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Causa C-302/07

J D Wetherspoon plc

contro

The Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal VAT and Duties Tribunal, London)

«Prima e sesta direttiva IVA — Principi di neutralità fiscale e di proporzionalità — Norme riguardanti l’arrotondamento degli importi dell’IVA — Metodi e livelli di arrotondamento»

Massime della sentenza

1.        Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra di affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Sesta direttiva — Disposizioni in materia di arrotondamento dell’importo dell’imposta

[Direttive del Consiglio 67/227, art. 2, e 77/388, artt. 11, parte A, n. 1, lett. a), 12, n. 3, lett. a), e 22, n. 3, lett. b)]

2.        Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra di affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Sesta direttiva — Disposizioni in materia di arrotondamento dell’importo dell’imposta

[Direttive del Consiglio 67/227, art. 2, e 77/388, artt. 11, parte A, n. 1, lett. a), 12, n. 3, lett. a), e 22, n. 3, lett. b)]

3.        Disposizioni tributarie — Armonizzazione delle legislazioni — Imposte sulla cifra di affari — Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto — Sesta direttiva —Arrotondamento dell’importo dell’imposta

(Direttiva del Consiglio 77/388)

1.        Il diritto comunitario, allo stato attuale, non prevede prescrizioni specifiche circa il metodo di arrotondamento degli importi dell’imposta sul valore aggiunto. In mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta agli Stati membri determinare le norme e i metodi per l’arrotondamento degli importi dell’imposta sul valore aggiunto; gli Stati membri, all’atto di siffatta determinazione, sono tenuti a rispettare i principi sui quali si fonda il sistema comune di tale imposta, segnatamente i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità. In particolare, il diritto comunitario, da un lato, non osta all’applicazione di una norma nazionale che imponga l’arrotondamento per eccesso degli importi dell’imposta sul valore aggiunto nel caso in cui la frazione dell’unità valutaria minima interessata sia pari o superiore a 0,50 e, dall’altro, non richiede che ai soggetti passivi sia consentito arrotondare per difetto l’importo dell’imposta sul valore aggiunto nel caso in cui tale importo sia comprensivo di una frazione dell’unità valutaria minima nazionale.

(v. punto 38, dispositivo 1)

2.        In caso di una vendita ad un prezzo comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto, in mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta ad ogni Stato membro stabilire, entro i limiti del diritto comunitario, segnatamente nel rispetto dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, il livello al quale l’arrotondamento di un importo dell’imposta sul valore aggiunto che comporta una frazione dell’unità valutaria minima nazionale possa o debba essere effettuato.

(v. punto 51, dispositivo 2)

3.        Considerato che gli operatori che calcolano i prezzi di vendita dei loro beni e delle loro prestazioni di servizi includendo l’imposta sul valore aggiunto si trovano in una situazione diversa rispetto a quelli che effettuano il medesimo genere di operazioni a prezzi non comprensivi dell’imposta sul valore aggiunto, i primi non possono avvalersi del principio di neutralità fiscale per reclamare l’autorizzazione a procedere parimenti all’arrotondamento per difetto a livello della serie di prodotti e della transazione degli importi dell’imposta sul valore aggiunto dovuti. Infatti, nel caso di prezzi non comprensivi dell’imposta sul valore aggiunto l’arrotondamento ha luogo prima del versamento del corrispettivo della prestazione da parte del cliente, risultando identici l’importo dell’imposta pagato al soggetto passivo dal cliente e quello versato successivamente dal soggetto passivo allo Stato, indipendentemente dal metodo di arrotondamento applicato. Per contro, laddove l’imposta sul valore aggiunto è inclusa nel prezzo di un bene o di un servizio, l’arrotondamento sistematico per difetto, ad un livello inferiore alla dichiarazione periodica dell’imposta sul valore aggiunto, comporterebbe che il soggetto passivo riceva dal cliente l’importo dell’imposta sul valore aggiunto effettivamente dovuto, mentre verserebbe sistematicamente allo Stato un importo minore, conservando così la differenza a proprio vantaggio, il che sarebbe contrario al principio secondo cui l’imposta sul valore aggiunto viene riscossa dai soggetti passivi ad ogni fase del processo di produzione o di distribuzione per conto dell’amministrazione tributaria alla quale essi sono tenuti a versarla.

(v. punti 60-61, 64, dispositivo 3)







SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

5 marzo 2009 (*)

«Prima e sesta direttiva IVA – Principi di neutralità fiscale e di proporzionalità – Norme riguardanti l’arrotondamento degli importi dell’IVA – Metodi e livelli di arrotondamento»

Nel procedimento C-302/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal VAT and Duties Tribunal, Londra (Regno Unito), con decisione 26 giugno 2007, pervenuta in cancelleria il 29 giugno 2007, nella causa

J D Wetherspoon plc

contro

The Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. T. von Danwitz (relatore), dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász e G. Arestis, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 ottobre 2008,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la J D Wetherspoon plc, dal sig. M. Angiolini, barrister, e dalla sig.ra A. Khan, solicitor;

–        per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra V. Jackson, in qualità di agente, assistita dal sig. R. Hill, barrister;

–        per il governo ellenico, dalle sig.re S. Alexandridou, V. Karra, dai sigg. K. Georgiadis e M. Apesos, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels e dal sig. M. de Grave, in qualità di agenti;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra M. Afonso e dal sig. R. Lyal, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 20 novembre 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 2 della prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU L 1967, n. 71, pag. 1301), come modificata dalla sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «prima direttiva»), nonché dagli artt. 11, parte A, n. 1, lett. a), 12, n. 3, lett. a), e 22, n. 3, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 7 ottobre 2003, 2003/92/CE (GU L 260, pag. 8; in prosieguo: la «sesta direttiva»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che vede opposta la società J D Wetherspoon plc (in prosieguo: la «Wetherspoon») ai Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (in prosieguo: i «Commissioners») in merito al rigetto, da parte di questi ultimi, di una domanda di concederle il beneficio dell’arrotondamento per difetto a livello di serie di prodotti e della transazione dell’importo dovuto a titolo dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»).

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3        L’art. 2 della prima direttiva così dispone:

«Il principio del sistema comune di imposta sul valore aggiunto consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione. 

A ciascuna transazione, l’imposta sul valore aggiunto, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al suddetto bene o servizio, è esigibile, previa deduzione dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo.

Il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto è applicato fino allo stadio del commercio al minuto incluso».

4        Ai sensi dell’art. 10, n. 2, della sesta direttiva, il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile, in via di principio, all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi.

5        L’art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva stabilisce quanto segue:

«La base imponibile è costituita:

a)      per le forniture di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui alle lettere b), c) e d), da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni».

6        A tenore dell’art. 12, n. 3, lett. a), della sesta direttiva, l’aliquota normale dell’IVA è fissata da ciascuno Stato membro in una percentuale della base imponibile che è identica per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi. Tale percentuale non può essere inferiore al 15%, ad eccezione dell’applicazione di una o due aliquote ridotte.

7        L’art. 22 della sesta direttiva, nella versione di cui all’art. 28 nonies della stessa (in prosieguo: l’«art. 22 della sesta direttiva»), stabilisce gli obblighi dei debitori dell’IVA nel regime interno. Ai sensi di detto art. 22, n. 3, lett. a), primo comma, nonché lett. b), primo comma, decimo trattino, e quarto comma:

«a)      Ogni soggetto passivo assicura che sia emessa, da lui stesso, dal suo cliente o, in suo nome e per suo conto, da un terzo una fattura, per le cessioni di beni o le prestazioni di servizi che effettua per conto di un altro soggetto passivo o una persona giuridica che non è soggetto passivo. (…)

(…)

b)      Salve le disposizioni speciali previste dalla presente direttiva, nelle fatture emesse a norma della lettera a), primo, secondo e terzo comma sono obbligatorie ai fini dell'imposta sul valore aggiunto soltanto le indicazioni seguenti:

–        (…)

–        importo dell'imposta da pagare, tranne in caso di applicazione di un regime specifico per il quale la presente direttiva escluda tale indicazione,

(…)

Gli importi figuranti sulla fattura possono essere indicati in qualsiasi moneta, purché l'importo dell'imposta da pagare sia espresso nella moneta nazionale dello Stato membro in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi (…).

(…)».

8        L’art. 22, nn. 4, lett. a) e b), e 5, della sesta direttiva così dispone:

«4.      a)     Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. (…)

b)      Nella dichiarazione devono figurare tutti i dati necessari ad accertare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle deduzioni da operare, compresi, se del caso, qualora risulti necessario per fissare la base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali deduzioni, nonché l’importo delle operazioni esenti.

(…)

5.      Ogni soggetto passivo deve pagare l’importo netto dell’imposta sul valore aggiunto al momento della presentazione della dichiarazione periodica. Gli Stati membri possono tuttavia stabilire un’altra scadenza per il pagamento di questo importo o riscuotere acconti provvisori».

9        Nel corso degli anni 2004-2006 sono state apportate numerose modifiche alla sesta direttiva. Fra le disposizioni menzionate, solo il tenore dell’art. 12, n. 3, ha subìto variazioni. Tale modifica, tuttavia, è priva di rilevanza relativamente alle soluzioni delle questioni pregiudiziali di cui trattasi.

 La normativa nazionale

10      L’art. 13 del regolamento del 1995 relativo all’imposta sul valore aggiunto (Value Added Tax Regulations 1995) prevede l’obbligo di emettere fattura IVA quando la fornitura o la prestazione imponibile sia effettuata a favore di altri soggetti passivi.

11      Ai sensi dell’art. 16, n. 1, del regolamento in parola, un «rivenditore al dettaglio» non è tenuto a emettere fattura IVA, salvo che il cliente la richieda. Per importi comprensivi di IVA non superiori a GBP 100 può essere emessa una «fattura IVA meno dettagliata» che riporti, fra l’altro, per ciascuna aliquota applicabile, l’importo lordo, comprensivo di IVA, da versare e l’aliquota IVA applicabile.

12      I Commissioners hanno pubblicato una Guida IVA per i soggetti passivi, la Notice 700 – The VAT Guide – April 2002 (in prosieguo: la «nota IVA 700»).

13      I paragrafi 17.5, 17.5.1 e 17.6 di tale nota riguardano l’arrotondamento degli importi dell’IVA e dispongono quanto segue:

«17.5  Calcolo dell’IVA sulle fatture – arrotondamento degli importi

N. B.: L’autorizzazione, prevista dal presente paragrafo, ad arrotondare per difetto importi dell’IVA è destinata agli operatori commerciali che emettono fattura e si applica solo nel caso in cui l’IVA addebitata ai clienti corrisponda a quella versata all’Ufficio IVA (Customs and Excise). Di regola, l’autorizzazione all’arrotondamento per difetto non è applicabile ai rivenditori al dettaglio, per i quali si veda il paragrafo 17.6.

Si può arrotondare per difetto al penny intero l’IVA totale dovuta su tutti i prodotti e servizi indicati in una fattura. Si possono tralasciare le frazioni di penny.

17.5.1 Calcolo in base a serie di prodotti o servizi

Se si intende calcolare l’IVA separatamente per una determinata serie di prodotti o servizi, indicati insieme ad altri prodotti o servizi nella stessa fattura, gli importi dell’IVA devono essere calcolati separatamente e arrotondati

–        per difetto allo 0,1 p più vicino – ad esempio, 86,76 p verrebbe arrotondato a 86,7 p; o

–        al penny o allo 0,5 p più vicino – ad esempio, 86,76 p verrebbe arrotondato per eccesso a 87 p.

Qualunque sia il criterio scelto, esso deve essere coerente.

L’importo totale finale dell’IVA dovuta può essere arrotondato per difetto al penny intero più vicino.

(…)

17.6  Calcolo dell’IVA da parte dei rivenditori al dettaglio

La maggior parte dei rivenditori al dettaglio dichiara l’IVA seguendo un regime per la vendita al dettaglio. Se si dichiara l’IVA conformemente a tale regime, il presente paragrafo non è pertinente.

I rivenditori al dettaglio fanno sempre più ricorso a una tecnologia sofisticata per registratori di cassa al fine di calcolare l’IVA dovuta su ciascuna transazione ed emettere fattura. Se non si utilizza un regime per la vendita al dettaglio, ma l’IVA viene invece calcolata a livello di serie o di fattura, non si deve arrotondare l’IVA per difetto. Tuttavia si può procedere all’arrotondamento (per eccesso e per difetto) per ogni calcolo dell’IVA».

14      La nota IVA 700 non definisce la nozione di «operatori commerciali che emettono fattura».

15      Indicazioni supplementari relative all’arrotondamento sono presenti nel manuale dei Commissioners V1-24A: Trader’s records (Registrazioni degli operatori commerciali), una guida per il personale delle autorità tributarie accessibile anche al pubblico.

16      La sezione 12.1 del suddetto manuale stabilisce che, nell’interpretare il paragrafo 17.5 della nota IVA 700, «è importante osservare che è nel contesto delle norme relative agli operatori commerciali che emettono fattura che l’arrotondamento è neutro sotto il profilo fiscale. Ciò in quanto esso avrà normalmente un impatto sia sull’imposta a valle del fornitore sia sull’imposta pagata a monte dal cliente. Questo significa che, quando un operatore commerciale che emette fattura calcola l’IVA sul valore netto, l’importo addebitato e che deve essere versato dal cliente può essere arrotondato per difetto».

17      La sezione 12.2 del manuale V1-24A: Trader’s records così dispone:

«Sofisticati pacchetti per la contabilità consentono ai rivenditori al dettaglio di identificare l’IVA a livello di serie e/o di emettere fatture per l’IVA. (…)

Come regola generale, l’autorizzazione ad arrotondare per difetto non è adatta per i rivenditori al dettaglio. Ciò in quanto l’effetto di arrotondare per difetto l’IVA addebitata al consumatore finale non è di ridurre l’IVA da versare (pari all’aliquota IVA moltiplicata per il corrispettivo), ma solo di ridurre l’imposta dovuta ai Commissioners.

La maggior parte dei rivenditori al dettaglio continua ad assolvere l’IVA utilizzando un regime per la vendita al dettaglio. Il problema dell’arrotondamento si presenta solo per i rivenditori al dettaglio i cui sistemi di contabilità consentono loro di identificare l’imposta a livello di serie e di emettere fatture. (…)

Se un rivenditore al dettaglio stabilisce realmente i prezzi su una base non comprensiva di IVA – così che l’IVA addebitata al cliente e l’IVA dovuta ai Commissioners coincidono – l’autorizzazione all’arrotondamento esistente può risultare appropriata. Nel considerare tale sistema, bisognerebbe esaminare in quale modo i prezzi siano effettivamente stabiliti. Se un rivenditore al dettaglio fissa realmente un prezzo di vendita comprensivo dell’aliquota a partire da un valore netto espresso in penny interi, l’autorizzazione esistente può risultare appropriata (…)».

18      La sezione 12.3 del manuale V1-24A: Trader’s records spiega il metodo di arrotondamento aritmetico e, al terzo comma, stabilisce che, «se l’operatore commerciale propone un metodo di arrotondamento alternativo, esso va preso in considerazione e deve essere ammesso qualora produca un risultato accettabile e ragionevole».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

19      La Wetherspoon gestisce una catena di oltre 670 pub in tutto il Regno Unito. La maggior parte delle sue entrate proviene da vendite al dettaglio di prodotti alimentari e bevande a consumatori finali.

20      La Wetherspoon presenta ai clienti un prezzo di vendita dei suoi prodotti al dettaglio comprensivo di IVA. Non rilascia ai clienti fatture IVA complete, consegnando abitualmente, per gli ordini di alimenti o bevande calde, scontrini fiscali che riportano il suo numero di partita IVA. Per le altre bevande, alcolici compresi, rilascia scontrino fiscale unicamente su richiesta del cliente.

21      Fino al 2004 la Wetherspoon calcolava l’IVA dovuta su ogni transazione effettuata con un cliente particolare e soggetta all’aliquota IVA normale del 17,5% moltiplicando l’importo totale della vendita per 7/47, e arrotondando aritmeticamente, per eccesso o per difetto, al penny più vicino.

22      A partire dalla modernizzazione dei suoi terminali di pagamento elettronico, nel corso dell’agosto 2004, la Wetherspoon è in grado di calcolare l’IVA a «livello di serie», ossia per ciascun prodotto identificato separatamente allorché la transazione ne riguarda più d’uno. A tal fine la ricorrente della causa principale calcola e arrotonda per difetto gli importi dell’IVA fino al terzo decimale, vale a dire al decimo di penny più vicino per difetto, a livello di serie. Successivamente aggrega tali importi di IVA e arrotonda il totale per difetto al penny intero più vicino, a livello della transazione.

23      Fra settembre 2004 e gennaio 2005 la Wetherspoon ha condotto trattative con i Commissioners per concordare un sistema ad hoc per i rivenditori al dettaglio, ma il regime proposto dalla Wetherspoon non è mai stato approvato dai Commissioners, né attuato dalla Wetherspoon.

24      Con lettera del 23 marzo 2006 i Commissioners hanno rifiutato alla Wetherspoon l’autorizzazione ad arrotondare per difetto l’IVA dovuta su ogni operazione. La Wetherspoon ha quindi proposto ricorso avverso detto rifiuto il 7 aprile 2006 e, il 7 settembre 2006, ha presentato altri due ricorsi, per i medesimi motivi, contro due avvisi di accertamento emessi l’8 e il 17 agosto 2006.

25      La Wetherspoon afferma di poter legittimamente applicare il metodo di arrotondamento per difetto previsto al paragrafo 17.5.1 della nota IVA 700. I Commissioners, per contro, sostengono che essa debba arrotondare aritmeticamente, a livello di serie o di transazione.

26      Il giudice del rinvio, investito dei suddetti ricorsi, osserva che né il diritto comunitario né la legge del 1994 relativa all’imposta sul valore aggiunto (U.K. Value Added Tax Act 1994) o il regolamento del 1995 relativo all’imposta sul valore aggiunto prevedono disposizioni esplicite riguardo al metodo di arrotondamento da utilizzare quando l’applicazione della normale aliquota IVA dia luogo ad un importo comprendente una frazione dell’unità valutaria minima, nella fattispecie un penny. Secondo detto giudice sono possibili due metodi di arrotondamento. Si potrebbe, infatti, arrotondare sistematicamente alla cifra intera per difetto, oppure arrotondare aritmeticamente, ossia arrotondare frazioni inferiori a 0,5 penny alla cifra intera per difetto e importi pari o superiori a 0,5 alla cifra intera per eccesso.

27      Il giudice a quo aggiunge che né le direttive né la legislazione del Regno Unito indicano più precisamente in che fase o a che livello debba avvenire l’arrotondamento. Pertanto, quando un cliente acquista vari beni nello stesso momento, sarebbe possibile arrotondare l’IVA fatturata per ogni articolo separatamente, oppure per ogni genere di prodotto allorché si acquistano più articoli del medesimo prodotto, o a livello dell’operazione complessiva del cliente, oppure ancora al momento della dichiarazione dell’IVA al termine del periodo d’imposta rilevante, o, infine, ad un altro livello, come quello dell’incasso lordo giornaliero del singolo punto vendita o di tutti i punti vendita al dettaglio dell’operatore commerciale.

28      Ritenendo che non sia chiaro se il diritto comunitario prescriva una forma specifica di arrotondamento e, in caso affermativo, come operi in tale contesto il principio di neutralità fiscale, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti quattro questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’arrotondamento degli importi dell’IVA sia disciplinato unicamente dal diritto nazionale oppure dal diritto comunitario. In particolare, se l’art. 2, nn. 1 e 2, della prima direttiva e gli artt. 11, parte A, n. 1, lett. a), e/o l’art. 12, n. 3, lett. a), e/o l’art. 22, n. 3, lett. b) (nella versione in vigore dal 1° gennaio 2004), della sesta direttiva confermino che l’arrotondamento è disciplinato dal diritto comunitario.

2)      In particolare:

a)      se il diritto comunitario osti all’applicazione di una norma nazionale o di una prassi di un’amministrazione tributaria nazionale che imponga l’arrotondamento per eccesso di un determinato importo di IVA nel caso in cui la frazione dell’unità valutaria minima interessata sia pari o superiore a 0,50 (ad esempio, se 0,5 pence devono essere arrotondati per eccesso al penny intero più vicino);

b)      se il diritto comunitario imponga che ai soggetti passivi sia consentito arrotondare per difetto un importo di IVA comprensivo di una frazione dell’unità valutaria minima disponibile.

3)      Nel caso di una vendita [ad un prezzo con] IVA compresa, a quale livello, secondo il diritto comunitario, occorra procedere ad arrotondamento ai fini del calcolo dell’IVA dovuta: a livello di singola unità di prodotto, di singola serie di prodotti, di singola fornitura (nel caso in cui lo stesso paniere comprenda più forniture), di singola operazione complessiva o di singolo paniere complessivo, oppure di singolo periodo di dichiarazione IVA ovvero a un livello diverso.

4)      Se sulla soluzione di qualcuna delle questioni che precedono incidano i principi di diritto comunitario di parità di trattamento e di neutralità fiscale, tenuto conto in particolare dell’esistenza nel Regno Unito, solo nei confronti di taluni operatori commerciali, di un’autorizzazione, da parte dell’amministrazione tributaria competente, ad arrotondare per difetto gli importi di IVA da accreditare».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima e sulla seconda questione

29      Con le sue due prime questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’arrotondamento degli importi dell’IVA rientri nel diritto nazionale o nel diritto comunitario e, più precisamente, se il diritto comunitario comporti norme relative al metodo di arrotondamento, opponendosi all’arrotondamento aritmetico, oppure imponendo agli Stati membri di autorizzare i soggetti passivi ad arrotondare sistematicamente per difetto, quando l’applicazione della normale aliquota IVA dia luogo ad un importo IVA che comporta una frazione dell’unità valutaria minima nazionale.

30      A tale riguardo si deve constatare che la Corte ha già dichiarato che le disposizioni della prima e della sesta direttiva non contengono alcuna norma espressa riguardante l’arrotondamento degli importi dell’IVA. La sesta direttiva, in particolare, tace in proposito (sentenza 10 luglio 2008, causa C-484/06, Koninklijke Ahold, Racc. pag. I-5097, punto 24).

31      Si aggiunga che né la finalità né l’economia degli artt. 11, parte A, n. 1, lett. a), e 22, nn. 3, lett. b), 4 e 5, della sesta direttiva consentono di concludere che sia stato previsto dal diritto comunitario un metodo specifico di arrotondamento (v., in tal senso, sentenza Koninklijke Ahold, cit., punti 27-30).

32       Pertanto, in mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta all’ordinamento giuridico degli Stati membri stabilire, entro i limiti del diritto comunitario, il metodo e le norme applicabili all’arrotondamento di un importo dichiarato a titolo dell’IVA (v. sentenza Koninklijke Ahold, cit., punto 31).

33      Quindi, nello stabilire o nell’ammettere un metodo preciso di arrotondamento, gli Stati membri sono tenuti a rispettare i principi che regolano il sistema comune dell’IVA, quali il principio di neutralità fiscale e il principio di proporzionalità. L’osservanza di tali principi riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario non ha tuttavia l’effetto di far rientrare nell’ambito del diritto comunitario la questione stessa del metodo specifico di arrotondamento da applicare (sentenza Koninklijke Ahold, cit., punto 32).

34      Il principio di neutralità fiscale, in particolare, comporta che i soggetti passivi che effettuano le medesime operazioni o operazioni economiche simili non devono essere trattati in modo diverso, con riferimento al metodo di arrotondamento applicato al momento di calcolare l’IVA (v., in tal senso, sentenza Koninklijke Ahold, cit., punto 36 e giurisprudenza ivi citata). In forza dello stesso principio, l’importo riscosso dall’amministrazione fiscale a titolo di IVA non deve essere superiore a quello versato dal consumatore finale al soggetto passivo (v. sentenza 24 ottobre 1996, causa C-317/94, Elida Gibbs, Racc. pag. I-5339, punto 24, e, in tal senso, sentenza Koninklijke Ahold, cit., punto 36).

35      Tale principio non comporta quindi nessun requisito quanto all’applicazione di un metodo particolare di arrotondamento, purché il metodo prescelto dallo Stato membro interessato garantisca che l’importo riscosso dall’amministrazione fiscale a titolo dell’IVA corrisponda precisamente all’importo versato dal consumatore finale al soggetto passivo (v. sentenza Koninklijke Ahold, cit., punto 37).

36      Riguardo al principio di proporzionalità la Corte ha giudicato che, sebbene l’osservanza di quest’ultimo principio esiga che ogni importo arrotondato corrisponda quanto più possibile a quello risultante dall’applicazione dell’aliquota in vigore, si deve nondimeno conciliare siffatta esigenza con le necessità pratiche di un’efficace applicazione del sistema comune dell’IVA e che, in considerazione della tecnicità della questione dell’arrotondamento, più di un metodo di arrotondamento può soddisfare tali requisiti (v., in tal senso, sentenza Koninklijke Ahold, cit., punti 39-41).

37      Risulta da quanto precede che il diritto comunitario, in particolare le disposizioni della prima e della sesta direttiva e i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, non contiene nessuna prescrizione specifica circa il metodo di arrotondamento degli importi dell’IVA (v., in tal senso, sentenza Koninklijke Ahold, cit., punto 42).

38      Occorre pertanto risolvere la prima e la seconda questione nel senso che il diritto comunitario, allo stato attuale, non prevede prescrizioni specifiche circa il metodo di arrotondamento degli importi dell’IVA. In mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta agli Stati membri determinare le norme e i metodi per l’arrotondamento degli importi dell’IVA; gli Stati membri, all’atto di siffatta determinazione, sono tenuti a rispettare i principi sui quali si fonda il sistema comune di tale imposta, segnatamente i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità. In particolare, il diritto comunitario, da un lato, non osta all’applicazione di una norma nazionale che imponga l’arrotondamento per eccesso degli importi dell’IVA nel caso in cui la frazione dell’unità valutaria minima interessata sia pari o superiore a 0,50 e, dall’altro, non richiede che ai soggetti passivi sia consentito arrotondare per difetto l’importo dell’IVA nel caso in cui sia comprensivo di una frazione dell’unità valutaria minima nazionale.

 Sulla terza questione

39      Con detta questione il giudice a quo chiede se, nel caso di una vendita ad un prezzo con IVA compresa, il diritto comunitario prescriva che l’arrotondamento ai fini del calcolo dell’IVA dovuta si effettui ad un livello particolare, ad esempio ad uno dei livelli menzionati al punto 27 della presente sentenza.

40      Secondo il governo del Regno Unito il diritto comunitario impone l’arrotondamento dell’IVA solamente nella fase in cui richiede la dichiarazione dell’IVA in quanto somma di denaro. Il livello più basso, quindi, sarebbe o la fattura emessa ex art. 22, n. 3, della sesta direttiva, o la dichiarazione periodica dell’IVA. Ciò nondimeno gli Stati membri conserverebbero un certo potere discrezionale al fine di autorizzare l’arrotondamento in una fase anteriore, laddove lo ritenessero opportuno.

41      La Commissione delle Comunità europee osserva parimenti che può essere considerato necessario indicare l’IVA dovuta in cifre intere al momento dell’emissione di una fattura, conformemente all’art. 22, n. 3, della sesta direttiva. Tuttavia, in caso di vendite al dettaglio a prezzi inclusivi di IVA, sarebbe unicamente nella fase della dichiarazione periodica dell’IVA che apparirebbe l’esigenza di esprimere l’importo dovuto in cifre intere.

42      La Wetherspoon, per contro, afferma che un arrotondamento realizzato solamente al termine del periodo di dichiarazione IVA sarebbe incompatibile con le disposizioni della prima e della sesta direttiva, nonché con i principi di neutralità fiscale e di certezza del diritto. Tenuto conto che l’obbligo di dichiarare l’IVA alle autorità tributarie per le cessioni effettuate sorge relativamente ad ogni operazione, occorrerebbe determinare l’importo esatto dell’IVA che il cliente deve pagare e che il fornitore deve dichiarare al più tardi a livello della transazione.

43      Si deve innanzitutto constatare che le disposizioni della prima e della sesta direttiva, segnatamente quelle richiamate dal giudice del rinvio, non comprendono nome esplicite che stabiliscano il livello al quale si possa o si debba effettuare l’arrotondamento degli importi dell’IVA che comportano una frazione dell’unità valutaria minima nazionale.

44      In particolare, l’art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva si limita a determinare la base imponibile e si riferisce unicamente al prezzo dei beni ceduti e dei servizi prestati quale corrispettivo di questo (sentenza Koninklijke Ahold, cit., punto 26).

45      È vero che l’art. 22, n. 3, lett. b), della sesta direttiva prevede che, in caso di emissione di una fattura, l’importo dell’imposta esigibile debba comparire sulla fattura ed essere espresso nella moneta nazionale dello Stato membro considerato. Tuttavia, da siffatti obblighi non risulta che la disposizione di cui trattasi imponga di utilizzare unità intere della valuta nazionale per detta informazione.

46      Tale constatazione non è per nulla rimessa in discussione dalla finalità e dall’economia di ciascuna delle disposizioni citate ai due punti precedenti. Le disposizioni in parola mirano a garantire l’uniformità della base imponibile negli Stati membri e parimenti il buon funzionamento del mercato interno (v. sentenza Koninklijke Ahold, cit., punti 28 e 29).

47      Ne consegue che né la formulazione delle dette disposizioni né la loro finalità consentono di concludere che sia stato previsto dalle norme comunitarie un livello particolare di arrotondamento.

48      Pertanto, in mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta all’ordinamento giuridico degli Stati membri stabilire, entro i limiti del diritto comunitario, la fase in cui l’arrotondamento di un importo IVA possa o debba essere effettuato.

49      Come risulta dal punto 33 della presente sentenza, gli Stati membri, allorché stabiliscono la fase di cui trattasi, sono tenuti a rispettare i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità che disciplinano il sistema comune dell’IVA (v., a tal proposito, i punti 34-36 della presente sentenza). Tuttavia, in considerazione della tecnicità della questione dell’arrotondamento, detti principi non sono tali da contenere criteri che consentano di concludere che un solo livello di arrotondamento, in particolare quello effettuato a livello di unità di prodotto o della serie di prodotti, soddisfi i principi menzionati.

50      Occorre peraltro distinguere le eventuali esigenze del diritto comunitario relative all’arrotondamento dalle necessità pratiche che richiedono l’arrotondamento di un importo dell’IVA che comporta una frazione dell’unità valutaria minima nazionale. Per quanto concerne le operazioni effettuate a prezzi comprensivi di IVA, l’esigenza imperativa di arrotondare l’importo dell’IVA ad una cifra intera di detta unità valutaria non è presente nella fase dell’operazione, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 42 delle sue conclusioni. In un caso del genere, infatti, è solo al termine della dichiarazione periodica dell’IVA che risulta assolutamente indispensabile ottenere una somma che può essere concretamente versata e che, per tale motivo, non deve includere frazioni dell’unità valutaria minima.

51      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la terza questione nel senso che, in caso di una vendita ad un prezzo comprensivo dell’IVA, in mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta ad ogni Stato membro stabilire, entro i limiti del diritto comunitario, segnatamente nel rispetto dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, il livello al quale l’arrotondamento di un importo dell’IVA che comporta una frazione dell’unità valutaria minima nazionale possa o debba essere effettuato.

 Sulla quarta questione

52      Con detta questione il giudice a quo chiede, sostanzialmente, se un «rivenditore al dettaglio» possa, invocando i principi comunitari di parità di trattamento e di neutralità fiscale, reclamare l’autorizzazione ad applicare il medesimo metodo di arrotondamento degli importi dell’IVA dovuti come quello concesso dal diritto nazionale a taluni soggetti passivi, ossia i cosiddetti «operatori commerciali che emettono fattura», vale a dire, ad arrotondare per difetto l’importo dovuto a titolo di IVA a livello della serie di prodotti e della transazione.

53      La Wetherspoon osserva che sarebbe incompatibile con il principio di neutralità fiscale privare i rivenditori al dettaglio della concessione accordata agli operatori commerciali che emettono fattura. Un’esclusione del genere comporterebbe che cessioni di beni o prestazioni di servizi simili, che si trovano in concorrenza le une con le altre, siano trattate in maniera diversa sotto il profilo dell’IVA. Inoltre, in mancanza di qualsivoglia definizione della nozione di «operatori commerciali che emettono fattura» nella citata normativa nazionale, si realizzerebbe una distinzione arbitraria.

54      In proposito il governo del Regno Unito considera che gli operatori commerciali che emettono fattura non effettuano cessioni analoghe a quelle dei rivenditori al dettaglio e non sono in concorrenza con questi ultimi, che sono attivi in un diverso momento della catena d’approvvigionamento. Di conseguenza i principi di neutralità fiscale e di eliminazione delle distorsioni della concorrenza non richiederebbero di trattare detti due gruppi di persone in maniera identica rispetto all’IVA.

55      Secondo la Commissione il principio di neutralità fiscale esclude l’estensione ai rivenditori al dettaglio di una concessione dell’amministrazione tributaria che autorizza taluni operatori, i quali normalmente applicano prezzi non compresivi dell’IVA e non vendono a consumatori finali, ad arrotondare per difetto l’importo dell’IVA da dichiarare.

56      Il governo ellenico sostiene che l’arrotondamento per difetto è privo d’incidenza sull’importo finale riscosso dallo Stato solamente quando esso sia applicato unicamente alle cessioni e alle prestazioni ad altri soggetti passivi.

57      A tal proposito va ricordato – come emerge dal punto 34 della presente sentenza – come il principio di neutralità fiscale, che rispecchia il principio di parità di trattamento in materia di IVA, osti, in particolare, a che i soggetti passivi siano trattati in modo diverso, con riferimento al metodo di arrotondamento applicato al momento di calcolare l’IVA, allorché effettuano le stesse operazioni o operazioni economiche simili (v., altresì, in tal senso, sentenze 22 maggio 2008, causa C-162/07, Ampliscientifica e Amplifin, Racc. pag. I-4019, punto 25, e 17 luglio 2008, causa C-132/06, Commissione/Italia, Racc. pag. I-5457, punto 39).

58      Occorre quindi verificare se gli «operatori commerciale che emettono fattura» ed i «rivenditori al dettaglio» ai quali si rivolge la normativa di cui trattasi nella causa principale effettuino le stesse operazioni o operazioni economiche simili.

59      Nel caso di specie, dal paragrafo 17.5 della nota IVA 700 e dalle sezioni 12.1 e 12.2 del manuale V1-24A: Trader’s records risulta che la nozione di «operatori commerciali che emettono fattura» comprende unicamente soggetti passivi che effettuano le loro prestazioni di servizi o le loro cessioni di beni a prezzi non comprensivi di IVA e ai quali l’IVA è aggiunta al momento della fatturazione.

60      Nel caso di prezzi non comprensivi dell’IVA l’arrotondamento ha luogo prima del versamento del corrispettivo della prestazione da parte del cliente. L’importo dell’imposta pagato al soggetto passivo dal cliente e quello versato successivamente dal soggetto passivo allo Stato è identico, e ciò indipendentemente dal metodo di arrotondamento applicato.

61      Per contro, laddove l’IVA è inclusa nel prezzo di un bene o di un servizio, l’arrotondamento sistematico per difetto, ad un livello inferiore alla dichiarazione periodica dell’IVA, comporterebbe che il soggetto passivo riceva dal cliente l’importo dell’IVA effettivamente dovuto, mentre verserebbe sistematicamente allo Stato un importo minore, conservando così la differenza a proprio vantaggio. Un risultato del genere è contrario al principio secondo cui l’IVA viene riscossa dai soggetti passivi ad ogni fase del processo di produzione o di distribuzione per conto dell’amministrazione tributaria alla quale essi sono tenuti a versarla (v. sentenza 6 ottobre 2005, causa C-291/03, MyTravel, Racc. pag. I-8477, punto 30).

62      Inoltre, le due situazioni menzionate sono sensibilmente diverse dal punto di vista delle necessità pratiche di un’applicazione effettiva del sistema comune dell’IVA. Relativamente ai prezzi non comprensivi dell’IVA, regolarmente espressi in cifre intere, l’arrotondamento dell’IVA è indispensabile per ottenere un importo totale, risultante dall’addizione del prezzo senza IVA e dell’IVA dovuta, che deve essere effettivamente versata. Al contrario, quando l’IVA è compresa nel prezzo del bene o del servizio, non è necessario un arrotondamento per poter corrispondere il prezzo totale.

63      Ne consegue che gli operatori che vendono i loro beni o effettuano le loro prestazioni di servizi a prezzi non comprensivi dell’IVA e quelli che calcolano i prezzi di dette operazioni includendo l’IVA si trovano in situazioni diverse. Questi ultimi, pertanto, non possono, fondandosi sul principio di neutralità fiscale, pretendere di essere trattati nello stesso modo degli operatori che praticano prezzi non comprensivi dell’IVA per quanto riguarda l’arrotondamento dell’importo dovuto a titolo dell’IVA.

64      Di conseguenza, occorre risolvere la quarta questione nel senso che, considerato che gli operatori che calcolano i prezzi di vendita dei loro beni e delle loro prestazioni di servizi includendo l’IVA si trovano in una situazione diversa rispetto a quelli che effettuano il medesimo genere di operazioni a prezzi non comprensivi dell’IVA, i primi non possono avvalersi del principio di neutralità fiscale per reclamare l’autorizzazione a procedere parimenti all’arrotondamento per difetto a livello della serie di prodotti e della transazione degli importi dell’IVA dovuti.

 Sulle spese

65      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

1)      Il diritto comunitario, allo stato attuale, non prevede prescrizioni specifiche circa il metodo di arrotondamento degli importi dell’imposta sul valore aggiunto. In mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta agli Stati membri determinare le norme e i metodi per l’arrotondamento degli importi dell’imposta sul valore aggiunto; gli Stati membri, all’atto di siffatta determinazione, sono tenuti a rispettare i principi sui quali si fonda il sistema comune di tale imposta, segnatamente i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità. In particolare, il diritto comunitario, da un lato, non osta all’applicazione di una norma nazionale che imponga l’arrotondamento per eccesso degli importi dell’imposta sul valore aggiunto nel caso in cui la frazione dell’unità valutaria minima interessata sia pari o superiore a 0,50 e, dall’altro, non richiede che ai soggetti passivi sia consentito arrotondare per difetto l’importo dell’imposta sul valore aggiunto nel caso in cui sia comprensivo di una frazione dell’unità valutaria minima nazionale.

2)      In caso di una vendita ad un prezzo comprensivo dell’imposta sul valore aggiunto, in mancanza di una normativa comunitaria specifica, spetta ad ogni Stato membro stabilire, entro i limiti del diritto comunitario, segnatamente nel rispetto dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, il livello al quale l’arrotondamento di un importo dell’imposta sul valore aggiunto che comporta una frazione dell’unità valutaria minima nazionale possa o debba essere effettuato.

3)      Considerato che gli operatori che calcolano i prezzi di vendita dei loro beni e delle loro prestazioni di servizi includendo l’imposta sul valore aggiunto si trovano in una situazione diversa rispetto a quelli che effettuano il medesimo genere di operazioni a prezzi non comprensivi dell’imposta sul valore aggiunto, i primi non possono avvalersi del principio di neutralità fiscale per reclamare l’autorizzazione a procedere parimenti all’arrotondamento per difetto a livello della serie di prodotti e della transazione degli importi dell’imposta sul valore aggiunto dovuti.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.