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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

26 febbraio 2019 ( *1 )

Indice

 

Contesto normativo

 

Il modello di convenzione fiscale dell’OCSE

 

La direttiva 90/435

 

Le convenzioni volte ad evitare le doppie imposizioni

 

Diritto danese

 

La tassazione dei dividendi

 

Ritenuta alla fonte

 

La normativa applicabile in materia di frode ed illecito

 

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

 

1) Causa C-116/16, T Danmark

 

2) Causa C-117/16, Y Denmark

 

Procedimento dinanzi alla Corte

 

Sulle questioni pregiudiziali

 

Sulle questioni pregiudiziali prime, seconde e terze, nonché sulle quarte questioni, lettere a, b) e c) nei procedimenti principali

 

Sulle questioni pregiudiziali quarte, lettere d) ed e), nonché quinte e ottave nei procedimenti principali

 

Sugli elementi costitutivi di un abuso e sulla relativa prova

 

Sull’onere della prova dell’abuso

 

Sulle questioni pregiudiziali seste, settime, none e decime nei procedimenti principali

 

Sulle spese

«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Regime fiscale comune applicabile alle società capogruppo e controllate di Stati membri diversi – Direttiva 90/435/CEE – Esenzione degli utili distribuiti da società di uno Stato membro a società di altri Stati membri – Beneficiari effettivi degli utili distribuiti – Abuso – Società stabilita in un Stato membro distributrice di dividendi ad una società collegata stabilita in un altro Stato membro, successivamente trasferiti, interamente o quasi, al di fuori del territorio dell’Unione europea – Controllata soggetta all’obbligo di applicazione di ritenuta alla fonte sugli utili»

Nelle cause riunite C-116/16C-117/16,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca), con decisioni del 19 febbraio 2016, pervenute in cancelleria il 25 febbraio seguente, nei procedimenti

Skatteministeriet

contro

T Danmark (C-116/16),

e

Y Denmark Aps (C-117/16),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, J.-C. Bonichot, A. Arabadjiev, T. von Danwitz, C. Toader e F. Biltgen, presidenti di sezione, A. Rosas (relatore), M. Ilešič, L. Bay Larsen, M. Safjan, C.G. Fernlund, C. Vajda e S. Rodin, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: R. Şereş, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 ottobre 2017,

considerate le osservazioni presentate:

per la T Danmark, da A.M. Ottosen e S. Andersen, advokater;

per la Y Denmark Aps, da L.E. Christensen e H.S. Hansen, advokater;

per il governo danese, da C. Thorning, J. Nymann-Lindegren e M.S. Wolff, in qualità di agenti, assistiti da J.S. Horsbøl Jensen, advokat;

per il governo tedesco, da T. Henze e R. Kanitz, in qualità di agenti;

per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. De Socio, avvocato dello Stato;

per il governo lussemburghese, da D. Holderer, in qualità di agente, assistita da P.-E. Partsch e T. Lesage, avocats;

per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman e C.S. Schillemans, in qualità di agenti;

per il governo svedese, da A. Falk, C. Meyer-Seitz, H. Shev, U. Persson e N. Otte Widgren, nonché da F. Bergius, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da W. Roels, R. Lyal e L. Grønfeldt, in qualità di agenti, assistiti da H. Peytz, avocat,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1o marzo 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione della direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 6), come modificata dalla direttiva 2003/123/CE, del Consiglio, del 22 dicembre 2003 (GU 2004, L 7, pag. 41) (in prosieguo: la «direttiva sulle società madri e figlie»), nonché sugli articoli 49, 54 e 63 TFUE.

2

Tali domande sono state proposte nell’ambito di controversie sorte tra lo Skatteministeriet (Ministero delle Imposte, Danimarca) e le società T Danmark e Y Denmark Aps, in merito all’obbligo, incombente alle società medesime, di applicare un’imposta, trattenuta alla fonte, sui dividendi corrisposti a società non-residenti, considerate dall’amministrazione finanziaria quali beneficiari effettivi dei dividendi stessi, con conseguente esclusione, nei loro confronti, del beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte previsto dalla direttiva 90/435.

Contesto normativo

Il modello di convenzione fiscale dell’OCSE

3

Il Consiglio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)] ha adottato, in data 30 luglio 1963, una raccomandazione per l’eliminazione delle doppie imposizioni, invitando i governi dei paesi membri a conformarsi, in occasione della conclusione o della revisione di convenzioni bilaterali, ad un «modello di convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposta sul reddito e sul patrimonio», elaborato dal Comitato per gli Affari fiscali dell’OCSE ed allegato alla raccomandazione stessa (in prosieguo: il «modello di convenzione fiscale dell’OCSE»). Detto modello di convenzione fiscale viene regolarmente riesaminato ed aggiornato; esso è oggetto di commentari approvati dal Consiglio dell’OCSE.

4

I punti da 7 a 10 dei commenti relativi all’articolo 1 del modello di convenzione fiscale de l’OCSE, nel testo risultante dalla modifica intervenuta nel corso del 1977 (in prosieguo: il «modello di convenzione fiscale OCSE del 1977»), a termini del quale la Convenzione si applica alle persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, richiamano l’attenzione sulla possibilità di un uso illecito delle convenzioni stesse, ai fini di evasione fiscale, grazie a costruzioni giuridiche artificiose. Il tenore di detti punti dei commentari sottolinea l’importanza della nozione di «beneficiario effettivo» introdotta, segnatamente, agli articoli 10 (tassazione dei dividendi) e 11 (tassazione degli interessi) del modello di convenzione, nonché della necessità della repressione delle frodi fiscali.

5

L’articolo 10, paragrafi 1 e 2, del modello di Convenzione fiscale dell’OCSE del 1977 così recita:

«1.   I dividendi versati da una società che ha sede in uno Stato a una che ha sede nell’altro Stato sono imponibili in quest’ultimo.

2.   Tuttavia, i dividendi sono imponibili anche nello Stato contraente in cui la società distributrice dei dividendi è residente, conformemente alla legislazione di detto Stato; se il destinatario è il beneficiario effettivo dei dividendi, l’imposta non può peraltro eccedere:

a)

il 5% dell’importo lordo dei dividendi, se il beneficiario effettivo è una società (non di persone) direttamente detentrice quantomeno del 25% del capitale della società distributrice dei dividendi;

b)

il 15% dell’importo lordo dei dividendi, in tutti gli altri casi.»

6

In occasione di una revisione dei commentari avvenuta nel 2003, questi ultimi sono stati integrati da osservazioni relative alle c.d. «società relais» (società interposte), vale a dire società che, sebbene formalmente titolari di redditi, dispongono nella pratica soltanto di poteri del tutto limitati, risultando essere semplici fiduciarie o semplici amministratori agenti per conto delle parti interessate, di modo che esse non devono essere considerate quali beneficiari effettivi di tali redditi. Il punto 12 dei commentari relativi all’articolo 10, nel testo risultante dalla revisione operata nel 2003 prevede, in particolare, che il «termine “beneficiario effettivo” non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì dev’essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della Convenzione, segnatamente per evitare le doppie imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscali». Quanto al successivo punto 12.1 dei commentari, viene ivi precisato che risulterebbe «contrario all’oggetto ed all’obiettivo della Convenzione il fatto che lo Stato della fonte conceda una riduzione o un’esenzione d’imposta ad un residente di uno Stato contraente che agisca, salvo il caso di un rapporto d’agenzia o di altra forma di mandato, quale semplice relais per conto di altro soggetto che sia il beneficiario effettivo del reddito in questione» e che «una società relais non può essere normalmente considerata quale beneficiario effettivo quando, pur essendo titolare di redditi formalmente, disponga nella pratica soltanto di poteri del tutto limitati tanto da risultare un semplice fiduciario o un semplice amministratore agente per conto delle parti interessate».

7

In occasione di un’ulteriore revisione dei commentari avvenuta nel 2014, sono state apportate talune precisazioni in ordine alle nozioni di «beneficiario effettivo» nonché di «società relais». Al punto 10.3 di detti commentari si legge che «esistono vari metodi per affrontare il problema delle società relais e, più in generale, i rischi di elusione fiscale, in particolare per mezzo di specifiche disposizioni anti-abuso nelle convenzioni, di regole generale anti-abuso, di regole volta a far prevalere la sostanza sulla forma nonché delle regole di “sostanza economica”».

La direttiva 90/435

8

I considerando primo e terzo della direttiva 90/435 così recitano:

«considerando che i raggruppamenti di società di Stati membri diversi possono essere necessari per creare nella Comunità condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per assicurare così l’attuazione ed il buon funzionamento del mercato comune; che queste operazioni non debbono essere intralciate da particolari restrizioni, svantaggi e distorsioni derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri; che occorre quindi instaurare per questi raggruppamenti norme fiscali che siano neutre nei riguardi della concorrenza al fine di permettere alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato comune, di accrescere la loro produttività e di rafforzare la loro posizione concorrenziale sul piano internazionale;

(…)

considerando che le attuali disposizioni fiscali che disciplinano le relazioni tra società madri e società figlie di Stati membri diversi variano sensibilmente da uno Stato membro all’altro e sono, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro; che la cooperazione tra società di Stati membri diversi viene perciò penalizzata rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro; che occorre eliminare questa penalizzazione instaurando un regime comune e facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello comunitario».

9

L’articolo 1 della direttiva medesima così dispone:

«1.   Ogni Stato membro applica la presente direttiva:

(…)

alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali.

(…)

2.   La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l’evasione fiscale, la frode fiscale o l’abuso.»

10

Il successivo articolo 2 indica i requisiti relativi alla forma societaria, alla residenza fiscale e all’assoggettamento ad imposta che devono essere soddisfatti per poter beneficiare della direttiva.

11

A termini del successivo articolo 3:

«1.   Ai fini dell’applicazione della presente direttiva:

a)

la qualità di società madre è riconosciuta almeno ad ogni società di uno Stato membro che soddisfi le condizioni di cui all’articolo 2 e che detenga una partecipazione minima del 20% nel capitale di una società di un altro Stato membro che soddisfi le medesime condizioni.

Siffatta qualità è anche riconosciuta, alle stesse condizioni, ad una società di uno Stato membro che detenga nel capitale di una società dello stesso Stato membro una partecipazione minima del 20%, parzialmente o totalmente attraverso una stabile organizzazione della prima società situata in un altro Stato membro.

A decorrere dal 1o gennaio 2009 la percentuale di partecipazione minima è del 10%;

A decorrere dal 1o gennaio 2009 la percentuale di partecipazione minima è del 10%;

b)

si intende per “società controllata” la società nel cui capitale è detenuta la partecipazione indicata alla lettera a)."

2.   In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri hanno la facoltà:

di sostituire, mediante accordo bilaterale, il criterio di partecipazione al capitale con quello dei diritti di voto;

di non applicare la presente direttiva a quelle società di questo Stato membro che non conservano, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, una partecipazione che dia diritto alla qualità di società madre o alle società nelle quali una società di un altro Stato membro non conservi, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, siffatta partecipazione.»

12

Il successivo articolo 4, paragrafo 1, lascia agli Stati membri la scelta tra due sistemi, vale a dire il sistema d’esenzione e quello d’imputazione.

13

Il successivo articolo 5 così dispone:

«Gli utili distribuiti da una società controllata alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte».

Le convenzioni volte ad evitare le doppie imposizioni

14

L’articolo 10, paragrafi 1 e 2, della convenzione conclusa tra il governo del Granducato di Lussemburgo ed il governo del Regno di Danimarca volta ad evitare le doppie imposizioni e a stabilire regole di mutua assistenza amministrativa in materia d’imposte sui redditi e sul patrimonio, firmata a Lussemburgo il 17 novembre 1980 (in prosieguo: la «convenzione fiscale tra il Lussemburgo e il Regno di Danimarca»), ripartisce il potere impositivo tra i due Stati membri in materia di dividendi disponendo quanto segue:

«1.   I dividendi versati da una società che ha sede in uno Stato a una che ha sede nell’altro Stato sono imponibili in quest’ultimo.

2.   Tuttavia, i dividendi sono imponibili anche nello Stato contraente in cui la società distributrice dei dividendi è residente, conformemente alla legislazione di detto Stato; se il destinatario è il beneficiario effettivo dei dividendi, l’imposta non può peraltro eccedere:

a)

il 5% dell’importo lordo dei dividendi, se il beneficiario effettivo è una società (non di persone) direttamente detentrice quantomeno del 25% del capitale della società distributrice dei dividendi;

b)

il 15% dell’importo lordo dei dividendi, in tutti gli altri casi».

15

L’articolo 10, paragrafi 1 e 2, della convenzione conclusa tra il governo del Regno di Danimarca ed il governo della Repubblica di Cipro volta ad evitare le doppie imposizioni in materia d’imposte sui redditi e sui capitali, firmata il 26 maggio 1981, ripartiva il potere impositivo in materia di dividendi disponendo quanto segue:

«1.   I dividendi versati da una società che ha sede in uno Stato a una che ha sede nell’altro Stato sono imponibili in quest’ultimo.

2.   Tuttavia, tali dividendi sono imponibili altresì nello Stato contraente di cui la società distributrice dei dividendi è residente, ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma, se il soggetto percettore dei dividendi medesimi ne è il beneficiario effettivo l’imposta così applicata non può superare:

a)

il 10% dell’importo lordo dei dividendi, se il beneficiario effettivo è una società (non di persone o in accomandita) direttamente detentrice quantomeno del 25% del capitale della società distributrice dei dividendi;

b)

il 15% dell’importo lordo dei dividendi in tutti gli altri casi.»

16

A termini dell’articolo 10, paragrafo 2, della Convenzione tra il governo degli Stati Uniti d’America ed il governo del Regno di Danimarca volta ad evitare le doppie imposizioni e a prevenire l’evasione fiscale in materia d’imposte sui redditi, firmata a Washington il 19 agosto 1999, lo Stato contraente in cui la società distributrice dei dividendi è residente può assoggettare ad imposta i dividendi distribuiti ad una società residente nell’altro Stato che ne sia il «beneficiario effettivo» con l’aliquota del 5% sul loro importo lordo.

17

Non esiste alcuna convenzione fiscale tra le Regno di Danimarca e le Bermuda.

18

Dalle richiamate convenzioni bilaterali emerge che lo Stato della fonte, vale a dire, nei procedimenti principali, il Regno di Danimarca, può tassare i dividendi corrisposti ad una società stabilita in un altro Stato membro, laddove tale società non ne sia il beneficiario effettivo, ad un’aliquota superiore a quella prevista dalle convenzioni medesime. Nessuna di tali convenzioni definisce tuttavia la nozione di «beneficiario effettivo».

Diritto danese

La tassazione dei dividendi

19

L’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della Selskabsskattelov (legge in materia di imposta sulle società) così dispone:

«Sono (…) soggetti ad imposta ai sensi della presente legge le società e le associazioni, segnatamente ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, che abbiano la propria sede all’estero, a condizione che

(…)

c)

percepiscano dividendi ricompresi nell’articolo 16 A, paragrafi 1 e 2, della legge relativa alla determinazione dell’imposta statale sui redditi (…). Sono esclusi dall’imposizione i dividendi derivanti da partecipazioni in società controllate (v. articolo 4 A della legge relativa all’imposizione delle plusvalenze) qualora i dividendi distribuiti dalla controllata godano di un’esenzione o di una riduzione d’imposta in base alle disposizioni della direttiva [90/435] o di una convenzione fiscale conclusa con le Isole Fær Øer, la Groenlandia o lo Stato di cui la società medesima sia residente). Sono parimenti esclusi dall’imposizione i dividendi relativi ad azioni di società collegate (v. articolo 4 B della legge relativa all’imposizione delle plusvalenze) che non siano azioni di controllate qualora la società beneficiaria, appartenente ad un gruppo, sia residente in uno Stato membro dell’Unione/Spazio economico europeo (SEE) ed i dividendi abbiano beneficiato di un’esenzione o di una riduzione d’imposta in base alle disposizioni della direttiva [90/435] o della convenzione fiscale conclusa con lo Stato in questione laddove si sia trattato di azioni di società controllate. Sono parimenti esclusi da imposizione i dividendi percepiti dai titolari di partecipazioni nelle società madri indicate nell’elenco delle società di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva [90/435], ma considerate, ai fini della loro tassazione in Danimarca, quali entità trasparenti. L’applicazione di tale disposizione è subordinata alla condizione che il titolare delle partecipazioni nella società non sia residente in Danimarca».

Ritenuta alla fonte

20

Nel caso d’imponibilità parziale dei dividendi in uscita dal Regno di Danimarca ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge in materia di imposta sulle società, la società danese distributrice dei dividendi è tenuta ad applicare, a norma dell’articolo 65 della Kildeskattelov (legge in materia di ritenuta alla fonte), una ritenuta alla fonte del 28%.

21

L’articolo 65, paragrafi 1 e 5, della legge sulle ritenute alla fonte, nel testo pertinente con riguardo ai fatti oggetto del procedimento principale, così disponeva:

«1.   Con riguardo ad ogni disposizione o decisione di distribuzione ovvero di accredito di dividendi relativi ad azioni o quote sociali di società o di associazioni ecc. di cui all’articolo 1, paragrafo 1, punti 1, 2, 2e e 4 della legge relativa all’imposta sulle società, le società, associazioni ecc. devono procedere ad una ritenuta del 28% sul totale distribuito, salvo quanto diversamente disposto dal paragrafo 4 o dai paragrafi da 5 a 8. [...] L’importo così trattenuto è denominato “imposta sui dividendi”.

(…)

5.   Non si procede a ritenuta d’imposta sui dividendi percepiti da una società residente all’estero corrisposti da una società residente in Danimarca qualora tali dividendi non diano luogo ad imposizione [v. articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge relativa all’imposta sulle società]».

22

Dalle disposizioni dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 2, della legge relativa all’imposta sulle società emerge che l’obbligo fiscale previsto dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge medesima è interamente assolto con il prelievo della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 65 della legge sulle ritenute alla fonte. L’aliquota d’imposta sugli utili ammontava peraltro, nel periodo oggetto del procedimento principale, al 28%.

23

Le società madri danesi beneficiano di un’esenzione dall’imposta sui dividendi percepiti da controllate danesi, conformemente all’articolo 13, paragrafo 1, punto 2, della legge relativa all’imposta sulle società. Emerge peraltro dall’articolo 31, paragrafo 1, punto 2, del Kildeskattebekendtgørelsen (decreto sulle ritenute alla fonte) che, al momento della distribuzione di detti dividendi, la società distributrice danese non è tenuta ad operare la ritenuta alla fonte.

24

Per contro, laddove una società danese sia imponibile con riguardo ai dividendi distribuiti da un’altra società danese, spetta a quest’ultima operare la ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 65, paragrafo 1, della legge sulle ritenute alla fonte.

25

Il Ministero delle Imposte ha riconosciuto, dinanzi al giudice nazionale, segnatamente nell’ambito del procedimento principale C-116/16, che, nel corso del 2011, in violazione delle disposizioni del Trattato FUE, il Regno di Danimarca aveva applicato sui dividendi percepiti da una società di un altro Stato membro, un’imposta di aliquota più elevata rispetto a quella dell’imposta sulle società all’epoca applicabile. Conseguentemente, il Ministero delle Imposte ha ridotto le somme reclamate al 25%, vale a dire ad un’aliquota pari a quella dell’imposta sulle società all’epoca applicabile.

26

La data di esigibilità della ritenuta alla fonte è precisata all’articolo 66, paragrafo 1, secondo periodo, della legge sulle ritenute alla fonte, che così recita:

«La ritenuta alla fonte è esigibile con la distribuzione ovvero con la decisione di distribuzione di un dividendo o di accredito del medesimo e dev’essere versata entro e non oltre il mese successivo, alla scadenza prevista per il versamento, da parte della società, delle imposte applicate alla fonte [dette “A skat”] e del contributo speciale per i lavoratori interessati».

27

Il soggetto distributore dei dividendi è responsabile, nei confronti dello Stato, per il versamento delle somme trattenute.

28

In caso di ritardato versamento delle imposte trattenute alla fonte, il tasso degli interessi di mora è più elevato rispetto a quello previsto in caso di mora nel versamento dell’imposta sulle società da parte di una società danese. Il giudice nazionale fa tuttavia presente che, a seguito di una modifica legislativa con effetto a decorrere dal 1o agosto 2003, gli interessi di mora sono fissati allo stesso tasso, con riguardo sia alle ritenute alla fonte sia all’imposta sulle società.

29

Gli interessi di mora sono a carico del soggetto tenuto ad operare la ritenuta alla fonte. Per una società illimitatamente imponibile in Danimarca, i dividendi imponibili costituiscono uno dei redditi imponibili. È la società distributrice che deve procedere alla ritenuta alla fonte e versarla al Tesoro, oltre agli interessi di mora in caso di ritardato versamento.

30

Conformemente all’articolo 65 C, paragrafo 1, della legge sulle ritenute alla fonte, chiunque versi canoni (royalties) provenienti da fonte danese è tenuto, in linea di principio, ad operare una ritenuta alla fonte, a prescindere dal fatto che il relativo beneficiario sia residente o meno in Danimarca.

La normativa applicabile in materia di frode ed illecito

31

Sino al momento dell’adozione della legge n. 540 del 29 aprile 2015, non esistevano in Danimarca disposizioni legislative generali dirette alla repressione degli abusi. Tuttavia, la giurisprudenza ha elaborato il cosiddetto «criterio sostanziale», in base al quale l’imposizione dev’essere effettuata sulla base di una valutazione specifica dei fatti concreti. Ciò significa, in particolare, che, a seconda delle circostanze, può prescindersi dalle costruzioni fiscali artificiose affinché l’imposizione operi sulla realtà, in virtù del principio della prevalenza della sostanza sulla forma (substance-over-form).

32

Dalle decisioni di rinvio emerge che in ognuno dei procedimenti principali le parti concordano sul fatto che il criterio sostanziale non costituisca una giustificazione sufficiente per poter prescindere dalle costruzioni oggetto dei procedimenti medesimi.

33

Come risulta dalle decisioni di rinvio, la giurisprudenza ha parimenti sviluppato il cosiddetto criterio del «legittimo beneficiario dei redditi» (rette indkomstmodtager), criterio che si base sulle disposizioni fondamentali in materia di imposte sui redditi di cui all’articolo 4 della Statsskatteloven (legge relativa alle imposte statali), per effetto delle quali l’amministrazione finanziaria non è tenuta a riconoscere una separazione artificiale tra l’operazione/attività economica generatrice del reddito e la localizzazione del reddito che ne deriva. Tale criterio mira quindi ad individuare il soggetto che – indipendentemente dalle apparenze formali – costituisce l’effettivo beneficiario di un determinato reddito e, quindi, il soggetto debitore della relativa imposta.

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

34

Nei due procedimenti principali il Ministero delle Imposte contesta le decisioni con cui il Landsskatteret (Commissione tributaria nazionale, Danimarca) ha ritenuto che la T Danmark (causa C-116/16) e la Y Denmark (causa C-117/16) dovessero beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte, prevista dalla direttiva 90/435, con riguardo ai dividendi corrisposti ad entità stabilite in un altro Stato membro.

35

Al fine di poter beneficiare dei vantaggi fiscali previsti dalla direttiva 90/435, l’entità percettrice dei dividendi deve rispondere ai requisiti indicati dalla direttiva medesima. Tuttavia, come precisato dal governo danese nelle proprie osservazioni, può accadere che gruppi di società non rispondenti a tali requisiti creino artificiosamente, tra la società distributrice dei dividendi e l’entità diretta a disporne effettivamente, una o più società, rispondenti ai requisiti formali dettati dalla direttiva de qua. È su costruzioni finanziarie di tal genere che vertono le questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio attinenti all’abuso nonché alla nozione di «beneficiario effettivo».

36

I fatti, quali descritti dal giudice a quo, ed illustrati, nelle decisioni di rinvio, da vari schemi relativi alla struttura dei gruppi di società interessati sono particolarmente complessi e dettagliati. Verranno richiamati unicamente gli elementi necessari per rispondere alle questioni pregiudiziali.

1)   Causa C-116/16, T Danmark

37

Dalla decisione di rinvio emerge che cinque fondi d’investimento, di cui nessuno è una società residente in uno Stato membro ovvero in uno Stato con cui il Regno di Danimarca ha concluso una convenzione fiscale contro le doppie imposizioni, costituivano, nel 2005, un gruppo, composto da varie società, ai fini dell’acquisizione della T Danmark, importante prestatore di servizi danese.

38

Nelle proprie osservazioni, il governo danese ha fatto presente che la causa C-116/16 riguarda lo stesso gruppo di società oggetto della causa C-115/16, relativa alla tassazione d’interessi ed oggetto della sentenza pronunciata in data odierna N Luxembourg 1 e a. (C-115/16, C-118/16, C-119/16 e 299/16).

39

Come esposto dal giudice del rinvio, i fondi d’investimento hanno creato società a Lussemburgo. Una di esse, la N Luxembourg 2, acquisiva, nel corso del 2010, un’importante partecipazione nel capitale della T Danmark, detenendo in tal modo, nel periodo oggetto del procedimento principale, oltre il 50% delle azioni della stessa T Danmark. Le restanti azioni della T Danmark erano detenute da migliaia di singoli azionisti.

40

Su richiesta delle autorità danesi, l’amministrazione finanziaria lussemburghese rilasciava, nella primavera del 2011, un «certificato di residenza», attestante, in particolare, che la N Luxembourg 2 era soggetta all’imposta sui redditi degli enti collettivi ed era beneficiaria effettiva di tutti i dividendi distribuiti in relazione alle quote da essa possedute nella T Danmark ovvero di qualsiasi altro reddito derivato della medesima. Nelle proprie osservazioni il governo danese rileva che detto attestato non specifica i dati di fatto in base ai quali è stato rilasciato.

41

Conformemente alla propria politica in materia di dividendi, la T Danmark distribuiva ai propri azionisti, nell’estate del 2011, dividendi per un importo complessivo pari a circa 1,8 miliardi di corone danesi (DKK) (pari a circa EUR 241,4 milioni). Altri dividendi venivano poi parimenti versati nella primavera del 2012.

42

Nel corso del 2011, la T Danmark rivolgeva alla SKAT (amministrazione finanziaria, Danimarca) una richiesta di risposta vincolante in ordine alla questione se i dividendi da essa distribuiti alla N Luxembourg 2 fossero esenti da imposta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), terzo periodo, della legge relativa all’imposta sulle società sfuggendo, conseguentemente, alla ritenuta alla fonte.

43

Nella richiesta di risposta vincolante si faceva presente che l’importo dei dividendi che sarebbero stati presumibilmente distribuiti alla N Luxembourg 2 nel terzo trimestre del 2011 ammontava a circa 6 miliardi di DKK (circa EUR 805 milioni). Veniva inoltre precisato che la N Luxembourg 2 costituiva un’entità autonoma dotata di una propria direzione e di autonomia decisionale, non potendosi tuttavia evidentemente conoscere anticipatamente e con certezza la destinazione che di tali dividendi sarebbe stata stabilita. Veniva altresì precisato che una parte rilevante degli investitori finali erano residenti negli Stati Uniti.

44

Il Ministero delle Imposte replicava di non poter fornire la risposta richiesta non essendo a conoscenza di come la N Luxembourg 2 avrebbe utilizzato i dividendi corrispostile dalla T Danmark.

45

La T Danmark rispondeva che si poteva considerare assodato, ai fini della risposta vincolante, il fatto che i dividendi sarebbero stati versati dalla T Danmark alla N Luxembourg 2, la quale li avrebbe poi, a sua volta, distribuiti alla propria società madre. Secondo quanto indicato, si poteva presumibilmente ritenere che questa avrebbe distribuito parte di tali somme (a titolo di e/o d’interessi e/o di rimborso di debiti) a società controllate dai singoli fondi d’investimento o dai propri creditori. La T Danmark presumeva parimenti che le somme versate dalla società madre della N Luxembourg 2 a società controllate dai singoli fondi d’investimento o dai suoi creditori sarebbero state poi trasferite agli investitori ultimi dei fondi d’investimento medesimi, sebbene la T Danmark abbia precisato di non essere a conoscenza delle modalità con cui tali trasferimenti sarebbero stati operati, né come sarebbero stati considerati fiscalmente.

46

Lo Skatteråd (Consiglio nazionale delle imposte, Danimarca) rispondeva negativamente alla richiesta di risposta vincolante.

47

La Commissione tributaria nazionale, dinanzi alla quale la T Danmark impugnava tale decisione, riteneva, per contro, che i dividendi da questa distribuiti alla N Luxembourg 2 fossero esenti da imposta, rilevando che un’imponibilità limitata risultava esclusa in base alla direttiva 90/435, non avendo il Regno di Danimarca adottato disposizioni legislative volte ad evitare le frodi e gli abusi, come previsto dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva medesima e non potendo quindi assoggettare a tassazione i dividendi, ai sensi dell’articolo 2 paragarfo 1, lettera c), della legge relativa all’imposta sulle società. Avverso tale decisione della Commissione tributaria nazionale il Ministero delle Imposte proponeva ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria.

48

In tale contesto, l’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a)

Se, affinché uno Stato membro possa invocare l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva [90/435], concernente l’applicazione di disposizioni nazionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi, occorra che lo Stato membro medesimo abbia adottato una disposizione nazionale specifica di attuazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva stessa, o che il diritto nazionale preveda disposizioni o principi generali sulle frodi e gli abusi che possano essere interpretati conformemente al menzionato articolo 1, paragrafo 2.

b)

In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge sull’imposta sulle società, secondo il quale “l’esenzione dei dividendi dall’imposta costituisce una condizione preliminare ai sensi della direttiva del Consiglio 90/435 (…)”, possa essere considerato quale disposizione nazionale specifica ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva medesima.

2)

Se una disposizione di una convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra due Stati membri e redatta secondo il [modello di convenzione fiscale dell’OCSE], in base alla quale la tassazione dei dividendi distribuiti sia subordinata al fatto che il soggetto percettore ne sia considerato il beneficiario effettivo, costituisca una disposizione convenzionale contro gli abusi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della [direttiva 90/435].

3)

Qualora la Corte risponda affermativamente alla seconda questione, se spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di “beneficiario effettivo” oppure se, nell’applicare la direttiva 90/435, tale nozione debba essere interpretata nel senso che occorra attribuirle un significato proprio secondo il diritto dell’Unione, soggetto al controllo della Corte di giustizia.

4)

a)

Nel caso in cui la Corte dovesse rispondere alla seconda questione in senso affermativo ed alla terza questione nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di “beneficiario effettivo”, se tale nozione debba essere interpretata nel senso che una società residente in uno Stato membro che, in circostanze come quelle di specie, percepisca dividendi da una società controllata residente in un altro Stato membro, costituisca il “beneficiario effettivo” dei dividendi medesimi, nel senso che detta nozione debba essere interpretata secondo il diritto dell’Unione.

b)

Se la nozione di “beneficiario effettivo” debba essere interpretata conformemente alla corrispondente nozione accolta nell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU 2003, L 157, pag. 49), in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva stessa.

c)

Se tale nozione debba essere interpretata esclusivamente alla luce dei commentari all’articolo 10 del [modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977] (punto 12), ovvero se nell’interpretazione possa tenersi conto dei commentari successivi, segnatamente quelli effettuati nel 2003 con riguardo alle “società interposte”, nonché quelli effettuati nel 2014 con riguardo agli “obblighi contrattuali o legali”.

d)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato quale “beneficiario effettivo”, quale rilevanza debba essere attribuita al fatto che il percettore medesimo sia tenuto a trasferire tali dividendi a terzi in forza di un obbligo contrattuale o legale.

e)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato quale «beneficiario effettivo», quale rilevanza debba essere attribuita al fatto che il giudice del rinvio, dopo avere accertato i fatti di causa, concluda che “fondamentalmente” il percettore – senza essere tenuto in forza di un obbligo contrattuale o legale a trasferire a terzi i dividendi percepiti – non avesse il “pieno” diritto di “utilizzo e fruizione” dei dividendi stessi, ai sensi dei commentari del 2014 al [modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977].

5)

Qualora si presuma nel caso di specie

che esistano “disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi” (v. articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435),

che la società A, residente in uno Stato membro, abbia versato dividendi alla sua società madre B, residente in un altro Stato membro, che li abbia poi trasferiti alla propria società madre C, residente al di fuori dell’Unione europea o del [SEE], e che a sua volta li abbia trasferiti alla propria società madre D, anch’essa residente al di fuori dell’Unione o del [SEE],

che non sia stata stipulata nessuna convenzione sulle doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società C,

che sia stata stipulata una convenzione sulle doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società D, e

che il primo Stato, ai sensi della propria legislazione, non possa esigere una ritenuta alla fonte sui dividendi versati dalla società A alla società D, nel caso in cui la società D detenesse direttamente la società A

se sussista, in tal caso, un abuso ai sensi della direttiva, con la conseguenza che la società B non possa avvalersi della protezione conferita dalla direttiva medesima

6)

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata), se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, osti a una normativa in base alla quale quest’ultimo Stato membro assoggetti ad imposta i dividendi della società madre residente nell’altro Stato membro, laddove lo Stato membro in questione consideri, in circostanze altrimenti simili, le società madri residenti esenti dall’imposta sui dividendi medesimi.

7)

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata) e che quest’ultimo Stato consideri che la società madre sia parzialmente imponibile relativamente a tali dividendi nello Stato membro medesimo, se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, osti a una normativa per effetto della quale quest’ultimo Stato membro imponga alla società tenuta ad applicare la ritenuta alla fonte (società controllata) il pagamento, in caso di versamento tardivo della ritenuta medesima, di interessi moratori ad un tasso più elevato rispetto a quello applicato dallo Stato membro stesso ai crediti relativi all’imposta sulle società nei confronti di una società residente nel medesimo Stato membro.

8)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione e di risposta alla terza questione nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di “beneficiario effettivo”, e, di conseguenza, una società (società madre) residente in uno Stato membro non possa essere considerata, di fatto, esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata), se quest’ultimo Stato membro sia dunque tenuto, ai sensi della direttiva 90/435 o dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, a dichiarare quale sia il beneficiario effettivo.

9)

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata), se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE (e/o l’articolo 63 TFUE), separatamente o congiuntamente, osti a una normativa per effetto della quale:

l’ultimo Stato membro imponga alla società controllata l’applicazione della ritenuta alla fonte sui dividendi attribuendole la responsabilità nei confronti dell’amministrazione per omessa applicazione della ritenuta alla fonte, laddove l’obbligo di applicazione della ritenuta alla fonte non sussista nell’ipotesi in cui la società madre sia residente nello Stato membro medesimo.

l’ultimo Stato membro calcoli gli interessi moratori sulla ritenuta alla fonte dovuta.

Si chiede alla Corte di giustizia di tener conto, nella risposta alla nona questione, della risposta alle questioni sesta e settima.

10)

In una situazione in cui:

una società residente in uno Stato membro (società madre) soddisfi il requisito di cui alla direttiva 90/435 di detenere (nel 2011) una partecipazione pari quantomeno al 10% del capitale di una società (società controllata) residente in un altro Stato membro,

debba ritenersi che, di fatto, la società madre non possa beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi distribuiti dalla società controllata,

l’azionista (o gli azionisti) (diretti o indiretti) della società madre, residenti in un paese terzo, siano considerati i beneficiari effettivi dei dividendi medesimi,

l’azionista (o gli azionisti) in questione (diretti o indiretti) soddisfino parimenti detto requisito di partecipazione al capitale,

se le disposizioni dell’articolo 63 TFUE ostino a una normativa per effetto della quale lo Stato membro di residenza della società controllata assoggetti ad imposta i dividendi in questione, quando detto Stato membro consideri che le società residenti che soddisfino i requisiti di partecipazione al capitale di cui alla direttiva 90/435, ossia che nell’esercizio fiscale 2011 esse detenessero una partecipazione pari ad almeno il 10% del capitale sociale della società distributrice dei dividendi, siano esenti da imposta sui dividendi medesimi.»

2)   Causa C-117/16, Y Denmark

49

Come risulta dalla decisione di rinvio, la Y Inc., stabilita negli Stati Uniti (in prosieguo: la «Y USA») e società appartenente al gruppo Y, è quotata in borsa. Le sue controllate stabilite all’estero sono detenute tramite la Y Global Ltd, con sede alle Bermuda (in prosieguo: la «Y Bermuda»), la cui unica attività, al di là del possesso delle partecipazioni nelle proprie controllate, consiste nella detenzione dei diritti di proprietà intellettuale sui prodotti del gruppo. La sua gestione amministrativa è affidata ad una società di gestione indipendente.

50

La Y Denmark, costituita nel 2000 in Danimarca dalla Y USA e sempre provvista di una ventina di dipendenti, svolge attività di vendita e di supporto, rendendone conto alla Y BV, società stabilita nei Paesi Bassi (in prosieguo: la «Y Holland»), su cui grava la responsabilità operativa delle vendite del gruppo al di fuori degli Stati Uniti, del Canada e del Messico. La Y Denmark è parimenti la società madre per la parte europea del gruppo Y.

51

A seguito dell’adozione, negli Stati Uniti, dell’American Jobs Creation Act of 2004 (legge del 2004 sulla creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti), le società stabilite negli Stati Uniti hanno beneficiato della facoltà temporanea di rimpatrio dei dividendi delle controllate straniere a condizioni particolarmente vantaggiose a fronte dell’impegno di utilizzarne il prodotto a fini specifici agli Stati Uniti, in particolare a fini di ricerca e di sviluppo. In tale contesto, la Y USA decideva di rimpatriare la maggior quantità di dividendi possibile dalla Y Bermuda nel corso dell’esercizio intercorrente dal 1o maggio 2005 al 30 aprile 2006. Il contributo totale proveniente, segnatamente, da dividendi versati dalle controllate della Y Bermuda veniva fissato in 550 milioni di dollari statunitensi (USD) (pari a circa EUR 450,82 milioni).

52

Prima di procedere a tale distribuzione, la parte europea del gruppo Y era oggetto di ristrutturazione, nell’ambito della quale, in data 9 maggio 2005, la Y Bermuda costituiva a Cipro la società Y Cyprus, con capitale sociale iniziale di 20000 USD (pari a circa EUR 16400), di cui 2000 USD (pari a circa EUR 1640) liberati all’atto della costituzione. Con atto del 16 settembre 2005, la Y Bermuda cedeva alla Y Cyprus, per EUR 90 milioni, la partecipazione detenuta nella Y Denmark. Il pagamento del prezzo aveva luogo per mezzo di riconoscimento di debito.

53

Come emerge dalla decisione di rinvio, la Y Cyprus è una cosiddetta società di portafoglio (holding) che esercita parimenti talune attività di gestione di tesoreria, quali i finanziamenti alle controllate. Dalle relazioni di accompagnamento ai bilanci della società medesima relativi agli esercizi 2005-2006 e 2006-2007 risulta che la sua attività principale è consistita nella gestione delle partecipazioni. Essa ha inoltre provveduto al versamento dei gettoni di presenza rispettivamente pari a 571 USD (circa EUR 468) e 915 USD (circa EUR 750). Dai bilanci emerge che la società, in assenza di risultato fiscale attivo, non ha versato imposte.

54

Il giudice del rinvio precisa che, in data 26 settembre 2005, la Y Holland decideva di distribuire alla Y Denmark, per l’esercizio 2004-2005, un dividendo di EUR 76 milioni. Detto dividendo veniva versato alla Y Denmark il 25 ottobre 2005. Il 28 settembre 2005, l’assemblea generale dei soci della Y Denmark approvava, con riguardo alla stesso esercizio contabile, la distribuzione di un dividendo alla Y Cyprus anch’esso pari a EUR 76 milioni, il quale veniva versato alla Y Cyprus il 27 ottobre 2005. Il 28 ottobre seguente la Y Cyprus trasferiva la stessa somma alla Y Bermuda a titolo di rimborso parziale del finanziamento concesso in occasione dell’acquisizione della Y Denmark.

55

In data 21 ottobre 2005 la Y Cyprus costituiva una società nei Paesi Bassi, denominata Y Holding BV. Con atto del 25 ottobre seguente la Y Denmark cedeva la propria partecipazione nella Y Holland alla Y Holding per EUR 14 milioni.

56

Il 3 aprile 2006, la Y Bermuda distribuiva un dividendo di 550 milioni USD (pari a circa EUR 450,82 milioni) alla Y USA. Il versamento di tale dividendo veniva finanziato con fondi propri e con un mutuo bancario.

57

Il 13 ottobre 2006, l’assemblea generale dei soci della Y Denmark approvava la distribuzione alla Y Cyprus di un dividendo per l’esercizio 2005-2006 pari a 92012000 DKK (circa EUR 12,3 milioni). La Y Denmark precisava che tale somma (quale dividendo in via di distribuzione) faceva parte del dividendo totale di 550 milioni USD (circa EUR 450,82 milioni) che Y Bermuda aveva distribuito alla 3 aprile 2006, cosa che il Ministero delle imposte contestava in assenza di documenti giustificativi. Nel corso del 2010 la Y Denmark trasferiva alla Y Cyprus la somma di 92012000 DKK (pari a circa EUR 12,3 milioni).

58

A parere del giudice del rinvio, la questione principale che si pone nella specie è se, con riguardo ai dividendi de quibus, la Y Cyprus sia limitatamente imponibile in Danimarca. In base alla normativa nazionale, in linea di principio, una società madre estera non è limitatamente imponibile in Danimarca in relazione a dividendi percepiti. L’esenzione dei dividendi o la loro imponibilità ridotta è tuttavia subordinata all’applicabilità della direttiva 90/435 ovvero di una convenzione volta ad evitare le doppie imposizioni. Orbene, la maggior parte delle convenzioni fiscali concluse dal Regno di Danimarca subordinano l’esenzione o l’imponibilità ridotta alla condizione che l’entità percettrice dei dividendi ne sia il «beneficiario effettivo» (retmæssig ejer). La direttiva 90/435 non prevede una condizione equivalente.

59

A parere dello SKAT, la Y Cyprus è limitatamente imponibile in Danimarca con riguardo ai dividendi in questione, non potendo la società medesima essere considerata quale beneficiario effettivo dei dividendi stessi ai sensi della convenzione fiscale esistente tra il Regno di Danimarca e la Repubblica di Cipro. Parimenti, essa non ricadrebbe nella sfera d’applicazione delle disposizioni della direttiva 90/435 relative all’esenzione dalla ritenuta alla fonte.

60

Con decisione del 17 settembre 2010, lo SKAT riteneva che la Y Denmark avrebbe dovuto procedere ad una ritenuta alla fonte sui due versamenti effettuati nel corso degli anni 2005 e 2006 a favore della propria società madre, la Y Cyprus, e che la Y Denmark doveva essere considerata responsabile per il versamento delle ritenute medesime.

61

Avverso tale decisione veniva proposto reclamo dinanzi alla Commissione tributaria nazionale. In data 16 dicembre 2011, quest’ultima rilevava, in linea con lo SKAT, che la Y Cyprus non era il beneficiario effettivo dei dividendi ai sensi della convenzione fiscale conclusa tra il Regno di Danimarca e la Repubblica di Cipro, accogliendo peraltro il motivo dedotto dalla Y Denmark secondo cui la ritenuta alla fonte non doveva essere operata, dovendo la Y Cyprus beneficiare delle norme in materia di esenzione previste dalla direttiva 90/435.

62

Il Ministero delle imposte impugnava la decisione della Commissione tributaria nazionale dinanzi al giudice a quo.

63

Nella decisione di rinvio pregiudiziale, il giudice a quo rileva che è pacifico inter partes che il cosiddetto principio della «effettività» non consente di negare le costruzioni realizzate nella specie e che, in base al diritto danese, la società percettrice dei dividendi, vale a dire la Y Cyprus, costituisce il beneficiario legittimo dei redditi.

64

Ciò premesso, l’Østre Landsret (Corte d’appello regionale dell’Est) decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a)

Se, affinché lo Stato membro possa invocare l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva [90/435], concernente l’applicazione di disposizioni nazionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi, occorra che lo Stato membro in questione abbia adottato una disposizione nazionale specifica di attuazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, o che il diritto nazionale preveda disposizioni o principi generali sulle frodi e gli abusi che possano essere interpretati conformemente al menzionato articolo 1, paragrafo 2.

b)

In caso di risposta affermativa alla prima questione, lettera a), se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge danese sull’imposta sulle società, secondo il quale “l’esenzione dei dividendi dall’imposta costituisce una condizione preliminare ai sensi della direttiva 90/435 (…)”, possa essere considerato quale disposizione nazionale specifica ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva medesima.

2)

a)

Se una disposizione di una convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra due Stati membri e redatta secondo il [modello di convenzione fiscale dell’OCSE], in base alla quale la tassazione dei dividendi distribuiti sia subordinata al fatto che il soggetto percettore ne sia considerato il beneficiario effettivo, costituisca una disposizione convenzionale contro gli abusi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva.

b)

In caso di risposta affermativa, se il termine “convenzionali” di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 debba essere interpretato nel senso che esso presuppone che uno Stato membro possa invocare, in base al proprio diritto interno, la convenzione sulle doppie imposizioni a detrimento del contribuente.

3)

In caso di risposta affermativa della Corte alla seconda questione, lettera a), se spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di “beneficiario effettivo” oppure se, nell’applicare la direttiva 90/435, tale nozione debba essere interpretata nel senso che occorra attribuirle un significato proprio secondo il diritto dell’Unione e soggetto al controllo della Corte.

4)

a)

Qualora la Corte risponda affermativamente alla seconda questione, lettera a) e risponda alla terza questione nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di “beneficiario effettivo”, se tale nozione debba essere interpretata nel senso che una società residente in uno Stato membro che, in circostanze come quelle del caso di specie, percepisca dividendi da una società controllata residente in un altro Stato membro, sia il “beneficiario effettivo” dei dividendi stessi, nel senso che detta nozione debba essere interpretata secondo il diritto dell’Unione.

b)

Se la nozione di “beneficiario effettivo” debba essere interpretata conformemente alla nozione corrispondente accolta all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva [2003/49], in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 4, della stessa.

c)

Se tale nozione debba essere interpretata prendendo esclusivamente in considerazione i commentari all’articolo 10 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977 (punto 12), o se si possano prendere in considerazione nell’interpretazione i commentari successivi, segnatamente quelli effettuati nel 2003 con riguardo alle “società interposte”, nonché quelli effettuati nel 2014 con riguardo agli “obblighi contrattuali o legali”.

d)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato il “beneficiario effettivo”, quale incidenza abbia il fatto che il percettore medesimo sia tenuto in forza di un obbligo contrattuale o legale a trasferire tali dividendi ad un terzo.

e)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato il “beneficiario effettivo”, quale incidenza abbia il fatto che il giudice del rinvio, dopo avere accertato i fatti di causa, concluda che “fondamentalmente” il percettore – senza essere tenuto in forza di un’obbligazione contrattuale o legale a trasferire i dividendi percepiti a un terzo – non avesse il “pieno” diritto di “utilizzo e fruizione” dei dividendi, ai sensi dei commentari del 2014 [al modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977].

5)

Qualora si presuma nel caso di specie

che esistano «disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi» (v. articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435);

che la società A, residente in uno Stato membro, abbia versato dividendi alla sua società madre B, residente in un altro Stato membro, che li abbia poi trasferiti alla sua società madre C, residente al di fuori dell’Unione [o del SEE], e che a sua volta li abbia trasferiti alla propria società madre D, anch’essa residente al di fuori dell’Unione o del SEE;

che non sia stata stipulata alcuna convenzione sulle doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società C;

che sia stata stipulata una convenzione sulle doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società D, e

che il primo Stato, ai sensi della sua legislazione, non possa esigere una ritenuta alla fonte sui dividendi versati dalla società A alla società D, nel caso in cui la società D detenesse direttamente la società A,

se sussista, in tal caso, un abuso ai sensi della direttiva, con la conseguenza che la società B non possa avvalersi della protezione conferita dalla direttiva medesima.

6)

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata), se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE (e/o l’articolo 56 CE), osti a una normativa in base alla quale quest’ultimo Stato membro assoggetta a imposta i dividendi della società madre residente nell’altro Stato membro, quando lo Stato membro in questione considera, in circostanze altrimenti simili, che le società madri residenti sono esenti dall’imposta sui dividendi medesimi.

7)

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata) e che quest’ultimo Stato consideri che la società madre sia soggetta a un obbligo fiscale limitato relativamente a tali dividendi in detto Stato membro, se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE (e/o l’articolo 56 CE), osti a una normativa in base alla quale quest’ultimo Stato membro imponga alla società tenuta ad applicare la ritenuta alla fonte (società controllata) il pagamento, in caso di versamento tardivo della ritenuta alla fonte, di interessi moratori aventi un tasso più elevato rispetto a quello applicato da tale Stato membro ai crediti relativi all’imposta sulle società nei confronti di una società residente nel medesimo Stato membro.

8)

Nel caso in cui la Corte risponda affermativamente alla seconda questione, lettera a), e risponda alla terza questione nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di “beneficiario effettivo”, e, di conseguenza, una società (società madre) residente in uno Stato membro non possa essere considerata, di fatto, esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata), se quest’ultimo Stato membro sia dunque tenuto, ai sensi della direttiva 90/435 o dell’articolo 10 CE, a dichiarare quale sia il soggetto che esso consideri beneficiario effettivo.

9)

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società controllata), se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 (e/o, in subordine, l’articolo 56 CE), separatamente o congiuntamente, osti a una normativa in base alla quale:

l’ultimo Stato membro richiede alla società controllata di applicare la ritenuta alla fonte sui dividendi e le attribuisce la responsabilità nei confronti delle autorità per la mancata applicazione della ritenuta alla fonte, quando detto obbligo di applicare la ritenuta alla fonte non sussiste nel caso in cui la società madre sia residente in tale Stato membro.

l’ultimo Stato membro calcola gli interessi moratori sulla ritenuta alla fonte dovuta.

Si chiede alla Corte di giustizia di tener conto, nella risposta alla nona questione, della risposta alle questioni sesta e settima.

10)

In una situazione in cui:

una società residente in uno Stato membro (società madre) soddisfi la condiziona di cui alla direttiva 90/435 relativa alla detenzione (nel 2005 e nel 2006) di una partecipazione di almeno il 20% del capitale di una società (società controllata) residente in un altro Stato membro;

si ritenga che, di fatto, la società madre non possa beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi da essa percepiti dalla società controllata;

l’azionista o gli azionisti (diretti o indiretti) della società madre, residenti in un paese terzo, siano considerati quali beneficiari effettivi dei dividendi in questione;

l’azionista o gli azionisti (diretti o indiretti) summenzionati soddisfino parimenti tale requisito di partecipazione al capitale;

se l’articolo 56 osti ad una normativa per effetto della quale lo Stato membro di residenza della società controllata assoggetti ad imposta i dividendi in questione, quando detto Stato membro consideri che le società residenti che soddisfino i requisiti di partecipazione al capitale di cui alla direttiva 90/435, ossia che negli esercizi fiscali 2005 e 2006 esse detenessero una partecipazione pari ad almeno il 20% del capitale sociale della società distributrice dei dividendi (il 15% nel 2007 e nel 2008, e il 10% successivamente), siano esenti da imposta sui dividendi medesimi.

Procedimento dinanzi alla Corte

65

Alla luce della connessione esistente tra i due procedimenti principali, entrambi vertenti sull’interpretazione della direttiva 90/435 e delle libertà fondamentali sancite dai Trattati, ne va disposta la riunione ai fini della sentenza.

66

Con lettera del 2 marzo 2017, il governo danese chiedeva, ai sensi dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, la rimessione delle cause alla Grande Sezione della Corte. A fronte dell’analogia tra dette cause e le cause C-115/16, C-118/16, C-119/16C-299/16, oggetto della sentenza pronunciata in data odierna, N Luxembourg 1 e a. (C-115/16, C-118/16, C-119/16C-299/16), il governo danese ha peraltro parimenti suggerito alla Corte di disporre, ai sensi dell’articolo 77 del proprio regolamento di procedura, un’udienza di discussione congiunta. La Corte ha accolto la richiesta del governo danese.

Sulle questioni pregiudiziali

67

Le questioni sollevate dal giudice a quo vertono su tre temi. Il primo attiene all’esistenza di un fondamento normativo che consenta ad uno Stato membro di negare, a fronte della realizzazione di un abuso, il beneficio dell’esenzione dall’imposta, previsto dall’articolo 5 della direttiva 90/435, ad una società che abbia distribuito dividendi ad una società di un altro Stato membro di cui essa sia la controllata. Nell’assunto dell’esistenza di tale fondamento normativo, il secondo tema oggetto dei quesiti pregiudiziali verte sugli elementi costitutivi di un eventuale abuso e dei relativi mezzi di prova. Il terzo tema delle questioni, infine, parimenti sollevato nell’ipotesi dell’esistenza della possibilità per uno Stato membro di negare ad una società di tal genere i benefici di cui alla direttiva 90/435, concerne l’interpretazione delle disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali, onde consentire al giudice del rinvio di verificare se la normativa danese violi tali libertà.

Sulle questioni pregiudiziali prime, seconde e terze, nonché sulle quarte questioni, lettere a, b) e c) nei procedimenti principali

68

Con le questioni pregiudiziali prime, seconde, terze nonché quarte, lettere a, b) e c), nei procedimenti principali, il giudice a quo chiede sostanzialmente, in primo luogo, se la repressione delle frodi e degli abusi, contemplata dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 presupponga l’esistenza di una disposizione nazionale o convenzionale anti-abusi ai sensi del medesimo articolo. In secondo luogo, viene chiesto se una convenzione redatta conformemente al modello di convenzione fiscale dell’OCSE e contenente la nozione di «beneficiario effettivo» possa costituire una disposizione convenzionale anti-abusi, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435. In terzo luogo, il giudice del rinvio chiede se detta nozione di «beneficiario effettivo» costituisca una nozione del diritto dell’Unione e debba essere intesa nello stesso senso della nozione di «beneficiario» di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49, potendosi tener conto, ai fini della sua interpretazione, dell’articolo 10 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977. Il giudice medesimo chiede, in particolare, se si possa ritenere che una disposizione contenente la nozione di «beneficiario effettivo» possa costituire il fondamento normativo per la repressione degli abusi.

69

Occorre esaminare, in limine, le prime questioni pregiudiziali, con cui il giudice del rinvio chiede se, ai fini della repressione degli abusi nell’ambito dell’applicazione della direttiva 90/435, uno Stato membro debba aver adottato una specifica disposizione nazionale di trasposizione della direttiva medesima ovvero se possa, invece, far riferimento a principi o disposizioni anti-abuso nazionali o convenzionali.

70

A tal riguardo, secondo costante giurisprudenza, nel diritto dell’Unione vige il principio generale di diritto secondo cui i singoli non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme del diritto dell’Unione (sentenze del 9 marzo 1999, Centros, C-212/97, EU:C:1999:126, punto 24 e giurisprudenza citata; del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, EU:C:2006:121, punto 68; del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, EU:C:2006:544, punto 35; del 22 novembre 2017, Cussens e a., C-251/16, EU:C:2017:881, punto 27, nonché dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C-356/15, EU:C:2018:555, punto 99).

71

Il rispetto di tale principio generale s’impone ai singoli, Infatti, l’applicazione delle norme dell’Unione non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell’ambito di normali operazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed, C-321/05, EU:C:2007:408, punto 38; del 22 novembre 2017, Cussens e a., C-251/16, EU:C:2017:881, punto 27, nonché dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C-356/15, EU:C:2018:555, punto 99).

72

Da tale principio discende quindi che uno Stato membro deve negare il beneficio di disposizioni di diritto dell’Unione laddove queste vengano invocate non al fine di realizzare le finalità delle disposizioni medesime, bensì al fine di godere di un vantaggio derivante dal diritto dell’Unione sebbene le condizioni per poterne godere siano rispettate solo formalmente.

73

Ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui il compimento di formalità doganali non si collochi nel contesto di normali operazioni commerciali, bensì sia puramente formale e sia volto unicamente ad ottenere abusivamente la concessione di importi compensativi (v., in tal senso, sentenze del 27 ottobre 1981, Schumacher e a., 250/80, EU:C:1981:246, punto 16, nonché del 3 marzo 1993, General Milk Products, C-8/92, EU:C:1993:82, punto 21) o di restituzioni all’esportazione (v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke, C-110/99, EU:C:2000:695, punto 59).

74

Il principio del divieto dell’abuso trova peraltro applicazione in svariate materie, quali la libera circolazione delle merci (sentenza del 10 gennaio 1985, Association des Centres distributeurs Leclerc e Thouars Distribution, 229/83, EU:C:1985:1, punto 27), la libera prestazione di servizi (sentenza del 3 febbraio 1993, Veronica Omroep Organisatie, C-148/91, EU:C:1993:45, punto 13), gli appalti pubblici di servizi (sentenza dell’11 dicembre 2014, Azienda sanitaria locale n. 5 Spezzino e a., C-113/13, EU:C:2014:2440, punto 62), la libertà di stabilimento (sentenza del 9 marzo 1999, Centros, C-212/97, EU:C:1999:126, punto 24), il diritto societario (sentenza del 23 marzo 2000, Diamantis, C-373/97, EU:C:2000:150, punto 33), la previdenza sociale (sentenze del 2 maggio 1996, Paletta, C-206/94, EU:C:1996:182, punto 24; del 6 febbraio 2018, Altun e a., C-359/16, EU:C:2018:63, punto 48, nonché dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C-356/15, EU:C:2018:555, punto 99), i trasporti (sentenza del 6 aprile 2006, Agip Petroli, C-456/04, EU:C:2006:241, punti da 19 a 25), la politica sociale (sentenza del 28 luglio 2016, Kratzer, C-423/15, EU:C:2016:604, punti da 37 a 41), le misure restrittive (sentenza del 21 dicembre 2011, Afrasiabi e a., C-72/11, EU:C:2011:874, punto 62) o, ancora, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) (sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, EU:C:2006:121, punto 74).

75

Quanto a quest’ultima materia, la Corte ha avuto più volte modo di rilevare che, se la repressione delle frodi, dell’evasione fiscale e degli eventuali abusi rappresenta un obiettivo riconosciuto e promosso dalla Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari: Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1), il principio del divieto delle pratiche abusive costituisce parimenti un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione indipendentemente dalla questione se i diritti ed i vantaggi oggetto dell’abuso trovino il loro fondamento nei Trattati, in un regolamento o in una direttiva (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a., C-251/16, EU:C:2017:881, punti 30 e 31).

76

Ne consegue che il principio generale del divieto di pratiche abusive osta a che una persona fisica si avvalga di norme del diritto dell’Unione, che concedano vantaggi, in modo non coerente con le finalità previste dalle norme medesime. La Corte ha così affermato che tale principio può essere opposto ad un soggetto passivo per negargli il beneficio, in particolare, del diritto all’esenzione dall’IVA, anche in assenza di disposizioni di diritto nazionale che prevedano tale diniego (v., in tal senso, sentenze del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a., C-131/13, C-163/13C-164/13, EU:C:2014:2455, punto 62, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C-251/16, EU:C:2017:881, punto 33).

77

Se l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 prevede che la direttiva stessa non osta all’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie al fine di evitare le frodi e gli abusi, detta disposizione non può essere interpretata nel senso di escludere l’applicazione del principio generale del diritto dell’Unione del divieto delle pratiche abusive, richiamato supra ai punti da 70 a 72. Infatti, le operazioni che, secondo lo SKAT, costituiscono abusi ricadono nella sfera del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, Weald Leasing, C-103/09, EU:C:2010:804, punto 42) potendo risultare incompatibili con la finalità perseguita dalla direttiva medesima.

78

A tal riguardo, come emerge dai considerando primo e terzo della direttiva 90/435, quest’ultima è volta ad agevolare i raggruppamenti di società nell’ambito dell’Unione istituendo norme tributarie che siano neutre nei riguardi della concorrenza al fine di consentire alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato comune, di accrescere la loro produttività e di rafforzare la loro posizione concorrenziale sul piano internazionale.

79

Orbene, autorizzare la realizzazione di costruzioni finanziarie finalizzate unicamente al conseguimento dei vantaggi fiscali risultanti dalla direttiva 90/435 non sarebbe coerente con tali obiettivi e, al contrario, falsando le condizioni di concorrenza pregiudicherebbe il buon funzionamento del mercato interno. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 51 delle proprie conclusioni nella causa C-116/16, lo stesso ragionamento varrebbe anche nel caso in cui le operazioni in questione non perseguissero unicamente tale obiettivo, avendo la Corte affermato che il principio del divieto delle pratiche abusive trova applicazione, in materia fiscale, qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale delle operazioni medesime (v., in tal senso, sentenze del 21 febbraio 2008, Part Service, C-425/06, EU:C:2008:108, punto 45, nonché del 22 novembre 2017, Cussens e a., C-251/16, EU:C:2017:881, punto 53).

80

All’applicazione del principio generale di divieto delle pratiche abusive non può essere d’altronde opposto il diritto dei singoli di trarre vantaggio dalla concorrenza che s’instaura tra gli Stati membri per effetto della mancata armonizzazione della tassazione dei redditi. A tal riguardo va ricordato che la direttiva 90/435 era volta a realizzare un’armonizzazione in materia d’imposte sui redditi istituendo norme tributarie neutre rispetto alla concorrenza, senza voler privare gli Stati membri della facoltà di adottare le misure necessarie alla repressione delle frodi e degli abusi.

81

Se è pur vero che la ricerca, da parte di un contribuente, del regime fiscale più vantaggioso per il medesimo non può, di per sé, legittimare una presunzione generale di frode o di abuso (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, EU:C:2006:544, punto 50; del 29 novembre 2011, National Grid Indus, C-371/10, EU:C:2011:785, punto 84, nonché del 24 novembre 2016, SECIL, C-464/14, EU:C:2016:896, punto 60), resta il fatto che il contribuente stesso non può beneficiare di un diritto o di un vantaggio riconosciuto dal diritto dell’Unione quando l’operazione de qua sia puramente artificiosa sul piano economico e sia diretta a sottrarre l’impresa in questione alla normativa dello Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C-196/04, EU:C:2006:544, punto 51; del 7 novembre 2013, K, C-322/11, EU:C:2013:716, punto 61, nonché del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo, C-106/16, EU:C:2017:804, punti da 61 a 63).

82

Da tutti i suesposti rilievi discende che le autorità e i giudici nazionali sono tenuti a negare il beneficio dei diritti previsti dalla direttiva 90/435 qualora siano invocati fraudolentemente o abusivamente.

83

Alla luce del principio generale del diritto dell’Unione di divieto di pratiche abusive e della necessità di far rispettare tale principio nell’ambito dell’attuazione del diritto dell’Unione, l’assenza di disposizioni anti-abuso, nazionali o convenzionali, è irrilevante rispetto all’obbligo, per le autorità nazionali, di negare il beneficio dei diritti previsti dalla direttiva 90/435, invocati fraudolentemente o abusivamente.

84

Le resistenti nei procedimenti principali si richiamano alla sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C-321/05, EU:C:2007:408), riguardante il beneficio di un’esenzione concessa dalla direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 1), per sostenere che, per effetto dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, il beneficio dei vantaggi previsti dalla direttiva medesima non può essere negato dallo Stato membro interessato se non nel caso in cui la normativa nazionale contenga un fondamento normativo distinto e specifico a tal riguardo.

85

Tale argomento non può trovare tuttavia accoglimento.

86

È ben vero che la Corte ha rammentato, al punto 42 della sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C-321/05, EU:C:2007:408), che il principio della certezza del diritto osta a che le direttive possano, di per sé, istituire obblighi a carico dei singoli ed essere conseguentemente invocate in tal senso dagli Stati membri nei confronti dei singoli.

87

La Corte ha parimenti ricordato che tale affermazione non incide sull’esigenza, per tutte le autorità di uno Stato membro, laddove applichino il diritto nazionale, di interpretarlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e delle finalità delle direttive medesime, al fine di conseguire il risultato da queste perseguito, potendo quindi le autorità medesime opporre ai singoli un’interpretazione conforme del diritto nazionale (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed, C-321/05, EU:C:2007:408, punto 45 e giurisprudenza citata).

88

Alla luce di tali considerazioni la Corte ha quindi invitato il giudice del rinvio ad esaminare se esistesse, nel diritto danese, una disposizione o un principio generale di divieto dell’abuso ovvero di altre disposizioni attinenti alla frode e all’evasione fiscale che possano essere interpretate in senso conforme alla direttiva 90/434 secondo cui, sostanzialmente, uno Stato membro può negare il diritto alla detrazione previsto dalla direttiva medesima a fronte di un’operazione essenzialmente diretta alla frode o all’evasione, verificando poi, eventualmente, se nella specie dei procedimenti principali ricorrano le condizioni necessarie ai fini dell’applicazioni di tali disposizioni interne (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed, C-321/05, EU:C:2007:408, punti 46 e 47).

89

Tuttavia, anche qualora dovesse emergere, nei procedimenti principali, che il diritto nazionale non preveda norme suscettibili di un’interpretazione conforme all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, non si potrà dedurne, nonostante quanto affermato dalla Corte nella sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C-321/05, EU:C:2007:408), che alle autorità ed ai giudici nazionali sia impedito, in caso di frodi o abusi, di negare il beneficio del diritto all’esenzione previsto dall’articolo 5 della direttiva stessa (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda»Mariano Previti e a., C-131/13, C-163/13C-164/13, EU:C:2014:2455, punto 54).

90

Il diniego opposto ad un contribuente in circostanze di tal genere non ricade, infatti, nella fattispecie richiamata supra al punto 86, rispondendo al principio generale del diritto dell’Unione secondo cui è vietato a chiunque di avvalersi fraudolentemente o abusivamente di norme del diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport «Italmoda»Mariano Previti e a., C-131/13, C-163/13C-164/13, EU:C:2014:2455, punti 55 e 56, nonché la giurisprudenza ivi citata).

91

Considerato quindi che, come ricordato supra al punto 70, un diritto previsto dall’ordinamento giuridico dell’Unione non può essere fondato su fatti fraudolenti o abusivi, il diniego di un beneficio previsto da una direttiva, quale la direttiva 90/435, non si risolve nell’imporre un obbligo al singolo interessato in base alla direttiva medesima, bensì costituisce la semplice conseguenza derivante dalla constatazione che le condizioni necessarie ai fini dell’ottenimento del beneficio richiesto, previsto dalla direttiva stessa con riguardo a quel diritto, ricorrono solo formalmente (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti e a., C-131/13, C-163/13C-164/13, EU:C:2014:2455, punto 57 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

92

In tale contesto, gli Stati membri sono pertanto tenuti a negare il beneficio derivante dalla direttiva 90/435, conformemente al principio generale di divieto delle pratiche abusive secondo cui il diritto dell’Unione non può tutelare le pratiche abusive realizzate dagli operatori economici (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C-356/15, EU:C:2018:555, punto 99 e la giurisprudenza citata).

93

Alla luce dei rilievi operati supra al punto 72, non occorre procedere alla soluzione delle seconde questioni poste dal giudice del rinvio con cui si chiede, sostanzialmente, se una disposizione di una convenzione bilaterale diretta ad evitare le doppie imposizioni e che si richiami alla nozione di «beneficiario effettivo» sia idonea a costituire il fondamento normativo, nell’ambito della direttiva 90/435, per la repressione delle pratiche abusive e fraudolente.

94

Ciò premesso, non occorre nemmeno rispondere alle questioni terze e quarte, lettere da a) a c), relative all’interpretazione di detta nozione di «beneficiario effettivo», considerato che tali questioni sono state poste unicamente nell’ipotesi di risposta affermativa alle seconde questioni.

95

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alle prime questioni dichiarando che il principio generale di diritto dell’Unione secondo cui i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, dev’essere interpretato nel senso che, a fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una controllata alla propria società madre, di cui all’articolo 5 della direttiva medesima, anche in assenza di disposizioni del diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego.

Sulle questioni pregiudiziali quarte, lettere d) ed e), nonché quinte e ottave nei procedimenti principali

96

Con le questioni pregiudiziali quarte, lettere d) ed e), nonché con le questioni quinte ed ottave il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, quali siano gli elementi costitutivi di un abuso e come tali elementi, possano essere accertati. A tal riguardo, il giudice medesimo si chiede, in particolare, se possa ritenersi che una società abbia realmente percepito dividendi dalla propria controllata nel caso in cui essa sia tenuta, per effetto di obblighi contrattuali o legali, a trasferire i dividendi stessi a terzi ovvero qualora dalle circostanze di fatto emerga che «fondamentalmente» la società medesima, pur senza essere vincolata da un obbligo di tal genere, non disponga del diritto di «utilizzo e fruizione» dei dividendi stessi, ai sensi dei commentari del 2014 al modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977. Il giudice a quo si chiede parimenti se possa sussistere un abuso nel caso in cui il beneficiario effettivo dei dividendi, trasferiti da società interposte, sia una società con sede in uno Stato terzo con cui lo Stato membro interessato abbia concluso una convenzione tributaria. Con le ottave questioni il giudice medesimo chiede poi, sostanzialmente, se uno Stato membro che neghi ad una società di un altro Stato membro il riconoscimento dello status di beneficiario dei dividendi sia tenuto ad individuare la società che esso eventualmente consideri quale beneficiario effettivo.

Sugli elementi costitutivi di un abuso e sulla relativa prova

97

Come emerge dalla giurisprudenza della Corte, la prova di una pratica abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non sia stato conseguito e, dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione per mezzo della creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (sentenze del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke, C-110/99, EU:C:2000:695, punti 52 e 53, nonché del 12 marzo 2014, O. e B., C-456/12, EU:C:2014:135, punto 58).

98

È quindi l’esame di un complesso di fatti che consente di verificare la sussistenza degli elementi costitutivi di una pratica abusiva e, in particolare, se taluni operatori economici abbiano realizzato operazioni puramente formali o artificiose prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale essenzialmente al fine di beneficiare di un indebito vantaggio (v., in tal senso, sentenze del 20 giugno 2013, Newey, C-653/11, EU:C:2013:409, punti da 47 a 49; del 13 marzo 2014, SICES e a., C-155/13, EU:C:2014:145, punto 33, nonché del 14 aprile 2016, Cervati e Malvi, C-131/14, EU:C:2016:255, punto 47).

99

Non spetta alla Corte procedere alla valutazione dei fatti del procedimento principale. Tuttavia, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale, la Corte può eventualmente fornire indicazioni al giudice nazionale al fine di guidarlo nella valutazione del caso di specie sottoposto al suo esame. Nei procedimenti principali, sebbene la presenza di una serie d’indizi possa far presumere la sussistenza di un abuso, spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se tali indizi siano obiettivi e concordanti e se le resistenti nel procedimento principale abbiano avuto la possibilità di fornire la prova contraria.

100

Può essere considerato quale costruzione artificiosa un gruppo di società costituito non per motivi che riflettono la realtà economica bensì caratterizzato da una struttura puramente formale ed avente quale obiettivo principale ovvero uno degli obiettivi principali il conseguimento di un vantaggio fiscale in contrasto con l’oggetto o la ratio della normativa tributaria applicabile. Ciò si verifica, in particolare, quando, grazie ad un’entità interposta inserita all’interno della struttura del gruppo tra la società erogatrice dei dividendi e la società del gruppo che ne è la beneficiaria effettiva, viene evitato il versamento di imposte sui dividendi stessi.

101

In tal senso, costituisce un indizio dell’esistenza di una costruzione volta a beneficiare indebitamente dell’esenzione prevista dalla direttiva 90/435 il fatto che i dividendi vengano ritrasferiti, integralmente o quasi ed entro un lasso di tempo molto breve successivo al loro percepimento, dalla società percettrice ad entità non rispondenti ai requisiti d’applicazione della direttiva 90/435 vuoi perché non sono stabilite in alcuno Stato membro, vuoi perché non sono costituite in alcuna delle forme contemplate dalla direttiva de qua, vuoi perché non sono soggette ad alcuna delle imposte elencate all’articolo 2, lettera c), della direttiva medesima, vuoi, ancora, in quanto prive dello status di «società madre» e non rispondenti ai requisiti indicati al successivo articolo 3.

102

Orbene, non rispondono ai requisiti d’applicazione della direttiva 90/435 entità con residenza fiscale situata al di fuori dell’Unione, quali, come sembra, le società di cui alla causa C-117/16 o i fondi d’investimento di cui alla causa C-116/16. In tali cause, se i dividendi fossero stati versati direttamente dalla società danese debitrice alle entità le quali, secondo il Ministero delle imposte, ne costituiscono i beneficiari effettivi, il Regno di Danimarca avrebbe percepito l’imposta ritenuta alla fonte.

103

Parimenti, la natura artificiosa di una costruzione può risultare avvalorata dalla circostanza che il gruppo di società in questione sia strutturato in modo tale che la società percettrice dei dividendi versati dalla società debitrice debba essa stessa ritrasferire i dividendi medesimi ad una terza società, non rispondente ai requisiti d’applicazione della direttiva 90/435, con la conseguenza che essa realizza unicamente un utile imponibile insignificante, agendo da società interposta al fine di consentire il flusso finanziario dalla società debitrice verso l’entità effettiva beneficiaria delle somme versate.

104

La circostanza che una società agisca come società interposta può essere accertata quando l’unica attività della medesima sia costituita dal percepimento dei dividendi e dal loro successivo trasferimento al beneficiario effettivo o ad altre società interposte. L’assenza di un’effettiva attività economica dev’essere al riguardo dedotta, alla luce delle peculiarità che caratterizzano l’attività economica in questione, da un’analisi complessiva dei pertinenti elementi attinenti, in particolare, alla gestione della società, al suo bilancio d’esercizio, alla struttura dei suoi costi ed ai costi realmente sostenuti, al personale impiegato nonché ai locali ad alle attrezzature di cui dispone.

105

Può parimenti costituire indizio di una costruzione artificiosa la sussistenza dei vari contratti tra le società interessate dalle operazioni finanziarie de quibus, generatori di flussi finanziari infragruppo, le modalità di finanziamento delle operazioni, la valutazione dei fondi propri delle società intermediarie nonché l’assenza, nelle società interposte, del potere di disporre economicamente dei dividendi percepiti. A tal riguardo, sono idonei a costituire indizi di tal genere non solo obblighi contrattuali o legali, per la società madre percettrice dei dividendi, di ritrasferirli a terzi bensì parimenti il fatto che «fondamentalmente», come rilevato dal giudice del rinvio, la società medesima, pur in assenza di un obbligo contrattuale o legale di tal genere, non disponga del diritto di utilizzare detti dividendi e di goderne.

106

Indizi di tale genere possono esser d’altronde avvalorati da coincidenze o da contiguità temporali tra, da un lato, l’entrata in vigore di nuove importanti normative tributarie, quale la disciplina danese oggetto dei procedimenti principali o quella degli Stati Uniti menzionata supra al punto 51 e, dall’altro, l’attuazione di operazioni finanziarie complesse nonché la concessione di finanziamenti all’interno di uno stesso gruppo.

107

Il giudice del rinvio si pone parimenti la questione se possa, sostanzialmente, sussistere un abuso nel caso in cui dividendi trasferiti da società interposte abbiano come beneficiario finale effettivo una società con sede in uno Stato terzo con cui lo Stato membro d’origine abbia concluso una convenzione tributaria per effetto della quale i dividendi non sarebbero stati soggetti ad alcuna ritenuta nel caso in cui fossero stati direttamente versati alla società con sede nello Stato terzo medesimo.

108

A tal riguardo, nell’ambito dell’esame della struttura del gruppo, resta irrilevante il fatto che taluni beneficiari effettivi dei dividendi versati dalla società interposta siano fiscalmente residenti in uno Stato terzo che abbia concluso con lo Stato membro d’origine una convenzione volta ad evitare le doppie imposizioni. Si deve, infatti, necessariamente rilevare che l’esistenza di una convenzione di tal genere non può, di per sé, escludere un abuso. Così, una convenzione di tal genere non può rimettere in discussione l’esistenza di un abuso debitamente accertata sulla base di una serie di fatti comprovanti che taluni operatori economici abbiano effettuato operazioni puramente formali o artificiose, prive di qualsivoglia giustificazione economica o commerciale, essenzialmente al fine di beneficiare indebitamente dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dall’articolo 5 della direttiva 90/435.

109

Si deve aggiungere che, mentre la tassazione deve corrispondere alla realtà economica, l’esistenza di una convenzione volta ad evitare le doppie imposizioni non è di per sé idonea a dimostrare l’effettività di un pagamento operato a favore di beneficiari residenti nello Stato terzo con cui tale convenzione sia stata conclusa. Qualora la società debitrice degli interessi intenda beneficiare dei vantaggi risultanti dalla convenzione stessa, potrà ben versare i dividendi direttamente alle entità fiscalmente residenti in uno Stato che abbia concluso con lo Stato d’origine una convenzione diretta ad evitare le doppie imposizioni.

110

Ciò detto, non può essere nemmeno escluso, a fronte di una situazione in cui i dividendi sarebbero stati esentati in caso di versamento diretto alla società con sede in uno Stato terzo, che la finalità della struttura di gruppo sia estranea a qualsiasi abuso. In tal caso, non potrà essere contestato al gruppo di aver optato per una struttura siffatta piuttosto che per un versamento diretto dei dividendi alla società medesima.

111

Inoltre, si deve precisare che, laddove il beneficiario effettivo di un versamento di dividendi sia fiscalmente residente in uno Stato terzo, il diniego dell’esenzione di cui all’articolo 5 della direttiva 90/435 non è minimamente subordinato all’accertamento di una frode o di un abuso.

112

La direttiva medesima, come risulta in particolare dal suo terzo considerando, è infatti volta ad eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro, facilitando così il raggruppamento di società su scala dell’Unione (sentenza dell’8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a., C-448/15, EU:C:2017:180, punto 25 nonché la giurisprudenza ivi richiamata). In tal senso, come sottolineato supra al punto 78, la direttiva de qua è diretta a garantire la neutralità, sul piano fiscale, della distribuzione di utili da parte di una società controllata stabilita in uno Stato membro alla propria società madre sita in un altro Stato membro, considerato che la direttiva medesima, come risulta dal suo articolo, riguarda unicamente le distribuzioni di dividendi percepite da società di uno Stato membro e provenienti dalle proprie controllate stabilite in altri Stati membri (v., in tal senso, ordinanza del 4 giugno 2009, KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer, C-439/07C-499/07, EU:C:2009:339, punto 62 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

113

I meccanismi della direttiva 90/435, in particolare il suo articolo 5, sono pertanto concepiti per situazioni in cui, senza la loro applicazione, l’esercizio del potere impositivo da parte degli Stati membri potrebbe far sì che gli utili distribuiti dalla società controllata alla propria società madre siano soggetti a doppia imposizione (sentenza dell’8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a., C-448/15, EU:C:2017:180, punto 39). Meccansimi di tal genere non sono, per contro, volti a trovare applicazione nel caso in cui il beneficiario effettivo dei dividendi sia una società avente residenza fiscale al di fuori dell’Unione, in quanto, in tal caso, l’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi medesimi nello Stato membro dal quale sono stati versati rischierebbe di sottrarre detti dividendi a qualsiasi effettiva tassazione nell’Unione.

114

In considerazione di tutti questi elementi, si deve rispondere alle quarte questioni pregiudiziali, lettere d) ed e), nei procedimenti principali, dichiarando che la prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima non sia stato conseguito e, dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. La sussistenza di taluni indizi può dimostrare la sussistenza di un abuso, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti. Possono costituire indizi di tal genere, segnatamente, l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti.

Sull’onere della prova dell’abuso

115

Si deve rilevare che la direttiva 90/435 non contiene disposizioni relative all’onere della prova della sussistenza di un abuso.

116

Tuttavia, come sostenuto dai governi danese e tedesco, spetta in linea di principio alle società richiedenti il beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sui dividendi di cui all’articolo 5 della direttiva 90/435 dimostrare di soddisfare le condizioni oggettive previste dalla direttiva stessa. Infatti, nulla impedisce alle amministrazioni finanziarie interessate di esigere dal contribuente le prove che esse reputino necessarie per la corretta determinazione delle imposte e delle tasse di cui trattasi e, se del caso, di negare l’esenzione richiesta qualora tali prove non vengano fornite (sentenza del 28 febbraio 2013, Petersen e Petersen, C-544/11, EU:C:2013:124, punto 51 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

117

Per contro, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria dello Stato membro d’origine intendesse, per un motivo attinente all’esistenza di una pratica abusiva, negare l’esenzione prevista all’articolo 5 della direttiva 90/435 ad una società che abbia versato dividendi ad una società stabilita in un altro Stato membro, spetterà alla medesima dimostrare la sussistenza di elementi costitutivi di una pratica di tal genere, tenendo conto di tutti gli elementi pertinenti, in particolare del fatto che la società destinataria dei dividendi versati non ne sia la beneficiaria effettiva.

118

A tal riguardo, spetta alla medesima amministrazione non di individuare i beneficiari effettivi dei dividendi in questione, bensì di accertare che il preteso beneficiario effettivo non è altro che una società interposta tramite la quale è stato realizzato un abuso. Tale individuazione può, infatti, risultare impossibile, soprattutto in quanto i potenziali beneficiari effettivi sono sconosciuti. L’amministrazione finanziaria nazionale non dispone necessariamente, alla luce della complessità di talune costruzioni finanziarie e della possibilità che le società interposte ivi coinvolte siano stabilite al di fuori dell’Unione, delle informazioni che le consentano di procedere all’identificazione dei beneficiari stessi. Orbene, non può pretendersi dall’amministrazione medesima di produrre prove che essa sia impossibilitata a fornire.

119

Peraltro, anche qualora i beneficiari potenziali effettivi siano conosciuti, non è necessariamente dimostrato quali di essi siano o saranno i reali beneficiari effettivi. Così, nella specie, nella causa C-117/16, il giudice del rinvio fa presente che, se la società madre della Y Cyprus è la Y Bermuda, con sede alle Bermuda, società madre di quest’ultima è, a sua volta, la Y USA, con sede negli Stati Uniti. Orbene, nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio ritenesse che la Y Cyprus non sia il beneficiario effettivo dei dividendi, l’amministrazione finanziaria e i giudici dello Stato membro d’origine dei dividendi si troverebbero, verosimilmente, nell’impossibilità di determinare quale delle due società sia o sarà il beneficiario effettivo dei dividendi stessi. In particolare, l’imputazione dei dividendi potrebbe essere decisa successivamente agli accertamenti dell’amministrazione finanziaria relativi alla società interposta.

120

Conseguentemente, si deve rispondere alle ottave questioni pregiudiziali dichiarando che, al fine di negare ad una società il riconoscimento dello status di beneficiario effettivo di dividendi ovvero di accertare la sussistenza di un abuso, un’autorità nazionale non è tenuta ad individuare la o le entità che essa consideri beneficiari effettivi dei dividendi medesimi.

Sulle questioni pregiudiziali seste, settime, none e decime nei procedimenti principali

121

Con le questioni pregiudiziali seste, settime, none e decime il giudice a quo chiede, sostanzialmente, nel caso in cui il regime di esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi versati da una società residente di uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro, di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 90/435, risultasse inapplicabile, se gli articoli 49 e 54 TFUE ovvero l’articolo 63 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una serie di elementi della normativa del primo Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, riguardanti la tassazione dei dividendi medesimi.

122

A tal riguardo si deve anzitutto rilevare che tali questioni si fondano sulla premessa secondo cui l’inapplicabilità di tale regime d’esenzione risulta dall’accertamento della sussistenza di una frode o di un abuso ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, riguardante le ipotesi di frodi o abusi. Orbene, in un caso del genere, una società residente in uno Stato membro non può rivendicare, alla luce della giurisprudenza richiamata supra al punto 70, il beneficio delle libertà sancite dal Trattato FUE per mettere in discussione la normativa nazionale posta a disciplina della tassazione dei dividendi corrisposti ad una società residente in un altro Stato membro.

123

Occorre, conseguentemente, rispondere alle questioni pregiudiziali seste, settime, none e decime nei procedimenti principali dichiarando che, in una situazione in cui il regime, previsto dalla direttiva 90/435, di esenzione dalla ritenuta alla fonte per i dividendi corrisposti da una società residente in uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro risulti inapplicabile a fronte dell’accertamento di una frode o di un abuso, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva medesima, non può essere invocata l’applicazione delle libertà sancite dal Trattato FUE al fine di mettere in discussione la normativa del primo Stato membro posta a disciplina della tassazione di detti dividendi

Sulle spese

124

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

1)

Le cause C-116/16C-117/16 sono riunite ai fini della sentenza.

 

2)

Il principio generale del diritto dell’Unione secondo cui i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, dev’essere interpretato nel senso che, a fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una controllata alla propria società madre, di cui all’articolo 5 della direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, come modificata dalla direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, anche in assenza di disposizioni del diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego.

 

3)

La prova di una pratica abusiva richiede, da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima non è stato conseguito e, dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. La sussistenza di taluni indizi può dimostrare la sussistenza di un abuso, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti. Possono costituire indizi di tal genere, segnatamente, l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti.

 

4)

Al fine di negare ad una società il riconoscimento dello status di beneficiario effettivo di dividendi ovvero di accertare la sussistenza di un abuso, un’autorità nazionale non è tenuta ad individuare la o le entità che essa consideri beneficiari effettivi dei dividendi medesimi.

 

5)

In una situazione in cui il regime di esenzione dalla ritenuta alla fonte per i dividendi corrisposti da una società residente in uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro, previsto dalla direttiva 90/435, come modificata dalla direttiva 2003/123, risulti inapplicabile a fronte dell’accertamento di una frode o di un abuso, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva medesima, non può essere invocata l’applicazione delle libertà sancite dal Trattato FUE al fine di mettere in discussione la normativa del primo Stato membro posta a disciplina della tassazione di detti dividendi.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il danese.