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Causa C-267/09

Commissione europea

contro

Repubblica portoghese

«Inadempimento di uno Stato — Libera circolazione dei capitali — Artt. 56 CE e 40 dell’Accordo SEE — Restrizioni — Fiscalità diretta — Contribuenti non residenti — Obbligo di designare un rappresentante fiscale»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Normativa tributaria — Imposta sul reddito — Normativa nazionale che impone ai contribuenti non residenti la designazione di un rappresentante fiscale

(Art. 56 CE; direttiva del Consiglio 77/799)

2.        Accordi internazionali — Accordo che istituisce lo Spazio economico europeo — Libera circolazione dei capitali — Restrizioni — Normativa tributaria — Imposta sul reddito — Normativa nazionale che impone ai contribuenti non residenti la designazione di un rappresentante fiscale

(Accordo SEE, art. 40; direttive del Consiglio 77/799 e 2008/55)

1.        Sebbene la garanzia di efficacia dei controlli fiscali e la lotta contro l’evasione fiscale possano costituire ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, una giustificazione siffatta è ammissibile solamente qualora essa abbia ad oggetto costruzioni puramente artificiali, aventi lo scopo di aggirare la legge fiscale, il che esclude qualsiasi presunzione generale di frode. Una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può bastare a giustificare una misura fiscale che pregiudichi gli obiettivi del Trattato. Orbene, l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, imposto segnatamente a tutti i contribuenti non residenti che percepiscono redditi che richiedono la presentazione di una dichiarazione fiscale, fa gravare su un’intera categoria di contribuenti, in ragione del solo fatto che non sono residenti, una presunzione di evasione o di frode fiscale che non può di per sé sola giustificare il pregiudizio arrecato agli obiettivi del Trattato.

Un obbligo siffatto costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali sancita dall’art. 56 CE che non può essere considerata giustificata dato che eccede quanto necessario per raggiungere tale obiettivo e poiché non è dimostrato che i meccanismi di mutua assistenza di cui dispone ciascuno Stato membro in forza della direttiva 77/799, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette, sarebbero insufficienti per conseguire il medesimo obiettivo.

Di conseguenza, non adempie gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 56 CE lo Stato membro che mantiene in vigore una normativa fiscale che impone ai contribuenti non residenti di designare un rappresentante fiscale in detto Stato membro, qualora percepiscano redditi per i quali è richiesta la presentazione di una dichiarazione fiscale.

(v. punti 38, 42-43, 53, 61, dispositivo 1)

2.        Anche se restrizioni alla libera circolazione dei capitali tra cittadini di Stati parti dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) devono essere esaminate con riferimento all’art. 40 e all’allegato XII a detto Accordo, tali disposizioni rivestono la stessa portata giuridica delle disposizioni, sostanzialmente identiche, dell’art. 56 CE. Tuttavia, la giurisprudenza vertente sulle restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione in seno all’Unione non può essere integralmente applicata ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, in quanto tali movimenti si collocano in un contesto giuridico diverso.

Così, anche se l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale cui la normativa di uno Stato membro assoggetta i non residenti costituisce una restrizione non giustificata alla luce dell’art. 56 CE, ciò non significa che tale restrizione non possa essere giustificata ai sensi dell’art. 40 dell’Accordo SEE.

Infatti, poiché, da un lato, il quadro di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri stabilito dalla direttiva 77/799, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette, nonché dalla direttiva 2008/55, sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure, non sussiste tra le dette autorità degli Stati membri e le autorità competenti di uno Stato terzo qualora quest’ultimo non abbia assunto alcun impegno di mutua assistenza, e poiché, dall’altro, le convenzioni che vincolano lo Stato membro di cui trattasi agli Stati appartenenti al SEE e non membri dell’Unione non contemplano effettivamente meccanismi di scambio di informazioni sufficienti per verificare e controllare le dichiarazioni presentate dai soggetti d’imposta residenti in questi ultimi Stati, l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale, nei limiti in cui riguardi i contribuenti residenti negli Stati parti all’accordo SEE e non membri dell’Unione, non eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di lotta all’evasione fiscale.

(v. punti 51-52, 54-57)







SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

5 maggio 2011 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Libera circolazione dei capitali –Artt. 56 CE e 40 dell’Accordo SEE – Restrizioni – Fiscalità diretta – Contribuenti non residenti – Obbligo di designare un rappresentante fiscale»

Nella causa C-267/09,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 15 luglio 2009,

Commissione europea, rappresentata dai sigg. R. Lyal e G. Braga da Cruz, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica portoghese, rappresentata dal sig. L. Inez Fernandes, in qualità di agente,

convenuta,

sostenuta da:

Regno di Spagna, rappresentato dal sig. M. Muñoz Pérez, in qualità di agente,

interveniente,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. J.-C. Bonichot (relatore), presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann, L. Bay Larsen, dalle sig.re C. Toader e A. Prechal, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: M. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica portoghese, avendo adottato e mantenuto in vigore l’art. 130 del codice relativo all’imposta sul reddito delle persone fisiche (Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Singulares; in prosieguo: il «CIRS»), che impone ai contribuenti non residenti di designare un rappresentante fiscale in Portogallo, non ha adempiuto gli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 18 CE e 56 CE, nonché dei corrispondenti articoli dell’Accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l’«Accordo SEE»).

 Contesto normativo

 L’Accordo SEE

2        L’art. 40 dell’Accordo SEE così dispone:

«Nel quadro delle disposizioni del presente accordo, non sussistono fra le Parti contraenti restrizioni ai movimenti di capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri della [Comunità europea] o negli Stati dell’[Associazione europea di libero scambio (EFTA)] né discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o sulla residenza delle parti o sul luogo del collocamento dei capitali. L’allegato XII contiene le disposizioni necessarie ai fini dell’applicazione del presente articolo».

3        L’art. XII dell’accordo SEE, intitolato «Libera circolazione dei capitali», fa riferimento alla direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato [articolo abrogato dal Trattato di Amsterdam] (GU L 178, pag. 5). In forza dell’art. 1, n. 1, di tale direttiva, i movimenti di capitali sono classificati in base alla nomenclatura riportata nell’allegato I.

 La normativa nazionale

4        L’art. 130 del CIRS è così formulato:

«Rappresentanti

1.      I non residenti che percepiscono redditi soggetti all’[imposta sul reddito], come del resto i residenti che lasciano il territorio nazionale per più di sei mesi, sono tenuti a designare a fini fiscali una persona fisica o giuridica, avente domicilio o sede in Portogallo, incaricata di rappresentarli presso la direzione generale delle imposte e di provvedere all’adempimento dei loro obblighi tributari.

2.      La designazione di cui al n. 1, che deve essere effettuata nel contesto della dichiarazione di avvio di un’attività, di modifiche o di immatricolazione fiscale, deve menzionare espressamente l’accettazione del rappresentante.

3.      In caso di inosservanza delle disposizioni di cui al n. 1, e indipendentemente dalle sanzioni applicabili nella fattispecie, non occorre procedere alle notifiche previste dal presente codice, fatta salva la possibilità per i soggetti d’imposta di prendere conoscenza degli elementi ad essi relativi rivolgendosi al servizio competente».

5        Il decreto legge 30 novembre 1979, n. 463, nella sua versione applicabile nella fattispecie, così dispone ai suoi artt. 2 e 3:

«Art. 2

1.      Ai fini dell’attribuzione del numero di identificazione fiscale, tutte le persone fisiche che percepiscono redditi soggetti ad imposta, anche se esenti dal pagamento di tale imposta, sono tenute ad iscriversi presso una centrale dell’amministrazione tributaria o presso un servizio di assistenza ai contribuenti. A tale scopo, esse consegnano ad uno di tali enti un formulario debitamente compilato e conforme al modulo n. 1, accompagnato dal modulo n. 3 in caso di designazione di un rappresentante fiscale da parte del contribuente non residente (…)

(…)

Art. 3

(…)

5.      Per quanto riguarda i soggetti d’imposta non residenti che percepiscono sul territorio portoghese soltanto redditi soggetti ad un prelievo liberatorio, l’iscrizione di cui all’art. 2, n. 1, viene effettuata dai mandatari fiscali dietro presentazione del formulario tipo che deve essere adottato con decreto del ministro delle finanze».

6        Detto formulario tipo è stato adottato con il decreto n. 21.305/2003 (Diário da República serie II, n. 256 del 5 novembre 2003, pag. 16629), il quale precisa che tale documento è destinato esclusivamente all’iscrizione ai fini dell’attribuzione del codice di identificazione fiscale alle entità non residenti i cui redditi percepiti sul territorio portoghese sono soggetti esclusivamente ad un prelievo liberatorio e non riguarda le entità che, per quanto non residenti, hanno l’obbligo legale di ottenere un codice di identificazione fiscale. Il medesimo decreto precisa, peraltro, che l’iscrizione è obbligatoriamente richiesta a quegli enti che sono tenuti a procedere alla trattenuta alla fonte dell’imposta.

7        La circolare della direzione generale delle imposte n. 14/83 del 31 maggio 1993 dispone, al suo punto 4:

«La nomina di un rappresentante fiscale non è obbligatoria qualora un non residente percepisca sul territorio portoghese soltanto redditi soggetti a prelievo liberatorio, in quanto la percezione di tali redditi non determini per lui obblighi accessori che egli dovrebbe adempiere».

 Il procedimento precontenzioso

8        La Commissione ha inviato alla Repubblica portoghese, il 18 luglio 2007, una lettera di diffida nella quale sosteneva che l’obbligo imposto ai non residenti di designare un rappresentante fiscale residente in Portogallo era viziato da incompatibilità con il diritto comunitario e con l’Accordo SEE. La Commissione considerava, infatti, che le disposizioni di cui trattavasi potevano risultare discriminatorie e costituire un’infrazione agli artt. 18 CE e 56 CE, nonché ai corrispondenti articoli dell’Accordo SEE.

9        Con lettera del 18 ottobre 2007, la Repubblica portoghese ha contestato tali censure.

10      Il 26 giugno 2008, la Commissione ha inviato alla Repubblica Portoghese un parere motivato, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro un termine di due mesi dal suo ricevimento.

11      Con lettera dell’11 febbraio 2009, la Repubblica portoghese ha risposto a tale parere motivato affermando che le disposizioni di cui all’art. 130 del CIRS non erano incompatibili con le prerogative riconosciute dal Trattato CE e dall’Accordo SEE oppure che esse erano giustificate da ragioni imperative di interesse generale, tra le quali figurava l’obiettivo di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e la lotta all’evasione fiscale.

12      Non trovando soddisfacenti tali spiegazioni, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

 Sul ricorso

 Argomenti delle parti

13      La Commissione sostiene che l’art. 130 del CIRS sancisce un obbligo generale di designazione di un rappresentante fiscale, il quale si impone sia ai non residenti che percepiscono redditi soggetti all’imposta sul reddito sia ai residenti che lasciano il territorio nazionale per un periodo superiore a sei mesi. Da una parte, tale regola generale priva di ambiguità non dispenserebbe da detto obbligo i non residenti che percepiscono esclusivamente redditi soggetti ad un prelievo liberatorio. L’eccezione che riguarderebbe, secondo la Repubblica portoghese, detta categoria di non residenti non può essere dedotta dalle disposizioni regolamentari che tale Stato membro invoca, cioè il decreto legge n. 463/79 e il decreto n. 21.305/2003. Siffatta eccezione sarebbe prevista soltanto da una semplice circolare la quale, considerato il suo rango nella gerarchia delle norme, non può prevalere sulle chiare disposizioni dell’art. 130 del CIRS.

14      D’altra parte, per i non residenti che percepiscono in Portogallo redditi che impongono la presentazione di una dichiarazione fiscale, l’obbligo di designare un rappresentante fiscale è, secondo la Commissione, in contrasto con la libera circolazione delle persone e dei capitali in quanto esso risulta tanto discriminatorio quanto sproporzionato rispetto all’obiettivo di garantire l’efficacia del controllo fiscale e lottare contro l’evasione fiscale. Infatti, oltre a tale ostacolo alla libera scelta esercitata dal contribuente, che condurrebbe in pratica e nella maggior parte dei casi a imporre un onere finanziario ai non residenti, il procedimento accolto sarebbe eccessivo rispetto all’obiettivo perseguito poiché quest’ultimo potrebbe altrettanto essere raggiunto tanto mediante il ricorso alla direttiva del Consiglio 26 maggio 2008, 2008/55/CE, sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure (GU L 150, pag. 28) quanto mediante il ricorso alla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette [e indirette] (GU L 336, pag. 15), come modificata dalla direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CEE (GU L 76, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 77/799»).

15      Per quanto riguarda la situazione dei soggetti passivi che risiedono in Stati terzi o in Stati appartenenti allo Spazio economico europeo, ma non membri dell’Unione, la Commissione sottolinea, da una parte, che le convenzioni concluse dalla Repubblica portoghese con il Regno di Norvegia e con la Repubblica d’Islanda consentono già uno scambio di informazioni nel settore fiscale e, d’altra parte, che le disposizioni legislative di cui trattasi potrebbero trovare ad applicarsi validamente alla luce del diritto dell’Unione soltanto nel caso in cui tali soggetti passivi risiedano in un paese che non ha concluso con la Repubblica portoghese una convenzione in materia di doppia imposizione che preveda siffatto scambio di informazioni.

16      La Commissione fa del pari valere che l’art. 18 CE può essere utilmente invocato nella fattispecie e che tale articolo non fa distinzione tra i cittadini economicamente attivi e quelli che non lo sono. Poiché l’obbligo previsto dall’art. 130 del CIRS non riguarda soltanto le persone economicamente attive, esso è quindi discriminatorio nei confronti di tutti coloro che esercitano, foss’anche temporaneamente, il loro diritto alla libera circolazione nello spazio comunitario, diritto sancito all’art. 18 CE.

17      La Repubblica portoghese contesta la ricevibilità di una parte degli argomenti della Commissione. Quest’ultima, infatti, nella sua memoria di replica, avrebbe presentato in modo incerto e incoerente la sua censura relativa ai non residenti soggetti ad un prelievo liberatorio. Peraltro, la Commissione, sostenendo nella medesima memoria che l’art. 130 del CIRS sarebbe discriminatorio non soltanto con riferimento ai non residenti bensì con riferimento a tutte le persone che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione, avrebbe sollevato in corso di istanza un motivo nuovo, non ottemperando così alle prescrizioni di cui all’art. 42, n. 2, del regolamento di procedura della Corte. Essa non avrebbe, inoltre, formulato in modo coerente e comprensibile le proprie censure alla luce dell’Accordo SEE, non avendo precisato a quali articoli di tale Accordo facesse riferimento e in quanto detto Accordo non comprende disposizioni corrispondenti all’art. 18 CE.

18      Nel merito e per quanto riguarda, in primo luogo, i contribuenti non residenti che percepiscono in Portogallo soltanto redditi soggetti a prelievo liberatorio, la Repubblica portoghese sostiene che la Commissione non può attenersi alla lettera del solo art. 130 del CIRS per dimostrare l’asserito inadempimento, allorché tale disposizione, come è effettivamente interpretata e applicata, non prevederebbe per tali contribuenti alcun obbligo di designazione di un rappresentante fiscale.

19      Deriverebbe, infatti, dalla procedura di immatricolazione semplificata prevista dal decreto legge n. 463/79 e dal decreto n. 21. 305/2003 ed applicabile a tali contribuenti che, poiché le imprese distributrici che hanno la qualità di «mandatari fiscali», procedono esse stesse al prelievo liberatorio e ne sono responsabili, e in mancanza di ogni altro obbligo accessorio, detti contribuenti non avrebbero alcun obbligo di designare un rappresentante fiscale.

20      Per quanto riguarda, in secondo luogo, i non residenti che percepiscono in Portogallo redditi che esigono la presentazione di una dichiarazione fiscale, la Repubblica portoghese afferma che, poiché l’art. 130 del CIRS ha l’obiettivo di garantire il compimento effettivo delle formalità che si impongono ai contribuenti lontani dal territorio portoghese, detta misura non sarebbe discriminatoria poiché si applicherebbe alle stesse condizioni ai residenti e ai non residenti. Inoltre, poiché le norme nazionali non prevederebbero che il mandato di rappresentanza abbia carattere oneroso, tale carattere sarebbe estraneo alla normativa fiscale in esame. La Commissione non può quindi presumere l’esistenza di un onere finanziario e in tal modo non giustificherebbe l’asserito inadempimento.

21      La Repubblica portoghese sostiene del pari che l’art. 130 del CIRS, alle condizioni previste dall’art. 58, n. 1, CE, è diretto a garantire l’efficacia dei controlli fiscali e la lotta contro l’evasione fiscale, ragioni imperative idonee a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato. L’obbligo di rappresentanza non eccederebbe, dunque, quanto necessario al riguardo e la direttiva 77/799, invocata dalla Commissione, non svolgerebbe alcun ruolo quanto al rispetto di tale obbligo da parte del contribuente. Peraltro, considerato il ruolo del rappresentante fiscale, tenuto solo ad adempiere obblighi accessori di carattere formale, come la presentazione delle dichiarazioni e la recezione delle notifiche, la Commissione non può utilmente invocare la direttiva 2008/55, che concerne il recupero dell’imposta, la quale non è affatto in causa tra le funzioni esercitate da detto rappresentante.

22      La Repubblica portoghese aggiunge che la Commissione non può neppure utilmente invocare l’art. 18 CE, che riguarderebbe soltanto le persone economicamente inattive, non contemplate dall’art. 130 del CIRS. Infine, considerati gli Stati che non sono parti dell’Accordo SEE, la giurisprudenza relativa alle restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione non può essere integralmente trasposta, in quanto la cornice di cooperazione sancita dalla direttiva 77/799 non sussiste comunque in tale contesto.

23      Nella sua memoria d’intervento, il Regno di Spagna chiede il rigetto del ricorso per gli stessi motivi invocati dalla Repubblica portoghese, pur insistendo sul fatto che la Commissione non avrebbe fornito la prova dell’asserito inadempimento per quanto riguarda i non residenti i cui redditi sono soggetti ad un prelievo liberatorio, inadempimento che, basato sulla sua interpretazione della legge nazionale di cui trattasi, sarebbe puramente teorico.

24      Per gli altri non residenti, la Commissione, secondo il Regno di Spagna, non può invocare l’art. 18 CE, poiché essa non dimostrerebbe che il provvedimento nazionale in esame si applichi a persone economicamente inattive. Peraltro, tale misura non sarebbe né discriminatoria, poiché la situazione dei non residenti non è paragonabile a quella dei residenti, né sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, il quale non potrebbe essere raggiunto mediante le direttive invocate dalla Commissione, che, d’altra parte, sono in corso di modifica a causa della loro inefficacia. D’altra parte, la Commissione non avrebbe apportato alcun elemento di prova della contrarietà ai Trattati dell’applicazione della legge portoghese ai movimenti di capitali con gli Stati terzi. Infine, le direttive sull’assistenza e sulla cooperazione non sarebbero applicabili nei rapporti con gli Stati parti dell’Accordo SEE.

 Giudizio della Corte

 Sulla ricevibilità

25      Dall’art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura e dalla giurisprudenza ad esso relativa emerge che ogni ricorso deve indicare l’oggetto della controversia nonché l’esposizione sommaria dei motivi, e che tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura (v., segnatamente, sentenza 14 gennaio 2010, causa C-343/08, Commissione/Repubblica ceca, Racc. pag. I-275, punto 26 e giurisprudenza citata).

26      Con il presente ricorso, la Commissione intende, secondo il testo dell’atto di ricorso, far constatare che la Repubblica portoghese non ha adempiuto gli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 18 CE e 56 CE, nonché dei corrispondenti articoli dell’Accordo SEE.

27      Nella fattispecie, va osservato in primo luogo che dai motivi e dagli argomenti esposti nel ricorso della Commissione risulta chiaramente che quest’ultima contesta alla Repubblica portoghese di aver mantenuto in vigore disposizioni legislative che sarebbero contrarie ai principi della libera circolazione, sanciti dagli articoli invocati del Trattato CE e dell’Accordo SEE.

28      In secondo luogo, per quanto riguarda gli argomenti relativi all’Accordo SEE, occorre constatare che, certamente, il ricorso era caratterizzato da una certa imprecisione al riguardo in quanto si limitava, dopo aver fatto riferimento ad una violazione degli artt. 18 CE e 56 CE, a constatare una violazione degli «articoli corrispondenti» di tale Accordo. È tuttavia pacifico, da una parte, che la Commissione ha precisato nella replica che intendeva invocare l’inottemperanza al solo art. 40 di detto Accordo. D’altra parte, comunque, è importante rilevare che, come risulta dal punto 59 del controricorso della Repubblica portoghese, è manifesto che quest’ultima non poteva ragionevolmente ingannarsi sul fatto che la censura della Commissione relativa all’accordo SEE riguardava in effetti l’art. 40 di detto Accordo. In tal contesto, la Repubblica portoghese è stata, in proposito, in grado di far valere utilmente i suoi mezzi di difesa.

29      In terzo luogo, anche se la Repubblica portoghese sostiene che gli argomenti presentati dalla Commissione nella replica rendono incerta ed incoerente l’argomentazione di quest’ultima, tale valutazione si riferisce alla fondatezza di detti argomenti e non mette nuovamente in discussione la ricevibilità del ricorso proprio in quanto le censure presentate sono precise.

30      Infine, invocando, nella replica, il carattere discriminatorio della misura contestata anche nei confronti dei residenti che esercitano temporaneamente il loro diritto alla libera circolazione, la Commissione si è limitata a rispondere all’argomento presentato come mezzo di difesa dalla Repubblica portoghese, vertente sul fatto che la designazione di un rappresentante fiscale si imponeva ai residenti e ai non residenti. Detta risposta non può pertanto essere valutata quale motivo nuovo della Commissione.

31      Risulta pertanto dalle suesposte considerazioni che il presente ricorso deve essere dichiarato ricevibile.

 Sull’asserito inadempimento

32      Occorre valutare se, come sostiene la Commissione, l’art. 130 del CIRS costituisca una restrizione alla libera circolazione dei capitali sancita dall’art. 56 CE e dall’40 dell’Accordo SEE nonché alla libera circolazione delle persone, sancita dall’art. 18 CE.

–       Sull’inottemperanza all’art. 56, n. 1, CE

33      È pacifico che l’art. 130 del CIRS prevede l’obbligo di designare un rappresentante fiscale tanto per i non residenti che percepiscono redditi soggetti all’imposta sul reddito quanto per i residenti che lasciano il territorio portoghese per un periodo superiore a sei mesi. Per quanto riguarda la questione se tale dispositivo sia idoneo a disciplinare situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 56 CE, va osservato che la Repubblica portoghese non contesta che l’obbligo previsto all’art. 130 del CIRS si applica nel caso, fatto valere dalla Commissione, dei movimenti di capitali collegati a investimenti immobiliari.

34      Secondo una giurisprudenza costante, i movimenti di capitali comprendono le operazioni con cui soggetti non residenti effettuano investimenti immobiliari nel territorio di uno Stato membro, come risulta dalla nomenclatura dei movimenti di capitali che figura nell’allegato I della direttiva 88/361, nomenclatura che conserva il valore indicativo che le era proprio per definire la nozione di movimenti di capitali (v. sentenze 25 gennaio 2007, causa C-370/05, Festersen, Racc. pag. I-1129, punto 23, e 11 ottobre 2007, causa C-451/05, ELISA, Racc. pag. I-8251, punto 59).

35      Pertanto, l’art. 130 del CIRS rientra sia nella sfera di applicazione dell’art. 56, n. 1, CE, che vieta in via generale le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, sia dell’art. 40 dell’Accordo SEE, che contempla un identico divieto con riferimento ai rapporti tra gli Stati parti di detto Accordo, siano essi membri dell’Unione oppure dell’EFTA (v., per quanto riguarda quest’ultimo articolo, la sentenza 28 ottobre 2010, causa C-72/09, Établissements Rimbaud, Racc. pag. I-10659, punto 21).

36      Occorre conseguentemente esaminare se l’obbligo previsto all’art. 130 del CIRS costituisca una restrizione ai movimenti di capitali.

37      Al riguardo è incontestabile che, obbligando i contribuenti di cui trattasi a designare un rappresentante fiscale, l’art. 130 del CIRS impone loro di avviare procedure e di sopportare, in pratica, il costo della retribuzione di detto rappresentante. Tali vincoli determinano per i detti contribuenti un ostacolo idoneo a dissuaderli dall’investire capitali in Portogallo e, in particolare, dall’effettuarvi investimenti immobiliari. Ne deriva che detto obbligo deve essere considerato quale restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata in principio dagli artt. 56, n. 1, CE e dall’art. 40 dell’Accordo SEE.

38      Tuttavia, la Repubblica portoghese, facendo valere che l’obiettivo perseguito dall’obbligo di designare un rappresentante fiscale è diretto a garantire l’efficacia dei controlli fiscali e la lotta all’evasione fiscale nel contesto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, invoca in tal modo, come del resto la Commissione non contesta, una ragione imperativa di interesse generale, idonea a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (v., segnatamente, sentenze ELISA, cit., punto 81; 18 dicembre 2007, causa C-101/05, A, Racc. pag. I-11531, punto 55, nonché 11 giugno 2009, cause riunite C-155/08 e C-157/08, X e Passenheim-van Schoot, Racc. pag. I-5093, punto 45).

39      Secondo la Commissione, il requisito previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi è, tuttavia, sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti, in quanto i meccanismi messi a disposizione tanto dalla direttiva 2008/55 quanto dalla direttiva 77/799 sono sufficienti perché siffatto obiettivo sia raggiunto.

40      Per quanto riguarda la direttiva 77/799, occorre ricordare che, in forza del combinato disposto dei nn. 1, 3 e 4 dell’art. 1 di quest’ultima, le competenti autorità degli Stati membri scambiano ogni informazione atta a permettere loro una corretta determinazione delle imposte sul reddito. Secondo l’art. 2 di tale direttiva, detto scambio di informazioni avviene su richiesta dell’autorità competente dello Stato membro interessato. Come emerge dall’art. 3 di tale direttiva, le competenti autorità degli Stati membri scambiano altresì informazioni senza che ne sia fatta preventiva richiesta, in modo automatico, per talune categorie di casi considerati dalla citata direttiva, nonché, ai sensi dell’art. 4 di quest’ultima, in modo spontaneo. Infine, secondo l’art. 11 della direttiva 77/799, le disposizioni della stessa non incidono sulle norme che prevedono obblighi più estesi risultanti da altri atti giuridici circa lo scambio di informazioni (sentenza ELISA, cit., punti 39, 40 e 42).

41      La Repubblica portoghese sostiene tuttavia che essa può presentare richieste di informazioni a norma dell’art. 2 della direttiva 77/799 soltanto qualora disponga previamente di sufficienti elementi di informazione, il che richiederebbe, per l’esattezza, la messa a disposizione di un rappresentante fiscale residente sul territorio portoghese dal quale l’amministrazione fiscale possa esigere direttamente e personalmente l’adempimento di tutti i pertinenti obblighi di dichiarazione per conto del contribuente non residente.

42      Si deve in proposito ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, una giustificazione basata sulla lotta alla frode fiscale è ammissibile solamente qualora essa abbia ad oggetto costruzioni puramente artificiali, aventi lo scopo di aggirare la legge fiscale, il che esclude qualsiasi presunzione generale di frode. Pertanto, una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può bastare a giustificare una misura fiscale che pregiudichi gli obiettivi del Trattato (v. sentenza ELISA, cit., punto 91 e giurisprudenza ivi citata).

43      Orbene, l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, essendo imposto segnatamente a tutti i contribuenti non residenti che percepiscono redditi che richiedono la presentazione di una dichiarazione fiscale, fa gravare su un’intera categoria di contribuenti, in ragione del solo fatto che non sono residenti, una presunzione di evasione o di frode fiscale che non può di per sé sola giustificare il pregiudizio arrecato agli obiettivi del Trattato dall’obbligo di cui trattasi.

44      Inoltre, qualora elementi imponibili siano stati dissimulati alle autorità fiscali di uno Stato membro e queste ultime non dispongano di alcun indizio che consenta loro di avviare un’inchiesta, non risulta che l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale implichi in tal misura, per sé solo, la rivelazione di siffatti indizi e sia idoneo a supplire alle asserite insufficienze dei meccanismi di scambio di informazioni risultanti dalla direttiva 77/799.

45      Così, non è dimostrato che nel caso in cui il contribuente non residente in Portogallo non adempia i suoi obblighi di dichiarazione e qualora si verifichi che l’imposta dovuta non è stata pagata, i meccanismi di reciproca assistenza tra le autorità fiscali competenti degli Stati membri, invocati dalla Commissione e come previsti nel settore delle imposte dirette dalla direttiva 77/799, non sarebbero sufficienti perché esse siano effettivamente riscosse. Non occorre, pertanto, verificare se lo stesso accada per quanto riguarda i meccanismi previsti, in materia di riscossione di dette imposte, dalla direttiva 2008/55, anche supponendo che quest’ultima fosse applicabile alla fattispecie ratione temporis.

46      Ne deriva che l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo consistente nella lotta alla frode fiscale e che, di conseguenza, la Commissione sostiene a buon diritto che tale obbligo costituisce, per i contribuenti non residenti che percepiscono redditi che richiedono la presentazione di una dichiarazione fiscale, una restrizione ingiustificata alla libera circolazione dei capitali sancita dall’art. 56 CE.

47      Peraltro, l’obbligo di designare un rappresentante fiscale non costituisce una soluzione appropriata o necessaria al «problema pratico» attinente all’impossibilità, secondo la Repubblica portoghese, di mantenere rapporti diretti con i contribuenti non residenti in ragione della distanza fisica che li separa dalle entità amministrative di cui trattasi, distanza che costituisce un ostacolo al buon funzionamento di dette entità. Infatti, considerando i mezzi di comunicazione moderni, sarebbe ipotizzabile obbligare i contribuenti non residenti a comunicare alle autorità fiscali portoghesi un indirizzo in uno Stato membro diverso dalla Repubblica portoghese per tutte le notifiche effettuate dalle autorità tributarie. Come la Commissione osserva, qualora sia di importanza essenziale la presenza fisica del contribuente, sarebbe sufficiente consentirgli di optare per la designazione di un rappresentante fiscale, piuttosto che imporre un obbligo generale di designazione di detto rappresentante.

48      Si deve per contro constatare che, come sostiene la Repubblica portoghese, l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale previsto all’art. 130 del CIRS, al fine di rappresentare i non residenti presso la direzione generale delle imposte e di vegliare sull’adempimento dei loro obblighi tributari come precisato da detto articolo, non si impone nei confronti dei contribuenti che percepiscono esclusivamente redditi soggetti a prelievo liberatorio, per i quali non occorre presentare una dichiarazione fiscale.

49      Infatti, è pacifico che, in forza del combinato disposto dell’art. 3, n. 5, del decreto legge n. 463/79 e del decreto 21.305/2003, i mandatari fiscali, che sono le entità che procedono al prelievo dell’imposta dovuta sui redditi soggetti a siffatto prelievo, lo pagano in nome e per conto di tali contribuenti. A tale titolo essi hanno l’obbligo di procedere essi stessi ad un’iscrizione presso l’amministrazione fiscale e, quindi, rappresentano già tali contribuenti nei confronti di quest’ultima e adempiono, pertanto, in luogo di essi, tutte le formalità di dichiarazione che si riferiscono ai detti redditi. La Commissione non può di conseguenza sostenere utilmente che siffatta disciplina risulterebbe in realtà soltanto dalla circolare n. 14/93 la quale, considerato il suo valore giuridico, non permetterebbe ai contribuenti in parola di determinare con chiarezza la loro situazione in merito all’obbligo previsto dall’art. 130 del CIRS. In tal contesto, l’inadempimento constatato al punto 46 della presente sentenza alla luce delle disposizioni previste dall’art. 56 CE non può essere considerato dimostrato nei confronti di detti non residenti che percepiscono esclusivamente redditi soggetti a prelievo liberatorio.

–       Sull’inottemperanza all’art. 40 dell’Accordo SEE

50      Uno degli obiettivi principali dell’Accordo SEE è di realizzare nella massima misura possibile la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali nell’intero Spazio economico europeo (SEE), di modo che il mercato interno realizzato nel territorio della Comunità sia esteso agli Stati dell’EFTA. In questa prospettiva, diverse convenzioni aventi ad oggetto detto Accordo mirano a garantire un’interpretazione dello stesso che sia la più uniforme possibile nell’insieme del SEE (v. parere 10 aprile 1992, 1/92, Racc. pag. I-2821). Spetta alla Corte, in tale ambito, controllare che le norme dell’Accordo SEE identiche nella sostanza a quelle del Trattato siano interpretate in maniera uniforme all’interno degli Stati membri (sentenze 23 settembre 2003, causa C-452/01, Ospelt e Schlössle Weissenberg, Racc. pag. I-9743, punto 29, nonché 19 novembre 2009, causa C-540/07, Commissione/Italia, Racc. pag. I-10983, punto 65).

51      Ne risulta che, anche se restrizioni alla libera circolazione dei capitali tra cittadini di Stati parti dell’Accordo SEE devono essere esaminate con riferimento all’art. 40 e all’allegato XII a detto Accordo, tali disposizioni rivestono la stessa portata giuridica delle disposizioni, sostanzialmente identiche, dell’art. 56 CE (v. sentenze 11 giugno 2009, causa C-521/07, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-4873, punto 33, nonché Commissione/Italia, cit., punto 66).

52      Di conseguenza e per i motivi esposti nel contesto dell’esame del ricorso della Commissione alla luce dell’art. 56, n. 1, CE, occorre considerare che l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale cui la normativa portoghese assoggetta i non residenti costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’art. 40 dell’Accordo SEE.

53      Occorre tuttavia constatare che, come risulta dai punti 43–46 della presente sentenza, tale restrizione non ha potuto essere considerata giustificata alla luce dell’art. 56 CE per il motivo imperativo d’interesse generale che è diretto a garantire l’efficacia dei controlli fiscali e la lotta all’evasione fiscale, dato che essa eccede quanto necessario per raggiungere siffatto obiettivo e allorché non è dimostrato che i meccanismi di mutua assistenza delle competenti autorità fiscali degli Stati membri nel settore delle imposte dirette, dei quali la Repubblica portoghese dispone in forza della direttiva 77/799, sarebbero insufficienti per conseguire il medesimo obiettivo.

54      Tuttavia, come già dichiarato dalla Corte, la giurisprudenza vertente su restrizioni all’esercizio delle libertà di circolazione in seno all’Unione non può essere integralmente applicata ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, in quanto tali movimenti si collocano in un contesto giuridico diverso (v. citate sentenze A, punto 60, e Commissione/Italia, punto 69).

55      Nella fattispecie, occorre anzitutto rilevare che il quadro di cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri stabilito dalla direttiva 77/799, nonché dalla direttiva 2008/55, nei limiti in cui quest’ultima possa rilevare nella fattispecie, non esiste tra queste ultime e le autorità competenti di uno Stato terzo qualora quest’ultimo non abbia assunto alcun impegno di mutua assistenza.

56      Al riguardo la Commissione, limitandosi, nella risposta alle osservazioni presentate dal governo spagnolo nella sua memoria di intervento prodotta a sostegno delle conclusioni della Repubblica portoghese, a constatare in via assai generale l’esistenza delle convenzioni che vincolano quest’ultima agli Stati appartenenti al SEE e non membri dell’Unione, non ha dimostrato che dette convenzioni comporterebbero effettivamente meccanismi di scambio di informazioni sufficienti per verificare e controllare le dichiarazioni presentate dai soggetti d’imposta residenti nei detti Stati.

57      In tali condizioni, occorre considerare che l’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale, nei limiti in cui riguarda i contribuenti residenti in Stati parti dell’Accordo SEE e non membri dell’Unione, non eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e di lotta all’evasione fiscale.

58      Il ricorso dev’essere pertanto respinto nella parte in cui verte sull’inottemperanza, da parte della Repubblica portoghese, agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 40 dell’Accordo SEE.

–       Sull’inottemperanza all’art. 18 CE

59      La Commissione chiede inoltre alla Corte di dichiarare che la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 18 CE.

60      Poiché le disposizioni del Trattato riguardanti la libera circolazione dei capitali ostano alla normativa controversa, non è necessario esaminare separatamente la detta normativa alla luce dell’art. 18 CE, relativo alla libera circolazione delle persone (v., analogamente, sentenza 26 ottobre 2006, causa C-345/05, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-10633, punto 45).

61      Deriva dall’insieme dei considerazioni che precedono che si deve constatare che la Repubblica portoghese, avendo adottato e mantenuto in vigore l’art. 130 del CIRS, il quale impone ai contribuenti non residenti di designare un rappresentante fiscale in Portogallo, qualora percepiscano redditi per i quali è richiesta la presentazione di una dichiarazione fiscale, non ha adempiuto agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 56 CE.

 Sulle spese

62      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 69, n. 3, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

63      Nella presente controversia occorre tener conto del fatto che talune censure della Commissione, vertenti, da una parte, sulle prescrizioni di cui all’art. 56 CE per quanto riguarda i contribuenti che percepiscono esclusivamente redditi soggetti ad un prelievo liberatorio e, dall’altra, su quelle derivanti dall’accordo SEE, non sono state accolte.

64      Occorre quindi condannare la Repubblica portoghese ai tre quarti della totalità delle spese. La Commissione è condannata a sopportare il restante quarto.

65      Ai sensi dell’art. 69, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, lo Stato membro intervenuto nella causa sostiene le proprie spese. Il Regno di Spagna sopporterà, conseguentemente, le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La Repubblica portoghese, avendo adottato e mantenuto in vigore l’art. 130 del codice dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Singulares), il quale impone ai contribuenti non residenti di designare un rappresentante fiscale in Portogallo, qualora percepiscano redditi per i quali è richiesta la presentazione di una dichiarazione fiscale, non ha adempiuto agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 56 CE.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Repubblica portoghese è condannata a sopportare i tre quarti della totalità delle spese. La Commissione europea è condannata a sopportare il restante quarto.

4)      Il Regno di Spagna sopporterà le proprie spese.

Firme


*Lingua processuale: il portoghese.