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SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

15 marzo 2007(*)

«Ottava direttiva IVA – Artt. 2 e 5 – Soggetti passivi non residenti all’interno del paese – Imposta indebitamente versata – Modalità per il rimborso»

Nel procedimento C-35/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza 23 giugno 2004, pervenuta in cancelleria il 31 gennaio 2005, nella causa tra

Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH

e

Ministero delle Finanze,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. P. Kūris, J. Klučka, J. Makarczyk e G. Arestis (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 30 marzo 2006,

considerate le osservazioni presentate:

–       per la Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, dall’avv. S. Pettinato;

–       per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito sig. G. De Bellis, avvocato dello Stato;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dalle sig.re M. Afonso e M. Velardo nonché dal sig. A. Aresu, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’8 giugno 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione degli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese (GU L 331, pag. 11; in prosieguo: l’«ottava direttiva»).

2       Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra la società Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH (in prosieguo: la «Reemtsma») e il Ministero delle Finanze in merito al rifiuto di quest’ultimo di rimborsare parzialmente alla detta società l’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») applicata a prestazioni di promozione pubblicitaria e di marketing fornitele in Italia.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3       L’art. 2 dell’ottava direttiva dispone quanto segue:

«Ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non residente all’interno del paese, ma residente in un altro Stato membro, alle condizioni stabilite in appresso, l’imposta sul valore aggiunto applicata a servizi che gli sono resi o beni mobili che gli sono ceduti all’interno del paese da altri soggetti passivi, o applicata all’importazione di beni nel paese, nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettere a) e b), della direttiva 77/388/CEE o delle prestazioni di servizi di cui all’articolo 1, lettera b)».

4       L’art. 5, primo comma, dell’ottava direttiva così prevede:

«Ai fini della presente direttiva il diritto al rimborso dell’imposta è determinato conformemente all’articolo 17 della direttiva 77/388/CEE, quale si applica nello Stato membro del rimborso».

5       Ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, 92/111/CEE (GU L 384, pag. 47; in prosieguo: la «sesta direttiva»):

«[I]l luogo delle seguenti prestazioni di servizi, rese a (...) soggetti passivi stabiliti nella Comunità, ma fuori del paese del prestatore, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o ha costituito un centro di attività stabile per il quale si è avuta la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o di tale centro d’attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale:

(…)

–       prestazioni pubblicitarie;

(…)».

6       L’art. 17 della sesta direttiva è così formulato:

«1.      Il diritto a deduzione nasce quando l’imposta deducibile diventa esigibile.

2.      Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore:

a)      l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno forniti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo;

(…)

3.      Gli Stati membri accordano altresì ad ogni soggetto passivo la deduzione o il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 2 nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini:

a)      di sue operazioni relative alle attività economiche di cui all’articolo 4, paragrafo 2, effettuate all’estero, che darebbero diritto a deduzione se fossero effettuate all’interno del paese;

(…)».

7       Ai sensi dell’art.  21, punto  1, della sesta direttiva:

«L’imposta sul valore aggiunto è dovuta:

1)      in regime interno:

a)      dai soggetti passivi che eseguono una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, diversa dalle prestazioni di servizi di cui alla lettera b). Quando la cessione dei beni o la prestazione di servizi imponibile è effettuata da un soggetto passivo non residente all’interno del paese, gli Stati membri possono prendere disposizioni intese a stabilire che l’imposta sia dovuta da una persona diversa. A tale scopo possono in particolare essere designati un rappresentante fiscale o il destinatario della cessione dei beni o della prestazione di servizi (…) Gli Stati membri possono inoltre prevedere che una persona diversa dal soggetto passivo sia solidalmente tenuta ad assolvere l’imposta;

b)      dal destinatario di un servizio di cui all’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) o dal destinatario, registrato ai fini dell’imposta sul valore aggiunto all’interno del paese, di un servizio di cui all’articolo 28 ter, parti C, D e E, quando il servizio è prestato da un soggetto passivo residente all’estero; tuttavia, gli Stati membri possono prevedere che il prestatore sia tenuto in solido a pagare l’imposta;

c)      da chiunque indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in un altro documento che ne fa le veci».

 La normativa nazionale

8       Il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, recante istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (Supplemento ordinario alla GURI n. 1 dell’11 novembre 1972, pag. 1; in prosieguo: il «D.P.R. n. 633/72»), adottato in attuazione dell’ottava direttiva, all’art. 17, primo comma, stabilisce quanto segue:

«Soggetti passivi – L’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo».

9       L’art. 19, secondo comma, del medesimo decreto così prevede:

«Non è detraibile l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta (…)».

10     L’art. 38 ter del D.P.R. n. 633/72 è così formulato:

«I soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri della Comunità economica europea, che non si siano identificati direttamente ai sensi dell’articolo 35 ter e che non abbiano nominato un rappresentante ai sensi del secondo comma dell’art. 17, assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza, che non hanno effettuato operazioni in Italia, ad eccezione delle prestazioni di trasporto e relative prestazioni accessorie non imponibili ai sensi dell’art. 9, nonché delle prestazioni indicate all’art 7, quarto comma, lettera d), possono ottenere, in relazione a periodi inferiori all’anno, il rimborso dell’imposta, se detraibile a norma dell’art. 19, relativa ai beni mobili e ai servizi importati o acquistati, sempreché di importo complessivo non inferiore a duecento euro (…)».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

11     I fatti quali risultano dall’ordinanza di rinvio sono riassumibili come segue.

12     La Reemtsma è una società con sede in Germania e non ha alcun centro di attività stabile in Italia. Nel 1994 una società italiana ha fornito a detta impresa prestazioni di promozione pubblicitaria e marketing, fatturando a quest’ultima l’importo complessivo di ITL 175 022 025 a titolo di IVA.

13     L’IVA è stata posta a carico della Reemtsma e versata all’erario italiano.

14     La Reemtsma ha quindi chiesto il rimborso parziale di due somme versate a titolo di IVA relative all’anno 1994, ritenendo di averle indebitamente corrisposte, poiché le prestazioni in questione erano state effettuate nei confronti di un soggetto passivo d’imposta stabilito in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana, nella fattispecie in Germania, cosicché l’IVA risultava dovuta in quest’ultimo Stato membro.

15     Le autorità fiscali italiane hanno rifiutato tale rimborso e la Reemtsma ha contestato detto rifiuto dinanzi ai giudici italiani. Il suo ricorso è stato respinto sia in primo grado sia in appello, con la motivazione che le fatture emesse erano relative a prestazioni di promozione pubblicitaria e di marketing non soggette ad IVA per mancanza del presupposto territoriale in quanto effettuate nei confronti di soggetti passivi imponibili in altro Stato membro.

16     La Reemtsma ha quindi adito la Corte Suprema di Cassazione che, ritenendo dipendere la soluzione della causa dall’interpretazione di norme e principi comunitari, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 2 e 5 dell’ottava direttiva (…), nella parte in cui subordinano il rimborso a favore del cessionario o committente non residente all’utilizzazione dei beni e servizi per il compimento di operazioni soggette ad imposta, debbano essere interpretati nel senso che anche l’IVA non dovuta ed erroneamente addebitata in rivalsa e versata all’erario sia rimborsabile; in caso di risposta affermativa, se sia contraria alle citate disposizioni della [detta] direttiva una norma nazionale che escluda il rimborso del cessionario/committente non residente in considerazione della non detraibilità dell’imposta addebitata e versata benché non dovuta.

2)      Se, in generale, possa ricavarsi dalla disciplina comunitaria uniforme la qualità di debitore di imposta, nei confronti dell’erario, del cessionario/committente; se sia compatibile con tale disciplina, e in particolare coi principi di neutralità dell’IVA, di effettività e di non discriminazione, la mancata attribuzione, nel diritto interno, al cessionario/committente che sia soggetto IVA, e che la legislazione nazionale considera come destinatario degli obblighi di fatturazione e di pagamento dell’imposta, di un diritto al rimborso nei confronti dell’erario nel caso di addebito e di versamento di imposta non dovuti; se sia contraria ai principi di effettività e di non discriminazione, in tema di rimborso di IVA riscossa in violazione del diritto comunitario, una disciplina nazionale – ricavata dall’interpretazione datane dai giudici nazionali – che consente al cessionario/committente di agire solo nei confronti del cedente/prestatore del servizio, e non nei confronti dell’erario, pur nell’esistenza nell’ordinamento nazionale di un caso simile, costituito dalla sostituzione nel campo delle imposte dirette, nel quale entrambi i soggetti (sostituto e sostituito) sono legittimati a chiedere il rimborso all’erario».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

17     Con la prima questione il giudice a quo chiede, in sostanza, se gli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva debbano essere interpretati nel senso che l’IVA non dovuta ed erroneamente fatturata al destinatario delle prestazioni, poi versata all’erario dello Stato membro del luogo di tali prestazioni, possa essere rimborsata.

18     In via preliminare, occorre rilevare che il sistema comune dell’IVA non prevede espressamente il caso in cui tale imposta venga fatturata per errore.

19     Le parti della causa principale non contestano che le prestazioni effettuate a favore della Reemtsma, consistenti in servizi di promozione pubblicitaria e di marketing, fossero esenti da IVA. Secondo l’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva, infatti, il luogo delle prestazioni di servizi pubblicitari, rese a destinatari stabiliti nella Comunità, ma fuori del paese del prestatore, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o ha costituito un centro di attività stabile per il quale si è avuta la prestazione di servizi. Nella causa principale, le prestazioni in questione si reputano effettuate in Germania.

20     Quanto all’art. 2 dell’ottava direttiva, esso stabilisce che ogni soggetto passivo residente in uno Stato membro diverso da quello in cui si trova il luogo delle prestazioni ha diritto al rimborso dell’IVA applicata a servizi che gli sono stati resi all’interno dello Stato membro ove detto luogo si trova ai fini delle operazioni di cui all’art. 17, n. 3, lett. a), della sesta direttiva. Ai sensi dell’art. 5, primo comma, dell’ottava direttiva, il rimborso è determinato conformemente all’art. 17 della sesta direttiva, quale si applica nello Stato membro del rimborso.

21     La Reemtsma osserva che il fatto che il diritto al rimborso sia limitato unicamente all’IVA detraibile non significa che l’imposta indebitamente fatturata e versata all’erario non possa essere rimborsata. Infatti, l’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, come interpretato dalla Corte nella sentenza 17 settembre 1997, causa C-141/96, Langhorst (Racc. pag. I-5073), contrasterebbe con il principio secondo cui il diritto a detrazione si applica solamente alle imposte dovute. Detta società considera che il diritto di detrarre l’imposta è uno degli strumenti principali che permettono di garantire il principio della neutralità dell’IVA e, di conseguenza, non può subire limitazioni.

22     Il governo italiano e la Commissione delle Comunità europee sostengono, invece, che non vi è ragione d’invocare gli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva per chiedere il rimborso dell’IVA erroneamente fatturata, poiché manca il diritto di detrazione dell’imposta versata di cui all’art. 17, n. 2, della sesta direttiva. La sentenza 13 dicembre 1989, causa C-342/87, Genius Holding (Racc. pag. 4227), deporrebbe infatti in senso contrario al diritto di detrarre l’IVA indebitamente fatturata e versata all’erario.

23     In via preliminare, occorre ricordare che, al punto 13 della citata sentenza Genius Holding, la Corte ha rilevato che l’esercizio del diritto a detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA o versate in quanto dovute. In tal senso, la Corte ha dichiarato che tale diritto a detrazione non si estende all’IVA dovuta, ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva, esclusivamente per il fatto di essere indicata nella fattura (v., in particolare, sentenza Genius Holding, cit., punto 19). A tale riguardo, la Corte ha ulteriormente confermato detta giurisprudenza nelle sentenze 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel (Racc. pag. I-6973, punto 53), e 6 novembre 2003, cause riunite da C-78/02 a C-80/02, Karageorgou e a. (Racc. pag. I-13295, punto 50).

24     In tale contesto, occorre verificare se la giurisprudenza citata al punto precedente trovi applicazione nell’ambito dell’ottava direttiva.

25     In proposito occorre ricordare che l’ottava direttiva non ha lo scopo di mettere in discussione il sistema attuato dalla sesta direttiva (v., in particolare, sentenza 26 settembre 1996, causa C-302/93, Debouche, Racc. pag. I-4495, punto 18).

26     Inoltre, l’ottava direttiva è intesa a stabilire le modalità di rimborso dell’IVA versata in uno Stato membro ad opera di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro. La sua finalità è quindi di armonizzare il diritto al rimborso quale è sancito dall’art. 17, n. 3, della sesta direttiva (v., in particolare, sentenza 13 luglio 2000, causa C-136/99, Monte dei Paschi di Siena, Racc. pag. I-6109, punto 20). Come risulta, infatti, dal punto 19 della presente sentenza, gli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva rinviano esplicitamente all’art. 17 della sesta direttiva.

27     Ciò posto, dal momento che il diritto a detrazione, ai sensi del citato art. 17, non può essere esteso anche all’IVA erroneamente addebitata e versata all’erario, occorre rilevare che questa stessa IVA non può formare oggetto di rimborso in forza delle disposizioni dell’ottava direttiva.

28     Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione dichiarando che gli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva devono essere interpretati nel senso che l’IVA non dovuta ed erroneamente fatturata al destinatario delle prestazioni, poi versata all’erario dello Stato membro del luogo di tali prestazioni, non può formare oggetto di rimborso in forza delle dette disposizioni.

 Sulla seconda questione

29     Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se, in una situazione quale quella della causa principale, è sufficiente che il destinatario di servizi abbia il diritto di chiedere il rimborso dell’IVA al prestatore che ha indebitamente fatturato detta imposta, il quale, a sua volta, potrebbe chiederne il rimborso all’autorità tributaria, o se tale destinatario debba poter rivolgere la sua richiesta direttamente a tale autorità. La presente questione si suddivide in tre parti.

30     In primo luogo, il giudice a quo domanda se il destinatario di servizi possa essere considerato, in maniera generale, come il debitore dell’IVA nei confronti delle autorità tributarie dello Stato membro del luogo delle prestazioni.

31     In proposito occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, «l’imposta sul valore aggiunto è dovuta (…) in regime interno (…) dai soggetti passivi che eseguono una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, diversa dalle prestazioni di servizi di cui alla lettera b)». Detto art. 21 stabilisce, dunque, la regola di principio secondo la quale solo il prestatore è tenuto a versare l’IVA ed ha obbligazioni nei confronti delle autorità tributarie. Tuttavia, talune eccezioni a detta regola sono elencate tassativamente dalla stessa disposizione, mentre altre possono essere autorizzate dal Consiglio dell'Unione europea sulla base dell’art. 27 della sesta direttiva. In tal senso, quando una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile viene effettuata da un soggetto passivo non residente all’interno del paese, gli Stati membri possono adottare disposizioni con le quali prevedono che l’imposta sia dovuta da un altro soggetto, che può essere il destinatario dei servizi imponibili.

32     Ora, benché in una situazione come quella della causa principale, ove trova applicazione il meccanismo di trasferimento dell’obbligazione tributaria di cui all’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva, la Reemtsma avrebbe potuto chiedere il rimborso dell’IVA in quanto debitrice dell’imposta, si ricordi che, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 77 delle sue conclusioni, tale meccanismo dà luogo a un rapporto tra la Reemtsma e le autorità tributarie dello Stato membro di stabilimento, nel caso di specie la Repubblica federale di Germania, e non le autorità dello Stato membro in cui il prestatore ha indebitamente fatturato e versato l’IVA, vale a dire la Repubblica italiana.

33     Occorre, pertanto, risolvere la prima parte della seconda questione dichiarando che, ad eccezione dei casi espressamente previsti dalle disposizioni di cui all’art. 21, punto  1, della sesta direttiva, solo il prestatore dev’essere considerato debitore dell’IVA nei confronti delle autorità tributarie dello Stato membro del luogo delle prestazioni.

34     In secondo luogo, il giudice del rinvio chiede alla Corte se il sistema comune dell’IVA e i principi di neutralità, effettività e non discriminazione ostino a una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale, che non conferisce al destinatario di servizi un diritto al rimborso dell’IVA da parte dell’autorità tributaria nel caso in cui tale imposta, non dovuta, sia stata comunque versata dal detto destinatario all’autorità tributaria dello Stato membro del luogo delle prestazioni.

35     La Reemtsma osserva che il principio di effettività implica che la legislazione nazionale non ostacoli l’esercizio del diritto al rimborso delle somme versate a titolo di IVA in violazione della relativa normativa vigente. Tale principio, infatti, potrebbe essere leso a causa dell’insolvenza del prestatore o di eventuali giudicati contraddittori fra giudice civile e giudice tributario.

36     Al contrario, la Commissione ritiene accettabile un sistema fiscale quale quello realizzato in Italia, in cui, da un lato, solamente il prestatore può, in linea di principio, chiedere il rimborso dell’IVA alle autorità tributarie e, dall’altro, il destinatario dei servizi è legittimato a reclamare la somma indebitamente corrisposta al prestatore secondo le regole del diritto civile. In proposito, gli Stati membri sarebbero liberi di scegliere la procedura che ritengano idonea ad assicurare tale rimborso, purché il principio di effettività sia rispettato. L’attuazione di tale principio potrebbe, in tal senso, imporre che il destinatario della prestazione di servizi possa agire direttamente nei confronti di dette autorità qualora il rimborso dovesse rivelarsi praticamente impossibile o eccessivamente difficile.

37     A tal proposito occorre rilevare che, in mancanza di disciplina comunitaria in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (v., in particolare, sentenze 17 giugno 2004, causa C-30/02, Recheio – Cash & Carry, Racc. pag. I-6051, punto 17, e 6 ottobre 2005, causa C-291/03, MyTravel, Racc. pag. I-8477, punto 17).

38     Si deve altresì ricordare che la sesta direttiva non contiene alcuna disposizione relativa alla regolarizzazione, da parte di chi emette la fattura, dell’IVA indebitamente fatturata. La sesta direttiva definisce solo, all’art. 20, le condizioni che devono essere soddisfatte affinché la detrazione delle imposte a monte possa essere regolarizzata presso il destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi. Alla luce di queste considerazioni, spetta in via di principio agli Stati membri determinare le condizioni in cui l’IVA indebitamente fatturata può essere regolarizzata (v. sentenza Schmeink & Cofreth e Strobel, cit., punti 48 e 49).

39     Alla luce della giurisprudenza citata nei due punti precedenti, si deve riconoscere che, in via di principio, un sistema come quello in discussione nella causa principale, in cui, da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’IVA alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore, rispetta i principi di neutralità ed effettività. Tale sistema, infatti, consente a detto destinatario gravato dell’imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate.

40     Giova inoltre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali per garantire la salvaguardia dei diritti di cui i soggetti godono ai sensi dell’ordinamento comunitario (v., in particolare, sentenze 16 maggio 2000, causa C-78/98, Preston e a., Racc. pag. I-3201, punto 31, nonché 19 settembre 2006, cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany e Arcor, Racc. pag. I-8559, punto 57).

41     In proposito, come correttamente fatto valere dalla Commissione, se il rimborso dell’IVA risulta impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d’insolvenza del prestatore, detti principi possono imporre che il destinatario di servizi sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie. Gli Stati membri devono dunque prevedere gli strumenti e le modalità procedurali necessari per consentire a detto destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, in modo da rispettare il principio di effettività.

42     Pertanto, occorre risolvere la seconda parte della seconda questione dichiarando che i principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale, secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore. Tuttavia, nel caso in cui il rimborso dell’IVA divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata.

43     In terzo luogo, il giudice remittente domanda alla Corte se i principi di equivalenza e non discriminazione ostino a una legislazione nazionale, come quella in esame nella causa principale, che consente al destinatario di servizi di agire solo nei confronti del prestatore, e non nei confronti delle autorità tributarie, pur esistendo nel sistema nazionale delle imposte dirette un caso in cui, nell’ipotesi di riscossione indebita, sia il soggetto incaricato della riscossione sia il soggetto inciso possono agire nei confronti di tali autorità.

44     A tal proposito è sufficiente rilevare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, il divieto di discriminazione non è che un’espressione specifica del principio generale di uguaglianza nel diritto comunitario, il quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in particolare, sentenze 18 maggio 1994, causa C-309/89, Codorniu/Consiglio, Racc. pag. I-1853, punto 26, e 17 luglio 1997, causa C-354/95, National Farmers’ Union e a., Racc. pag. I-4559, punto 61).

45     Nel caso di specie, il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’IVA. Di conseguenza, la soluzione relativa alla seconda parte della seconda questione non è inficiata dalla normativa nazionale in materia di imposizione diretta.

 Sulle spese

46     Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      Gli artt. 2 e 5 dell’ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese, devono essere interpretati nel senso che l’imposta sul valore aggiunto non dovuta ed erroneamente fatturata al destinatario delle prestazioni, poi versata all’erario dello Stato membro del luogo di tali prestazioni, non può formare oggetto di rimborso ai sensi di tali disposizioni.

2)      Ad eccezione dei casi espressamente previsti dalle disposizioni di cui all’art. 21, punto  1, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, 92/111/CEE, solo il prestatore dev’essere considerato debitore dell’imposta sul valore aggiunto nei confronti delle autorità tributarie dello Stato membro del luogo delle prestazioni.

3)      I principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale, secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di imposta sul valore aggiunto, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore. Tuttavia, nel caso in cui il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata.

Tale soluzione non è inficiata dalla normativa nazionale in materia di imposizione diretta.

Firme


* Lingua processuale: l'italiano.