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ORDINANZA DELLA CORTE (Settima Sezione)

7 luglio 2010 (*)

«Art. 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura – Sesta direttiva IVA – Ambito di applicazione – Esenzioni dall’IVA – Art. 13, parte B, lett. d), punto 1 – Concessione, negoziazione e gestione di crediti – Prestiti ad usura – Attività illecita ai sensi della normativa nazionale»

Nel procedimento C-381/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Corte suprema di cassazione, con decisione 30 marzo 2009, pervenuta in cancelleria il 25 settembre 2009, nella causa

Gennaro Curia

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze

Agenzia delle Entrate,

LA CORTE (Settima Sezione),

composta dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, nonché dai sigg. G. Arestis e T. von Danwitz (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. R. Grass

intendendo statuire con ordinanza motivata in conformità dell’art. 104, n. 3, primo comma, del suo regolamento di procedura,

sentito l’avvocato generale,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «Sesta direttiva»).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il sig. Curia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze nonché l’Agenzia delle Entrate in ordine ad un avviso di rettifica dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») emesso, per l’anno 1994, nei confronti del sig. Curia e concernente redditi derivanti da attività di prestito ad usura.

 Contesto normativo

 La normativa dell’Unione

3        A norma dell’art. 2, n. 1, della Sesta direttiva, sono soggette all’IVA «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale».

4        L’art. 13, parte B, lett. d), della Sesta direttiva, dispone quanto segue:

«Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni sotto elencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:

(…)

d)      le operazioni seguenti:

1.      la concessione e la negoziazione di crediti nonché la gestione di crediti da parte di chi li ha concessi;

(…)».

 La normativa nazionale

5        L’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che istituisce e disciplina l’imposta sul valore aggiunto (Supplemento ordinario alla GURI n. 292 dell’11 novembre 1972), come successivamente modificato (in prosieguo: il «decreto n. 633»), così dispone:

«L’[IVA] si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate».

6        Ai sensi dell’art. 3, secondo comma, punto 3, di tale decreto, costituiscono prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, «i prestiti di denaro e di titoli non rappresentativi di merci, comprese le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro-soluto, di crediti, cambiali o assegni».

7        L’art. 10, primo comma, punto 1, del citato decreto dispone che sono esenti dall’IVA, in particolare, «le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento».

8        L’art. 14, n. 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Supplemento ordinario alla GURI n. 303 del 28 dicembre 1993; in prosieguo: la «legge n. 537»), stabilisce quanto segue:

«Nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria».

 Causa principale e questione pregiudiziale

9        L’ufficio di Rossano dell’Agenzia delle Entrate ha emesso nei confronti del sig. Curia un avviso di rettifica relativo all’IVA dovuta per l’anno di imposta 1994. Tale avviso accerta l’omessa dichiarazione di corrispettivi per un imponibile di ITL 629 220 964, cui consegue un debito d’imposta di ITL 96 844 000, oltre a sanzioni e interessi, per un ammontare complessivo dovuto pari a ITL 255 690 000.

10      Gli importi non dichiarati dal sig. Curia ai fini dell’IVA provenivano da attività di prestito ad usura, considerate illecite ai sensi del codice penale. A seguito di tali attività il sig. Curia è stato condannato nel 2002 a quattro anni di detenzione per usura.

11      Il sig. Curia ha presentato un ricorso avverso l’avviso di rettifica, assumendo che le somme non dichiarate non provenivano dalla sua attività commerciale e che esse erano comunque esenti dall’IVA, al pari delle operazioni finanziarie previste dall’art. 10, primo comma, punto 1, del decreto n. 633.

12      A seguito del rigetto di tale ricorso, il sig. Curia ricorreva in appello avverso tale decisione. La Commissione tributaria regionale della Calabria ha respinto tale appello. Essa ha affermato, in particolare, che i proventi di attività illecite non potevano essere equiparati a quelli delle attività finanziarie previste all’art. 10 del decreto n. 633, sicché tanto l’ufficio finanziario che il giudice di primo grado avevano giustamente ritenuto tutte le poste positive bancarie quali ricavi non dichiarati da attività d’impresa assoggettabili ad imposta.

13      Il sig. Curia ha impugnato dinanzi alla Corte suprema di cassazione la sentenza d’appello, reiterando che gli interessi percepiti sui prestiti ad usura erano compresi nell’esenzione dall’IVA prevista dall’art. 10, primo comma, punto 1, del decreto n. 633. Tale conclusione sarebbe confermata dall’art. 14, n. 4, della legge n. 537, il quale prevede lo stesso trattamento per proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come operazioni lecite o illecite.

14      Il giudice del rinvio considera che le censure mosse dal ricorrente nella causa principale in ordine alla contraddittorietà tra, da un lato, la qualificazione di prestito ad usura come operazione assoggettata all’IVA e, dall’altro, l’interpretazione della portata dell’esenzione dall’IVA prevista dall’art. 10, primo comma, punto 1, del decreto n. 633, non sono prive di fondamento. Tale giudice rileva in particolare che non si può escludere che il prestito ad usura, qualificabile come attività illecita, sia in concorrenza con la «corrispondente» attività lecita di concessione di prestiti in denaro.

15      La Corte suprema di cassazione ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, secondo i principi del diritto comunitario, stabiliti dalla Sesta direttiva, della neutralità dell’IVA e dell’esonero dall’imposta, alle condizioni stabilite dagli Stati membri, delle operazioni di concessione e negoziazione di crediti nonché di gestione di crediti da parte di chi li ha concessi, possano essere assoggettate all’imposta le attività di prestito ad usura, costituenti nell’ordinamento nazionale illecito penale, in ordine alle quali sono configurabili, sul piano economico, forme di concorrenza con le corrispondenti attività lecite di concessione di prestiti in denaro, comprese dalla legislazione nazionale nel campo di applicazione dell’IVA, ma dalla stessa legislazione nazionale dichiarate esenti quando possano considerarsi “operazioni di finanziamento”».

 Sulla questione pregiudiziale

16      Ai sensi dell’art. 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, qualora la risposta ad una questione pregiudiziale possa essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

17      Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza se, da un lato, l’attività di prestito ad usura, costituente nell’ordinamento nazionale illecito penale, rientri, nonostante la sua natura illecita, nell’ambito di applicazione della Sesta direttiva e se, dall’altro, uno Stato membro possa assoggettare tale attività all’IVA qualora l’attività di concessione di crediti a tassi non eccessivamente elevati sia esente da tale imposta.

18      Per giurisprudenza consolidata, il principio di neutralità fiscale non consente, in materia di riscossione dell’IVA, una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite. Ne deriva che la qualificazione di un comportamento come riprovevole non comporta, di per sé, una deroga all’assoggettamento all’imposta. Una siffatta deroga entra in considerazione solo in situazioni specifiche nelle quali, a causa delle caratteristiche particolari di talune merci o di talune prestazioni, è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito e un settore illecito. In questa situazione specifica, il non assoggettamento all’IVA non può compromettere il principio della neutralità fiscale (v., in particolare, sentenze 5 luglio 1988, causa 269/86, Mol, Racc. pag. 3627, punto 18; 5 luglio 1988, causa 289/86, Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat, Racc. pag. 3655, punto 20; 29 giugno 1999, causa C-158/98, Coffeeshop «Siberië», Racc. pag. I-3971, punti 14 e 21; 29 giugno 2000, causa C-455/98, Salumets e a., Racc. pag. I-4993, punto 19, nonché 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling, Racc. pag. I-6161, punto 50).

19      Orbene, ciò non si verifica nel caso dei prestiti ad usura come quelli oggetto della causa principale. Infatti, il prestito in denaro costituisce un’attività economica che non è soggetta ad un divieto assoluto. Come emerge dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, solo i prestiti ad usura, concessi quindi dietro pagamento di interessi eccessivamente elevati, sono vietati secondo il diritto italiano. La circostanza che, nel caso di un prestito ad usura, gli interessi dovuti dal beneficiario e, quindi, il prezzo pagato per la prestazione fornita siano eccessivamente elevati non incide in alcun modo sulla natura economica della citata attività e non impedisce che vi sia concorrenza in tale settore tra i prestiti ad usura illeciti e i crediti leciti, a tassi di mercato normali. La rilevanza del corrispettivo pagato dal destinatario della prestazione di servizi di cui trattasi non consente di assimilare tale prestazione allo spaccio di stupefacenti o di moneta falsa. La stessa questione pregiudiziale è basata sulla premessa che non si può escludere, sul piano economico, che l’attività di prestito ad usura sia in concorrenza con le corrispondenti attività lecite di concessione di prestiti in denaro.

20      Pertanto, l’attività di prestito ad usura rientra nell’ambito di applicazione della Sesta direttiva.

21      Per quanto riguarda, inoltre, l’applicazione dell’esenzione dall’IVA prevista all’art. 13, parte B, lett. d), punto 1, della Sesta direttiva relativa, segnatamente, alla concessione di crediti, occorre rilevare che tale disposizione, in conformità al principio della neutralità fiscale su cui si fonda la Sesta direttiva, non delinea alcuna distinzione fra crediti leciti e crediti illeciti (v., in tal senso, sentenza 2 agosto 1993, causa C-111/92, Lange, Racc. pag. I-4677, punto 19).

22      Inoltre, l’interpretazione dei termini con i quali sono state designate le esenzioni di cui all’art. 13 della Sesta direttiva deve rispettare le prescrizioni derivanti dal principio di neutralità fiscale relativo al sistema comune di IVA (v., in particolare, sentenze 19 novembre 2009, causa C-461/08, Don Bosco Onroerend Goed, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25; 28 gennaio 2010, causa C-473/08, Eulitz, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 27, nonché 25 marzo 2010, causa C-79/09, Commissione/Paesi Bassi, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 49).

23      Atteso che, come rammentato al punto 18 della presente ordinanza, il principio di neutralità fiscale non consente, in materia di riscossione dell’IVA, una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite, gli Stati membri non possono limitare l’esenzione ai soli prestiti leciti (v., in tal senso, sentenze Lange, cit., punto 19, e 11 giugno 1998, causa C-283/95, Fischer, Racc. pag. I-3369, punto 28).

24      Il diniego di esentare un prestito dall’IVA, come previsto dalla Sesta direttiva, laddove sia volto a punire la violazione di una disposizione nazionale che vieta l’applicazione di tassi eccessivamente elevati, perseguirebbe un fine estraneo a quello della Sesta direttiva. Questa soluzione lascia impregiudicata la competenza degli Stati membri a reprimere le trasgressioni delle loro leggi in materia di prestiti ad usura mediante opportune sanzioni, quand’anche comportino conseguenze pecuniarie (v., in tal senso, sentenza Lange, cit., punti 22 e 24).

25      Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la questione sottoposta dichiarando che l’attività di prestito ad usura, costituente nell’ordinamento nazionale illecito penale, rientra, nonostante la sua natura illecita, nell’ambito di applicazione della Sesta direttiva. L’art. 13, parte B, lett. d), punto 1, di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può assoggettare tale attività all’IVA qualora l’attività corrispondente di concessione di prestiti in denaro ad interessi non eccessivamente elevati sia esente da tale imposta.

 Sulle spese

26      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara:

L’attività di prestito ad usura, costituente nell’ordinamento nazionale illecito penale, rientra, nonostante la sua natura illecita, nell’ambito di applicazione della Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme. L’art. 13, parte B, lett. d), punto 1, di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può assoggettare tale attività all’imposta sul valore aggiunto qualora l’attività corrispondente di concessione di prestiti in denaro ad interessi non eccessivamente elevati sia esente da tale imposta.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.