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62000J0062

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) dell'11 luglio 2002. - Marks & Spencer plc contro Commissioners of Customs & Excise. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) - Regno Unito. - Sesta direttiva sull'IVA - Normativa nazionale che riduce con effetto retroattivo un termine di decadenza per il rimborso di somme indebitamente pagate - Compatibilità con i principi di effettività e di tutela del legittimo affidamento. - Causa C-62/00.

raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-06325


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1. Atti delle istituzioni - Direttive - Attuazione da parte degli Stati membri - Obbligo di garantire l'efficacia delle direttive - Obblighi dei giudici nazionali

[Trattato CE, artt. 5 e 189, n. 3 (divenuti artt. 10 CE e 249, n. 3, CE)]

2. Atti delle istituzioni - Direttive - Effetto diretto - Portata - Portata non limitata ai casi di mancata o errata trasposizione - Possibilità per i singoli di invocare le disposizioni dotate di effetto diretto in caso di applicazione imperfetta degli atti di trasposizione

[Trattato CE, art. 189, n. 3 (divenuto art. 249, n. 3, CE)]

3. Disposizioni fiscali - Armonizzazione delle legislazioni - Imposte sulla cifra di affari - Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto - Rimborso di somme riscosse in violazione di disposizioni dotate di effetto diretto - Termine di prescrizione - Riduzione con effetto retroattivo - Inammissibilità - Incompatibilità con i principi di effettività e di tutela del legittimo affidamento

Massima


1. L'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa previsto, nonché l'obbligo loro imposto dall'art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE) di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che, nell'applicare il diritto nazionale, il giudice nazionale deve interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, al fine di conseguire il risultato perseguito da quest'ultima e conformarsi così all'art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE).

( v. punto 24 )

2. I singoli sono legittimati ad invocare dinanzi al giudice nazionale, nei confronti dello Stato, le disposizioni di una direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, in tutti i casi in cui non sia stata effettivamente garantita la piena applicazione di tale direttiva, vale a dire non soltanto nel caso di mancata o inesatta trasposizione di quest'ultima, ma anche nel caso in cui le misure nazionali che traspongono correttamente la direttiva in questione non vengano applicate in modo tale da conseguire il risultato al quale essa è rivolta. Infatti, l'adozione di misure nazionali costituenti corretta trasposizione di una direttiva non comporta l'esaurimento degli effetti di quest'ultima e uno Stato membro rimane obbligato ad assicurare effettivamente la piena applicazione della direttiva stessa anche dopo l'adozione delle dette misure.

( v. punto 27 )

3. Il principio di effettività e il principio della tutela del legittimo affidamento ostano ad una normativa nazionale che riduca, con effetto retroattivo, il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme versate a titolo di imposta sul valore aggiunto, qualora queste somme siano state riscosse in violazione di disposizioni della sesta direttiva 77/388 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, aventi efficacia diretta, quali quelle di cui all'art. 11, parte A, n. 1, di tale direttiva.

Infatti, se è vero che il principio di effettività non osta a che una normativa nazionale riduca il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme versate in violazione del diritto comunitario, ciò è nondimeno subordinato non soltanto alla condizione che il nuovo termine fissato appaia ragionevole, ma anche a quella che tale nuova normativa rechi un regime transitorio che consenta agli interessati di disporre di un termine sufficiente, dopo l'adozione della normativa medesima, per poter presentare le domande di rimborso che essi erano legittimati a proporre durante la vigenza della disciplina precedente. Un regime transitorio siffatto è indispensabile, posto che l'applicazione immediata a tali domande di un termine di decadenza più breve di quello precedentemente in vigore avrebbe l'effetto di privare retroattivamente taluni interessati del loro diritto al rimborso ovvero di lasciare ad essi soltanto un termine troppo breve per far valere tale diritto.

Peraltro, il principio della tutela del legittimo affidamento osta a che una modifica della normativa nazionale privi un soggetto passivo, con effetto retroattivo, del diritto, di cui questi godeva prima della detta modifica, di ottenere il rimborso di imposte riscosse in violazione di disposizioni della sesta direttiva aventi efficacia diretta.

( v. punti 38, 46-47 e disp. )

Parti


Nel procedimento C-62/00,

avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) nella causa dinanzi ad essa pendente tra

Marks & Spencer plc

e

Commissioners of Customs & Excise,

domanda vertente sull'interpretazione del diritto comunitario in materia di ripetizione di indebito,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta dai sigg. P. Jann, presidente di sezione, D.A.O. Edward e A. La Pergola (relatore), giudici,

avvocato generale: L.A. Geelhoed

cancelliere: L. Hewlett, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

- per la Marks & Spencer, dal sig. D. Waelbroeck, avocat, e dal sig. D. Milne, QC, su incarico, inizialmente, dello studio Walker Martineau e, successivamente, dello studio Forbes Hall, solicitors;

- per il governo del Regno Unito, dal sig. J.E. Collins, in qualità di agente, assistito dai sigg. K.P.E. Lasok, QC, e P. Mantle, barrister;

- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. P. Oliver, in qualità di agente,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della Marks & Spencer, del governo del Regno Unito e della Commissione all'udienza del 18 ottobre 2001,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 24 gennaio 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 14 dicembre 1999, pervenuta alla Corte il 28 febbraio 2000, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha sollevato, a norma dell'art. 234 CE, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione del diritto comunitario in materia di ripetizione di indebito.

2 La questione è sorta nell'ambito di una controversia tra la Marks & Spencer plc (in prosieguo: la «Marks & Spencer») ed i Commissioners of Customs & Excise (in prosieguo: i «Commissioners»), autorità competente nel Regno Unito in materia di riscossione dell'imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l'«IVA»); tale controversia verte sul rimborso di importi indebitamente pagati dalla detta società a titolo di IVA.

Contesto normativo

Normativa comunitaria

3 L'art. 11 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»), dispone quanto segue:

«A. All'interno del paese

1. La base imponibile è costituita:

a) per le forniture di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui alle lettere b), c) e d), da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell'acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni;

(...)».

Normativa nazionale

4 Ad avviso delle parti nella causa principale e del giudice di rinvio, l'art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva è stato trasposto correttamente nell'ordinamento del Regno Unito soltanto a partire dal 1° agosto 1992, per effetto del Finance (n. 2) Act 1992 (seconda legge finanziaria per l'anno 1992), che ha modificato l'art. 10, n. 3, del Value Added Tax Act 1983 (legge del 1983 sull'IVA).

5 Quest'ultima disposizione risulta attualmente formulata nei seguenti termini:

«Se la cessione o la prestazione avviene per un corrispettivo non consistente o non interamente consistente in denaro, il valore della cessione o della prestazione sarà dato dall'importo in denaro che, con l'aggiunta dell'imposta dovuta, equivale al corrispettivo».

6 Per quanto riguarda la normativa relativa al rimborso delle somme indebitamente pagate a titolo di IVA, le pertinenti disposizioni dell'art. 24 del Finance Act 1989 (legge finanziaria per il 1989) erano formulate (con effetto a partire dal 1° gennaio 1990) come segue:

«1) I Commissioners, ove abbiano ricevuto da qualcuno, a titolo di IVA, una somma non dovuta, sono tenuti alla restituzione di tale importo.

2) I Commissioners sono tenuti alla restituzione di un importo ai sensi del presente articolo soltanto se è stata presentata una domanda in tal senso.

(...)

4) Nessuna somma può essere richiesta ai sensi del presente articolo una volta trascorso un periodo di sei anni dalla data in cui è stata versata, fatto salvo quanto previsto al paragrafo 5 che segue.

5) Se una somma è stata pagata ai Commissioners per errore, una domanda di rimborso ai sensi del presente articolo può essere presentata in qualsiasi momento entro un termine di sei anni dalla data in cui il richiedente ha scoperto l'errore o avrebbe potuto scoprirlo usando l'ordinaria diligenza.

(...)

7) Fatto salvo quanto previsto dal presente articolo, i Commissioners non sono tenuti a restituire una somma ad essi versata a titolo di imposta sul valore aggiunto per il fatto che tale somma non era loro dovuta.

(...)».

7 L'art. 24 del Finance Act 1989 è stato abrogato e sostituito dall'art. 80 del Value Added Tax Act 1994 (legge del 1994 sull'IVA), con effetto a partire dal 1° settembre 1994. Le pertinenti disposizioni dell'art. 80 sono formulate in termini quasi identici rispetto a quelle dell'art. 24.

8 Il 18 luglio 1996 un membro del governo, Her Majesty's Paymaster General, annunciava al Parlamento che, dati i crescenti rischi per l'Erario determinati dalle domande di rimborso di somme erroneamente percepite a titolo di imposte, il governo intendeva modificare, nell'ambito del Finance Bill 1997 (progetto di legge finanziaria per il 1997), il termine di decadenza per la presentazione delle domande di rimborso relative all'IVA ed alle altre imposte indirette riducendolo a tre anni. Tale nuovo termine di decadenza doveva applicarsi immediatamente alle domande di rimborso pendenti alla data del detto annuncio, al fine di evitare che la prevista modifica legislativa venisse vanificata a causa del tempo necessario alla conclusione della procedura parlamentare.

9 Il 4 dicembre 1996 la Camera dei Comuni approvava le proposte del governo in materia di bilancio, compresa la proposta annunciata il 18 luglio 1996, divenuta l'art. 47 del Finance Bill 1997.

10 Il Finance Act 1997 veniva adottato definitivamente il 19 marzo 1997. L'art. 47, n. 1, di tale provvedimento ha riformulato l'art. 80 del Value Added Tax Act, abrogandone il paragrafo 5 e modificandone il paragrafo 4, il quale, dopo tale intervento, così dispone:

«I Commissioners, in presenza di una domanda proposta ai sensi del presente articolo, non sono tenuti a restituire alcuna somma che sia stata loro versata più di tre anni prima della presentazione della domanda stessa».

11 L'art. 47, n. 2, del Finance Act 1997 stabilisce quanto segue:

«(...) il paragrafo 1 del presente articolo si reputa entrato in vigore il 18 luglio 1996 e si applica, ai fini dei rimborsi effettuati a tale data o successivamente ad essa, a tutte le domande presentate ai sensi dell'art. 80 del Value Added Tax Act 1994, ivi comprese le domande presentate prima di tale data e quelle relative a pagamenti effettuati anteriormente alla medesima data».

Fatti e procedimento principale

12 La Marks & Spencer è una società di vendita al dettaglio con sede nel Regno Unito, specializzata nella vendita di prodotti alimentari e di abbigliamento.

13 La Marks & Spencer vendeva a varie società buoni acquisto ad un prezzo inferiore al loro valore nominale. I buoni acquisto venivano poi venduti o donati a terzi, i quali potevano utilizzarli restituendoli alla Marks & Spencer al fine di riceverne in cambio prodotti di prezzo equivalente al valore nominale dei buoni stessi.

14 Nel dicembre 1990 la Marks & Spencer faceva valere dinanzi ai Commissioners che essa avrebbe dovuto dichiarare l'IVA sulle somme ricevute con la vendita dei buoni e non sul valore nominale di questi ultimi.

15 Nel gennaio 1991 i Commissioners decidevano che la Marks & Spencer doveva dichiarare l'IVA sul valore nominale dei buoni. La Marks & Spencer si adeguava a tale decisione, fino a quando la Corte di giustizia si è pronunciata su tale questione con sentenza 24 ottobre 1996, causa C-288/94, Argos Distributors (Racc. pag. I-5311). In tale sentenza, la Corte statuiva che l'art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva va interpretato nel senso che, quando un fornitore abbia venduto ad un acquirente, con uno sconto, un buono con la promessa di accettarlo successivamente al suo valore nominale in pagamento totale o parziale del prezzo di un bene acquistato da un cliente che non è l'acquirente del buono e che non conosce di regola il prezzo reale di vendita di quest'ultimo da parte del fornitore, il corrispettivo rappresentato dal buono è la somma realmente percepita dal fornitore per la vendita del buono stesso.

16 A seguito della suddetta sentenza Argos Distributors, risultava evidente che il regime dell'IVA applicato dai Commissioners ai buoni acquisto venduti dalla Marks & Spencer era errato. Quest'ultima, pertanto, con lettera 31 ottobre 1996, presentava ai detti Commissioners una domanda di rimborso dell'IVA da essa indebitamente pagata a causa di tale errore per il periodo intercorrente dal maggio 1991 all'agosto 1996, per un importo di GBP 2 638 057. Tale domanda veniva meglio precisata con lettere in data 6 e 22 novembre 1996.

17 Con lettera 11 dicembre 1996 i Commissioners si dichiaravano disposti a restituire la parte di IVA relativa alla vendita dei buoni acquisto effettuata nel periodo non interessato dall'introduzione del termine di decadenza di tre anni entrato in vigore il 18 luglio 1996. Il rimborso corrispondente, per un importo pari a GBP 1 913 462, veniva effettuato a favore della Marks & Spencer in data 15 gennaio 1997.

18 La Marks & Spencer presentava dinanzi ai Commissioners un reclamo contro la loro decisione di applicare il termine di decadenza di tre anni alla sua domanda, ma la detta autorità respingeva il suo reclamo.

19 Il 15 aprile 1997 la Marks & Spencer impugnava tale decisione di rigetto dinanzi al VAT and Duties Tribunal, London (Regno Unito), il quale respingeva il ricorso in data 22 aprile 1998. La Marks & Spencer impugnava tale pronuncia dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Crown Office) (Regno Unito), che respingeva anch'essa la domanda della società suddetta con decisione 21 dicembre 1998, contro la quale la Marks & Spencer interponeva successivamente appello dinanzi alla Court of Appeal.

20 Con sentenza 14 dicembre 1999 la Court of Appeal respingeva l'appello della Marks & Spencer relativamente al rimborso dell'IVA indebitamente pagata per la vendita dei buoni acquisto per il periodo dall'agosto 1992 all'agosto 1996 incluso.

21 Per contro, la Court of Appeal, ritenendo che la soluzione della controversia relativa al rimborso dell'IVA indebitamente pagata per la vendita dei buoni acquisto nel periodo dal maggio 1991 al luglio 1992 dipendesse dall'interpretazione del diritto comunitario, decideva di sospendere la decisione su tale punto della controversia e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se, nel caso in cui uno Stato membro non abbia correttamente trasposto nel suo ordinamento interno l'art. 11, parte A, della direttiva del Consiglio 77/388, sia compatibile con il principio dell'effettività dei diritti conferiti ad un soggetto passivo da tale norma, ovvero con il principio della tutela del legittimo affidamento, l'applicazione di una normativa che sopprime, con effetto retroattivo, il diritto riconosciuto da norme di diritto nazionale di chiedere il rimborso di somme pagate, a titolo di IVA, più di tre anni prima della data in cui viene presentata la domanda di rimborso».

Quanto alla questione pregiudiziale

22 In via preliminare, occorre constatare come dall'ordinanza di rinvio risulti che la Court of Appeal ritiene che l'art. 11, parte A, n. 1, della sesta direttiva sia incondizionato e sufficientemente preciso e conferisca pertanto alla Marks & Spencer diritti che essa può invocare dinanzi ad un giudice nazionale, ma soltanto per quanto riguarda il periodo nel quale la detta disposizione non era stata ancora correttamente trasposta nell'ordinamento interno del Regno Unito, vale a dire nel periodo antecedente al 1° agosto 1992. Questa è la ragione per la quale il giudice di rinvio ha limitato la questione al caso in cui uno Stato membro non abbia correttamente trasposto l'art. 11, parte A, della sesta direttiva.

23 Il giudice del rinvio, infatti, è partito dalla premessa secondo cui il fatto che uno Stato membro abbia correttamente trasposto nel proprio ordinamento interno le disposizioni di una direttiva, come l'art. 11, parte A, n. 1, della sesta direttiva, priva gli interessati della facoltà di far valere dinanzi ai giudici di tale Stato i diritti ad essi eventualmente riconosciuti dalle dette disposizioni.

24 A questo proposito va ricordato, anzitutto, che l'obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa previsto come pure l'obbligo loro imposto dall'art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE) di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell'ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenza 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-4705, punto 41). Ne consegue che, nell'applicare il diritto nazionale, il giudice nazionale deve interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, al fine di conseguire il risultato perseguito da quest'ultima e conformarsi così all'art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE) (v., in particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, Racc. pag. I-4135, punto 8, e 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret, Racc. pag. I-6911, punto 20).

25 In secondo luogo, occorre altresì ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva sia che l'abbia recepita in modo non corretto (v., in particolare, sentenze 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53, punto 25; 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, Racc. pag. 1839, punto 29, e 1° giugno 1999, causa C-319/97, Kortas, Racc. pag. I-3143, punto 21).

26 Infine, risulta da una costante giurisprudenza che la trasposizione di una direttiva deve assicurare effettivamente la piena applicazione di quest'ultima (v., in tal senso, in particolare, sentenze 9 settembre 1999, causa C-217/97, Commissione/Germania, Racc. pag. I-5087, punto 31, e 16 novembre 2000, causa C-214/98, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-9601, punto 49).

27 Da quanto sopra consegue che l'adozione di misure nazionali che traspongono correttamente una direttiva non comporta l'esaurimento degli effetti di quest'ultima e che uno Stato membro rimane obbligato ad assicurare effettivamente la piena applicazione della direttiva stessa anche dopo l'adozione delle dette misure. Pertanto, i singoli sono legittimati ad invocare dinanzi al giudice nazionale, nei confronti dello Stato, le disposizioni di una direttiva che, dal punto di vista sostanziale, appaiono incondizionate e sufficientemente precise, in tutti i casi in cui non è stata effettivamente garantita la piena applicazione di tale direttiva, vale a dire non soltanto nel caso di mancata o inesatta trasposizione di quest'ultima, ma anche nel caso in cui le misure nazionali che traspongono correttamente la direttiva in questione non vengano applicate in modo tale da conseguire il risultato al quale essa è rivolta.

28 Come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, sarebbe incompatibile con l'ordinamento giuridico comunitario che i singoli possano invocare una direttiva ove questa sia stata trasposta in modo non corretto, ma non possono farlo nel caso in cui l'amministrazione nazionale applichi i provvedimenti nazionali di attuazione di tale direttiva violandone le disposizioni.

29 Quanto alle disposizioni dell'art. 11, parte A, n. 1, della sesta direttiva, occorre ricordare come la Corte abbia statuito che esse attribuiscono ai singoli diritti che questi possono far valere dinanzi al giudice nazionale (sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punto 35).

30 Orbene, risulta da una costante giurisprudenza che il diritto di ottenere il rimborso delle imposte riscosse in uno Stato membro in violazione delle norme comunitarie costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni comunitarie nell'interpretazione loro data dalla Corte (v., in particolare, sentenze 2 febbraio 1988, causa 309/85, Barra, Racc. pag. 355, punto 17; BP Soupergaz, cit., punto 40; 9 febbraio 1999, causa C-343/96, Dilexport, Racc. pag. I-579, punto 23, e 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a., Racc. pag. I-1727, punto 84).

31 Dall'insieme delle considerazioni sopra esposte consegue che il fatto che uno Stato membro abbia correttamente trasposto nel suo ordinamento interno le disposizioni dell'art. 11, parte A, n. 1, della sesta direttiva non priva gli interessati della possibilità di invocare, dinanzi ai giudici di tale Stato, i diritti ad essi attribuiti da tali disposizioni, in particolare il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione delle dette disposizioni.

32 Secondo una costante giurisprudenza, nell'ambito della procedura di collaborazione fra i giudici nazionali e la Corte istituita dall'art. 234 CE, spetta a quest'ultima fornire al giudice a quo una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia con cui è adito (v., in particolare, sentenze 17 luglio 1997, causa C-334/95, Krüger, Racc. pag. I-4517, punto 22, e 28 novembre 2000, causa C-88/99, Roquette Frères, Racc. pag. I-10465, punto 18). In tale prospettiva, spetta alla Corte, se del caso, riformulare la questione sottoposta al suo giudizio (sentenze Krüger, cit., punto 23, e Roquette Frères, cit., punto 18).

33 Pertanto, la questione pregiudiziale sollevata deve essere intesa come diretta in sostanza a stabilire se il principio di effettività ed il principio della tutela del legittimo affidamento ostino ad una normativa nazionale che riduca, con effetto retroattivo, il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme versate a titolo di IVA, qualora queste somme siano state riscosse in violazione di disposizioni della sesta direttiva aventi efficacia diretta, quali quelle di cui all'art. 11, parte A, n. 1, di tale direttiva.

Quanto al principio di effettività

34 In via preliminare, occorre ricordare che, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purché le dette modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né, dall'altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenza 17 novembre 1998, causa C-228/96, Aprile, Racc. pag. I-7141, punto 18, nonché sentenze Dilexport, cit., punto 25, e Metallgesellschaft e a., cit., punto 85).

35 Per quanto concerne quest'ultimo principio, la Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di ragionevoli termini di ricorso da osservarsi a pena di decadenza, nell'interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell'amministrazione interessati (v. sentenza Aprile, cit., punto 19, e la giurisprudenza ivi citata). Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico comunitario. A tale proposito, appare ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale, che decorra dalla data del pagamento contestato (v., segnatamente, sentenze Aprile, cit., punto 19, e Dilexport, cit., punto 26).

36 Inoltre, dalle citate sentenze Aprile (punto 28) e Dilexport (punti 41 e 42) risulta che una normativa nazionale che riduca il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme versate in violazione del diritto comunitario è compatibile con quest'ultimo a determinate condizioni. Da un lato, tale normativa non deve essere destinata a limitare specificamente le conseguenze di una sentenza della Corte dalla quale risulti che una disciplina nazionale relativa ad un tributo determinato è incompatibile con il diritto comunitario. Dall'altro, una normativa siffatta deve stabilire, quanto alle sue modalità di applicazione nel tempo, un termine sufficiente per garantire l'effettività del diritto al rimborso. A questo proposito, la Corte ha affermato che una normativa non avente una portata effettivamente retroattiva rispetta tale condizione.

37 Orbene, è giocoforza constatare che, al contrario, non soddisfa quest'ultima condizione una normativa nazionale - quale quella oggetto del procedimento a quo - che riduca da sei a tre anni il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme indebitamente versate a titolo di IVA, prevedendo che tale nuovo termine si applichi immediatamente a tutte le domande di rimborso presentate dopo la data di adozione della detta normativa, nonché alle domande presentate fra tale ultima data ed una data precedente che costituisce la data di entrata in vigore della normativa in questione, come pure alle domande di rimborso presentate prima di tale data di entrata in vigore ed ancora pendenti a questa data.

38 Infatti, anche se il principio di effettività non osta a che una normativa nazionale riduca il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme versate in violazione del diritto comunitario, ciò è nondimeno subordinato non soltanto alla condizione che il nuovo termine fissato appaia ragionevole, ma anche che tale nuova normativa rechi un regime transitorio che consenta agli interessati di disporre di un termine sufficiente, dopo l'adozione della normativa medesima, per poter presentare le domande di rimborso che essi erano legittimati a proporre durante la vigenza della disciplina precedente. Un regime transitorio siffatto è indispensabile, posto che l'applicazione immediata a tali domande di un termine di decadenza più breve di quello precedentemente in vigore avrebbe l'effetto di privare retroattivamente taluni interessati del loro diritto al rimborso ovvero di lasciare loro soltanto un termine troppo breve per far valere tale diritto.

39 A questo proposito, occorre osservare che uno Stato membro è tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto comunitario (sentenze 14 gennaio 1997, cause riunite da C-192/95 a C-218/95, Comateb e a., Racc. pag. I-165, punto 20, e Dilexport, cit., punto 23) e che la Corte ha sì riconosciuto, in deroga a tale principio, la compatibilità con il diritto comunitario della fissazione di termini ragionevoli entro i quali può essere chiesto il rimborso, ma nell'interesse della certezza del diritto, come ricordato al punto 35 della presente sentenza. Orbene, un termine di prescrizione, per adempiere la sua funzione di garantire la certezza del diritto, dev'essere previamente stabilito (sentenza 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 19).

40 Pertanto, una normativa quale quella oggetto del procedimento principale, la cui efficacia retroattiva priva gli interessati di qualsiasi possibilità di esercitare un diritto del quale essi disponevano anteriormente e riguardante il rimborso di somme dagli stessi versate a titolo di IVA in violazione di disposizioni della sesta direttiva aventi efficacia diretta, deve essere considerata incompatibile con il principio di effettività.

41 Tale constatazione non viene inficiata dall'argomento dedotto dal governo del Regno Unito secondo cui l'adozione della normativa oggetto del procedimento principale è stata motivata dall'obiettivo legittimo di trovare un equilibrio appropriato tra gli interessi del singolo e gli interessi collettivi, nonché di permettere allo Stato di pianificare le proprie entrate e le proprie spese senza subire gli squilibri causati da cospicui debiti imprevisti.

42 Infatti, un obiettivo di tal genere, se può giustificare - come ricordato al punto 35 della presente sentenza - la fissazione di ragionevoli termini di ricorso da osservarsi a pena di decadenza, non consente però di applicare tali termini in condizioni tali da non garantire più la salvaguardia di diritti riconosciuti ai singoli dall'ordinamento giuridico comunitario.

Quanto al principio della tutela del legittimo affidamento

43 Il governo del Regno Unito sostiene che il principio della tutela del legittimo affidamento non è pertinente in una controversia quale quella oggetto del procedimento principale. A questo proposito, esso fa valere che la definizione delle modalità procedurali in base alle quali il soggetto passivo può chiedere il rimborso di somme erroneamente pagate a titolo di IVA è materia interamente riservata al diritto nazionale, fatta salva soltanto l'osservanza dei principi comunitari di equivalenza e di effettività. Secondo il detto governo, il principio della tutela del legittimo affidamento, ove fosse applicabile nella controversia dinanzi al giudice nazionale, lo sarebbe soltanto nel senso che il singolo ha il diritto di ottenere che il suo reclamo venga esaminato in conformità delle modalità procedurali stabilite dal diritto nazionale, così come si sarebbe verificato nel caso di specie.

44 A questo proposito, occorre ricordare come da una costante giurisprudenza risulti che il principio della tutela del legittimo affidamento fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario e deve essere rispettato dagli Stati membri allorché danno attuazione a normative comunitarie (v., in tal senso, sentenze 26 aprile 1988, causa 316/86, Krücken, Racc. pag. 2213, punto 22; 1° aprile 1993, cause riunite da C-31/91 a C-44/91, Lageder e a., Racc. pag. I-1761, punto 33; 3 dicembre 1998, causa C-381/97, Belgocodex, Racc. pag. I-8153, punto 26, e 8 giugno 2000, causa C-396/98, Schloßstraße, Racc. pag. I-4279, punto 44).

45 In particolare, la Corte ha statuito che il principio della tutela del legittimo affidamento osta a che una modifica della normativa nazionale privi un soggetto passivo, con effetto retroattivo, di un diritto a deduzione da questo acquisito sulla scorta della sesta direttiva (sentenza Schloßstraße, cit., punto 47).

46 Allo stesso modo, occorre considerare che, in una situazione quale quella oggetto del procedimento principale, il principio della tutela del legittimo affidamento trova applicazione ed osta a che una modifica della normativa nazionale privi un soggetto passivo, con effetto retroattivo, del diritto, di cui questi godeva prima della detta modifica di ottenere il rimborso di imposte riscosse in violazione di disposizioni della sesta direttiva aventi efficacia diretta.

47 Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sollevata dichiarando che il principio di effettività ed il principio della tutela del legittimo affidamento ostano ad una normativa nazionale che riduca, con effetto retroattivo, il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme versate a titolo di IVA, qualora queste somme siano state riscosse in violazione di disposizioni della sesta direttiva aventi efficacia diretta, quali quelle di cui all'art. 11, parte A, n. 1, di tale direttiva.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

48 Le spese sostenute dal governo del Regno Unito e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE (Quinta Sezione),

pronunciandosi sulla questione sottopostale, con ordinanza 14 dicembre 1999, dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division), dichiara:

Il principio di effettività e il principio della tutela del legittimo affidamento ostano ad una normativa nazionale che riduca, con effetto retroattivo, il termine entro il quale può essere chiesto il rimborso di somme versate a titolo di imposta sul valore aggiunto, qualora queste somme siano state riscosse in violazione di disposizioni della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, aventi efficacia diretta, quali quelle di cui all'art. 11, parte A, n. 1, di tale direttiva.