a prestazioni di supporto, manutenzione e di esecuzione a titolo di fornitura di servizi per un importo totale pari EUR 8 086 829,40.
26. La società portoghese Lalib è stata costituita secondo il diritto portoghese il 16 febbraio 1998 e la sua attività principale, durante il periodo in esame, consisteva nella prestazione per via elettronica di servizi di intrattenimento.
27. L’amministrazione tributaria e doganale ungherese svolgeva un’indagine fiscale presso la ricorrente. L’indagine aveva ad oggetto l’imposta generale sulla cifra d’affari e riguardava il secondo semestre del 2009 e l’intero esercizio 2011. A seguito di detta indagine, con decisione del 10 febbraio 2020, l’amministrazione tributaria accertava a carico della ricorrente una differenza di 458 438 000 fiorini ungheresi (HUF) (circa EUR 1 250 000) e le imponeva, inoltre, una sanzione tributaria di HUF 343 823 000 (circa EUR 1 000 000) e una sovrattassa di mora di HUF 129 263 000 (circa EUR 350 000). Avverso detto avviso la ricorrente proponeva un’impugnazione, che veniva respinta con decisione del 6 aprile 2020.
28. Gli accertamenti compiuti dall’amministrazione tributaria resistente si fondavano sul fatto che il destinatario effettivo dei servizi forniti dalla ricorrente alla Lalib non sarebbe stato quest’ultima, bensì la WML. Sulla base di una nuova procedura svolta presso la WML, sarebbe stato accertato che i servizi forniti tramite il sito internet non sarebbero stati prestati dalla Lalib dal Portogallo, bensì dalla WML in Ungheria. Il contratto di licenza tra la Lalib e la WML di cui trattasi sarebbe un contratto fittizio.
29. La ricorrente proponeva ricorso avverso tale decisione, ritenendo di fornire, come molte altre società partner, servizi di supporto direttamente per la Lalib e non per la WML. Quanto ai contratti stipulati con la Lalib, non vi avrebbero preso parte né la WML né il suo azionista di maggioranza. In realtà, nel procedimento avviato contro la WML, la Direzione ungherese dei tributi per i grandi contribuenti dell’amministrazione nazionale tributaria e doganale avrebbe chiesto all’autorità portoghese di chiarire i fatti. Nella sua risposta alla richiesta internazionale, l’autorità portoghese avrebbe chiaramente indicato che la Lalib era stabilita in Portogallo, che essa esercitava effettivamente, durante il periodo considerato, un’attività economica a proprio rischio e che disponeva di tutte le risorse tecniche e umane necessarie a concretizzare lo sfruttamento delle conoscenze acquisite a livello internazionale.
30. Dato che, nonostante la conclusione di un procedimento pregiudiziale, il luogo delle operazioni effettuate tramite il sito internet (dalla Lalib o dalla WML) potrebbe essere valutato diversamente dalle amministrazioni finanziarie portoghese e ungherese, circostanza che potrebbe incidere sul luogo in cui sono state eseguite le operazioni della ricorrente, il giudice competente ritiene necessaria una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale.
IV. Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte
31. In tale contesto, il Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte le due lunghissime questioni seguenti:
«1. Se gli articoli 2, paragrafo 1, lettera c), 24, paragrafo 1, e 43 della direttiva 2006/112 del Consiglio debbano essere interpretati nel senso che l’acquirente della licenza del know-how — una società stabilita in uno Stato membro dell’Unione (nel caso del procedimento principale, in Portogallo) — non è il prestatore dei servizi disponibili su un sito internet agli utenti finali, e pertanto non può essere la destinataria del servizio di assistenza tecnica per il know-how appartenente al soggetto passivo, il quale è stabilito in un diverso Stato membro (nel caso del procedimento principale, in Ungheria), a titolo di subcontraente, bensì debbano essere interpretati nel senso che il soggetto passivo presta tale servizio alla società che ha concesso la licenza del know-how e che è stabilita in quest’ultimo Stato membro, in circostanze in cui l’acquirente della licenza:
a) disponeva di uffici locati nel primo Stato membro, dell’infrastruttura informatica e di un ufficio, di personale proprio e di ampia esperienza nel settore del commercio elettronico, e il cui proprietario aveva estese relazioni internazionali e un amministratore qualificato in materia di commercio elettronico,
b) aveva ottenuto il know-how che rifletteva i processi di funzionamento dei siti internet e dei loro aggiornamenti, forniva pareri al riguardo, suggeriva modifiche a tali processi e le approvava,
c) era la destinataria dei servizi prestati dal soggetto passivo sulla base di tale know-how,
d) riceveva regolarmente rapporti sulle prestazioni effettuate dai subcontraenti (in particolare sul traffico dei siti internet e sui pagamenti effettuati a partire dal conto bancario);
e) aveva registrato a proprio nome i domini internet che consentivano l’accesso ai siti internet;
f) figurava nei siti internet in qualità di prestatore del servizio;
g) eseguiva in proprio le attività volte a preservare la popolarità dei siti internet;
h) concludeva in proprio i contratti con i collaboratori e i subcontraenti necessari per la prestazione del servizio (in particolare con le banche che offrivano il pagamento tramite carta bancaria sui siti internet, con gli autori che fornivano il contenuto accessibile sui siti internet e con i webmaster che promuovono il contenuto);
i) disponeva di un sistema completo di incasso dei ricavi provenienti dalla prestazione del servizio in questione agli utenti finali, quali conti bancari, una facoltà di disposizione esclusiva e completa su tali conti, una banca dati degli utenti finali che consentiva di emettere fatture per la prestazione del servizio intestate a questi ultimi e un programma di fatturazione specifico;
j) indicava sui siti internet la propria sede nel primo Stato membro quale servizio fisico di assistenza al cliente, e
k) è una società autonoma sia rispetto al concedente la licenza sia rispetto ai subcontraenti ungheresi incaricati dell’esecuzione di taluni processi tecnici descritti nel know-how,
tenendo altresì conto di quanto segue: i) le circostanze di cui sopra sono state confermate dall’autorità competente del primo Stato membro, in qualità di organismo idoneo a verificare tali circostanze oggettive e verificabili da parte di terzi; ii) il fatto che la società di tale Stato membro non potesse avvalersi di un prestatore di servizi di pagamento che garantisse l’incasso del pagamento con carta bancaria sul sito internet costituiva un ostacolo oggettivo alla prestazione del servizio nell’altro Stato membro, con la conseguenza che la società stabilita in tale medesimo Stato membro non ha mai eseguito la prestazione del servizio disponibile sui siti internet, né prima né dopo il periodo in questione; e iii) la società che ha acquisito la licenza e le sue società collegate hanno tratto un vantaggio dalla gestione del sito internet superiore, nel complesso, alla differenza risultante dall’applicazione dell’aliquota IVA nel primo e nel secondo Stato membro.
2. Se gli articoli 2, paragrafo 1, lettera c), 24, paragrafo 1, e 43 della direttiva IVA debbano essere interpretati nel senso che il concedente la licenza del know-how — una società stabilita nell’altro Stato membro — è il prestatore dei i servizi disponibili su un sito Internet agli utenti finali, in modo tale da essere la destinataria del servizio di assistenza tecnica del know-how appartenente al soggetto passivo, a titolo di subcontraente, e nel senso che quest’ultimo non presta tale servizio alla società acquirente della licenza stabilita nel primo Stato membro, in circostanze in cui la società che ha concesso la licenza:
a) disponeva di risorse proprie consistenti unicamente in un ufficio condotto in locazione e in un computer utilizzato dal suo amministratore;
b) aveva come unici dipendenti propri un amministratore e un consulente legale che lavorava a tempo parziale per alcune ore settimanali;
c) aveva come unico contratto il contratto di sviluppo del know-how;
d) aveva richiesto che i nomi di dominio di cui era proprietaria fossero registrati dall’acquirente della licenza in nome proprio, in base al contratto concluso con quest’ultimo;
e) non è mai figurata quale prestatore dei servizi in questione nei confronti dei terzi, in particolare gli utenti finali, le banche che offrivano il pagamento tramite carta bancaria sui siti internet, gli autori del contenuto accessibile sui siti internet e i webmaster che promuovono il contenuto;
f) non ha mai emesso documenti giustificativi relativi ai servizi disponibili sui siti internet, ad eccezione della fattura relativa ai diritti di licenza, e
g) non disponeva di un sistema (quali conti bancari e altre infrastrutture) che consentisse l’incasso delle entrate provenienti dal servizio prestato tramite i siti internet,
tenuto conto altresì che, secondo la sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832), non appare di per sé decisivo il fatto che l’amministratore e unico azionista della società che concede la licenza sia il creatore di tale know-how e che, inoltre, lo stesso eserciti un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento di detto know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso, di modo che la persona fisica che è amministratore e proprietario della società che concede la licenza è anche amministratore e/o proprietario di quelle società commerciali subcontraenti — e quindi della ricorrente — che collaborano alla prestazione del servizio in qualità di subcontraenti su incarico dell’acquirente della licenza, eseguendo le rispettive funzioni indicate».
32. Nel procedimento dinanzi alla Corte, la ricorrente, la Repubblica portoghese, l’Ungheria e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. La Corte non ha tenuto un’udienza ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento di procedura.
V. Valutazione giuridica
A. Sulle questioni pregiudiziali
33. Le due questioni pregiudiziali possono essere comprese solo se si tiene presente l’oggetto del procedimento principale, nel quale la ricorrente e l’amministrazione finanziaria ungherese sono in disaccordo sul luogo delle prestazioni di servizi informatici forniti dalla ricorrente alla Lalib.
34. Il luogo delle prestazioni di tali servizi forniti per via elettronica a un altro soggetto passivo è – in base tanto alla normativa precedente [articolo 43 in combinato disposto con l’articolo 56, paragrafo 1, lettera k), della direttiva IVA nella versione applicabile per il 2009] quanto a quella ora applicabile (articolo 44 della direttiva IVA nella versione vigente nel 2011) – il luogo in cui il destinatario ha stabilito la sede della propria attività economica. Ove la Lalib fosse il destinatario dei servizi, il luogo si troverebbe in Portogallo, quindi il Portogallo avrebbe correttamente riscosso l’IVA. Qualora il reale destinatario dei servizi fosse invece un’impresa stabilita in Ungheria (come la WML), allora il luogo delle prestazioni di servizi informatici sarebbe in Ungheria, con la conseguenza che l’IVA sarebbe correttamente esigibile in Ungheria.
35. Ad un esame più attento, per la ricorrente è indifferente il luogo delle proprie prestazioni di servizi, nel caso in cui entrambi i destinatari interessati siano imprese aventi diritto alla detrazione dell’imposta a monte e versino il prezzo pattuito oltre alla rispettiva IVA. La diversità delle aliquote applicate in Ungheria e in Portogallo non ha pertanto alcuna rilevanza. Tuttavia, è significativo per la ricorrente se la cifra d’affari sia soggetta ad imposta in un solo paese – in Ungheria o in Portogallo – oppure in entrambi – in Ungheria e in Portogallo – avendo essa ricevuto una sola volta il compenso pattuito con il destinatario.
36. In tale contesto, le due questioni pregiudiziali vertono sull’interpretazione delle disposizioni sul luogo di prestazione di cui alla direttiva IVA al fine di consentire la determinazione, in base al diritto dell’Unione, dell’esatto luogo delle prestazioni di servizi forniti dalla ricorrente nello specifico caso. In considerazione del fatto che detto luogo è correlato alla sede del destinatario, il giudice del rinvio dovrà pronunciarsi, in sostanza, sulla corretta individuazione, in base al diritto dell’Unione, del «reale» destinatario nella fattispecie (transfrontaliera) in esame, nella quale è coinvolta una seconda amministrazione finanziaria che giunge a conclusioni diverse rispetto a quelle formulate dalla prima («conflitto di qualificazione»).
37. Alla luce del fatto che i dubbi sull’individuazione del reale destinatario derivano inoltre dal controverso «carattere abusivo» della concessione della licenza da parte della WML alla Lalib, il giudice del rinvio chiede, in via incidentale, se la (eventuale) presenza di tale carattere possa incidere sulla determinazione del luogo della prestazione di un terzo.
38. Propongo quindi alla Corte di operare una notevole sintesi delle due questioni e di riformularle al fine di fornire al giudice del rinvio una soluzione utile.
39. Segnatamente, il giudice chiede, in sostanza, se gli articoli 2, 24, 28 e 43 e seguenti debbano essere interpretati alla luce dell’articolo 196 della direttiva IVA, come modificato, cosicché, nelle circostanze date, il destinatario in base al quale viene determinato il luogo della prestazione sia la controparte contrattuale civilistica che ha versato il corrispettivo (nel caso di specie, la Lalib). Oppure, rispettivamente, se l’eventuale esistenza di una pratica abusiva tra la controparte contrattuale e un terzo (nel caso di specie, la WML) implichi che quest’ultimo dev’essere considerato il destinatario in base al quale viene determinato il luogo della prestazione.
40. Il particolare contesto della fattispecie suesposta offre inoltre alla Corte l’opportunità di precisare se il principio di neutralità della direttiva IVA, alla luce del regolamento n. 904/2010, richieda che in situazioni transfrontaliere deve esistere un unico luogo della prestazione oppure se il soggetto passivo possa essere esposto al rischio di decisioni contraddittorie da parte delle due amministrazioni finanziarie interessate e quindi di una doppia imposizione ai fini dell’IVA.
41. Per fornire una risposta alle questioni riformulate, occorre anzitutto chiarire il modo in cui viene individuato il destinatario di una prestazione di servizi in base alla normativa IVA (v, al riguardo, sub B). In secondo luogo, esaminerò se l’esistenza di una pratica abusiva tra detto destinatario e un terzo possa incidere sulla determinazione del luogo delle prestazioni di servizi da parte del fornitore (v, al riguardo, sub C). Approfondirò quindi il problema delle decisioni contraddittorie adottate dalle amministrazioni finanziarie di diversi Stati membri all’interno di un sistema IVA armonizzato (v, al riguardo, sub D).
B. Sull’individuazione del destinatario nella normativa IVA
42. L’individuazione del «reale» destinatario di una prestazione di servizi si basa su principi generali. Se ne distingue l’altra questione vertente sull’esistenza di una pratica abusiva. L’individuazione del «reale» destinatario discende dall’interpretazione della direttiva IVA e incide, nel caso di specie, sulla determinazione del luogo delle prestazioni di servizi. La constatazione dell’esistenza di una pratica abusiva riguarda, invece, la valutazione dei fatti e ne deriva che le operazioni implicate devono essere ridefinite in modo da ristabilire la situazione quale si sarebbe configurata senza dette operazioni (9).
43. Tuttavia, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta solo che l’amministrazione finanziaria ungherese considera l’accordo contrattuale tra la WML e la Lalib come una pratica abusiva, in quanto, a mezzo di tale costruzione contrattuale, gli utenti del sito internet ricevono prestazioni dal Portogallo ad un’aliquota IVA inferiore rispetto a quelle provenienti dall’Ungheria. Tuttavia, come si evince dalla dichiarazione della ricorrente, il procedimento penale avviato a tal riguardo non è ancora giunto alla formulazione dell’imputazione di evasione fiscale.
44. Per contro, non emerge dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che il giudice del rinvio consideri i rapporti contrattuali tra la ricorrente e la Lalib come una pratica abusiva. Ciò è altresì comprensibile, in quanto il livello dell’aliquota IVA è indifferente tra imprese aventi diritto a detrazione dell’imposta. Sia la Lalib che la WML potrebbero neutralizzare l’onere dell’IVA tramite la detrazione dell’imposta. A tal proposito, dal fascicolo di causa non si evince in cosa consista il vantaggio fiscale tratto dalla ricorrente nel fornire servizi di supporto informatico a una società portoghese anziché a una società ungherese. Tale circostanza è opportunamente sottolineata dal Portogallo.
45. Pertanto – come del pari giustamente rilevato dal Portogallo – si pone anzitutto la questione del modo in cui il destinatario (nel caso di specie, dei servizi informatici della ricorrente) possa essere individuato in base alle disposizioni della direttiva IVA riguardanti il luogo della prestazione.
46. Secondo consolidata giurisprudenza, l’obiettivo delle disposizioni che stabiliscono il luogo di collegamento fiscale delle prestazioni di servizi consiste nell’evitare, da un lato, conflitti di competenza da cui possano derivare doppie imposizioni e, dall’altro, la mancata imposizione di introiti (intese come operazioni)(10). Ciò impone l’esistenza di un unico destinatario del servizio imponibile ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA.
47. Secondo costante giurisprudenza, un servizio imponibile ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA esiste soltanto allorché tra il prestatore e il destinatario intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di reciproche prestazioni e, in tale contesto, il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo di un servizio individualizzabile fornito al destinatario. Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto(11).
48. Tra due parti contraenti che hanno pattuito l’effettuazione e il corrispettivo di un servizio, intercorre, di norma, un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di reciproche prestazioni. Secondo il procedimento pregiudiziale, tale era il caso unicamente tra la ricorrente e la Lalib. Al contrario, la WML non ha preso parte alla stipula del contratto riguardante i servizi di supporto informatico da fornire, né ha provveduto a versare il corrispettivo. Pertanto, il destinatario in base al quale viene determinato il luogo delle prestazioni di servizi coincide con la controparte contrattuale civilistica, ossia la Lalib.
49. Tale interpretazione – secondo la quale il destinatario coincide, in linea di principio, con la controparte contrattuale del prestatore ed è tenuto a versare il corrispettivo della controprestazione – è confermata dalla disposizione dell’articolo 196 della direttiva IVA, che integra le norme in materia di determinazione del luogo.
50. L’articolo 196 della direttiva IVA prevede, infatti, un’inversione contabile dal prestatore (nel caso in esame, la ricorrente) all’impresa destinataria (nel caso in esame, la Lalib) se un servizio è reso da una società non stabilita nello Stato membro del destinatario. Tale misura – come enunciato dal considerando 42 della direttiva IVA – dovrebbe semplificare la riscossione dell’imposta e garantire l’efficacia dell’imposizione (12). Il meccanismo dell’inversione contabile di cui al suddetto articolo 196 trae origine dal fatto che lo Stato membro di destinazione avrebbe difficoltà a riscuotere le imposte dalle imprese stabilite all’estero. Inoltre, detto meccanismo esonera il prestatore dagli obblighi di registrazione e dichiarazione in altri Stati membri (13).
51. Il meccanismo dell’inversione contabile trasforma un’accisa indiretta in un’accisa diretta, gravante immediatamente sul destinatario. Tuttavia, una siffatta modifica del debitore d’imposta postula che il destinatario della prestazione, tenuto ora a versare l’IVA oltre al corrispettivo, possa prendere in considerazione detto debito d’imposta al momento di pattuire il corrispettivo o, al più tardi, al momento di versarlo. In linea di principio, ciò è possibile solo alla controparte contrattuale che, in ragione del menzionato rapporto giuridico, è tenuto alla controprestazione.
52. In conclusione, da un’interpretazione delle disposizioni riguardanti la determinazione del luogo della prestazione in conformità all’articolo 196 della direttiva IVA discende che, in linea di principio, la controparte che negozia con l’impresa che eroga il servizio è il destinatario della prestazione in base al quale viene determinato il luogo della prestazione.
C. L’incidenza di una pratica abusiva tra il reale destinatario e un terzo
53. È quindi chiaro che, in linea di principio, la controparte contrattuale civilistica tenuta alla controprestazione è il destinatario della prestazione ai sensi della direttiva IVA. Occorre esaminare se tale conclusione sia modificata dall’eventuale esistenza di una pratica abusiva tra il destinatario e un terzo (vale a dire, nel caso in esame, tra la Lalib e la WML).
1. Sulla tesi delle amministrazioni finanziarie ungheresi
54. In linea con la tesi esposta dal Portogallo, ritengo che debba fornirsi una risposta negativa. La posizione contraria delle amministrazioni finanziarie ungheresi è in contrasto con i fondamenti del sistema della direttiva IVA. Esse ritengono che dall’esistenza della pratica abusiva tra la WML e la Lalib risulterebbe che il sito internet sarebbe gestito dalla WML in Ungheria, cosicché i servizi di supporto informativo potrebbero essere forniti esclusivamente alla WML in Ungheria. Contrariamente a quanto ritenuto della Commissione, tuttavia, l’individuazione del «reale» destinatario della prestazione della ricorrente non è strettamente correlata alla valutazione in termini di abusività del contratto di licenza concluso dalla WML e dalla Lalib.
55. In base a tale approccio, non solo le prestazioni della ricorrente, bensì tutte le prestazioni ricevute dalla Lalib – un’impresa portoghese effettivamente esistente (ove la risposta del Portogallo alla richiesta di informazioni dell’Ungheria sia stata correttamente riportata) – in relazione allo sfruttamento del sito internet sarebbero state imponibili in Ungheria; ciò riguarderebbe anche le prestazioni di altri fornitori portoghesi. Il fatto che l’amministrazione finanziaria ungherese – diversamente da quella portoghese – ritenga che la Lalib non esista oppure che sia equiparabile alla WML non costituisce in ogni caso un fondamento sufficiente a tal riguardo.
2. Presa in considerazione del valore neutro della normativa IVA
56. In primo luogo, la direttiva IVA ha in linea di principio un valore neutro (14). Secondo costante giurisprudenza della Corte, occorre prendere in considerazione la natura oggettiva dell’operazione di cui trattasi (15). Ciò vale, in particolare, per l’interpretazione delle disposizioni concernenti il luogo della prestazione, il cui obiettivo – come correttamente affermato dalla Corte – consiste nell’evitare, da un lato, conflitti di competenza da cui possano derivare doppie imposizioni e, dall’altro, la mancata imposizione di introiti (più precisamente: delle operazioni) (16). Esse sono pertanto intese alla ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati membri.
57. Il fatto che il destinatario di una prestazione di lavaggio dell’automobile, vale a dire di un servizio, sia anche il proprietario dell’automobile, l’abbia regolarmente presa a noleggio oppure l’abbia rubata, è irrilevante ai fini della questione volta a stabilire chi sia il destinatario e dove sia il luogo della prestazione. Anche il ladro, che ha richiesto e pagato il servizio di lavaggio dell’automobile rubata, è e resta il destinatario, per cui il luogo delle prestazioni di servizi viene determinato in funzione della sua persona (ad esempio, se è un soggetto passivo o meno – v. articolo 44 della direttiva IVA, da un lato, e articolo 45, dall’altro).
3. Presa in considerazione del punto di vista del prestatore
58. Va aggiunto che il suddetto approccio delle amministrazioni finanziarie ungheresi non tiene conto della tecnica d’imposizione indiretta dell’IVA. Infatti, il «principio di astrazione» illustrato nell’esempio del ladro di automobili deriva anche dal fatto che l’impresa che effettua la prestazione agisce come una longa manus dello Stato nella riscossione dell’imposta («collettore per conto dello Stato» (17)). Non facendolo volontariamente, ma in forza di una disposizione legislativa, l’impresa potrebbe essere considerata una «assistente forzata dello Stato» (18).
59. È però necessario che tale assistente sia a conoscenza del luogo della cessione o della prestazione di servizi, al fine di poter applicare la corretta aliquota e versare l’imposta che ne deriva. Ove la determinazione del luogo della prestazione di un servizio sia correlata a una qualità del destinatario (ad esempio, essere un soggetto passivo), il prestatore dovrà essere in grado di stabilirlo autonomamente.
60. Quest’ultimo può riconoscere e individuare la propria controparte contrattuale tenuta a pagargli la controprestazione (il prezzo) sulla base degli accordi contrattuali. Per contro, il prestatore non è a conoscenza delle circostanze inerenti unicamente al rapporto del destinatario con terzi né vi esercita alcuna influenza. Pertanto, tali elementi non devono incidere, in linea di principio, sulla determinazione del luogo della cessione o della prestazione di servizi. Del pari, giustamente può non essere rilevante per il soggetto passivo l’identità dell’effettivo proprietario di un’automobile da lavare al momento dell’effettuazione della prestazione di servizi. Il destinatario è la sua controparte contrattuale e il luogo della prestazione resta lo stesso, indipendentemente dal fatto che l’automobile sia stata presa a noleggio, acquistata o rubata.
4. Presa in considerazione del regime delle operazioni in forza dei contratti di commissione
61. Inoltre – come chiarisce l’articolo 28 della direttiva IVA – il destinatario può agire in nome proprio ma per conto terzi. Di conseguenza, il fatto che, in definitiva, qualsivoglia persona diversa dalla controparte contrattuale utilizzi effettivamente il servizio è irrilevante ai fini dell’IVA. Anche un soggetto non proprietario che agisce in nome proprio ma per conto terzi (ad esempio, del proprietario) è destinatario di una prestazione di servizi.
62. È pertanto decisivo il fatto che la Lalib, in base al rapporto giuridico sottostante, sia tenuta a versare il corrispettivo per i servizi di supporto informatico resi dalla resistente. È dunque, in linea di massima, irrilevante ai fini della qualità di destinatario della Lalib se quest’ultima abbia ricevuto i servizi in nome e per conto proprio oppure in nome proprio ma per conto della WML. Il luogo delle prestazioni di servizi informatici forniti dalla ricorrente alla Lalib è dunque in Portogallo e deve essere valutato indipendentemente dall’esistenza di un’eventuale pratica abusiva tra la WML e la Lalib.
5. Possibile deroga: abuso di costruzione giuridica ad opera di tutte le parti
63. La conclusione sarebbe diversa, a tutto voler concedere, nel caso in cui l’intero rapporto giuridico intercorrente tra la Lalib, la WML e la resistente dovesse essere considerato come un unico grave abuso di costruzione giuridica. Ciò consentirebbe di ridefinire le operazioni implicate in modo da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza dette operazioni. Tuttavia, un abuso del genere non si evince dalla domanda di pronuncia pregiudiziale.
64. In considerazione del fatto che il quadro complessivo indica che la Lalib realmente esiste, è evidentemente stabilita in Portogallo, ha pagato effettivamente le fatture della ricorrente e non risulta alcun vantaggio ai fini dell’IVA, almeno con riguardo ai servizi di supporto informatico, sussistono notevoli dubbi al riguardo. La Commissione stessa sembra supporre che la sola Lalib effettua prestazioni ai consumatori finali tramite il sito internet. In definitiva, però, spetta esclusivamente al giudice di rinvio valutare tale contesto.
6. Conclusione intermedia
65. Il destinatario dei servizi informatici della ricorrente è la sua controparte contrattuale (Lalib). L’eventuale esistenza di una pratica abusiva tra la WML e la Lalib non incide minimamente su tale conclusione. Ciò vale quantomeno nel caso in cui la stipula del contratto tra la resistente e la Lalib non debba essere valutato di per sé come parte integrante di una pratica abusiva. Tuttavia, da un lato, la Corte non dispone di alcun elemento al riguardo e, dall’altro, spetta esclusivamente al giudice del rinvio effettuare una valutazione del genere.
D. In subordine: sul trattamento nella normativa IVA degli accertamenti contrastanti di amministrazioni finanziarie di diversi Stati membri
1. Esposizione del problema
66. Sebbene il luogo delle prestazioni di servizi della ricorrente sia ormai chiarito, permane, tuttavia, anche nel presente procedimento, un rischio di doppia imposizione insito nel sistema dell’IVA. Detto rischio diventerebbe concreto qualora il giudice del rinvio dovesse accertare che l’intero rapporto giuridico intercorrente tra la Lalib, WML e la ricorrente debba essere considerato come un unico abuso di costruzione giuridica.
67. L’Ungheria, partendo dal presupposto dell’effettuazione di una prestazione alla WML e del luogo della prestazione situato nel proprio territorio, riscuoterebbe l’IVA pertinente. Invece, il Portogallo continuerebbe probabilmente a non valutare i fatti come un abuso di costruzione giuridica, con la conseguenza che il destinatario sarebbe la Lalib e il luogo della prestazione si troverebbe in Portogallo. Ciò comporterebbe una doppia imposizione a causa di un conflitto di qualificazione.
68. Tale possibile risultato non è compatibile con l’idea alla base del principio di neutralità nella normativa IVA. Infatti, come già affermato dalla Corte, la doppia imposizione delle attività imprenditoriali è in contrasto col principio della neutralità fiscale insito nel sistema comune dell’IVA (19). Ciò è confermato anche dalla pregressa giurisprudenza sul rischio di doppia imposizione nel caso di importazioni di beni già assoggettati a IVA (20).
69. La giurisprudenza della Corte fornisce già alcuni spunti sul modo in cui una siffatta doppia imposizione potrebbe essere evitata.
2. Assenza di effetto vincolante del primo accertamento fiscale in ordine di tempo
70. A tal riguardo, la Corte ha già correttamente dichiarato che lo Stato membro che per primo accerta l’imposta non vincola l’altro Stato membro nella corretta applicazione della direttiva IVA (21). Un tale principio «primo arrivato, primo servito» sarebbe in conflitto con l’idea alla base delle disposizioni concernenti la determinazione del luogo, intese ad assegnare e ripartire il gettito fiscale tra gli Stati membri.
71. Non occorre pertanto fornire una risposta alla questione se dallo stesso regolamento n. 904/2010 risulti che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro è tenuta a rivolgere una richiesta di informazioni alle amministrazioni tributarie di un altro Stato membro qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro (22).
72. Infatti, quando accertano che una stessa operazione è oggetto di un trattamento fiscale differente in un altro Stato membro, i giudici di uno Stato membro hanno la facoltà, o addirittura l’obbligo, a seconda che la loro decisione possa o meno essere oggetto di ricorso giurisdizionale, di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale (23). In tal senso, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di interpretare le disposizioni concernenti la determinazione del luogo della prestazione contenute nella direttiva IVA.
3. Diversa interpretazione delle disposizioni concernenti la determinazione del luogo della prestazione
73. Nella misura in cui la controversia trae origine dall’interpretazione delle disposizioni concernenti la determinazione del luogo della prestazione, la soluzione è agevole. La questione può e deve essere risolta mediante il ricorso alla Corte. Tale interpretazione del diritto dell’Unione nel contesto della domanda di pronuncia pregiudiziale è vincolante anche per l’altra amministrazione finanziaria.
74. A condizione che, nello stesso momento, quest’ultima non abbia ancora adottato una decisione definitiva, è possibile evitare in tal modo la doppia imposizione. L’adozione di una decisione definitiva la quale, contrariamente all’interpretazione della Corte, genera una corrispondente doppia imposizione, è in contrasto con il diritto dell’Unione. Qualora risulti – eventualmente a seguito di una decisione della Corte che statuisce in via pregiudiziale – che l’IVA è già stata indebitamente versata in uno Stato membro, l’interessato ha quindi diritto al rimborso dell’IVA pagata in eccesso. Secondo costante giurisprudenza, il diritto al rimborso delle tasse riscosse da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione è una conseguenza e un complemento dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione come interpretato dalla Corte. Lo Stato membro interessato è quindi in linea di principio obbligato a rimborsare le tasse riscosse in violazione del diritto dell’Unione (24).
4. Valutazioni contraddittorie dei fatti alla base del procedimento
75. Tuttavia, se la controversia riguarda non una diversa interpretazione del diritto dell’Unione, bensì una diversa valutazione dei fatti (ad esempio, l’esistenza di una pratica abusiva), la summenzionata opzione non è risolutiva, in quanto è compito dei giudici nazionali applicare il diritto dell’Unione alla fattispecie concreta. Le loro decisioni non sono vincolanti per le amministrazioni finanziarie degli altri Stati membri, con la conseguente persistenza del rischio di doppia imposizione.
76. Tale doppia imposizione contraddice gli obiettivi della direttiva IVA (v. supra paragrafo 68). È pur vero che la Corte ha dichiarato, nell’ambito della normativa in materia di imposte sul reddito, che, in mancanza di un’armonizzazione a livello dell’Unione, gli Stati membri non hanno l’obbligo di adattare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine, in particolare, di eliminare la doppia imposizione (25). Tuttavia, detto rilievo concerne la doppia imposizione in ragione della mancata armonizzazione della normativa in materia di imposte sul reddito e deriva dalla residua competenza legislativa degli Stati membri in tale ambito. Con riguardo alla normativa IVA, tale argomento non è pertinente.
77. La doppia imposizione basata sul diritto dell’Unione (nel caso in esame, la direttiva IVA) viola anche i diritti fondamentali del soggetto passivo (v. articoli 15, 16 e 17 della Carta) nell’attuazione del diritto dell’Unione (26). Inoltre, una doppia imposizione IVA delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi transfrontalieri pregiudicherebbe la libertà circolazione dei beni e dei servizi.
78. La doppia imposizione, che costituisce pertanto un ostacolo al mercato interno, potrebbe in definitiva essere evitata soltanto se la Corte stessa in tale particolare situazione – ossia: doppia imposizione da parte di due Stati membri a causa di un conflitto di qualificazione in una fattispecie transfrontaliera in base alla normativa IVA – stabilisse, in via eccezionale, il modo in cui valutare i fatti, dunque, nel caso in esame, se sussiste un abuso.
79. Essendo l’unica autorità che ha il potere di pronunciarsi in maniera vincolante per gli Stati membri interessati e dunque di prevenire efficacemente una doppia imposizione, la Corte ha già effettuato de facto una propria valutazione dei fatti in un caso analogo. Ad esempio, nella causa Auto Lease Holland, i fatti sono stati valutati in modo differente in due Stati membri, come rimarcato esplicitamente dal giudice di rinvio nel menzionato procedimento (27). Tuttavia, la Corte, in risposta alla questione pregiudiziale, ha dichiarato che «l’articolo 5, paragrafo 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che, nel caso del locatario di un veicolo in leasing che rifornisca il veicolo di carburante presso stazioni di servizio, non si configura una cessione di carburante da parte del locatore del veicolo in leasing al locatario, anche quando tale rifornimento sia effettuato in nome e per conto del detto locatore» (28). Si trattava di nulla di diverso da una valutazione dei fatti da parte della Corte, come richiesto dal giudice del rinvio.
80. Tuttavia, al fine di prendere in considerazione il fatto che la valutazione dei fatti è, in linea di principio, compito del giudice nazionale e che gli Stati membri dispongono della possibilità di uno scambio di informazioni in forza del regolamento n. 904/2010 nonché di un accordo grazie al comitato IVA (articolo 398 della direttiva IVA), la Corte potrebbe subordinare la risposta a tali questioni pregiudiziali al previo esaurimento di tali opzioni.
VI. Conclusione
81. Propongo quindi alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) come segue:
1. Il destinatario della prestazione rilevante ai fini della localizzazione della prestazione medesima deve essere individuato, dal punto di vista del prestatore, in conformità al rapporto giuridico di base, dal quale si evince il soggetto tenuto a sopportare l’onere correlato alla prestazione ricevuta. L’addebito di un abuso di diritto concernente soltanto il destinatario e un terzo è irrilevante ai fini dell’individuazione del destinatario e della determinazione del luogo della prestazione.
2. Il principio di neutralità della direttiva IVA e il regolamento n. 904/2010, alla luce della Carta dei diritti e delle libertà fondamentali, ostano ad una doppia imposizione IVA della medesima operazione da parte di più Stati membri. Ove tale doppia imposizione discenda da una diversa valutazione dei fatti e gli Stati membri non giungano a una soluzione concordata, il giudice nazionale ha la facoltà, se non l’obbligo, di adire la Corte perché si pronunci in merito.
1 Lingua originale: il tedesco.
2 V. al riguardo, in particolare, sentenze del 23 novembre 2017, Di Maura (C-246/16, EU:C:2017:887, punto 23), del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt (C-271/06, EU:C:2008:105, punto 21), e del 20 ottobre 1993, Balocchi (C-10/92, EU:C:1993:846, punto 25).
3 Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, GU 2006, L 347, pag. 1.
4 Nella versione da ultimo modificata a tal riguardo dalla direttiva 2009/69/CE del Consiglio, del 25 giugno 2009, GU 2009, L 175, pag. 12.
5 Nella versione da ultimo modificata a tal riguardo dalla direttiva 2010/88/UE del Consiglio, del 7 dicembre 2010, GU 2010, L 326, pag. 1.
6 Direttiva 2008/8/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi, GU 2008, L 44, pag. 11.
7 Regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto – GU UE L 268, pag. 1.
8 Sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832).
9 Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C-251/16, EU:C:2017:881, punto 46), del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 52), e del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, EU:C:2006:121, punto 98).
10 Sentenze del 16 ottobre 2014, Welmory (C-605/12, EU:C:2014:2298, punto 42), e del 26 gennaio 2012, ADV Allround (C-218/10, EU:C:2012:35, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata). In tal senso anche sentenza del 18 giugno 2020, KrakVet Marek Batko (C-276/18, EU:C:2020:485, punto 42).
11 Sentenza del 16 settembre 2021, Balgarska natsionalna televizia (C-21/20, EU:C:2021:743, punto 31). V., in tal senso, sentenze del 22 novembre 2018, MEO – Serviços de Comunicações e Multimédia (C-295/17, EU:C:2018:942, punto 39), e del 22 giugno 2016, Český rozhlas (C-11/15, EU:C:2016:470, punti 21 e 22).
12 In tal senso le precedenti sentenze del 26 aprile 2017, Farkas (C-564/15, EU:C:2017:302, punto 24), e del 13 giugno 2013, Promociones y Construcciones BJ 200 (C-125/12, EU:C:2013:392, punto 28), rispettivamente sull’articolo 199 della direttiva IVA.
13 Sentenza del 6 ottobre 2011, Stoppelkamp (C-421/10, EU:C:2011:640, punto 33), ancora sull’articolo 21, paragrafo 1, lettera b), della sesta direttiva CE.
14 Sentenze del 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling (C-439/04 e C-440/04, EU:C:2006:446, punto 50 – il principio della neutralità fiscale non consentirebbe una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite), del 29 giugno 2000, Salumets e a. (C-455/98, EU:C:2000:352, punto 19), del 29 giugno 1999, Coffeeshop «Siberië» (C-158/98, EU:C:1999:334, punti 14 e 21). Sulle deroghe, v. sentenze del 6 dicembre 1990, Witzemann (C-343/89, EU:C:1990:445), e del 5 luglio 1988, Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat (289/86, EU:C:1988:360, punto 20).
15 Sentenze del 21 febbraio 2013, Žamberk (C-18/12, EU:C:2013:95, punto 36), del 27 settembre 2007, Teleos e a. (C-409/04, EU:C:2007:548, punto 39), del 9 ottobre 2001, Cantor Fitzgerald International (C-108/99, EU:C:2001:526, punto 33), e del 6 aprile 1995, BLP Group (C-4/94, EU:C:1995:107, punto 24).
16 Sentenze del 16 ottobre 2014, Welmory (C-605/12, EU:C:2014:2298, punto 42), e del 26 gennaio 2012, ADV Allround (C-218/10, EU:C:2012:35, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata). In tal senso anche sentenza del 18 giugno 2020, KrakVet Marek Batko (C-276/18, EU:C:2020:485, punto 42).
17 V. al riguardo, in particolare, sentenze del 23 novembre 2017, Di Maura (C-246/16, EU:C:2017:887, punto 23), del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt (C-271/06, EU:C:2008:105, punto 21), e del 20 ottobre 1993, Balocchi (C-10/92, EU:C:1993:846, punto 25).
18 V. Stadie, H., Umsatzsteuerrecht, 2005, paragrafo 1.18.
19 Sentenze del 23 aprile 2009, Puffer (C-460/07, EU:C:2009:254, punto 46), del 17 maggio 2001, Fischer e Brandenstein (C-322/99 e C-323/99, EU:C:2001:280, punto 76), dell’8 marzo 2001, Bakcsi (C-415/98, EU:C:2001:136, punto 46), e del 25 maggio 1993, Mohsche (C-193/91, EU:C:1993:203, punto 9).
20 Sentenza del 5 maggio 1982, Schul Douane Expediteur (15/81, EU:C:1982:135, punto 2 del dispositivo); analogamente pure sentenza del 6 luglio 1988, Ledoux (127/86, EU:C:1988:366, punto 20).
21 Sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 54), confermata dalla sentenza del 18 giugno 2020, KrakVet Marek Batko (C-276/18, EU:C:2020:485, punto 53). In tal senso anche sentenza del 5 luglio 2018, Marcandi (C-544/16, EU:C:2018:540, punto 65).
22 In tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 59); in senso diverso, invece, sentenza del 18 giugno 2020, KrakVet Marek Batko (C-276/18, EU:C:2020:485, punto 48).
23 Sentenze del 18 giugno 2020, KrakVet Marek Batko (C-276/18, EU:C:2020:485, punto 51), del 5 luglio 2018, Marcandi (C-544/16, EU:C:2018:540, punti 64 e 66), e del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C-419/14, EU:C:2015:832, punto 59).
24 V. sentenze del 18 giugno 2020, KrakVet Marek Batko (C-276/18, EU:C:2020:485, punto 52), e del 14 giugno 2017, Compass Contract Services (C-38/16, EU:C:2017:454, punti 29 e 30, nonché la giurisprudenza ivi citata).
25 Sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International (C-48/15, EU:C:2016:356, punto 47), dell’8 dicembre 2011, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C-157/10, EU:C:2011:813, punto 39), e del 12 febbraio 2009, Block (C-67/08, EU:C:2009:92, punto 31).
26 Com’è noto, la Corte interpreta in maniera molto ampia tale requisito contemplato dall’articolo 51, paragrafo 1, della Carta – v., in particolare, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C-617/10, EU:C:2013:105, punti 25 e segg.).
27 Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale, Germania), ordinanza del 22 febbraio 2001 – V R 26/00, UR 2001, 305, punti 54 e 56.
28 Sentenza del 6 febbraio 2003, Auto Lease Holland (C-185/01, EU:C:2003:73, punto 37). In senso analogo anche la sentenza del 5 luglio 2018, Marcandi (C-544/16, EU:C:2018:540, punto 49), che trae origine da una diversa valutazione dell’emissione di «crediti» negli Stati membri.