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SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

29 marzo 2012 ( * )

«Fiscalità — IVA — Articolo 4, paragrafo 3, TUE — Sesta direttiva — Articoli 2 e 22 — Estinzione automatica delle procedure pendenti dinanzi al giudice tributario di terzo grado»

Nella causa C-500/10,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria centrale, sezione di Bologna, con decisione del 22 settembre 2010, pervenuta in cancelleria il 19 ottobre 2010, nel procedimento

Ufficio IVA di Piacenza

contro

Belvedere Costruzioni Srl,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra A. Prechal, dal sig. L. Bay Larsen, dalla sig.ra C. Toader e dal sig. E. Jarašiūnas (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 settembre 2011,

considerate le osservazioni presentate:

per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili, avvocato dello Stato;

per la Commissione europea, da E. Traversa e L. Lozano Palacios, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 novembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE e degli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che vede l’Ufficio IVA di Piacenza contrapposto alla Belvedere Costruzioni Srl (in prosieguo: la «Belvedere Costruzioni») con riferimento ad una rettifica dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») relativa all’anno 1982.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3

In forza dell’articolo 2 della sesta direttiva, sono soggette all’IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale, come pure le importazioni di beni.

4

L’articolo 22 della sesta direttiva dispone quanto segue:

«(...)

4.   Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri (…)

(...)

5.   Ogni soggetto passivo deve pagare l’importo netto dell’[IVA] al momento della presentazione della dichiarazione periodica. Gli Stati membri possono tuttavia stabilire un’altra scadenza per il pagamento di questo importo o per la riscossione di acconti provvisori.

(...)

8.   (…) Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi.

(...)».

Il diritto nazionale

5

L’articolo 3, comma 2 bis, del decreto legge n. 40/2010 (GURI n. 71, del 26 marzo 2010), convertito, con modifiche, nella legge n. 73/2010 (GURI n. 120, del 25 maggio 2010; in prosieguo: il «decreto legge n. 40/2010»), reca il testo seguente:

«Al fine di contenere la durata dei processi tributari nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”)], ratificata ai sensi della legge n. 848, del 4 agosto 1955, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo l, della predetta Convenzione, le controversie tributarie pendenti che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio, sono definite con le seguenti modalità:

a)

le controversie tributarie pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale, con esclusione di quelle aventi ad oggetto istanze di rimborso, sono automaticamente definite con decreto assunto dal presidente del collegio o da altro componente delegato. (...)

(…)».

6

La legge n. 73/2010, che ha convertito in legge il decreto legge n. 40/2010, è entrata in vigore il 26 maggio 2010.

7

La Commissione tributaria centrale, che esercitava le funzioni di giudice di ultima istanza in materia tributaria, è stata soppressa dal decreto legislativo n. 545/1992 (GURI n. 9, del 13 gennaio 1993) a decorrere dal 1o aprile 1996. Essa ha proseguito tuttavia la sua attività fino all’esaurimento di tutti i procedimenti dinanzi ad essa pendenti in tale data.

Causa principale e questione pregiudiziale

8

Nella propria dichiarazione annuale IVA relativa all’anno 1982, la Belvedere Costruzioni portava in detrazione un credito IVA di ITL 22264000, indicato come credito risultante dalla dichiarazione relativa al 1981. Il 12 agosto 1985, l’Ufficio IVA di Piacenza, ritenendo che la dichiarazione IVA per il 1981 fosse tardiva e che fosse quindi impossibile detrarre il credito di imposta nell’ambito della dichiarazione IVA relativa al 1982, notificava a tale società un avviso di rettifica.

9

La Belvedere Costruzioni ricorreva avverso tale avviso dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, affermando che il credito d’imposta controverso non derivava dalla differenza fra IVA a debito sulle vendite ed IVA a credito sugli acquisti per operazioni imponibili effettuate nel 1981, costituendo invece parte del credito d’imposta evidenziato nella dichiarazione annuale relativa al 1980. Essa sosteneva che, alla luce della normativa nazionale pertinente, il suo diritto di detrarre tale credito di imposta non era estinto, mentre l’Ufficio IVA di Piacenza asseriva il contrario.

10

La Commissione tributaria di primo grado di Piacenza accoglieva tale ricorso con decisione del 10 ottobre 1986, confermata dalla Commissione tributaria di secondo grado con decisione del 28 maggio 1990, in seguito ad appello proposto da detto Ufficio IVA. Quest’ultimo proponeva quindi ricorso avverso tale decisione dinanzi al giudice del rinvio.

11

Nella decisione di rinvio, la Commissione tributaria centrale, sezione di Bologna, rileva che essa sarebbe tenuta a definire la controversia ai sensi dell’articolo 3, comma 2 bis, lettera a), del decreto legge n. 40/2010, essendo l’Amministrazione finanziaria rimasta totalmente soccombente nei primi due gradi di giudizio, con la conseguenza che la decisione d’appello passerebbe in giudicato e che il credito fiscale rivendicato dall’amministrazione dinanzi ai tre gradi di giurisdizione sarebbe estinto.

12

Tuttavia, detto giudice ritiene che l’applicazione di tale disposizione possa comportare una violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, nonché degli articoli 2 e 22 della sesta direttiva, come interpretati nella sentenza del 17 luglio 2008, Commissione/Italia (C-132/06, Racc. pag. I-5457), di modo che essa osterebbe definitivamente al recupero del credito d’imposta di cui l’amministrazione tributaria chiede espressamente l’accertamento per via giudiziale. Infatti, ciò costituirebbe, a suo avviso, una violazione dell’obbligo incombente allo Stato italiano di garantire la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione europea.

13

Alla luce di ciò, la Commissione tributaria centrale, sezione di Bologna, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 10 (...) CE, ora articolo 4 (...) TUE, e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva (...) ostino ad una normativa dello Stato italiano, contenuta nel comma 2 bis dell’articolo 3 del [decreto legge n. 40/2010], che preclude al Giudice tributario di pronunciarsi sull’esistenza della pretesa tributaria tempestivamente azionata dall’Amministrazione con ricorso in impugnazione di decisione sfavorevole e così sostanzialmente dispone la totale rinuncia al credito IVA controverso, quando questo sia stato ritenuto insussistente in due gradi di giudizio, senza alcun pagamento neppure in misura ridotta del credito controverso da parte del contribuente che beneficia della rinuncia».

Sulla questione pregiudiziale

14

Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione, in materia di IVA, di una disposizione nazionale che prevede l’estinzione automatica dei procedimenti pendenti dinanzi al giudice tributario di terzo grado, allorché tali procedimenti traggono origine da un ricorso proposto in primo grado più di dieci anni prima della data di entrata in vigore di detta disposizione e l’Amministrazione tributaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, con la conseguenza che tale estinzione automatica produce il passaggio in giudicato della decisione di secondo grado, nonché l’estinzione del credito rivendicato dall’Amministrazione.

Sulla ricevibilità

15

Il governo italiano considera tale domanda irricevibile. Il giudice del rinvio è, a suo avviso, venuto meno all’obbligo di fornire alla Corte tutti gli elementi di fatto e di diritto che consentano di comprendere la ragione per cui esso considera che l’articolo 3, comma 2 bis, del decreto legge n. 40/2010 comporti una rinuncia dell’Amministrazione tributaria al suo potere di verifica delle operazioni imponibili. In assenza di un’analisi di tale articolo nella decisione di rinvio, la questione risulterebbe manifestamente astratta e teorica.

16

Al riguardo occorre ricordare che la Corte può dichiarare irricevibile una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale soltanto qualora appaia, in modo manifesto, che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo teorico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze del 15 dicembre 1995, Bosman, C-415/93, Racc. pag. I-4921, punto 61, nonché del 31 marzo 2011, Schröder, C-450/09, Racc. pag. I-2497, punto 17).

17

Per quanto riguarda, più in particolare, le informazioni che devono essere fornite alla Corte nell’ambito di una decisione di rinvio, queste non servono solo a consentire alla Corte di dare soluzioni utili al giudice del rinvio, ma devono anche dare ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. A tal fine, risulta da una giurisprudenza costante che, da un lato, è necessario che il giudice nazionale definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Dall’altro, la decisione di rinvio deve indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice nazionale a interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione ed a ritenere necessaria la presentazione delle questioni pregiudiziali alla Corte (sentenza dell’8 settembre 2009, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, C-42/07, Racc. pag. I-7633, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

18

Nella fattispecie, la decisione di rinvio contiene un’esposizione dei fatti all’origine del procedimento principale e del diritto nazionale rilevante, cioè dell’articolo 3, comma 2 bis, lettera a), del decreto legge n. 40/2010. Essa indica inoltre le ragioni che hanno indotto il giudice del rinvio ad interrogarsi sulla compatibilità di detto articolo con il diritto dell’Unione e a considerare necessario sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte. Lungi dall’essere astratta e di natura teorica, detta questione appare determinante per la soluzione della controversia principale in quanto, secondo l’analisi svolta riguardo a tale disposizione dal giudice del rinvio, ad esso spetterebbe definire la controversia, senza doversi pronunciare sulla fondatezza della decisione dinanzi ad esso contestata.

19

Di conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere dichiarata ricevibile.

Nel merito

20

Come la Corte ha ricordato al punto 37 della citata sentenza Commissione/Italia, dagli articoli 2 e 22 della sesta direttiva e dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE emerge che ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio. A tale riguardo, gli Stati membri sono obbligati ad accertare le dichiarazioni fiscali dei contribuenti, la loro contabilità e gli altri documenti utili, nonché a calcolare e a riscuotere l’imposta dovuta.

21

Nell’ambito del sistema comune dell’IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, a tale riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 38).

22

Tale libertà, tuttavia, è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno Stato membro che nell’insieme di tutti loro. La sesta direttiva deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA, in base al quale gli operatori economici che effettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’IVA. Ogni azione degli Stati membri riguardante la riscossione dell’IVA deve rispettare questo principio (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 39).

23

Tuttavia, in primo luogo, l’obbligo di garantire l’efficace riscossione delle risorse dell’Unione non può contrastare con il rispetto del principio del termine ragionevole di un giudizio il quale, in forza dell’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si impone agli Stati membri quando attuano il diritto dell’Unione e la cui tutela si impone anche in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU.

24

Nella fattispecie, occorre sottolineare che l’articolo 3, comma 2 bis, lettera a), del decreto legge n. 40/2010 prevede l’estinzione dei soli procedimenti in materia tributaria la cui durata, a decorrere dalla proposizione del ricorso in primo grado, sia superiore a dieci anni alla data di entrata in vigore di detta disposizione, e che esso persegue l’obiettivo, come risulta dalla sua stessa formulazione, di rimediare alla violazione dell’osservanza del termine ragionevole prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Dalle osservazioni trasmesse alla Corte risulta peraltro che l’articolo 3, comma 2 bis, del decreto legge n. 40/2010 è entrato in vigore più di quattordici anni dopo il termine di decadenza entro il quale potevano essere depositati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria centrale, cosicché tutti i procedimenti ancora pendenti dinanzi a detta giurisdizione hanno, di fatto, raggiunto una durata superiore a quattordici anni.

25

I fatti della causa principale, che risalgono ad una trentina di anni fa, attestano che la durata di alcuni di questi procedimenti ha persino raggiunto un numero di anni considerevolmente più elevato. Orbene, una tale durata della procedura è a priori idonea a pregiudicare, di per sé, l’osservanza del principio del termine ragionevole nonché, d’altra parte, l’obbligo di garantire la riscossione efficace delle risorse proprie dell’Unione.

26

In secondo luogo, tale misura non risulta paragonabile a quelle di cui trattavasi nella controversia sfociata nella citata sentenza Commissione/Italia. Infatti, come osserva l’Avvocato generale ai paragrafi 36 e 37 delle sue conclusioni, le misure di cui trattavasi in tale controversia erano intervenute pochissimo tempo dopo la scadenza dei termini assegnati per il pagamento degli importi dell’IVA normalmente dovuti, e consentivano così ai soggetti passivi interessati di sfuggire a qualsiasi controllo dell’Amministrazione tributaria. La Corte ha dichiarato che esse costituivano una rinuncia generale ed indifferenziata alla verifica delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d’imposta. Orbene, deriva da quanto esposto ai punti 24 e 25 della presente sentenza che la misura contenuta all’articolo 3, comma 2 bis, del decreto legge n. 40/2010 non costituisce una rinuncia generale alla riscossione dell’IVA per un dato periodo, bensì una disposizione eccezionale diretta a far osservare il principio del termine ragionevole, estinguendo le procedure più vecchie pendenti dinanzi al giudice tributario di terzo grado, con la conseguenza che la decisione di secondo grado passa in giudicato.

27

Tale misura, inoltre, per il suo carattere puntuale e limitato, dovuto ai presupposti della sua applicazione, non crea significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d’imposta nel loro insieme e, pertanto, non pregiudica il principio di neutralità fiscale.

28

Occorre quindi rispondere alla questione presentata dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva IVA devono essere interpretati nel senso che essi non ostano all’applicazione, in materia di IVA, di una disposizione nazionale eccezionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che prevede l’estinzione automatica dei procedimenti pendenti dinanzi al giudice tributario di terzo grado, allorché tali procedimenti traggono origine da un ricorso proposto in primo grado più di dieci anni — e, in pratica, più di quattordici anni — prima della data di entrata in vigore di detta disposizione e l’Amministrazione tributaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, con la conseguenza che tale estinzione automatica produce il passaggio in giudicato della decisione di secondo grado, nonché l’estinzione del credito rivendicato dall’Amministrazione tributaria.

Sulle spese

29

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

 

L’articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano all’applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale eccezionale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che prevede l’estinzione automatica dei procedimenti pendenti dinanzi al giudice tributario di terzo grado, allorché tali procedimenti traggono origine da un ricorso proposto in primo grado più di dieci anni — e, in pratica, più di quattordici anni — prima della data di entrata in vigore di detta disposizione e l’Amministrazione tributaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, con la conseguenza che tale estinzione automatica produce il passaggio in giudicato della decisione di secondo grado, nonché l’estinzione del credito rivendicato dall’Amministrazione tributaria.

 

Firme


( * )   Lingua processuale: l’italiano.