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Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

8 dicembre 2020 (*)

«Ricorso di annullamento – Direttiva (UE) 2018/957 – Libera prestazione dei servizi – Distacco di lavoratori – Condizioni di lavoro e di occupazione – Retribuzione – Durata del distacco – Determinazione della base giuridica – Articoli 53 e 62 TFUE – Modifica di una direttiva esistente – Articolo 9 TFUE – Sviamento di potere – Principio di non discriminazione – Necessità – Principio di proporzionalità – Portata del principio della libera prestazione dei servizi – Trasporto su strada – Articolo 58 TFUE – Regolamento (CE) n. 593/2008 – Ambito di applicazione – Principi della certezza del diritto e della chiarezza normativa»

Nella causa C-620/18,

avente ad oggetto il ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, proposto il 2 ottobre 2018,

Ungheria, rappresentata da M.Z. Fehér, G. Tornyai e M.M. Tátrai, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da M. Martínez Iglesias, L. Visaggio e A. Tamás, in qualità di agenti,

convenuto

sostenuto da:

Repubblica federale di Germania, rappresentata da J. Möller e S. Eisenberg, in qualità di agenti;

Repubblica francese, rappresentata da E. de Moustier, A.-L. Desjonquères, C. Mosser e R. Coesme, in qualità di agenti;

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato da M.K. Bulterman, C. Schillemans e J. Langer, in qualità di agenti;

Commissione europea, rappresentata da L. Havas, M. Kellerbauer, B.-R. Killmann e A. Szmytkowska, in qualità di agenti,

intervenienti

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente da A. Norberg, M. Bencze ed E. Ambrosini, e successivamente da A. Norberg, E. Ambrosini, A. Sikora-Kalėda e Zs. Bodnár, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Repubblica federale di Germania, rappresentata da J. Möller e S. Eisenberg, in qualità di agenti;

Repubblica francese, rappresentata da E. de Moustier, A.-L. Desjonquères, C. Mosser e R. Coesme, in qualità di agenti;

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato da M.K. Bulterman, C. Schillemans e J. Langer, in qualità di agenti;

Regno di Svezia, rappresentato da C. Meyer-Seitz, H. Shev e H. Eklinder, in qualità di agenti;

Commissione europea, rappresentata da L. Havas, M. Kellerbauer, B.-R. Killmann e A. Szmytkowska, in qualità di agenti,

intervenienti

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.-C. Bonichot, M. Vilaras (relatore), E. Regan, M. Ilešič e N. Wahl, presidenti di sezione, E. Juhász, D. Šváby, S. Rodin, F. Biltgen, K. Jürimäe, C. Lycourgos, P.G. Xuereb e N. Jääskinen, giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: R. Șereș, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 marzo 2020,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 maggio 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, l’Ungheria chiede alla Corte, in via principale, di annullare la direttiva (UE) 2018/957 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 giugno 2018, recante modifica della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 2018, L 173, pag. 16, e rettifica in GU 2019, L 91, pag. 77) (in prosieguo: la «direttiva impugnata»), e, in subordine, di annullare varie disposizioni della medesima.

 Contesto normativo

 Trattato FUE

2        L’articolo 9 TFUE è del seguente tenore:

«Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana».

3        L’articolo 53 TFUE così dispone:

«1.      Al fine di agevolare l’accesso alle attività autonome e l’esercizio di queste, il Parlamento europeo e il Consiglio [dell’Unione europea], deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono direttive intese al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli e al coordinamento delle disposizioni legislative‚ regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all’accesso alle attività autonome e all’esercizio di queste.

2.      Per quanto riguarda le professioni mediche, paramediche e farmaceutiche, la graduale soppressione delle restrizioni è subordinata al coordinamento delle condizioni richieste per il loro esercizio nei singoli Stati membri».

4        Ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE:

«La libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti».

5        L’articolo 62 TFUE così recita:

«Le disposizioni degli articoli da 51 a 54 inclus[o] sono applicabili alla materia regolata dal presente capo».

6        L’articolo 153 TFUE prevede quanto segue:

«1.      Per conseguire gli obiettivi previsti all’articolo 151, l’Unione sostiene e completa l’azione degli Stati membri nei seguenti settori:

a)      miglioramento, in particolare, dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori;

b)      condizioni di lavoro;

c)      sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori;

d)      protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro;

e)      informazione e consultazione dei lavoratori;

f)      rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la cogestione, fatto salvo il paragrafo 5;

(...)

2.      A tal fine il Parlamento europeo e il Consiglio:

a)      possono adottare misure destinate a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri attraverso iniziative volte a migliorare la conoscenza, a sviluppare gli scambi di informazioni e di migliori prassi, a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze fatte, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri;

b)      possono adottare nei settori di cui al paragrafo 1, lettere da a) a i), mediante direttive, le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro. Tali direttive evitano di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese.

Il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni.

Nei settori di cui al paragrafo 1, lettere c), d), f) e g), il Consiglio delibera secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo e di detti Comitati.

Il Consiglio, deliberando all’unanimità, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può decidere di rendere applicabile al paragrafo 1, lettere d), f) e g)[,] la procedura legislativa ordinaria.

(...)

5.      Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle retribuzioni, al diritto di associazione, al diritto di sciopero né al diritto di serrata».

 Normativa relativa ai lavoratori distaccati

 Direttiva 96/71/CE

7        La direttiva 96/71/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1), è stata adottata sul fondamento dell’articolo 57, paragrafo 2, e dell’articolo 66 CE (divenuti rispettivamente articolo 53, paragrafo 1, e articolo 62 TFUE).

8        In forza del suo articolo 3, paragrafo 1, la direttiva 96/71 aveva lo scopo di garantire ai lavoratori distaccati nel territorio degli Stati membri le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie ivi indicate che, nello Stato membro in cui era fornita la prestazione di lavoro, erano fissate da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale.

9        Tra le materie oggetto della direttiva 96/71 figurava, all’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della stessa, quella relativa alle tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario.

 Direttiva impugnata

10      La direttiva impugnata è stata adottata sul fondamento dell’articolo 53, paragrafo 1, e dell’articolo 62 TFUE.

11      I considerando 1, 4, 6 e da 9 a 11 della direttiva impugnata così recitano:

«(1)      La libera circolazione dei lavoratori, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi sono principi fondamentali del mercato interno, sanciti dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). L’applicazione e il rispetto di tali principi sono ulteriormente sviluppati dall’Unione e mirano a garantire la parità di condizioni per le imprese e il rispetto dei diritti dei lavoratori.

(...)

(4)      A più di vent’anni dalla sua adozione, si è reso necessario valutare se la direttiva 96/71(...) consegua ancora il giusto equilibrio tra la necessità di promuovere la libera prestazione dei servizi e garantire parità di condizioni, da un lato, e quella di tutelare i diritti dei lavoratori distaccati, dall’altro. Parallelamente alla revisione della direttiva 96/71(…), è opportuno accordare priorità all’attuazione e applicazione della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71 e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (“regolamento IMI”) (GU 2014, L 159, pag. 11)], allo scopo di garantire uniformità nell’applicazione delle norme e un’autentica convergenza sociale.

(...)

(6)      Il principio della parità di trattamento e il divieto di qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità sono stati sanciti dal diritto dell’Unione sin dai trattati istitutivi. Il principio della parità di retribuzione è stato attuato mediante atti di diritto derivato, riferendosi non solo alla parità tra uomini e donne ma anche tra lavoratori con contratti a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comparabili, tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno e tra lavoratori assunti tramite agenzia interinale e lavoratori comparabili dell’impresa utilizzatrice. Tali principi includono il divieto di qualsiasi misura che possa, direttamente o indirettamente, dare luogo a una discriminazione effettuata sulla base della nazionalità. Nell’applicare tali principi, occorre tenere conto della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

(...)

(9)      Il distacco è di natura temporanea. I lavoratori distaccati generalmente rientrano nello Stato membro a partire dal quale sono stati distaccati dopo aver effettuato il lavoro per il quale sono stati distaccati. Tuttavia, in considerazione della lunga durata di determinati distacchi, e riconoscendo il nesso fra il mercato del lavoro dello Stato membro ospitante e i lavoratori distaccati per tali periodi di lunga durata, qualora il distacco duri per periodi superiori a 12 mesi, gli Stati membri ospitanti dovrebbero assicurare che le imprese che distaccano lavoratori nel loro territorio garantiscano agli stessi una serie aggiuntiva di condizioni di lavoro e di occupazione applicabili in via obbligatoria ai lavoratori nello Stato membro in cui il lavoro è svolto. Tale periodo dovrebbe essere prorogato qualora il prestatore di servizi presenti una notifica motivata.

(10)      È necessario garantire una maggiore protezione dei lavoratori per salvaguardare la libera prestazione dei servizi su base equa, sia a breve che a lungo termine, in particolare evitando l’abuso dei diritti garantiti dai trattati. Tuttavia, le norme che garantiscono tale protezione dei lavoratori non possono pregiudicare il diritto delle imprese che distaccano lavoratori nel territorio di un altro Stato membro di invocare la libera prestazione dei servizi anche nei casi in cui un distacco sia superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi. Qualsiasi disposizione applicabile a lavoratori distaccati nel contesto di un distacco superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi deve pertanto essere compatibile con tale libertà. In conformità della giurisprudenza consolidata, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi sono ammissibili solo se sono giustificate da motivi imperativi di interesse generale e se sono proporzionate e necessarie.

(11)      Qualora un distacco sia superiore a 12 o, se del caso, 18 mesi, la serie aggiuntiva di condizioni di lavoro e di occupazione che devono essere garantite dall’impresa che distacca lavoratori nel territorio di un altro Stato membro dovrebbe contemplare anche i lavoratori che sono distaccati in sostituzione di altri lavoratori distaccati che espletano le stesse mansioni nello stesso luogo, al fine di garantire che tali sostituzioni non siano utilizzate per aggirare le norme altrimenti applicabili».

12      I considerando da 16 a 19 della direttiva succitata sono del seguente tenore:

«(16)      In un mercato interno veramente integrato e competitivo le imprese competono sulla base di fattori quali la produttività, l’efficienza, e il livello d’istruzione e di competenza della forza lavoro, nonché la qualità dei loro beni e servizi nonché il grado di innovazione degli stessi.

(17)      Rientra nella sfera di competenza degli Stati membri stabilire norme sulla retribuzione in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali. La determinazione dei salari è una questione di competenza esclusiva degli Stati membri e delle parti sociali. È opportuno prestare particolare attenzione a non pregiudicare i sistemi nazionali di determinazione dei salari o la libertà delle parti interessate.

(18)      Per il raffronto fra la retribuzione corrisposta al lavoratore distaccato e la retribuzione dovuta a norma della normativa e/o delle prassi nazionali dello Stato membro ospitante, si dovrebbe prendere in considerazione l’importo lordo della retribuzione. Si dovrebbero raffrontare gli importi lordi complessivi della retribuzione anziché i singoli elementi costitutivi della retribuzione che sono resi obbligatori come previsto dalla presente direttiva. Ciononostante, al fine di garantire trasparenza e assistere le autorità e gli organismi competenti nello svolgimento di verifiche e controlli, è necessario che gli elementi costitutivi della retribuzione possano essere individuati in modo sufficientemente dettagliato in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali dello Stato membro a partire dal quale il lavoratore è stato distaccato. A meno che le indennità specifiche per il distacco non riguardino le spese effettivamente sostenute a causa del distacco, come le spese di viaggio, vitto e alloggio, esse dovrebbero essere considerate parte della retribuzione e dovrebbero essere prese in considerazione allo scopo di raffrontare gli importi lordi complessivi della retribuzione.

(19)      Le indennità specifiche per il distacco spesso perseguono varie finalità. Nella misura in cui il loro obiettivo è il rimborso delle spese sostenute a causa del distacco, come le spese di viaggio, vitto e alloggio, le stesse non dovrebbero essere considerate parte della retribuzione. Spetta agli Stati membri stabilire norme con riguardo al rimborso di tali spese in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali. Il datore di lavoro dovrebbe rimborsare tale spesa ai lavoratori distaccati, in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali applicabili al rapporto di lavoro».

13      Ai sensi del considerando 24 della medesima direttiva:

«La presente direttiva stabilisce un quadro equilibrato per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi e la tutela dei lavoratori distaccati, non discriminatorio, trasparente e proporzionato, nel rispetto della diversità delle relazioni industriali nazionali. La presente direttiva non osta all’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione più favorevoli per i lavoratori distaccati».

14      L’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva impugnata inserisce i paragrafi –1 e –1 bis all’articolo 1 della direttiva 96/71:

«–1.      La [direttiva 96/71] garantisce la protezione dei lavoratori distaccati durante il loro distacco in relazione alla libera prestazione dei servizi, stabilendo disposizioni obbligatorie riguardanti le condizioni di lavoro e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che devono essere rispettate.

–1 bis.      La [direttiva 96/71] non pregiudica in alcun modo l’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e a livello di Unione, compresi il diritto o la libertà di sciopero o il diritto o la libertà di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali negli Stati membri, in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali. Essa non pregiudica neppure il diritto di negoziare, concludere ed eseguire accordi collettivi, o di intraprendere azioni collettive in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali».

15      L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva impugnata modifica l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71; aggiunge a questo stesso comma le lettere h) e i) e inserisce un terzo comma a tale articolo 3, paragrafo 1, nei seguenti termini:

«1.      Gli Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese di cui all’articolo 1, paragrafo 1, garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori distaccati nel loro territorio le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie elencate di seguito che, nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, sono stabilite da:

–        disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o

–        da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8:

(...)

c)      retribuzione, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario; la presente lettera non si applica ai regimi pensionistici integrativi di categoria;

(...)

h)      condizioni di alloggio dei lavoratori qualora questo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro;

i)      indennità o rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali.

(...)

Ai fini della [direttiva 96/71] il concetto di retribuzione è determinato dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato e con esso si intendono tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8».

16      L’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva impugnata inserisce all’articolo 3 della direttiva 96/71 un paragrafo 1 bis, il quale è così formulato:

«Qualora la durata effettiva di un distacco superi 12 mesi, gli Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese di cui all’articolo 1, paragrafo 1, garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori che sono distaccati nel loro territorio oltre alle condizioni di lavoro e di occupazione di cui al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, stabilite da:

–        disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o

–        contratti collettivi o arbitrati dichiarati di applicazione generale o che in alternativa si applicano a norma del paragrafo 8.

Il primo comma del presente paragrafo non si applica alle materie seguenti:

a)      procedure, formalità e condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, comprese le clausole di non concorrenza;

b)      regimi pensionistici integrativi di categoria.

Qualora il prestatore di servizi presenti una notifica motivata, lo Stato membro in cui è prestato il servizio estende il periodo di cui al primo comma a 18 mesi.

Se un’impresa di cui all’articolo 1, paragrafo 1, sostituisce un lavoratore distaccato con un altro lavoratore distaccato che espleta le stesse mansioni nello stesso luogo, la durata del distacco ai fini del presente paragrafo corrisponde alla durata complessiva dei periodi di distacco dei singoli lavoratori distaccati interessati.

Il concetto di “stesse mansioni nello stesso luogo” di cui al quarto comma del presente paragrafo è determinato tenendo in considerazione, tra l’altro, la natura del servizio da prestare, il lavoro da effettuare e l’indirizzo o gli indirizzi del luogo di lavoro».

17      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), della direttiva impugnata, l’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 96/71 è ora così formulato:

«I paragrafi da 1 a 6 non ostano all’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori.

Le indennità specifiche per il distacco sono considerate parte della retribuzione, purché non siano versate a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute a causa del distacco, come le spese di viaggio, vitto e alloggio. Fatta salva la lettera i) del primo comma del paragrafo 1, il datore di lavoro provvede a rimborsare tali spese al lavoratore distaccato, in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali applicabili al rapporto di lavoro.

Qualora le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili al rapporto di lavoro non determinino se elementi dell’indennità specifica per il distacco sono versati a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute a causa del distacco o se fanno parte della retribuzione e, nel caso, quali siano detti elementi, l’intera indennità è considerata versata a titolo di rimborso delle spese».

18      L’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva impugnata così dispone:

«La presente direttiva si applica al settore del trasporto su strada a decorrere dalla data di applicazione di un atto legislativo che modifica la direttiva 2006/22/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, sulle norme minime per l’applicazione dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che abroga la direttiva 88/599/CEE del Consiglio (GU 2006, L 102, pag. 35)] per quanto riguarda le prescrizioni di applicazione e stabilisce norme specifiche in relazione alla direttiva 96/71(…) e alla direttiva 2014/67(…) per il distacco dei conducenti nel settore dei trasporti su strada».

 Normativa relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali

19      Il considerando 40 del regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU 2008, L 177, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento “Roma I”»), così recita:

«Occorrerebbe evitare la dispersione delle regole di conflitto di leggi in molteplici strumenti e le divergenze tra tali regole. Tuttavia, il presente regolamento non dovrebbe escludere la possibilità di inserire regole di conflitto di leggi riguardanti le obbligazioni contrattuali nelle disposizioni dell’ordinamento [dell’Unione] relative a materie particolari.

Il presente regolamento non dovrebbe pregiudicare l’applicazione di altri strumenti contenenti disposizioni intese a contribuire al corretto funzionamento del mercato interno nella misura in cui esse non possono essere applicate in collegamento con la legge designata in base al presente regolamento. (...)».

20      L’articolo 8 del regolamento succitato, intitolato «Contratti individuali di lavoro», così dispone:

«1.      Un contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge scelta dalle parti conformemente all’articolo 3. Tuttavia, tale scelta non vale a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile a norma dei paragrafi 2, 3 e 4 del presente articolo.

2.      Nella misura in cui la legge applicabile al contratto individuale di lavoro non sia stata scelta dalle parti, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro. Il paese in cui il lavoro è abitualmente svolto non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo.

(...)».

21      L’articolo 23 del medesimo regolamento, intitolato «Relazioni con altre disposizioni del diritto [dell’Unione]», prevede quanto segue:

«Fatto salvo l’articolo 7, il presente regolamento non pregiudica l’applicazione delle disposizioni dell’ordinamento [dell’Unione] che, con riferimento a settori specifici, disciplinino i conflitti di legge in materia di obbligazioni contrattuali».

 Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

22      L’Ungheria chiede che la Corte voglia:

–        in via principale, annullare la direttiva impugnata;

–        in subordine:

–        annullare il disposto dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva impugnata, recante il testo del nuovo articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), e del nuovo articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71;

–        annullare l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della direttiva impugnata, recante il testo dell’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71;

–        annullare l’articolo 1, paragrafo 2, lettera c), della direttiva impugnata;

–        annullare l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva impugnata, e

–        condannare il Parlamento e il Consiglio alle spese.

23      Il Parlamento e il Consiglio chiedono alla Corte di respingere il ricorso e di condannare l’Ungheria alle spese.

24      Conformemente all’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’Ungheria ha chiesto alla Corte che la causa sia risolta dalla Grande Sezione.

25      Con decisione del presidente della Corte del 21 febbraio 2019, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, il Regno dei Paesi Bassi e la Commissione sono stati autorizzati a intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio.

26      Con decisione del presidente della Corte del 27 marzo 2019, il Regno di Svezia è stato autorizzato a intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

 Sul ricorso

27      A sostegno del ricorso, l’Ungheria deduce cinque motivi vertenti, rispettivamente, sulla scelta di una base giuridica errata per l’adozione della direttiva impugnata, sulla violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE e sull’esistenza di uno sviamento di potere, sulla violazione dell’articolo 56 TFUE, sulla violazione di tale articolo nella misura in cui la direttiva impugnata preclude l’effettiva attuazione della libera prestazione dei servizi e sulla violazione del regolamento «Roma I» nonché dei principi della certezza del diritto e della chiarezza normativa.

 Sul primo motivo di ricorso, vertente sulla scelta di una base giuridica errata ai fini delladozione della direttiva impugnata

 Argomenti delle parti

28      L’Ungheria sostiene che il legislatore dell’Unione, fondandosi sull’articolo 53, paragrafo 1, e sull’articolo 62 TFUE, non ha scelto una base giuridica corretta per l’adozione della direttiva impugnata. In considerazione del suo oggetto e del suo contenuto, tale direttiva mirerebbe esclusivamente o principalmente a tutelare i lavoratori e non sarebbe diretta a rimuovere ostacoli alla libera prestazione dei servizi.

29      L’Ungheria ritiene, a tale proposito, che la base giuridica relativa alla libera prestazione dei servizi non si estenda agli obiettivi di tutela dei lavoratori né agli atti che possono essere adottati in materia, cui si riferisce l’articolo 153 TFUE.

30      Orbene, l’obiettivo fondamentale della direttiva impugnata sarebbe di garantire la parità di trattamento dei lavoratori, in particolare mediante l’estensione del principio della parità di retribuzione dei lavoratori a quei lavoratori che effettuano una prestazione di servizi transfrontaliera nell’ambito di un distacco. Questi ultimi beneficerebbero dell’integralità della retribuzione prevista dal diritto dello Stato membro ospitante.

31      Nondimeno, tenuto conto del suo effetto protezionistico, la direttiva impugnata sarebbe contraria agli obiettivi di aumento della competitività dell’Unione nonché della coesione e della solidarietà tra gli Stati membri.

32      Inoltre, l’Ungheria rileva che il Consiglio non ha precisato quali siano le disposizioni imperative della direttiva in questione che consentono di rafforzare effettivamente la libera prestazione dei servizi mediante la tutela dei lavoratori e la prevenzione della concorrenza sleale.

33      Dall’esame del contenuto della suddetta direttiva, l’Ungheria deduce quindi che essa non presenta elementi in grado di giustificare la scelta della base giuridica adottata dal legislatore dell’Unione.

34      Essa ritiene che lo stesso varrebbe qualora il contenuto e gli obiettivi della direttiva impugnata fossero esaminati congiuntamente all’atto che la stessa modifica, giacché tale direttiva ha definito l’obiettivo della direttiva 96/71 in modo tale che esso si riferisce esclusivamente alla garanzia della tutela dei lavoratori distaccati.

35      A suo avviso, la necessità di ricollocare le modifiche nel loro contesto e di esaminare un atto legislativo nel suo insieme non implica che la base giuridica dell’atto modificativo sia stabilita prendendo in considerazione esclusivamente gli obiettivi e il contenuto dell’atto modificato.

36      L’Ungheria deduce da ciò che la base giuridica deve essere determinata, anzitutto, alla luce dell’obiettivo e del contenuto delle disposizioni dell’atto modificativo e che l’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE avrebbe potuto costituire una base giuridica adeguata in quanto la direttiva impugnata legifera su questioni che rientrano più propriamente nell’ambito di tale disposizione che in quello degli articoli 53 e 62 TFUE.

37      Il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dalla Repubblica federale di Germania, dalla Repubblica francese, dal Regno dei Paesi Bassi, dal Regno di Svezia e dalla Commissione, contestano gli argomenti dell’Ungheria.

 Giudizio della Corte

38      In via preliminare, occorre anzitutto ricordare che la scelta della base giuridica di un atto dell’Unione deve fondarsi su elementi oggettivi che possano essere sottoposti a sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano la finalità e il contenuto di tale atto. Se l’esame dell’atto di cui trattasi dimostra che esso persegue una duplice finalità o che possiede una doppia componente e se una di queste finalità o di queste componenti è identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra è solo accessoria, tale atto deve fondarsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dalla finalità o dalla componente principale o preponderante (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

39      Va altresì rilevato che può essere preso in considerazione, per determinare la base giuridica appropriata, il contesto giuridico nel quale si inserisce una nuova normativa, in particolare in quanto un simile contesto può fornire chiarimenti quanto all’obiettivo perseguito da tale normativa (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 32).

40      Pertanto, nel caso di una normativa che, come la direttiva impugnata, modifica una normativa esistente, occorre, ai fini dell’individuazione della sua base giuridica, tener conto anche della normativa esistente che essa modifica e, in particolare, del suo obiettivo e del suo contenuto (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 42).

41      Inoltre, allorché un atto legislativo ha già coordinato le legislazioni degli Stati membri in un determinato settore di azione dell’Unione, il legislatore dell’Unione non può essere privato della possibilità di adeguare tale atto a qualsiasi cambiamento delle circostanze o a qualsiasi evoluzione delle conoscenze, tenuto conto del compito a esso incombente di vigilare sulla tutela degli interessi generali riconosciuti dal Trattato FUE e di prendere in considerazione gli obiettivi trasversali dell’Unione sanciti dall’articolo 9 di tale trattato, tra i quali figurano le esigenze connesse alla promozione di un elevato livello di occupazione nonché la garanzia di un’adeguata protezione sociale (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis, C-201/15, EU:C:2016:972, punto 78).

42      Infatti, in una situazione del genere il legislatore dell’Unione può adempiere correttamente il compito affidatogli di vigilare sulla protezione di tali interessi generali e di tali obiettivi trasversali dell’Unione riconosciuti dal trattato soltanto qualora gli sia consentito di adeguare la pertinente normativa dell’Unione a simili modifiche o evoluzioni (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

43      Va poi rilevato che laddove esista, nei Trattati, una disposizione più specifica che possa costituire la base giuridica dell’atto di cui trattasi, questo deve fondarsi su tale disposizione (sentenza del 12 febbraio 2015, Parlamento/Consiglio, C-48/14, EU:C:2015:91, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

44      Infine, dal combinato disposto dell’articolo 53, paragrafo 1, e dell’articolo 62 TFUE risulta che il legislatore dell’Unione è competente ad adottare direttive intese, in particolare, al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all’accesso alle attività di prestazione di servizi e all’esercizio delle medesime, al fine di agevolare l’accesso a tali attività e il loro esercizio.

45      Le disposizioni summenzionate autorizzano pertanto il legislatore dell’Unione a coordinare le normative nazionali che, per via della loro stessa disparità, possono ostacolare la libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri.

46      Non se ne può tuttavia dedurre che, coordinando normative del genere, il legislatore dell’Unione non debba altresì garantire il rispetto dell’interesse generale, perseguito dai diversi Stati membri, e degli obiettivi, sanciti dall’articolo 9 TFUE, che l’Unione deve prendere in considerazione nella definizione e nell’attuazione dell’insieme delle sue politiche e delle sue azioni, tra i quali figurano le esigenze ricordate al punto 41 della presente sentenza.

47      Pertanto, qualora siano soddisfatte le condizioni per fare ricorso all’articolo 53, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 62 TFUE, quale base giuridica, al legislatore dell’Unione non può impedirsi di fondarsi su tale base giuridica per il fatto di aver preso in considerazione anche simili esigenze (v., in tal senso, sentenze del 13 maggio 1997, Germania/Parlamento e Consiglio, C-233/94, EU:C:1997:231, punto 17, e del 4 maggio 2016, Philip Morris Brands e a., C-547/14, EU:C:2016:325, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

48      Ne consegue che le misure di coordinamento adottate dal legislatore dell’Unione, sul fondamento dell’articolo 53, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 62 TFUE, devono non soltanto avere l’obiettivo di facilitare l’esercizio della libertà di prestazione dei servizi, ma anche di garantire, eventualmente, la tutela di altri interessi fondamentali che tale libertà può pregiudicare (v., in tal senso, sentenza del 4 maggio 2016, Philip Morris Brands e a., C-547/14, EU:C:2016:325, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

49      Nel caso di specie, occorre rilevare che, poiché la direttiva impugnata modifica talune disposizioni della direttiva 96/71 o ve ne inserisce di nuove, quest’ultima direttiva fa parte del contesto normativo della direttiva impugnata, come attestano, in particolare, i considerando 1 e 4 della medesima, i quali prevedono: il primo, che l’Unione sviluppi i principi fondamentali del mercato interno che sono la libera circolazione dei lavoratori, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, i quali mirano a garantire la parità di condizioni per le imprese e il rispetto dei diritti dei lavoratori; il secondo, che, a più di vent’anni dalla sua adozione, è necessario valutare se la direttiva 96/71 consegua ancora il giusto equilibrio tra, da un lato, la necessità di promuovere la libera prestazione dei servizi e garantire parità di condizioni, e, dall’altro, quella di tutelare i diritti dei lavoratori distaccati.

50      In primo luogo, per quanto riguarda il suo obiettivo, la direttiva impugnata, considerata unitamente alla direttiva dalla stessa modificata, mira a conciliare due interessi, ossia, da un lato, garantire alle imprese di tutti gli Stati membri la possibilità di fornire prestazioni di servizi nell’ambito del mercato interno distaccando lavoratori dello Stato membro in cui esse sono stabilite verso lo Stato membro in cui esse effettuano le loro prestazioni e, dall’altro, tutelare i diritti dei lavoratori distaccati.

51      A tale scopo, il legislatore dell’Unione, adottando la direttiva impugnata, ha cercato di garantire la libera prestazione dei servizi su base equa, vale a dire in un quadro normativo che garantisca una concorrenza che non sia fondata sull’applicazione, in uno stesso Stato membro, di condizioni di lavoro e di occupazione di livello sostanzialmente diverso a seconda che il datore di lavoro sia o no stabilito in tale Stato membro, offrendo al contempo una maggiore tutela ai lavoratori distaccati, tutela che costituisce, per di più, come attesta il considerando 10 della suddetta direttiva, il mezzo per «salvaguardare la libera prestazione dei servizi su base equa».

52      A tal fine, la direttiva succitata mira a rendere le condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori distaccati le più vicine possibili a quelle dei lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante e a garantire in tal modo una maggiore tutela dei lavoratori distaccati in tale Stato membro.

53      In secondo luogo, per quanto riguarda il suo contenuto, la direttiva impugnata tende, in particolare attraverso le disposizioni contestate dall’Ungheria, a prendere in maggior considerazione la tutela dei lavoratori distaccati, sempre allo scopo di garantire l’esercizio equo di una libera prestazione dei servizi nello Stato membro ospitante.

54      In tale logica, anzitutto, l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva in parola modifica l’articolo 1 della direttiva 96/71, inserendo, da un lato, un paragrafo –1 che include nell’oggetto di quest’ultima la garanzia della tutela dei lavoratori distaccati durante il loro distacco e, dall’altro, un paragrafo –1 bis che precisa che la direttiva 96/71 non pregiudica in alcun modo l’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti negli Stati membri e a livello dell’Unione.

55      L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva impugnata apporta inoltre modifiche all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71, facendo riferimento alla parità di trattamento per fondare la garanzia che deve essere concessa ai lavoratori distaccati in materia di condizioni di lavoro e di occupazione. Esso estende l’elenco delle materie interessate da tale garanzia, da un lato, alle condizioni di alloggio dei lavoratori qualora questo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro e, dall’altro, alle indennità e al rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani dal loro domicilio per motivi professionali. Inoltre, all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71, come modificata dalla direttiva impugnata (in prosieguo: la «direttiva 96/71 modificata»), la nozione di «retribuzione» è sostituita a quella di «tariffe minime salariali».

56      Infine, la direttiva impugnata crea una graduazione nell’applicazione delle condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato membro ospitante, imponendo, mediante l’inserimento di un articolo 3, paragrafo 1 bis, nella direttiva 96/71, l’applicazione della quasi totalità di tali condizioni qualora la durata effettiva di un distacco superi, di norma, i dodici mesi.

57      Da quanto precede risulta che, contrariamente a quanto argomentato dall’Ungheria, la direttiva impugnata è idonea a rafforzare la libera prestazione dei servizi su base equa, che è l’obiettivo principale che essa persegue, in quanto garantisce che le condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori distaccati siano le più vicine possibili a quelle dei lavoratori impiegati presso imprese stabilite nello Stato membro ospitante, consentendo al contempo a tali lavoratori distaccati di beneficiare di condizioni di lavoro e di occupazione in tale Stato membro più protettive di quelle previste dalla direttiva 96/71.

58      In terzo luogo, pur mirando la direttiva 96/71, a mente del considerando 1 della stessa, all’eliminazione tra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi, essa precisa nondimeno, al considerando 5, che la necessità di sviluppare la prestazione di servizi transnazionale deve realizzarsi nell’ambito di una concorrenza leale e di misure che garantiscano il rispetto dei diritti dei lavoratori.

59      È in quest’ottica che i considerando 13 e 14 di tale direttiva promuovono il coordinamento delle legislazioni degli Stati membri in modo da definire un «nocciolo duro» di norme vincolanti ai fini della protezione minima cui deve attenersi nello Stato ospitante il datore di lavoro che distacca lavoratori.

60      Ne consegue che, sin dalla sua adozione, la direttiva 96/71, pur perseguendo l’obiettivo di migliorare la libera prestazione dei servizi transnazionale, prendeva già in considerazione la necessità di garantire una concorrenza che non fosse fondata sull’applicazione, in uno stesso Stato membro, di condizioni di lavoro e di occupazione di livello sostanzialmente diverso, a seconda che il datore di lavoro fosse o no stabilito in tale Stato membro, e quindi la tutela dei lavoratori distaccati. In particolare, l’articolo 3 di tale direttiva elencava le condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato membro ospitante che dovevano essere garantite ai lavoratori distaccati nel territorio di tale Stato membro dai datori di lavoro che li distaccavano per svolgervi prestazioni di servizi.

61      Inoltre, occorre ricordare che, come illustrato ai punti 41 e 42 della presente sentenza, il legislatore dell’Unione che adotta un atto legislativo non può essere privato della possibilità di adeguare tale atto a qualsiasi cambiamento delle circostanze o a qualsiasi evoluzione delle conoscenze, tenuto conto del compito a esso incombente di vigilare sulla tutela degli interessi generali riconosciuti dal Trattato FUE.

62      Orbene, si deve rilevare, in relazione al più ampio contesto normativo nel quale la direttiva impugnata è stata adottata, che il mercato interno ha conosciuto evoluzioni importanti dal momento dell’entrata in vigore della direttiva 96/71, prime fra tutte gli allargamenti dell’Unione che si sono succeduti, nel corso del 2004, del 2007 e del 2013, cui è conseguita la partecipazione a tale mercato delle imprese di Stati membri nei quali, generalmente, erano applicabili condizioni di lavoro e di occupazione lontane da quelle applicabili negli altri Stati membri.

63      In aggiunta, come rilevato dal Parlamento, la Commissione ha constatato, nel suo documento di lavoro SWD(2016) 52 final, dell’8 marzo 2016, intitolato «Valutazione d’impatto che accompagna la proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio recante modifica della direttiva 96/71» (in prosieguo: la «valutazione d’impatto»), che la direttiva 96/71 era stata all’origine di una disparità di condizioni tra imprese stabilite in uno Stato membro ospitante e imprese che distaccavano lavoratori in tale Stato membro, nonché di una segmentazione del mercato del lavoro, per via di una differenziazione strutturale delle norme salariali applicabili ai loro rispettivi lavoratori.

64      Pertanto, alla luce dell’obiettivo che la direttiva 96/71 perseguiva, ossia garantire la libera prestazione dei servizi transnazionale in seno al mercato interno nell’ambito di una concorrenza leale e il rispetto dei diritti dei lavoratori, il legislatore dell’Unione, tenuto conto dell’evoluzione delle circostanze e delle conoscenze evidenziata ai punti 62 e 63 della presente sentenza, poteva fondarsi, al momento dell’adozione della direttiva impugnata, sulla stessa base giuridica utilizzata per adottare la suddetta direttiva 96/71. Invero, al fine di raggiungere nel miglior modo detto obiettivo in un contesto che era cambiato, lo stesso legislatore poteva legittimamente ritenere necessario adeguare l’equilibrio sul quale la direttiva 96/71 si basava, rafforzando i diritti dei lavoratori distaccati nello Stato membro ospitante in modo tale che la concorrenza tra le imprese che distaccavano lavoratori in tale Stato membro e le imprese stabilite in quest’ultimo si sviluppasse in condizioni più eque.

65      Occorre aggiungere che, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, l’articolo 153 TFUE non costituisce una base giuridica più specifica, sul cui fondamento avrebbe potuto essere adottata la direttiva impugnata. Detto articolo 153 riguarda infatti unicamente la tutela dei lavoratori e non la libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione.

66      È vero che l’articolo 153, paragrafo 2, TFUE, alle lettere a) e b), contiene due basi giuridiche distinte. Tuttavia, nessuna di esse può fungere da fondamento della direttiva impugnata.

67      L’articolo 153, paragrafo 2, lettera a), TFUE si limita difatti a prevedere l’adozione di misure destinate a incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri in materia sociale, il che non corrisponde né all’obiettivo della direttiva impugnata, ossia stabilire la libera prestazione dei servizi su base equa, né al suo contenuto, che comprende misure di coordinamento delle normative degli Stati membri in materia di condizioni di lavoro e di occupazione.

68      Quanto all’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), TFUE, sebbene esso consenta all’Unione di adottare misure di armonizzazione in determinati settori rientranti nella politica sociale dell’Unione, è necessario constatare che la direttiva impugnata non costituisce affatto una direttiva di armonizzazione, poiché si limita a rendere obbligatorie talune norme dello Stato membro ospitante in caso di distacco di lavoratori da parte di imprese stabilite in un altro Stato membro, nel rispetto, come emerge dal considerando 24 della medesima direttiva, della diversità dei rapporti di lavoro a livello nazionale.

69      Di conseguenza, l’articolo 153 TFUE non poteva costituire la base giuridica della direttiva impugnata.

70      Dalle considerazioni che precedono risulta che il primo motivo di ricorso deve essere respinto.

 Sul secondo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 153, paragrafo 5, TFUE e sullesistenza di uno sviamento di potere

 Argomenti delle parti

71      Secondo l’Ungheria, la direttiva impugnata è contraria all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, il quale esclude la disciplina della retribuzione del lavoro subordinato dalla competenza del legislatore dell’Unione.

72      Essa è infatti del parere che, modificando l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71, la direttiva impugnata determini direttamente la retribuzione dei lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale.

73      A tale riguardo, basandosi su una giurisprudenza della Corte (sentenze del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C-307/05, EU:C:2007:509, punti 40 e 46, e del 15 aprile 2008, Impact, C-268/06, EU:C:2008:223, punto 123), essa rileva che l’eccezione relativa alle retribuzioni contemplata all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE trova la sua ragion d’essere nel fatto che la determinazione del livello delle retribuzioni rientra nell’autonomia contrattuale delle parti sociali su scala nazionale e nella competenza degli Stati membri in materia.

74      La direttiva impugnata imporrebbe l’applicazione di norme obbligatorie in forza della legislazione o delle prassi nazionali dello Stato membro ospitante per quanto riguarda l’integralità, fatta eccezione per i regimi pensionistici integrativi di categoria, delle condizioni di occupazione connesse alla retribuzione, il che include la determinazione dell’importo della stessa. Tale direttiva comporterebbe quindi un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni.

75      L’Ungheria conclude che la scelta di una base giuridica inadeguata è un mezzo per dissimulare lo sviamento di potere in cui è incorsa l’Unione con l’adozione della direttiva impugnata.

76      Il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dalla Repubblica federale di Germania, dal Regno dei Paesi Bassi, dal Regno di Svezia e dalla Commissione, contestano gli argomenti dell’Ungheria.

 Giudizio della Corte

77      Il secondo motivo di ricorso si suddivide in due parti, secondo le quali, da un lato, la direttiva impugnata sarebbe contraria all’articolo 153, paragrafo 5, TFUE, il quale esclude la disciplina della retribuzione del lavoro subordinato dalla competenza del legislatore dell’Unione, e, dall’altro, con l’adozione di tale direttiva, quest’ultimo sarebbe incorso in uno sviamento di potere.

78      Quanto alla prima parte del motivo di ricorso in esame, occorre anzitutto ricordare che, come risulta dal punto 69 della presente sentenza, l’articolo 153 TFUE non poteva costituire la base giuridica della direttiva impugnata.

79      Essa si limita infatti a coordinare le normative degli Stati membri in caso di distacco di lavoratori, obbligando le imprese che distaccano lavoratori in uno Stato membro diverso da quello in cui esse sono stabilite a concedere a questi ultimi talune o quasi tutte le condizioni di lavoro e di occupazione previste dalle norme obbligatorie di tale Stato membro, comprese quelle relative alle retribuzioni da versare ai lavoratori distaccati.

80      Poiché l’articolo 153, paragrafo 5, TFUE prevede un’eccezione alle competenze dell’Unione definite nei suoi primi paragrafi, i quali non possono fungere da base giuridica della direttiva impugnata e sono quindi inapplicabili, esso non può inficiare la validità di tale direttiva.

81      Pertanto, la prima parte del secondo motivo di ricorso deve essere respinta.

82      Quanto alla seconda parte di tale motivo di ricorso, va ricordato che un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base a indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta essere stato adottato esclusivamente o quanto meno in maniera determinante per fini diversi da quelli per i quali il potere di cui trattasi è stato conferito o allo scopo di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato FUE per far fronte alle circostanze del caso di specie (sentenza del 5 maggio 2015, Spagna/Parlamento e Consiglio, C-146/13, EU:C:2015:298, punto 56).

83      Secondo l’Ungheria, il legislatore dell’Unione sarebbe incorso in uno sviamento di potere scegliendo una base giuridica inadeguata, ossia l’articolo 53, paragrafo 1, e l’articolo 62 TFUE, per dissimulare la propria ingerenza nella determinazione delle retribuzioni, in violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.

84      Orbene, dall’esame del primo motivo di ricorso emerge che la direttiva impugnata è stata giustamente adottata sulla base giuridica dell’articolo 53, paragrafo 1, e dell’articolo 62 TFUE, e dall’esame della prima parte del motivo di ricorso in esame risulta che, pertanto, tale direttiva non è stata adottata in violazione dell’articolo 153, paragrafo 5, TFUE.

85      Di conseguenza, occorre respingere la seconda parte del secondo motivo di ricorso e, con essa, lo stesso motivo nel suo complesso.

 Sul terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 56 TFUE

 Argomenti delle parti

86      Con il terzo motivo di ricorso, l’Ungheria sostiene che la direttiva impugnata è contraria all’articolo 56 TFUE. Questo terzo motivo di ricorso si suddivide in cinque parti.

87      In una prima parte, l’Ungheria, basandosi sulla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36), sostiene che la normativa dell’Unione relativa alla libera prestazione dei servizi attua il principio fondamentale secondo il quale ogni Stato membro deve riconoscere le condizioni di occupazione applicate in conformità al diritto dell’Unione da un altro Stato membro, essendo la tutela dei diritti dei lavoratori distaccati sufficientemente garantita dalla legislazione dello Stato di origine.

88      Orbene, secondo l’Ungheria, la direttiva 96/71, prima della sua modifica ad opera della direttiva impugnata, offriva un’adeguata tutela dei lavoratori distaccati imponendo, sul piano delle retribuzioni, il pagamento del salario minimo dello Stato membro ospitante. Essa osserva che, imponendo il pagamento delle retribuzioni previste da tale Stato membro, la direttiva impugnata mette in dubbio la capacità del salario minimo di un tale Stato di garantire l’obiettivo di tutela dei lavoratori: in altri termini di coprire il costo della vita in tale Stato.

89      Essa sottolinea che tale modifica non contribuisce alla libera prestazione dei servizi, ma costituisce un’ingerenza diretta nelle relazioni economiche e annulla il lecito vantaggio concorrenziale di taluni Stati membri ben identificabili nei quali il livello delle retribuzioni è meno elevato, sicché il legislatore dell’Unione ha così introdotto una misura che ha l’effetto di falsare la concorrenza.

90      Inoltre, essa rileva che la Commissione, nella valutazione d’impatto, non è stata in grado di addurre un qualsiasi dato numerico che potesse dimostrare che la tutela dei lavoratori rendeva necessario modificare la direttiva 96/71 per quanto riguarda la retribuzione applicabile ai lavoratori distaccati.

91      Infine, l’Ungheria traccia un parallelo con la normativa in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale, secondo la quale il livello di tutela offerto ai lavoratori distaccati dallo Stato membro di origine è considerato adeguato e la situazione del lavoratore distaccato è esaminata individualmente in funzione di numerosi criteri, con l’obiettivo di evitare il cumulo di diritti nazionali.

92      In una seconda parte, l’Ungheria sostiene che la norma di cui all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71 modificata, che impiega la nozione di «retribuzione» anziché quella di tariffe minime salariali, è contraria all’obiettivo di garantire la parità di trattamento tra i lavoratori dello Stato membro ospitante e quelli distaccati in tale Stato membro, in quanto essa impone alle imprese stabilite in uno Stato membro di versare, ai dipendenti che queste distaccano in un altro Stato membro, una retribuzione determinata in base alle prassi di quest’ultimo Stato, che non sono obbligatoriamente applicabili alle imprese di questo stesso Stato membro, imprese che sono di norma vincolate soltanto all’obbligo di salario minimo. Ne deriverebbe che la tariffa minima salariale dello Stato membro ospitante sarebbe considerata sufficiente per i lavoratori di tale Stato membro, ma non per i lavoratori distaccati.

93      L’Ungheria ritiene altresì che l’obbligo di rimborsare le spese di viaggio, vitto e alloggio, imposto all’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 96/71 modificata alle imprese che distaccano lavoratori in un altro Stato membro, sia contrario al principio della parità di trattamento.

94      Infine, essa ricorda che i settori della sicurezza sociale e della fiscalità dei lavoratori, nei quali si presume che taluni Stati membri abbiano un vantaggio concorrenziale comparativo, rientrano nella competenza esclusiva degli Stati membri e che il legislatore dell’Unione, al momento dell’adozione della direttiva impugnata, non ha verificato se le differenze esistenti in tali settori offrissero un simile vantaggio.

95      In una terza parte, l’Ungheria sostiene, in primo luogo, che la direttiva impugnata non è idonea a conseguire l’obiettivo da essa perseguito, ossia garantire condizioni di concorrenza più eque tra i prestatori di servizi stabiliti in diversi Stati membri. A tale riguardo, essa contesta il tenore letterale del considerando 16 della stessa, secondo cui, in sostanza, le imprese competono sulla base di fattori diversi dai costi, il che significherebbe che il prezzo del servizio non svolgerebbe alcun ruolo nella scelta del consumatore.

96      In secondo luogo, essa ritiene che dai dati della valutazione d’impatto, secondo i quali il numero di lavoratori distaccati è aumentato del 44,4% tra il 2010 e il 2014, la Commissione non potesse dedurre che la tutela di tali lavoratori fosse inadeguata, senza un ulteriore esame delle condizioni di lavoro o della situazione dei lavoratori distaccati.

97      In terzo luogo, l’Ungheria ritiene che, tenuto conto del carattere temporaneo di una prestazione di servizi realizzata nell’ambito di un distacco di lavoratori, le disposizioni della direttiva impugnata vadano oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela dei lavoratori distaccati. A tale riguardo, essa rileva che occorre distinguere la situazione di un lavoratore che esercita il proprio diritto alla libera circolazione da quella di un lavoratore che fornisce temporaneamente servizi nello Stato membro ospitante nell’ambito di un distacco, in quanto il primo lavora per conto e sotto la direzione di un datore di lavoro di tale Stato membro, mentre il secondo non è veramente integrato nella società né nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante.

98      In una quarta parte, l’Ungheria ritiene che le norme relative al distacco di lunga durata, previste all’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata, costituiscano una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi, imponendo esse l’applicazione della quasi totalità del diritto del lavoro dello Stato membro ospitante, il che non è giustificato dalla tutela degli interessi dei lavoratori distaccati.

99      Essa rileva che i lavoratori distaccati per più di dodici mesi, cui fa riferimento l’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata, non si trovano, in considerazione della loro integrazione nella società e nel mercato del lavoro dello Stato membro ospitante, in una situazione analoga a quella dei lavoratori di tale Stato membro.

100    Tutt’al più, il rafforzamento dei legami di un’impresa che distacca lavoratori con lo Stato membro ospitante si verificherebbe sul piano economico.

101    Inoltre, a suo avviso, non si può presupporre che una norma che fa beneficiare un lavoratore, distaccato per più di dodici mesi in uno Stato membro ospitante, del diritto applicabile in tale Stato membro sia sempre più vantaggiosa per tale lavoratore. Nessuna disposizione del Trattato FUE consentirebbe del resto di determinare, astrattamente, la durata o la frequenza a partire dalla quale la fornitura di un servizio in un altro Stato membro non possa più essere considerata una prestazione di servizi ai sensi del Trattato FUE.

102    In una quinta parte, l’Ungheria ritiene che, rendendo applicabile la direttiva 96/71 modificata al settore del trasporto su strada a decorrere dall’adozione di un atto legislativo specifico, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva impugnata violi l’articolo 58 TFUE, il quale dispone che la libera circolazione dei servizi nel settore dei trasporti è regolata dalle disposizioni del titolo del Trattato FUE relativo ai trasporti.

103    Il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dalla Repubblica federale di Germania, dal Regno dei Paesi Bassi, dal Regno di Svezia e dalla Commissione, contestano gli argomenti dell’Ungheria.

 Giudizio della Corte

–       Osservazioni preliminari

104    In primo luogo, occorre ricordare che la Corte ha dichiarato che il divieto di restrizioni alla libera prestazione dei servizi non vale solo per le misure nazionali, ma anche per quelle adottate dalle istituzioni dell’Unione (sentenza del 26 ottobre 2010, Schmelz, C-97/09, EU:C:2010:632, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

105    Tuttavia, e come risulta dal punto 48 della presente sentenza, in materia di libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, le misure adottate dal legislatore dell’Unione, che si tratti di misure di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri o di misure di coordinamento di tali legislazioni, hanno non soltanto l’obiettivo di facilitare l’esercizio di una di dette libertà, ma mirano anche a garantire, se del caso, la tutela di altri interessi fondamentali riconosciuti dall’Unione che tale libertà può ledere.

106    Ciò vale in particolare qualora, mediante misure di coordinamento dirette ad agevolare la libera prestazione dei servizi, il legislatore dell’Unione tenga conto dell’interesse generale perseguito dai vari Stati membri e stabilisca un livello di tutela di tale interesse che risulti accettabile nell’Unione (v., per analogia, sentenza del 13 maggio 1997, Germania/Parlamento e Consiglio, C-233/94, EU:C:1997:231, punto 17).

107    Orbene, come rilevato al punto 51 della presente sentenza, il legislatore dell’Unione, adottando la direttiva impugnata, ha cercato di garantire la libera prestazione dei servizi su base equa, vale a dire in un quadro normativo che garantisca una concorrenza che non sia fondata sull’applicazione, in uno stesso Stato membro, di condizioni di lavoro e di occupazione di livello sostanzialmente diverso a seconda che il datore di lavoro sia o no stabilito in tale Stato membro, offrendo al contempo una maggiore tutela ai lavoratori distaccati, tutela che costituisce, per di più, come attesta il considerando 10 della suddetta direttiva, il mezzo per «salvaguardare la libera prestazione dei servizi su base equa».

108    In secondo luogo, il giudice dell’Unione, investito di un ricorso di annullamento contro un atto legislativo diretto a coordinare le legislazioni degli Stati membri in materia di condizioni di lavoro e di occupazione, come la direttiva impugnata, deve assicurarsi unicamente, dal punto di vista della legittimità interna di tale atto, che esso non violi i Trattati UE e FUE o i principi generali del diritto dell’Unione, e che non sia viziato da uno sviamento di potere.

109    Orbene, sia il principio della parità di trattamento sia il principio di proporzionalità, invocati dall’Ungheria nell’ambito del motivo di ricorso in esame, fanno parte dei principi generali summenzionati.

110    Da un lato, secondo una costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, salvo che un trattamento del genere non sia obiettivamente giustificato (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 164 e giurisprudenza ivi citata).

111    Dall’altro lato, il principio di proporzionalità esige che gli strumenti istituiti da una disposizione di diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

112    Per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale sull’osservanza di tali condizioni, la Corte ha riconosciuto al legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’esercizio delle competenze attribuitegli, un ampio potere discrezionale nei settori in cui la sua azione richiede scelte di natura tanto politica quanto economica o sociale e in cui è chiamato a effettuare apprezzamenti e valutazioni complessi. Non si tratta, quindi, di stabilire se una misura emanata in un settore del genere fosse l’unica o la migliore possibile, in quanto solo la manifesta inidoneità della misura rispetto all’obiettivo che le istituzioni competenti intendono perseguire può inficiare la legittimità della misura medesima (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

113    Orbene, è incontestabile che la normativa, a livello dell’Unione, relativa al distacco di lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi rientra in un settore di questo tipo.

114    Inoltre, l’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione, che implica un limitato sindacato giurisdizionale sul suo esercizio, non riguarda esclusivamente la natura e la portata delle disposizioni da adottare, ma anche, in una certa misura, l’accertamento dei dati di base (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).

115    Tuttavia, anche in presenza di un ampio potere discrezionale, il legislatore dell’Unione è tenuto a fondare la sua scelta su criteri obiettivi e a esaminare se gli scopi perseguiti dal provvedimento considerato siano idonei a giustificare conseguenze economiche negative, anche considerevoli, per taluni operatori. Infatti, in forza dell’articolo 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato UE e al Trattato FUE, i progetti di atti legislativi devono tener conto della necessità che gli oneri che ricadono sugli operatori economici siano il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

116    D’altra parte, anche un sindacato giurisdizionale di portata limitata richiede che le istituzioni dell’Unione, da cui promana l’atto di cui trattasi, siano in grado di dimostrare dinanzi alla Corte che l’atto è stato adottato attraverso un esercizio effettivo del loro potere discrezionale, che presuppone che siano presi in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che tale atto ha inteso disciplinare. Ne consegue che dette istituzioni devono, per lo meno, poter produrre ed esporre in modo chiaro e non equivoco i dati di base che hanno dovuto essere presi in considerazione per fondare le misure controverse di tale atto e dai quali dipendeva l’esercizio del loro potere discrezionale (sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio, C-482/17, EU:C:2019:1035, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).

117    Le varie parti del terzo motivo di ricorso vanno esaminate alla luce delle considerazioni suesposte.

–       Sulla prima parte del terzo motivo di ricorso, relativa al fatto che la tutela dei diritti dei lavoratori distaccati sarebbe sufficientemente garantita

118    In sostanza, l’Ungheria ritiene che la normativa dell’Unione relativa alla libera prestazione dei servizi attui il principio fondamentale secondo il quale ogni Stato membro deve riconoscere le condizioni di occupazione applicate in conformità al diritto dell’Unione da un altro Stato membro, il che garantisce a sufficienza la tutela dei diritti dei lavoratori distaccati.

119    In primo luogo, sebbene l’Ungheria faccia riferimento, a sostegno della sua linea argomentativa, alla direttiva 2006/123, è sufficiente, in ogni caso e conformemente al punto 108 della presente sentenza, constatare che la legittimità interna di un atto dell’Unione non può essere esaminata alla luce di un altro atto dell’Unione dello stesso rango normativo, salvo che esso sia stato adottato in applicazione di quest’ultimo atto o che, in uno di questi due atti, sia espressamente previsto che l’uno prevalga sull’altro. Orbene, ciò non avviene nel caso della direttiva impugnata. Peraltro, come precisa l’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2006/123, tale «direttiva non pregiudica la legislazione del lavoro, segnatamente le disposizioni giuridiche o contrattuali che disciplinano le condizioni di occupazione [e] di lavoro».

120    Analogamente, per quanto riguarda il parallelo tracciato dall’Ungheria con la normativa in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale, ossia il regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1), è sufficiente constatare che la direttiva impugnata non è stata adottata in applicazione del regolamento n. 883/2004 e che nessuno di questi due atti prevede espressamente che tale regolamento prevalga sulla direttiva in questione.

121    In secondo luogo, l’argomento secondo il quale la direttiva 96/71, prima della sua modifica da parte della direttiva impugnata, offriva una tutela adeguata dei lavoratori distaccati imponendo, sul piano delle retribuzioni, il pagamento del salario minimo dello Stato membro ospitante non è idoneo a mettere in discussione la legittimità della direttiva impugnata.

122    A tale riguardo, il legislatore dell’Unione, adottando quest’ultima, ha ritenuto necessario accordare una maggiore tutela ai lavoratori al fine di preservare la prestazione di servizi su base equa tra le imprese stabilite nello Stato membro ospitante e quelle che distaccano lavoratori in tale Stato.

123    A tal fine, l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71 modificata mira, più precisamente, ad assicurare una maggiore tutela ai lavoratori distaccati, garantendo loro, sulla base della parità di trattamento, il beneficio di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori nello Stato membro ospitante, affinché tali lavoratori percepiscano una retribuzione basata sulle stesse norme imperative applicabili ai lavoratori impiegati dalle imprese stabilite nello Stato membro ospitante.

124    Orbene, la scelta di concedere una simile tutela rafforzata non può, come vorrebbe l’Ungheria, mettere in dubbio la capacità del salario minimo dello Stato membro ospitante di garantire l’obiettivo di tutela dei lavoratori, ma rientra, al contrario, nell’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione evidenziato ai punti 112 e 113 della presente sentenza.

125    In terzo luogo, l’Ungheria sostiene che la direttiva impugnata non contribuisce al principio della libera prestazione dei servizi, ma che annulla il lecito vantaggio concorrenziale di taluni Stati membri in termini di costi e costituisce pertanto una misura che ha l’effetto di falsare la concorrenza.

126    Orbene, come rilevato ai punti 51 e 107 della presente sentenza, il legislatore dell’Unione, adottando la direttiva impugnata, ha cercato di garantire la libera prestazione dei servizi su base equa, vale a dire in un quadro normativo che garantisca una concorrenza che non sia fondata sull’applicazione, in uno stesso Stato membro, di condizioni di lavoro e di occupazione di livello sostanzialmente diverso a seconda che il datore di lavoro sia o no stabilito in tale Stato membro, offrendo al contempo una maggiore tutela ai lavoratori distaccati, tutela che costituisce, per di più, come attesta il considerando 10 della suddetta direttiva, il mezzo per «salvaguardare la libera prestazione dei servizi su base equa».

127    Ne consegue che la direttiva impugnata, garantendo una tutela rafforzata dei lavoratori distaccati, mira a garantire la realizzazione della libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione nell’ambito di una concorrenza che non dipende da differenze eccessive nelle condizioni di lavoro e di occupazione applicate, in uno stesso Stato membro, alle imprese di diversi Stati membri.

128    In tale misura, al fine di raggiungere un simile obiettivo, la direttiva impugnata procede a un riequilibrio dei fattori in relazione ai quali le imprese stabilite nei diversi Stati membri possono entrare in concorrenza, senza tuttavia eliminare l’eventuale vantaggio concorrenziale di cui avrebbero beneficiato i prestatori di servizi di taluni Stati membri, dal momento che, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, la suddetta direttiva non ha in alcun modo l’effetto di eliminare qualsiasi concorrenza fondata sui costi. Essa prevede, infatti, di garantire ai lavoratori distaccati l’applicazione di un insieme di condizioni di lavoro e di occupazione nello Stato membro ospitante, tra cui gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori in tale Stato. Tale direttiva non ha quindi effetto sugli altri elementi dei costi delle imprese che distaccano simili lavoratori, quali la produttività o l’efficienza di questi, menzionati al considerando 16 della medesima. Contrariamente a quanto afferma l’Ungheria, la direttiva in questione non crea, pertanto, una distorsione della concorrenza.

129    Inoltre, occorre sottolineare che la direttiva impugnata mira sia, conformemente al considerando 16 della stessa, a creare un «mercato interno veramente integrato e competitivo» sia, a mente del considerando 4, a garantire, mediante l’applicazione uniforme di norme in materia di condizioni di lavoro e di occupazione, un’«autentica convergenza sociale».

130    Di conseguenza, la prima parte del terzo motivo di ricorso deve essere respinta.

–       Sulla seconda parte del terzo motivo di ricorso, relativa alla violazione del principio della parità di trattamento

131    In primo luogo, quanto all’argomento secondo il quale la norma di cui all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71 modificata imporrebbe alle imprese che distaccano lavoratori in un altro Stato membro di versare loro una retribuzione fissata in base alle prassi di quest’ultimo Stato, che non sono obbligatoriamente applicabili alle imprese di tale Stato membro, occorre constatare che esso è errato.

132    Dal tenore letterale dell’articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71 modificata, che precisa le condizioni generali di applicazione dello stesso paragrafo, risulta infatti chiaramente che il «concetto di retribuzione [di cui all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), di tale direttiva] è determinato dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato e con esso si intendono tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8».

133    Pertanto, sia i lavoratori impiegati dalle imprese stabilite nello Stato membro ospitante sia i lavoratori distaccati in tale Stato membro sono soggetti alle stesse norme in materia di retribuzione, vale a dire quelle rese obbligatorie nel suddetto Stato membro.

134    In secondo luogo, quanto all’argomento dell’Ungheria secondo il quale l’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 96/71 modificata è contrario al principio di uguaglianza, in quanto imporrebbe un obbligo di rimborsare le spese di viaggio, vitto e alloggio alle imprese che distaccano lavoratori in un altro Stato membro, tale argomento si fonda su un’interpretazione errata della disposizione citata. Come sostenuto dal Consiglio, infatti, la seconda frase del secondo comma di tale articolo 3, paragrafo 7, non è tesa a creare un obbligo di tale natura. Come risulta in particolare dal considerando 19 della direttiva impugnata nonché dalla riserva contenuta in tale frase mediante rinvio all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera i), della medesima direttiva, detta frase si limita a prevedere che un simile rimborso, che non fa parte della retribuzione, è disciplinato dalla legislazione o dalle prassi nazionali applicabili al rapporto di lavoro.

135    Del resto, la disposizione summenzionata riguarda la situazione particolare nella quale si trovano i lavoratori distaccati, essendo essi tenuti, al fine di adempiere i loro obblighi professionali nei confronti del datore di lavoro, a spostarsi dal loro Stato membro di origine verso un altro Stato membro. Orbene, i lavoratori impiegati da un’impresa stabilita in un tale Stato membro non si trovano nella stessa situazione, in quanto svolgono i loro compiti per conto di tale impresa in questo stesso Stato membro. Ne consegue che la suddetta disposizione non può, in ogni caso, essere considerata contraria al principio della parità di trattamento.

136    Pertanto, la seconda parte del terzo motivo di ricorso deve essere respinta.

–       Sulla terza parte del terzo motivo di ricorso, relativa alla violazione del principio di proporzionalità

137    Come emerge dalla giurisprudenza citata al punto 111 della presente sentenza, il principio di proporzionalità, il quale fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, esige che gli strumenti istituiti da una disposizione di diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli.

138    In primo luogo, per quanto riguarda l’idoneità della direttiva impugnata a raggiungere l’obiettivo di garantire condizioni di concorrenza più eque tra le imprese che distaccano lavoratori nello Stato membro ospitante e le imprese di tale Stato membro, l’Ungheria trae conclusioni errate dal considerando 16 della direttiva in questione.

139    Da un lato, tale considerando riflette un obiettivo che l’Unione deve raggiungere, ossia quello di realizzare un «mercato interno veramente integrato e competitivo», e l’applicazione uniforme di norme in materia di condizioni di lavoro e di occupazione è intesa a garantire, secondo il considerando 4 della medesima direttiva, un’«autentica convergenza sociale».

140    Dall’altro lato, questo stesso considerando 16 non indica che una concorrenza sulla base di differenze di costi tra le imprese dell’Unione non sarebbe né possibile né auspicabile. Al contrario, menzionando fattori quali la produttività e l’efficienza, esso mette in evidenza fattori di produzione che comportano naturalmente simili differenze di costi.

141    In realtà, in caso di prestazioni di servizi transnazionali, le sole differenze di costi tra le imprese dell’Unione a essere neutralizzate dalla direttiva impugnata sono quelle risultanti dalle condizioni di lavoro e di occupazione elencate all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71 modificata, le quali sono obbligatorie in forza della normativa, in senso ampio, dello Stato membro ospitante.

142    In secondo luogo, l’Ungheria contesta gli elementi contemplati dal legislatore dell’Unione per ritenere che la tutela dei lavoratori distaccati, da parte della direttiva 96/71, non fosse più adeguata.

143    A tale riguardo, la valutazione d’impatto ha messo in risalto, in particolare, due circostanze che hanno potuto ragionevolmente indurre tale legislatore a ritenere che la nozione di «tariffe minime salariali» dello Stato membro ospitante, di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 96/71, le quali dovevano essere garantite al fine di tutelare i lavoratori distaccati, non fosse più idonea ad assicurare una simile tutela.

144    Da un lato, la nozione di «tariffe minime salariali» aveva sollevato difficoltà interpretative in numerosi Stati membri, circostanza che aveva dato origine a varie cause pregiudiziali dinanzi alla Corte, la quale ha accolto un’interpretazione ampia di tale nozione nella sentenza del 12 febbraio 2015, Sähköalojen ammattiliitto (C-396/13, EU:C:2015:86, punti da 38 a 70), che include, oltre al salario minimo previsto dalla legislazione dello Stato membro ospitante, un certo numero di elementi. In tal senso, è stato dichiarato che la suddetta nozione comprendeva la modalità di calcolo del salario, su base oraria o a cottimo, fondata sull’inquadramento dei lavoratori in gruppi salariali quali previsti dai contratti collettivi in vigore in tale Stato membro, un’indennità giornaliera, un’indennità per il tragitto e una gratifica per ferie.

145    In tal modo, si è potuto constatare, nella valutazione d’impatto, che la nozione di «tariffe minime salariali», come interpretata dalla Corte, si discostava notevolmente dalla prassi diffusa delle imprese che distaccavano lavoratori in un altro Stato membro nell’ambito di una prestazione di servizi, consistente nel versare a questi ultimi solo il salario minimo previsto dalla legislazione o dai contratti collettivi dello Stato membro ospitante.

146    Dall’altro lato, dalla valutazione d’impatto consta che, nel corso del 2014, erano emerse differenze rilevanti di retribuzione, in diversi Stati membri ospitanti, tra i lavoratori impiegati da imprese stabilite in tali Stati membri e i lavoratori che vi erano distaccati.

147    In terzo luogo, occorre respingere l’argomento dell’Ungheria secondo il quale, in considerazione del carattere temporaneo di una prestazione di servizi effettuata nell’ambito di un distacco di lavoratori, le disposizioni della direttiva impugnata, nella misura in cui consistono nell’accordare ai lavoratori distaccati una parità di trattamento con i lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante, vanno oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo di tutela di tali lavoratori distaccati.

148    Contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, né la sostituzione della nozione di «tariffe minime salariali» con quella di «retribuzione», all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71 modificata, né l’applicazione ai lavoratori distaccati delle condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato membro ospitante relativamente al rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio dei lavoratori lontani dal loro domicilio per motivi professionali finiscono per porre questi ultimi in una situazione identica o analoga a quella dei lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante.

149    Tali modifiche non comportano infatti l’applicazione di tutte le condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato membro ospitante, atteso che solo alcune di tali condizioni sono, in ogni caso, applicabili a tali lavoratori in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71 modificata.

150    Orbene, tenuto conto degli elementi esposti ai punti 62 e da 144 a 146 della presente sentenza, l’Ungheria non è stata in grado di dimostrare che le modifiche apportate dalla direttiva impugnata all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 96/71 andassero oltre quanto era necessario al fine di raggiungere gli obiettivi della direttiva impugnata, ossia garantire la libera prestazione dei servizi su base equa e offrire una maggiore tutela ai lavoratori distaccati.

151    Di conseguenza, la terza parte del terzo motivo di ricorso deve essere respinta.

–       Sulla quarta parte del terzo motivo di ricorso, relativa al fatto che il regime di distacco dei lavoratori per un periodo superiore a dodici mesi lederebbe il principio della libera prestazione dei servizi

152    L’Ungheria ritiene che l’applicazione della quasi totalità del diritto del lavoro dello Stato membro ospitante ai lavoratori distaccati per un periodo, di norma, superiore a dodici mesi non sia né giustificata dalla tutela degli interessi dei medesimi né necessaria né proporzionata.

153    Inoltre, la direttiva impugnata violerebbe il principio della parità di trattamento nel ritenere, da un lato, che i lavoratori distaccati per più di dodici mesi, cui fa riferimento l’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata, si trovino in una situazione analoga a quella dei lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante e, dall’altro, che le imprese che distaccano lavoratori per una durata del genere si trovino in una situazione analoga a quella delle imprese stabilite in tale Stato.

154    L’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata prevede che, qualora il lavoratore sia distaccato per più di dodici mesi nello Stato membro ospitante, o per più di diciotto mesi se il prestatore di servizi presenta una notifica motivata in tal senso, quest’ultimo Stato garantisca, sulla base della parità di trattamento, oltre alle condizioni di lavoro e di occupazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva in parola, tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili stabilite, in tale Stato, da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e/o da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale. Restano al di fuori dell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata soltanto, da un lato, le procedure, le formalità e le condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro, comprese le clausole di non concorrenza, e, dall’altro, i regimi pensionistici integrativi di categoria.

155    Orbene, alla luce dell’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione, ricordato ai punti 112 e 113 della presente sentenza, il legislatore non è incorso in un errore manifesto nel ritenere che un distacco di una durata così lunga dovesse avere la conseguenza di ravvicinare sensibilmente la situazione personale dei lavoratori distaccati interessati a quella dei lavoratori impiegati da imprese stabilite nello Stato membro ospitante, e che esso giustificasse il fatto che tali lavoratori distaccati di lunga durata beneficiassero della quasi totalità delle condizioni di lavoro e di occupazione applicabili in quest’ultimo Stato membro.

156    Un tale regime di distacco di lunga durata risulta necessario, adeguato e proporzionato al fine di garantire una maggiore protezione in materia di condizioni di lavoro e di occupazione per i lavoratori distaccati per un lungo periodo in uno Stato membro ospitante, distinguendo al contempo la situazione di tali lavoratori da quella dei lavoratori che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione o, più in generale, dei lavoratori residenti in tale Stato membro e impiegati da imprese ivi stabilite.

157    Di conseguenza, la quarta parte del terzo motivo di ricorso deve essere respinta.

–       Sulla quinta parte del terzo motivo di ricorso, relativa alla violazione dell’articolo 58 TFUE

158    L’Ungheria ritiene che, rendendo applicabile la direttiva 96/71 modificata al settore del trasporto su strada a decorrere dall’adozione di un atto legislativo specifico, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva impugnata violi l’articolo 58 TFUE.

159    In forza dell’articolo 58 TFUE, la libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo del Trattato FUE relativo ai trasporti, composto dagli articoli da 90 a 100 TFUE.

160    Ne consegue che un servizio nel settore dei trasporti, ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, è escluso dall’ambito di applicazione dell’articolo 56 TFUE (sentenza del 20 dicembre 2017, Asociación Profesional Elite Taxi, C-434/15, EU:C:2017:981, punto 48).

161    Orbene, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva impugnata si limita a prevedere che essa si applicherà al settore del trasporto su strada a decorrere dalla data di applicazione di un atto legislativo che modifica la direttiva 2006/22, la quale aveva come base giuridica l’articolo 71, paragrafo 1, CE, facente parte delle disposizioni del titolo del Trattato CE relativo ai trasporti e corrispondente all’articolo 91 TFUE.

162    Pertanto, l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva impugnata non è diretto a disciplinare la libera prestazione di servizi nel settore dei trasporti e non può, dunque, essere contrario all’articolo 58 TFUE.

163    Di conseguenza, occorre respingere la quinta parte del terzo motivo di ricorso e, con essa, lo stesso motivo nel suo complesso.

 Sul quarto motivo di ricorso, vertente sulla violazione dellarticolo 56 TFUE in quanto la direttiva impugnata precluderebbe leffettiva attuazione della libera prestazione dei servizi

 Argomenti delle parti

164    L’Ungheria sostiene che la direttiva impugnata è contraria all’articolo 56 TFUE e alla sentenza del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri (C-341/05, EU:C:2007:809), in quanto prevede che l’esercizio del diritto di sciopero o del diritto di intraprendere altre azioni collettive possa ostacolare l’effettiva attuazione della libera prestazione di servizi.

165    Tale sarebbe, a suo avviso, la portata dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, il quale enuncia che la direttiva 96/71 non pregiudica il diritto di sciopero o di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali negli Stati membri.

166    Il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dalla Repubblica federale di Germania, dal Regno dei Paesi Bassi, dal Regno di Svezia e dalla Commissione, contestano gli argomenti dell’Ungheria.

 Giudizio della Corte

167    In sostanza, l’Ungheria ritiene che l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva impugnata metta in discussione la giurisprudenza della Corte, risultante dalla sentenza del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri (C-341/05, EU:C:2007:809), escludendo dall’ambito di applicazione dell’articolo 56 TFUE l’esercizio del diritto di sciopero o del diritto di intraprendere altre azioni collettive.

168    Orbene, se è pur vero che la disposizione summenzionata indica che la direttiva 96/71 modificata «non pregiudica in alcun modo l’esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e a livello di Unione», essa tuttavia non comporta in alcun modo che l’esercizio di tali diritti non sia sottoposto al diritto dell’Unione. Al contrario, facendo riferimento ai diritti fondamentali riconosciuti a livello dell’Unione, essa implica anzi che l’esercizio dei diritti d’azione collettiva dei lavoratori, nel contesto di un distacco di lavoratori sottoposto alle disposizioni della direttiva 96/71 modificata, debba essere valutato alla luce del diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte.

169    Di conseguenza, il quarto motivo di ricorso deve essere respinto.

 Sul quinto motivo di ricorso, relativo alla violazione del regolamento «Roma I» e dei principi della certezza del diritto e della chiarezza normativa

 Argomenti delle parti

170    L’Ungheria sostiene che l’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata non è compatibile con il regolamento «Roma I», il quale mira a garantire la libertà delle parti del contratto quanto alla scelta della legge applicabile al loro rapporto, in quanto detto articolo prevede che, in caso di distacco di lunga durata, ai lavoratori distaccati si applichino imperativamente gli obblighi derivanti dalla legislazione dello Stato membro ospitante, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro.

171    Orbene, il regolamento «Roma I» non terrebbe conto della durata del lavoro svolto all’estero per determinare la legge applicabile, ma si baserebbe unicamente sulla questione se il lavoratore, una volta svolto il lavoro all’estero, debba riprendere il proprio lavoro nel proprio paese d’origine.

172    Inoltre, l’Ungheria ritiene che l’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata non abbia il carattere di una norma di conflitto di leggi, poiché in esso si afferma che il medesimo si applica indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro.

173    Essa sostiene altresì che la norma secondo la quale, ai fini dell’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata, i periodi di distacco di ciascuno dei lavoratori distaccati in successione sono cumulati, prevista al quarto comma di tale disposizione, non è compatibile con il regolamento «Roma I», il quale definisce la legge applicabile e i diritti individuali per ciascun contratto di lavoro individuale.

174    Infine, essa ritiene che la nozione di «retribuzione», nella direttiva impugnata, violi i principi della chiarezza normativa e della certezza del diritto, in quanto rinvia alla legislazione e/o alle prassi nazionali dello Stato membro ospitante.

175    Il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dalla Repubblica federale di Germania, dal Regno dei Paesi Bassi, dal Regno di Svezia e dalla Commissione, contestano gli argomenti dell’Ungheria.

 Giudizio della Corte

176    In una prima parte, l’Ungheria sostiene, da un lato, che l’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata viola l’articolo 8 del regolamento «Roma I», il quale sancisce l’autonomia delle parti per determinare la legge applicabile al contratto di lavoro, e, dall’altro, che la norma secondo la quale i periodi di distacco di ciascuno dei lavoratori distaccati in successione sono cumulati non sarebbe compatibile con tale regolamento. In una seconda parte, essa ritiene che la nozione di «retribuzione», introdotta dalla direttiva impugnata, violi i principi della certezza del diritto e della chiarezza normativa.

177    In primo luogo, occorre rilevare che l’articolo 8 del regolamento «Roma I» stabilisce, al suo paragrafo 1, una norma generale di conflitto di leggi applicabile ai contratti di lavoro, che designa la legge scelta dalle parti di un simile contratto, e dispone, al paragrafo 2, che, in mancanza di una simile scelta, il contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro, paese che non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo.

178    Nondimeno, il regolamento «Roma I» prevede, al suo articolo 23, che si possa derogare alle norme di conflitto di leggi da esso stabilite qualora disposizioni del diritto dell’Unione fissino norme relative alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali in talune materie, mentre secondo il considerando 40 del regolamento in parola esso non esclude la possibilità di inserire norme di conflitto di leggi in materia di obbligazioni contrattuali nelle disposizioni del diritto dell’Unione relative a materie particolari.

179    Orbene, in considerazione della loro natura e del loro contenuto, sia l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71 modificata, per quanto riguarda i lavoratori distaccati, sia l’articolo 3, paragrafo 1 bis, della medesima direttiva, per quanto riguarda i lavoratori distaccati per un periodo, di norma, superiore a dodici mesi, costituiscono norme speciali di conflitto di leggi, ai sensi dell’articolo 23 del regolamento «Roma I».

180    Inoltre, come rileva l’avvocato generale al paragrafo 196 delle conclusioni, il processo di elaborazione del regolamento «Roma I» dimostra che l’articolo 23 dello stesso ricomprende la norma speciale di conflitto di leggi già prevista all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71, poiché, nella proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), [COM(2005) 650 definitivo], del 15 dicembre 2005, la Commissione aveva allegato un elenco delle norme speciali di conflitto di leggi stabilite da altre disposizioni del diritto dell’Unione, tra le quali figurava tale direttiva.

181    Infine, l’esistenza, all’articolo 3, paragrafo 1 bis, della direttiva 96/71 modificata, di una norma volta a prevenire la frode in caso di sostituzione di un lavoratore distaccato con un altro lavoratore distaccato, che espleta le stesse mansioni nello stesso luogo, non può mettere in discussione la conclusione di cui al punto 179 della presente sentenza, giacché, nell’ambito della norma di conflitto di leggi costituita da tale disposizione, il legislatore dell’Unione poteva prevedere una norma destinata a evitare l’elusione dell’obbligo che esso istituiva.

182    Di conseguenza, la prima parte del quinto motivo di ricorso deve essere respinta.

183    In secondo luogo, dal tenore letterale e dall’impianto sistematico della direttiva 96/71 modificata risulta chiaramente che la nozione di «retribuzione», utilizzata all’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della medesima, rinvia alle legislazioni o alle prassi degli Stati membri rese obbligatorie in materia e che, fatta salva la precisazione apportata all’articolo 3, paragrafo 7, secondo comma, di tale direttiva, detto articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), non definisce ciò che tale nozione ricomprende.

184    A tale riguardo, l’articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 96/71 modificata si limita a rilevare che tale nozione è determinata dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato e con esso si intendono tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8 di tale articolo.

185    Orbene, come risulta, in sostanza, dal considerando 17 della direttiva impugnata, la fissazione delle norme sulla retribuzione rientra, in linea di principio, nella sfera di competenza degli Stati membri, i quali sono nondimeno tenuti, in tale contesto, ad agire nel rispetto del diritto dell’Unione.

186    Ciò posto, e tenuto conto anche dell’ampio potere discrezionale ricordato ai punti 112 e 113 della presente sentenza, non si può contestare al legislatore dell’Unione di aver violato i principi della certezza del diritto e della chiarezza normativa avendo il medesimo, in una direttiva di coordinamento delle normative e delle prassi degli Stati membri in materia di condizioni di lavoro e di occupazione, rinviato alla nozione di «retribuzione» quale determinata dalla legislazione o dalle prassi nazionali degli Stati membri.

187    Di conseguenza, occorre respingere la seconda parte del quinto motivo di ricorso e, con essa, lo stesso motivo nel suo complesso.

188    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto senza che occorra statuire sulle conclusioni, presentate in subordine, dirette all’annullamento di talune disposizioni della direttiva impugnata e che si basano sugli stessi motivi a sostegno delle conclusioni presentate in via principale.

 Sulle spese

189    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. L’Ungheria, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese, conformemente alla domanda del Parlamento e del Consiglio.

190    Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, del suddetto regolamento, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno di Svezia e la Commissione si faranno carico delle proprie spese in quanto intervenienti nella controversia.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’Ungheria è condannata a farsi carico, oltre che delle proprie spese, delle spese sostenute dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea.

3)      La Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno di Svezia e la Commissione europea si faranno carico delle proprie spese.

Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.