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Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

11 gennaio 2024 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Diniego del diritto a detrazione – Obblighi del contribuente – Dovere di diligenza – Onere della prova – Principi di neutralità fiscale e di certezza del diritto – Primato del diritto dell’Unione – Contraddizione tra la giurisprudenza di un organo giurisdizionale nazionale e il diritto dell’Unione»

Nella causa C-537/22,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), con decisione del 31 maggio 2022, pervenuta in cancelleria l’11 agosto 2022, nel procedimento

Global Ink Trade Kft.

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Arabadjiev, presidente di sezione, T. von Danwitz (relatore), P.G. Xuereb, A. Kumin e I. Ziemele, giudici,

avvocato generale: A.M. Collins

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e K. Szíjjártó, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da J. Jokubauskaitė e A. Sipos, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del principio del primato del diritto dell’Unione nonché dell’articolo 167, dell’articolo 168, lettera a), e dell’articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»), letti alla luce dei principi di neutralità fiscale e di certezza del diritto.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Global Ink Trade Kft. e la Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága (Direzione dei ricorsi dell’Amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane, Ungheria) (in prosieguo: l’«amministrazione tributaria»), relativamente al diniego da parte di quest’ultima del beneficio del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa ad acquisti di beni.

 Contesto normativo

3        L’articolo 167 della direttiva IVA dispone che il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile.

4        Ai sensi dell’articolo 168, lettera a), di tale direttiva:

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a)      l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo;

(...)».

5        In forza dell’articolo 178, lettera a), di detta direttiva, per poter esercitare il diritto alla detrazione di cui all’articolo 168, lettera a), di detta direttiva, il soggetto passivo deve essere in possesso di una fattura redatta conformemente ai requisiti previsti dalla medesima direttiva.

6        L’articolo 273, primo comma, della direttiva IVA così dispone:

«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

7        La Global Ink Trade esercita un’attività di commercio all’ingrosso in Ungheria. Nel corso di un periodo compreso tra il luglio 2012 e il giugno 2013, tale impresa ha acquistato diverse forniture per ufficio. La maggior parte delle fatture riguardanti tali acquisti indica che il fornitore dei beni di cui trattasi era l’impresa ungherese Office Builder Kft.

8        In occasione di verifiche effettuate presso la Office Builder, l’amministrazione tributaria ha rilevato, in particolare, che detta impresa non svolgeva alcuna attività economica reale e che non aveva rispettato i suoi obblighi tributari. L’amministratore di tale impresa, detenuto in un istituto penitenziario nel marzo 2013, avrebbe negato di aver redatto una qualsivoglia fattura o mantenuto una qualsivoglia corrispondenza con la Global Ink Trade. Inoltre, la medesima amministrazione tributaria ha constatato che l’indirizzo di posta elettronica utilizzato per gli scambi tra la Office Builder e la Global Ink Trade non corrispondeva all’indirizzo di posta elettronica ufficiale della Office Builder.

9        L’amministrazione tributaria ha altresì interrogato alcuni testimoni, che avrebbero confermato che i beni di cui trattasi erano stati ceduti alla Global Ink Trade. L’amministratore di quest’ultima avrebbe dichiarato di essere entrato in rapporti commerciali con la Office Builder a seguito di un annuncio che egli aveva pubblicato su un giornale locale, nonché di aver verificato i dati di tale impresa nel registro delle imprese e incontrato di persona un rappresentante della stessa, mentre tutti gli scambi successivi si erano svolti per posta elettronica.

10      Sulla base delle prove raccolte, l’amministrazione tributaria ha ritenuto che le fatture asseritamente emesse dalla Office Builder e indirizzate alla Global Ink Trade non fossero credibili, atteso che l’amministratore della Office Builder aveva espressamente negato di averle emesse. Tale amministrazione ne ha dunque dedotto che le operazioni descritte in tali fatture non avevano avuto luogo tra le due imprese di cui trattasi. Di conseguenza, detta amministrazione ha deciso di negare alla Global Ink Trade il diritto di detrarre l’IVA figurante su dette fatture per il motivo, tra l’altro, che essa non aveva dato prova della diligenza richiesta nell’esercizio della sua attività, in particolare omettendo di informarsi sufficientemente quanto alla reale identità del suo fornitore e al rispetto, da parte di quest’ultimo, dei suoi obblighi tributari, essendosi in tal modo resa colpevole di evasione fiscale passiva.

11      La Global Ink Trade ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi alla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), giudice del rinvio, affermando che il rifiuto dell’amministrazione tributaria di concedere il diritto alla detrazione dell’IVA relativa alle fatture di cui trattasi sarebbe fondato su fatti non dimostrati e che detta amministrazione non avrebbe tenuto conto del fatto che su di essa gravava l’onere della prova.

12      In tale contesto, il giudice del rinvio constata che le disposizioni pertinenti della direttiva IVA sono state interpretate dalla Corte in cause analoghe, relative all’Ungheria, nelle ordinanze del 3 settembre 2020, Vikingo Fővállalkozó (C-610/19, EU:C:2020:673; in prosieguo: l’«ordinanza Vikingo Fővállalkozó»), e Crewprint (C-611/19, EU:C:2020:674; in prosieguo: l’«ordinanza Crewprint»). Orbene, secondo tale giudice, la Kúria (Corte suprema, Ungheria) continuerebbe ad applicare la sua giurisprudenza anteriore a tali ordinanze, la quale sembra limitare il diritto alla detrazione dell’IVA mediante prescrizioni che non trovano fondamento nella direttiva IVA, per il motivo che dette ordinanze non possono contenere elementi nuovi per l’interpretazione del diritto dell’Unione.

13      In particolare, la giurisprudenza della Kúria (Corte suprema) avrebbe l’effetto di imporre a ogni soggetto passivo di procedere a verifiche complesse e approfondite relative ai suoi fornitori, segnatamente quanto al rispetto, da parte di questi ultimi, dei loro obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, mentre dall’ordinanza Vikingo Fővállalkozó risulterebbe che tali verifiche non potrebbero essere poste a carico del soggetto passivo che esercita il suo diritto alla detrazione dell’IVA. Sussisterebbe, pertanto, una divergenza tra gli organi giurisdizionali ungheresi per quanto riguarda le conseguenze da trarre dalla giurisprudenza della Corte. In tale contesto, l’amministrazione tributaria continuerebbe, anch’essa, ad applicare prescrizioni incompatibili con le disposizioni della direttiva IVA, quali interpretate dalla Corte. Tali prescrizioni sarebbero, inoltre, contrarie alla circolare pubblicata dall’amministrazione di cui trattasi all’attenzione dei soggetti passivi, il che lederebbe, secondo il giudice del rinvio, il principio della certezza del diritto. Tra dette prescrizioni figurerebbe, in particolare, l’obbligo di intrattenere contatti personali con ciascun fornitore nonché quello di utilizzare esclusivamente l’indirizzo di posta elettronica ufficiale dello stesso.

14      Poiché il giudice del rinvio è, in linea di principio, vincolato dalle sentenze della Kúria (Corte suprema) ed è obbligato a motivare qualsiasi discostamento di valutazione in diritto rispetto a tali sentenze, le quali hanno valore di precedente vincolante, esso si chiede se, alla luce del principio del primato del diritto dell’Unione, esso debba effettivamente discostarsi dalle sentenze della Kúria (Corte suprema) che gli appaiono incompatibili con le disposizioni della direttiva IVA, quali interpretate dalla Corte nelle ordinanze Vikingo Fővállalkozó e Crewprint.

15      Date tali circostanze, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se costituisca una violazione del principio del primato del diritto dell’Unione e del diritto a un ricorso effettivo garantito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea il fatto che l’organo giurisdizionale di uno Stato membro che decide in ultima istanza interpreti una decisione della Corte (adottata sotto forma di ordinanza in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale il cui oggetto era appunto la giurisprudenza elaborata dallo stesso organo giurisdizionale di ultima istanza) nel senso che essa non presenta alcun elemento nuovo che abbia o possa avere l’effetto di riformare precedenti decisioni della Corte o di modificare la precedente giurisprudenza nazionale elaborata dall’organo giurisdizionale che decide in ultima istanza.

2)      Se il principio del primato del diritto dell’Unione e il diritto a un ricorso effettivo garantito dall’articolo 47 della [Carta dei diritti fondamentali] debbano essere interpretati nel senso che il principio del primato delle decisioni della Corte si applica anche nel caso in cui l’organo giurisdizionale di uno Stato membro che decide in ultima istanza faccia valere anche le sue sentenze anteriori come precedenti. Se si possa fornire una risposta diversa alla luce dell’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte qualora la decisione di quest’ultima assuma la forma di ordinanza.

3)      Se, nell’ambito dell’obbligo generale di controllo del contribuente, indipendentemente dall’esecuzione e dalla natura dell’operazione economica indicata nelle fatture, e tenuto conto de[ll’articolo] 167, [dell’articolo] 168, lettera a), e [dell’articolo] 178, lettera a), della [direttiva IVA], nonché dei principi di certezza del diritto e di neutralità fiscale, sia possibile imporre al contribuente, come condizione del diritto alla detrazione dell’IVA – in assenza di una disposizione legislativa al riguardo nello Stato membro –, di mantenere un contatto personale con l’emittente della fattura o di contattare il suo fornitore solo all’indirizzo di posta elettronica ufficialmente comunicato. Se si possa ritenere che tali circostanze rivelino una violazione, dimostrata da fatti oggettivi, dell’obbligo di diligenza del contribuente, tenendo presente che tali circostanze non esistevano ancora nel momento in cui il contribuente aveva effettuato le relative verifiche prima di stabilire il rapporto commerciale, bensì sono elementi del rapporto commerciale intercorrente tra le parti.

4)      Se siano conformi ai citati articoli della direttiva IVA e al principio di neutralità fiscale, ma principalmente alla giurisprudenza della Corte che, nell’ambito dell’interpretazione di tali disposizioni, impone l’onere della prova all’autorità tributaria, un’interpretazione giuridica e una prassi sviluppatasi in uno Stato membro in base alle quali a un soggetto passivo in possesso di una fattura conforme alla direttiva IVA si nega il diritto alla detrazione dell’IVA in quanto lo stesso non ha agito con la dovuta diligenza nell’ambito di un’attività commerciale, poiché non ha dimostrato un comportamento che consenta di stabilire che la sua attività non si limitava alla semplice ricezione di fatture conformi ai requisiti formali richiesti, nonostante il soggetto passivo abbia prodotto tutta la documentazione relativa alle operazioni controverse e l’autorità tributaria abbia respinto altre offerte di prova presentate dal soggetto passivo nel corso del procedimento tributario.

5)      Alla luce dei citati articoli della direttiva IVA e del principio fondamentale della certezza del diritto, se la constatazione, effettuata con riferimento all’obbligo di diligenza, che l’emittente della fattura non svolgeva alcuna attività economica, possa essere considerata un fatto oggettivo, qualora l’autorità tributaria ritenga che non sia stata provata l’effettiva esecuzione (quindi l’effettiva esistenza) di un’operazione economica, – documentata mediante fatture, contratti e altri documenti contabili, nonché mediante la corrispondenza, e che è stata confermata dalle dichiarazioni del grossista, dell’amministratore e del dipendente del contribuente –, e detta autorità tributaria si basi a tal fine esclusivamente sulla dichiarazione dell’amministratore dell’impresa fornitrice che nega l’esistenza di una siffatta operazione, senza tener conto delle circostanze in cui è stata resa tale dichiarazione, degli interessi del dichiarante né del fatto che, sulla base della documentazione contenuta nel fascicolo, lo stesso dichiarante aveva costituito l’impresa e, secondo le informazioni disponibili, un rappresentante agiva in nome della stessa.

6)      Se le disposizioni della direttiva IVA relative alla detrazione di detta imposta debbano essere interpretate nel senso che, nel caso in cui l’autorità tributaria accerti nel corso del procedimento tributario che i beni indicati nelle fatture sono di origine comunitaria e che il contribuente è il secondo componente di una catena [di cessioni], la concezione di tale modello – tenuto conto del fatto che i beni di origine comunitaria sono esenti da IVA, di modo che il primo acquirente ungherese non ha diritto alla detrazione dell’IVA, ma lo ha solo il secondo componente della catena – è un fatto oggettivo sufficiente di per sé a dimostrare l’evasione fiscale, oppure se l’autorità tributaria in questo caso debba anche comprovare con fatti oggettivi quale componente o quali componenti della catena hanno commesso l’evasione fiscale, qual è stato il loro modus operandi e se il contribuente ne era a conoscenza o avrebbe potuto esserlo utilizzando la dovuta diligenza».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulle questioni prima e seconda

16      In via preliminare, nei limiti in cui il giudice del rinvio interroga la Corte, con le sue questioni pregiudiziali prima e seconda, sull’interpretazione del principio del primato del diritto dell’Unione, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, occorre rilevare che, in forza della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, il giudice del rinvio si ritiene vincolato dalle sentenze degli organi giurisdizionali di grado superiore, anche laddove queste ultime contengano valutazioni in diritto che gli appaiano incompatibili con il diritto dell’Unione.

17      Ciò premesso, il giudice del rinvio non presenta il collegamento che esso stabilisce tra l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, il quale sancisce il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, e tale normativa nazionale. Inoltre, come rilevato dalla Commissione europea nelle sue osservazioni scritte, la decisione di rinvio non menziona alcun ostacolo che impedisca a detto giudice di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte in caso di dubbio quanto alla compatibilità della giurisprudenza nazionale di cui trattasi con il diritto dell’Unione. In tali circostanze, occorre rispondere a dette questioni unicamente alla luce del principio del primato del diritto dell’Unione.

18      Si deve dunque ritenere che, con le sue questioni prima e seconda, alle quali occorre rispondere congiuntamente, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se il principio del primato del diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale le valutazioni in diritto effettuate da un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore vincolano gli organi giurisdizionali nazionali di grado inferiore, i quali sono obbligati a motivare qualsiasi discostamento da dette valutazioni, qualora tali organi giurisdizionali nazionali di grado inferiore reputino, in considerazione dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione fornita dalla Corte, che dette valutazioni non siano conformi a tale diritto.

 Sulla ricevibilità

19      Il governo ungherese sostiene che tali questioni sono irricevibili. Infatti, con queste ultime, il giudice del rinvio cercherebbe di mettere in discussione le decisioni pronunciate dalla Kúria (Corte suprema) nelle cause che hanno dato luogo alle ordinanze Vikingo Fővállalkozó e Crewprint, e ciò per il motivo che dette decisioni non sarebbero conformi alle ordinanze di cui trattasi. Dette questioni sarebbero dunque irrilevanti ai fini della soluzione della controversia principale, in quanto quest’ultima non avrebbe alcuna relazione con tali cause.

20      Al riguardo, è opportuno ricordare che, secondo costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione proposte dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto da parte della Corte di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile soltanto se appare in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 14 settembre 2023, Bezirkshauptmannschaft Feldkirch, C-55/22, EU:C:2023:670, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

21      Nel caso di specie, occorre rilevare che il giudice del rinvio menziona una potenziale contraddizione tra le decisioni della Kúria (Corte suprema) e le ordinanze Vikingo Fővállalkozó e Crewprint. Orbene, dal momento che il giudice del rinvio ritiene di dover fare riferimento ai precetti di tali ordinanze ai fini della soluzione della controversia principale e che, secondo la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, esso è tuttavia vincolato dalle decisioni della Kúria (Corte suprema), le questioni sollevate presentano un collegamento con l’oggetto della controversia principale e non hanno natura ipotetica. Inoltre, la Corte dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile a dette questioni.

22      Di conseguenza, le questioni prima e seconda sono ricevibili.

 Nel merito

23      Secondo costante giurisprudenza, il principio del primato del diritto dell’Unione sancisce la preminenza del diritto dell’Unione sul diritto degli Stati membri. Tale principio impone pertanto a tutte le istituzioni degli Stati membri di dare pieno effetto alle varie norme dell’Unione, dato che il diritto degli Stati membri non può sminuire l’efficacia riconosciuta a tali varie norme nel territorio di detti Stati. Ne discende che, in forza del principio del primato del diritto dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può pregiudicare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione [v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2023, Commissione/Polonia (Indipendenza e vita privata dei giudici), C-204/21, EU:C:2023:442, punto 77, nonché del 24 luglio 2023, Lin, C-107/23 PPU, EU:C:2023:606, punto 128 e giurisprudenza ivi citata].

24      In tale contesto, va rilevato che il giudice nazionale che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall’articolo 267 TFUE è vincolato, nella definizione della controversia principale, dall’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione fornita dalla Corte e deve quindi eventualmente discostarsi dalle valutazioni di un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione dell’interpretazione fornita dalla Corte, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione, disapplicando all’occorrenza la norma nazionale che gli impone di rispettare le decisioni di detto organo giurisdizionale di grado superiore (v., in tal senso, sentenza del 24 luglio 2023, Lin, C-107/23 PPU, EU:C:2023:606, punti 132 e 133 nonché giurisprudenza ivi citata).

25      In tali circostanze, la necessità di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione comporta l’obbligo per tale giudice nazionale di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se essa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione (sentenza del 9 settembre 2021, Dopravní podnik hl. m. Prahy, C-107/19, EU:C:2021:722, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

26      Inoltre, allorché la giurisprudenza della Corte ha già fornito una risposta chiara ad una questione vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione, detto giudice nazionale deve fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2022, Grossmania, C-177/20, EU:C:2022:175, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

27      Al riguardo, come rilevato dal governo ungherese e dalla Commissione, poco importa che l’interpretazione formulata dalla Corte assuma la forma di una sentenza o di un’ordinanza motivata ai sensi dell’articolo 99 del regolamento di procedura. Invero, nessuna disposizione dei Trattati, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea o di tale regolamento di procedura introduce distinzioni, nell’ambito del procedimento pregiudiziale, tra le sentenze e le ordinanze motivate, per quanto riguarda la loro portata e i loro effetti. Pertanto, un giudice nazionale non può non tener conto di un’ordinanza per il motivo che, a differenza di una sentenza, quest’ultima non conterrebbe, asseritamente, elementi nuovi per l’interpretazione del diritto dell’Unione.

28      Nel caso di specie, il giudice del rinvio è quindi vincolato, nella definizione della controversia principale, dall’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte e dovrà, eventualmente, discostarsi dalla valutazione effettuata dalla Kúria (Corte suprema) in decisioni anteriori aventi, nel diritto nazionale, valore di precedente vincolante, qualora esso ritenga, in considerazione di tale interpretazione, che detta valutazione non sia conforme al diritto dell’Unione.

29      Dalle indicazioni del giudice del rinvio e del governo ungherese risulta che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale autorizza tale giudice a discostarsi dalle decisioni anteriori della Kúria (Corte suprema), anche se queste ultime hanno forza di precedente vincolante, a condizione, segnatamente, che detto giudice ritenga che tali decisioni siano incompatibili con il diritto dell’Unione e che la sua valutazione al riguardo sia motivata. In detto contesto, l’obbligo di motivazione incombente al giudice del rinvio a questo proposito non sembra di per sé tale da pregiudicare il primato del diritto dell’Unione, atteso che il fascicolo a disposizione della Corte non contiene alcun elemento idoneo a indicare che un siffatto obbligo costituirebbe un ostacolo tale da rendere eccessivamente difficile per detto giudice l’esercizio della facoltà di discostarsi dalle decisioni anteriori della Kúria (Corte suprema).

30      Alla luce di tali considerazioni, occorre rispondere alle questioni prima e seconda dichiarando che il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale, che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall’articolo 267 TFUE, di discostarsi dalle valutazioni in diritto di un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione fornita dalla Corte sotto forma di sentenza o di ordinanza motivata ai sensi dell’articolo 99 del suo regolamento di procedura, che tali valutazioni non siano conformi a detto diritto. Tale principio non osta tuttavia a una normativa nazionale che si limiti a obbligare gli organi giurisdizionali nazionali di grado inferiore a motivare qualsiasi discostamento da dette valutazioni.

 Sulle questioni dalla terza alla quinta

31      Con le sue questioni dalla terza alla quinta, alle quali è opportuno rispondere congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 167, l’articolo 168, lettera a), e l’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA, letti alla luce dei principi di neutralità fiscale e di certezza del diritto, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi mediante la quale l’amministrazione tributaria nega a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’IVA relativa all’acquisto di beni che sono stati ceduti a quest’ultimo con la motivazione che le fatture riguardanti tali acquisti sono inattendibili, a causa di circostanze attestanti una mancanza di diligenza imputabile a detto soggetto passivo, circostanze che, in linea di principio, sono valutate in considerazione di una circolare pubblicata da detta amministrazione all’attenzione dei soggetti passivi.

32      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o assolta a monte per i beni acquistati e per i servizi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. Come ripetutamente dichiarato dalla Corte, il diritto a detrazione previsto dagli articoli 167 e seguenti della direttiva IVA costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni nel caso in cui i requisiti o le condizioni tanto sostanziali quanto formali a cui tale diritto è subordinato siano rispettati dai soggetti passivi che intendano esercitarlo (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

33      Per quanto riguarda i requisiti o le condizioni sostanziali cui è soggetto il diritto alla detrazione dell’IVA, dall’articolo 168, lettera a), della direttiva IVA risulta che, per poter beneficiare di detto diritto, occorre, da un lato, che l’interessato sia un «soggetto passivo» ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a fondamento del diritto a detrazione siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini di sue operazioni soggette ad imposta e che, a monte, tali beni siano ceduti o tali servizi siano resi da un altro soggetto passivo. Quanto alle modalità di esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assimilabili a requisiti o a condizioni di natura formale, l’articolo 178, lettera a), di tale direttiva prevede che il soggetto passivo debba essere in possesso di una fattura redatta conformemente ai requisiti stabiliti dalla direttiva stessa (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

34      Dette condizioni sostanziali del diritto a detrazione sono soddisfatte solo se la cessione di beni o la prestazione di servizi alla quale fa riferimento la fattura sia stata effettivamente realizzata. La Corte ha già dichiarato che la verifica dell’esistenza dell’operazione imponibile deve essere effettuata conformemente alle norme nazionali sull’onere della prova, procedendo ad una valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie [ordinanza del 9 gennaio 2023, A.T.S. 2003, C-289/22, EU:C:2023:26, punto 46 e giurisprudenza ivi citata, nonché sentenza del 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA – Acquisto simulato), C-114/22, EU:C:2023:430, punto 36].

35      Ciò premesso, il diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso viene invocato in modo fraudolento o abusivo. Infatti, occorre ricordare che la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto a detrazione, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo [sentenza del 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA – Acquisto simulato), C-114/22, EU:C:2023:430, punti 40 e 41 nonché giurisprudenza ivi citata].

36      Per quanto riguarda l’evasione, secondo una giurisprudenza costante, il beneficio del diritto a detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione dell’IVA sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasione [sentenza del 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA – Acquisto simulato), C-114/22, EU:C:2023:430, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

37      Poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentano di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una simile evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni tributarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi [sentenza del 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA – Acquisto simulato), C-114/22, EU:C:2023:430, punto 43 e giurisprudenza ivi citata].

38      A tale riguardo, poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’amministrazione tributaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale. Tuttavia, tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

39      In un tale contesto, la diligenza dovuta dal soggetto passivo e le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che, con il suo acquisto, non partecipi ad un’operazione che si iscrive in un’evasione commessa da un operatore a monte dipendono dalle circostanze del caso di specie e, in particolare, dalla questione se esistano o meno indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell’acquisto da lui effettuato, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode. Pertanto, in presenza di indizi di una frode, ci si può attendere una maggiore diligenza dal soggetto passivo. Tuttavia, non si può esigere da quest’ultimo che esso proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l’amministrazione tributaria ha i mezzi per effettuare (sentenza del 1º dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, EU:C:2022:950, punto 52, e ordinanza del 9 gennaio 2023, A.T.S. 2003, C-289/22, EU:C:2023:26, punto 70).

40      La questione se il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza rientra nella valutazione dei fatti di cui alla controversia principale e, pertanto, nella competenza esclusiva dei giudici nazionali. Spetta a tali giudici valutare se, alla luce delle circostanze del caso di specie, il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e abbia adottato le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere in tali circostanze (v., in tal senso, sentenza del 1º dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, EU:C:2022:950, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

41      A questo proposito, la direttiva IVA non osta, in linea di principio, a che gli Stati membri adottino una normativa o una circolare al fine di precisare il livello di diligenza richiesto a un soggetto passivo e di guidare la valutazione dell’amministrazione tributaria, prevedendo criteri al riguardo. Invero, in forza dell’articolo 273, primo comma, di tale direttiva, gli Stati membri possono stabilire altri obblighi, rispetto a quelli previsti dalla menzionata direttiva, ove essi li ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni.

42      Tuttavia, come risulta da costante giurisprudenza, una misura del genere non può condurre a rimettere sistematicamente in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA e, pertanto, la neutralità dell’IVA (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). Parimenti, essa non può pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione quanto all’assunzione delle prove in materia di evasione dell’IVA.

43      La stessa misura non può dunque mettere in discussione l’obbligo per le autorità tributarie, ricordato al punto 37 della presente sentenza, di dimostrare sufficientemente gli elementi oggettivi che consentano di concludere che un soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA, o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata si iscriveva in una simile evasione. Del pari, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 39 della presente sentenza, essa non può condurre a far gravare su tale soggetto passivo l’onere di verifiche complesse e approfondite riguardanti il suo fornitore.

44      Pertanto, qualora l’amministrazione tributaria si fondi segnatamente su irregolarità commesse nella sfera dell’emittente di una fattura, la valutazione degli elementi di prova non può condurre ad obbligare indirettamente detto soggetto passivo, destinatario di tale fattura, a procedere a verifiche presso la sua controparte contrattuale che, in linea di principio, non gli competono (v., in tal senso, ordinanza del 16 maggio 2013, Hardimpex, C-444/12, EU:C:2013:318, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

45      Infine, l’attuazione di una misura come quella di cui al punto 41 della presente sentenza dovrebbe essere conforme al principio della certezza del diritto. A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento devono essere rispettati dalle istituzioni dell’Unione europea, ma anche dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive dell’Unione (sentenza del 9 luglio 2015, Cabinet Medical Veterinar Dr. Tomoiagă Andrei, C-144/14, EU:C:2015:452, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

46      Come la Corte ha già affermato a più riprese, ne discende in particolare che la normativa dell’Unione deve essere certa e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono assoggettati; questo imperativo di certezza del diritto s’impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare conseguenze finanziarie, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza la portata degli obblighi da essa imposti. Allo stesso modo, nelle materie disciplinate dal diritto dell’Unione, le norme giuridiche degli Stati membri devono avere una formulazione non equivoca, tale da consentire agli interessati di conoscere i propri diritti ed obblighi in modo chiaro e preciso e ai giudici nazionali di garantirne l’osservanza (sentenza del 9 luglio 2015, Cabinet Medical Veterinar Dr. Tomoiagă Andrei, C-144/14, EU:C:2015:452, punti 34 e 35 nonché giurisprudenza ivi citata).

47      Nel caso di specie, dalle indicazioni del giudice del rinvio emerge che alla Global Ink Trade sarebbe stato negato il diritto alla detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di beni che le sono stati ceduti, con la motivazione che le fatture riguardanti tali beni sono inattendibili, a causa, in particolare, di un’incertezza quanto alla reale identità del fornitore di questi ultimi. In tale contesto, sembra che l’amministrazione tributaria abbia altresì invocato il fatto che l’amministratore dell’impresa emittente di dette fatture sarebbe venuto meno ai suoi obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, circostanza di cui la Global Ink Trade avrebbe dovuto asseritamente essere a conoscenza. L’amministrazione tributaria ha ritenuto, al riguardo, che la Global Ink Trade si fosse resa colpevole di evasione fiscale passiva.

48      Come risulta dalla giurisprudenza ricordata ai punti 37 e 40 della presente sentenza, spetta al giudice del rinvio verificare se l’amministrazione tributaria abbia sufficientemente dimostrato gli elementi oggettivi che consentano di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA, o che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione di cui trattasi si iscriveva in una siffatta evasione, nonché valutare se, alla luce delle circostanze del caso di specie, detto soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e abbia adottato le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere in tali circostanze.

49      Se è vero che, in presenza di indizi di evasione dell’IVA, ci si può certamente attendere una maggiore diligenza da tale soggetto passivo, spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che le prescrizioni dell’amministrazione tributaria non abbiano l’effetto di imporre a quest’ultimo di intraprendere verifiche complesse e approfondite relative al suo fornitore, trasferendo di fatto in capo a detto soggetto passivo il compimento degli atti di controllo incombenti a tale amministrazione, ai sensi della giurisprudenza ricordata ai punti 39 e 44 della presente sentenza.

50      In particolare, occorre ricordare che detta amministrazione non può esigere in maniera generale che un soggetto passivo, il quale intenda esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio del medesimo diritto abbia soddisfatto i suoi obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA (v., in tal senso, ordinanza Vikingo Fővállalkozó, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

51      Infine, per quanto riguarda il principio della certezza del diritto, spetta ancora al giudice del rinvio esaminare se l’amministrazione tributaria abbia rispettato detto principio nell’esercizio dei poteri che le sono conferiti. In questo contesto, spetta a tale giudice esaminare se la circolare pubblicata da detta amministrazione all’attenzione dei soggetti passivi e applicabile ai fatti di cui al procedimento principale avesse una formulazione non equivoca, se la sua applicazione fosse prevedibile per coloro che vi sono assoggettati, ai sensi della giurisprudenza ricordata ai punti 45 e 46 della presente sentenza, e se le prescrizioni applicate dalla medesima amministrazione non fossero contrarie a tale circolare.

52      Di conseguenza, occorre rispondere alle questioni dalla terza alla quinta dichiarando che l’articolo 167, l’articolo 168, lettera a), e l’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA, letti alla luce dei principi di neutralità fiscale e di certezza del diritto, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una prassi mediante la quale l’amministrazione tributaria nega a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’IVA relativa all’acquisto di beni che sono stati ceduti a quest’ultimo con la motivazione che le fatture riguardanti tali acquisti sono inattendibili, a causa di circostanze attestanti una mancanza di diligenza imputabile a detto soggetto passivo, circostanze che, in linea di principio, sono valutate in considerazione di una circolare pubblicata da detta amministrazione all’attenzione dei soggetti passivi, purché:

–        tale prassi e tale circolare non rimettano in discussione l’obbligo, incombente a detta amministrazione, di dimostrare sufficientemente gli elementi oggettivi che consentano di concludere che detto soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA, o che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione di cui trattasi si iscriveva in una siffatta evasione;

–        detta prassi e detta circolare non facciano gravare sullo stesso soggetto passivo l’onere di verifiche complesse e approfondite riguardanti la sua controparte contrattuale;

–        le prescrizioni applicate dalla medesima amministrazione siano conformi a quelle previste dalla medesima circolare; e purché

–        la circolare pubblicata all’attenzione dei soggetti passivi abbia avuto una formulazione non equivoca e la sua applicazione sia stata prevedibile per coloro che vi sono assoggettati.

 Sulla sesta questione

53      Con tale questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva IVA debba essere interpretata nel senso che essa osta, qualora l’amministrazione tributaria intenda negare a un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per il motivo che tale soggetto passivo ha partecipato a una frode dell’IVA di tipo «carosello», a che detta amministrazione tributaria si limiti a dimostrare che tale operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare, senza individuare tutti i soggetti che hanno partecipato a tale frode e le loro rispettive condotte.

54      Dalla giurisprudenza ricordata ai punti da 35 a 38 della presente sentenza risulta che l’amministrazione tributaria che intenda negare il beneficio del diritto a detrazione a un soggetto passivo deve dimostrare sufficientemente, conformemente alle norme in materia di prova previste dal diritto nazionale e senza pregiudicare l’effetto utile del diritto dell’Unione, tanto gli elementi oggettivi che provino l’esistenza dell’evasione stessa dell’IVA, quanto quelli che dimostrino che detto soggetto passivo ha commesso tale evasione o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’acquisto di beni o di servizi invocato a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta evasione.

55      Tale requisito della prova vieta, indipendentemente dal tipo di evasione o dai comportamenti esaminati, il ricorso a supposizioni o a presunzioni che abbiano l’effetto, confutando l’onere della prova, di violare il principio fondamentale del sistema comune dell’IVA costituito dal diritto a detrazione e, pertanto, l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenza del 1º dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, EU:C:2022:950, punto 34).

56      Di conseguenza, sebbene l’esistenza di una catena di fatturazione circolare costituisca un indizio serio che suggerisce l’esistenza di una frode, di cui occorre tener conto nell’ambito della valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, non si può ammettere che l’amministrazione tributaria possa limitarsi, al fine di dimostrare l’esistenza di una frode di tipo «carosello», a stabilire che l’operazione di cui trattasi fa parte di una catena di fatturazione del genere (v., in tal senso, sentenza del 1º dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, EU:C:2022:950, punto 35).

57      Spetta all’amministrazione tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e fornire la prova delle condotte fraudolente nonché, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’acquisto di beni o di servizi invocato a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode. Tuttavia, la prova dell’esistenza della frode e della partecipazione del soggetto passivo a quest’ultima non implica necessariamente che tutti i soggetti che hanno partecipato a detta frode nonché le rispettive condotte degli stessi siano stati identificati. Spetta ai giudici nazionali verificare che le autorità tributarie abbiano sufficientemente fornito tale prova (v., in tal senso, sentenza del 1º dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, EU:C:2022:950, punto 36).

58      Di conseguenza, occorre rispondere alla sesta questione dichiarando che la direttiva IVA deve essere interpretata nel senso che:

–        essa osta, qualora l’amministrazione tributaria intenda negare a un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per il motivo che tale soggetto passivo ha partecipato a una frode dell’IVA di tipo «carosello», a che tale amministrazione tributaria si limiti a dimostrare che detta operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare;

–        spetta a detta amministrazione tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e provare le condotte fraudolente e, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’acquisto di beni o di servizi invocato a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode, il che non implica necessariamente l’identificazione di tutti i soggetti che hanno partecipato alla frode nonché delle loro rispettive condotte.

 Sulle spese

59      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      Il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale, che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall’articolo 267 TFUE, di discostarsi dalle valutazioni in diritto di un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione fornita dalla Corte sotto forma di sentenza o di ordinanza motivata ai sensi dell’articolo 99 del suo regolamento di procedura, che tali valutazioni non siano conformi a detto diritto. Tale principio non osta tuttavia a una normativa nazionale che si limiti a obbligare gli organi giurisdizionali nazionali di grado inferiore a motivare qualsiasi discostamento da dette valutazioni.

2)      L’articolo 167, l’articolo 168, lettera a), e l’articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, letti alla luce dei principi di neutralità fiscale e di certezza del diritto, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una prassi mediante la quale l’amministrazione tributaria nega a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa all’acquisto di beni che sono stati ceduti a quest’ultimo con la motivazione che le fatture riguardanti tali acquisti sono inattendibili, a causa di circostanze attestanti una mancanza di diligenza imputabile a detto soggetto passivo, circostanze che, in linea di principio, sono valutate in considerazione di una circolare pubblicata da detta amministrazione all’attenzione dei soggetti passivi, purché:

–        tale prassi e tale circolare non rimettano in discussione l’obbligo, incombente a detta amministrazione, di dimostrare sufficientemente gli elementi oggettivi che consentano di concludere che detto soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA, o che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione di cui trattasi si iscriveva in una siffatta evasione;

–        detta prassi e detta circolare non facciano gravare sullo stesso soggetto passivo l’onere di verifiche complesse e approfondite riguardanti la sua controparte contrattuale;

–        le prescrizioni applicate dalla medesima amministrazione siano conformi a quelle previste dalla medesima circolare; e purché

–        la circolare pubblicata all’attenzione dei soggetti passivi abbia avuto una formulazione non equivoca e la sua applicazione sia stata prevedibile per coloro che vi sono assoggettati.

3)      La direttiva 2006/112 deve essere interpretata nel senso che:

–        essa osta, qualora l’amministrazione tributaria intenda negare a un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per il motivo che tale soggetto passivo ha partecipato a una frode dell’IVA di tipo «carosello», a che tale amministrazione tributaria si limiti a dimostrare che detta operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare;

–        spetta a detta amministrazione tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e provare le condotte fraudolente e, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’acquisto di beni o di servizi invocato a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode, il che non implica necessariamente l’identificazione di tutti i soggetti che hanno partecipato alla frode nonché delle loro rispettive condotte.

Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.