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61993C0484

Conclusioni dell'avvocato generale Elmer del 17 maggio 1995. - PETER SVENSSON E LENA GUSTAVSSON CONTRO MINSTRE DU LOGEMENT ET DE L'URBANISME. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: CONSEIL D'ETAT - GRANDUCATO DI LUSSEMBURGO. - LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI - LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI - ABBUONO DI INTERESSI SUI PRESTITI PER LA COSTRUZIONE - PRESTITO CONTRATTO PRESSO UN ISTITUTO DI CREDITO NON AUTORIZZATO NELLO STATO MEMBRO CHE CONCEDE L'ABBUONO. - CAUSA C-484/93.

raccolta della giurisprudenza 1995 pagina I-03955


Conclusioni dell avvocato generale


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Introduzione

1 Nella presente causa, la Corte è stata chiamata a valutare se il diritto comunitario osti a che uno Stato membro neghi a un mutuatario un contributo statale inteso a ridurre gli interessi sui prestiti contratti per la costruzione, l'acquisto o la ristrutturazione di un alloggio, per il motivo che il prestito è stato contratto presso un istituto di credito che non è stabilito nello Stato membro considerato, mentre detto abbuono gli viene concesso quando il prestito è contratto, in circostanze per il resto analoghe, presso un istituto di credito stabilito nello Stato membro considerato.

2 I coniugi Peter Svensson e Lena Gustavsson sono cittadini svedesi residenti, con i loro due figli, nel Lussemburgo, dove Peter Svensson svolge la sua attività professionale. Per costruire una casa ad uso abitativo, il 10 giugno 1990 essi contraevano un prestito presso il Comptoir d'escompte de Belgique SA, in Liegi (Belgio), dove detta società ha sede. Il 7 ottobre 1991 i coniugi presentavano alle autorità lussemburghesi una domanda di contributo per il pagamento degli interessi, che veniva però respinta in quanto il prestito non era stato contratto presso un istituto autorizzato nel Granducato di Lussemburgo.

3 Le norme relative al regime lussemburghese del contributo al pagamento degli interessi (in prosieguo, per semplicità: l'«abbuono di interessi») sono contenute nel regolamento granducale 17 giugno 1991 (in prosieguo: il «regolamento»), emanato ai sensi dell'art. 14 bis della legge 25 febbraio 1979, sugli aiuti all'edilizia abitativa, modificato con legge 21 dicembre 1990. Secondo l'art. 1 del regolamento, un abbuono di interessi può essere concesso dallo Stato per la costruzione, l'acquisto o la ristrutturazione di un alloggio, a condizione che il richiedente risieda nel Lussemburgo, abbia almeno un figlio a carico ed abbia

«(...) contratto presso un istituto di credito autorizzato nel Granducato o presso enti pensionistici della previdenza sociale un prestito per la costruzione, l'acquisto o la ristrutturazione di un alloggio sito sul territorio del Granducato del Lussemburgo, e occupato in modo effettivo e permanente dal richiedente».

Rispondendo ad una domanda rivoltagli dalla Corte, il governo lussemburghese ha affermato che la menzionata disposizione implica che l'abbuono di interessi può essere concesso solo se il prestito è stato contratto presso «banche costituite nel Lussemburgo o presenti nel Granducato attraverso una consociata o una succursale bancaria e che, pertanto, risultino iscritte nell'elenco ufficiale degli istituti di credito autorizzati in Lussemburgo».

4 I coniugi Peter Svensson e Lena Gustavsson hanno proposto ricorso avverso il rifiuto di concedere l'abbuono di interessi dinanzi al Conseil d'État del Lussemburgo, che, con sentenza 28 dicembre 1993, ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se le norme del Trattato di Roma, in ispecie gli artt. 67 e 71, ostino a che uno Stato membro subordini la concessione di un aiuto sociale per l'alloggio, in particolare di un abbuono di interessi, alla condizione che i prestiti destinati al finanziamento della costruzione, dell'acquisto o della ristrutturazione dell'alloggio sovvenzionato siano stati contratti presso un istituto di credito autorizzato in tale Stato membro».

5 L'ordinanza di rinvio fa soprattutto riferimento agli artt. 67 e 71 del Trattato, relativi ai movimenti di capitali. Come del resto si è visto nel corso del procedimento svoltosi dinanzi alla Corte è tuttavia incerto se le norme rilevanti ai fini della soluzione della questione siano quelle testé indicate, o non piuttosto quelle contenute negli artt. 59 e seguenti, relative alla libera prestazione dei servizi.

Le norme di diritto comunitario pertinenti

6 Secondo l'art. 59 del Trattato CEE, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono soppresse nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. A norma dell'art. 59, n. 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere l'applicazione delle disposizioni del Trattato relative ai servizi ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità.

In forza dell'art. 60 del Trattato, sono considerate prestazioni di servizi ai sensi del Trattato le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.

Per dare concreta attuazione alle norme relative alla libera circolazione dei servizi, il Consiglio, al momento dei fatti in considerazione ai fini della presente causa (1), aveva già adottato la direttiva 12 dicembre 1977, 77/780/CEE, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio (GU L 322, pag. 30; in prosieguo: la «direttiva 77/780»). L'art. 7, n. 1, di detta direttiva recita:

«Per vigilare sull'attività degli enti creditizi che operano, segnatamente attraverso succursali, in uno o più Stati membri diversi da quello della loro sede sociale, le autorità competenti degli Stati membri interessati collaborano strettamente. Esse si comunicano tutte le informazioni concernenti la direzione, la gestione e la proprietà di tali enti creditizi che possano facilitarne la vigilanza ed agevolare l'esame delle condizioni per la relativa autorizzazione, nonché tutte le informazioni atte a facilitare il controllo della loro liquidità e solvibilità».

7 Secondo l'art. 67 del Trattato CEE, gli Stati membri sopprimono gradatamente fra loro, durante il periodo transitorio e nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune, le restrizioni ai movimenti dei capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri e parimenti le discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o la residenza delle parti, o sul luogo del collocamento dei capitali.

In vista dell'attuazione della libera circolazione dei capitali, il Consiglio ha adottato alcune direttive (2). All'epoca in considerazione ai fini della causa, la liberalizzazione dei movimenti di capitali era disciplinata dalla direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l'attuazione dell'art. 67 del Trattato (3) (in prosieguo: la «direttiva 88/361»). Secondo l'art. 1 di detta direttiva, gli Stati membri sopprimono «le restrizioni ai movimenti di capitali effettuati tra le persone residenti negli Stati membri (...)». Le altre disposizioni della direttiva contengono una serie di eccezioni a detto principio. I movimenti di capitali liberalizzati dalla direttiva riguardano, tra l'altro, i prestiti e i crediti finanziari concessi da non residenti a residenti e viceversa, conformemente all'allegato I, categoria VIII, della direttiva.

Quale è la normativa pertinente ai fini della soluzione della questione?

8 Una normativa nazionale che limiti il beneficio dell'abbuono di interessi concesso dallo Stato sugli interessi dei prestiti contratti per la costruzione di un alloggio al solo caso in cui il prestito è contratto presso un istituto di credito stabilito nello Stato membro considerato, non implica, di per sé, che siano impedite o rese più difficili transazioni transfrontaliere, effettuate con il capitale versato a seguito del prestito. La caratteristica essenziale del regime nazionale di abbuono di interessi descritto nell'ordinanza di rinvio sta, al contrario, nel fatto che questo regime rende finanziariamente meno attraente contrarre il prestito presso un istituto finanziario che non abbia sede nello Stato membro considerato e procedere così ad uno scambio di servizi transfrontalieri sotto forma di un prestito edilizio. E' per questo che, a mio avviso, poco importa esaminare nella specie, il rapporto tra il regime nazionale di abbuono di interessi descritto nell'ordinanza di rinvio e le norme del Trattato sulla libera circolazione dei capitali.

9 Nello stesso ordine di idee, con la sentenza 28 maggio 1992, Bachmann (4) la Corte ha dichiarato che «l'art. 67 non vieta le restrizioni che non riguardano i trasferimenti di capitali, ma che sono la conseguenza indiretta di restrizioni riguardanti altre libertà fondamentali (...)».

10 La direttiva 88/361 è stata adottata per dare attuazione all'art. 67 del Trattato e deve essere interpretata allo stesso modo di detta disposizione (5).

11 A mio avviso, la questione della compatibilità del regime nazionale di abbuono di interessi deve essere esaminata non già con riferimento alle norme comunitarie relative alle transazioni finanziarie, bensì con riferimento alle norme del Trattato relative alla prestazione di servizi.

Si è in presenza di una restrizione alla libera prestazione dei servizi?

12 Durante il procedimento dinanzi alla Corte la Commissione ha sostenuto che una normativa nazionale, quale quella considerata nell'ordinanza di rinvio, implica una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Il governo lussemburghese e il governo ellenico, hanno, al contrario, affermato che non si può supporre l'esistenza di una siffatta restrizione.

13 A mio parere, la concessione di un prestito per l'acquisto di un'abitazione deve ritenersi rientrare nella nozione di prestazione di servizi ai sensi dell'art. 60, n. 1, del Trattato, e, quindi, dell'art. 59 (6). La direttiva 88/361 è stata l'occasione di una liberalizzazione dei movimenti di capitali legati ai prestiti e crediti finanziari concessi da non residenti a residenti e viceversa, e le disposizioni del Trattato relative alle prestazioni di servizi sono così applicabili a un prestito quale quello considerato nella causa principale (7). Le disposizioni, direttamente applicabili, di cui agli artt. 59 e seguenti del Trattato, relative alla libera prestazione dei servizi (8) possono, pertanto, essere invocate dinanzi ai giudici nazionali, in una causa come la presente.

14 Una normativa nazionale che limiti il beneficio della sovvenzione statale ai prestiti contratti per l'acquisto di un'abitazione alla sola ipotesi in cui il prestito è stato contratto con un istituto di credito avente sede nello Stato membro considerato, rende - come si è detto sopra - economicamente meno attraente contrarre un prestito edilizio presso un istituto finanziario non stabilito nello Stato membro considerato. Ci si può attendere, in pratica, che l'impossibilità di ottenere l'abbuono di interessi dissuada i cittadini dello Stato membro considerato dal contrarre prestiti presso istituti di credito stabiliti in un altro Stato membro (9). Così come è organizzato, il regime dell'abbuono di interessi colpisce le società non stabilite nello Stato membro considerato più duramente di quelle che hanno sede in tale Stato.

15 La Corte ha affermato che provvedimenti fiscali nazionali che incidono sull'esercizio, da parte dell'operatore economico, del suo diritto alla libera prestazione dei servizi, possono costituire una restrizione in contrasto con l'art. 59 (10).

16 A mio parere è indifferente che una restrizione alla libera prestazione dei servizi sia operata tramite una norma fiscale o con una norma riguardante la concessione di pubblici sussidi. Sia le norme che istituiscono agevolazioni fiscali sia quelle che riguardano il versamento di pubblici sussidi procurano un vantaggio a determinati soggetti tramite fondi pubblici. La scelta operata dallo Stato membro tra i due modelli di regime agevolato, può, nel caso specifico, dipendere da considerazioni legate alla politica di redistribuzione, da considerazioni di controllo, di tecnica legislativa o da altre considerazioni ancora. Ma quale che sia il modello che uno Stato membro possa scegliere, si deve considerare come restrizione alla libera prestazione dei servizi il fatto che un'agevolazione dipenda da una prestazione di servizi e che le modalità della disposizione colpiscano i prestatori di altri Stati membri più duramente di quelli dello Stato membro considerato.

17 Un regime nazionale di abbuono di interessi, quale quello descritto nell'ordinanza di rinvio, deve pertanto, a mio avviso, essere considerato come implicante una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

18 Ciò non significa, tuttavia, che il regime considerato sia incompatibile con il Trattato. Secondo una costante giurisprudenza della Corte, tenuto conto delle speciali caratteristiche di talune prestazioni, il fatto di limitare la libera prestazione dei servizi mediante norme giustificate dall'interesse generale e obbligatorie nei confronti di tutte le persone e le imprese soggette alla normativa dello Stato destinatario, non può essere considerata incompatibile con il Trattato (11). Secondo la giurisprudenza della Corte è questo il caso anche quando si tratta di norme nazionali che, analogamente a quelle ora in discussione implicano una discriminazione indiretta sul piano concorrenziale tra imprese nazionali e imprese straniere in funzione del requisito dello stabilimento (12). Tra le ragioni imperative di interesse generale che possono avere rilevanza ai fini della presente causa, si possono annoverare, a titolo di esempio, la tutela dei consumatori (13), nonché l'interesse ad un efficace controllo fiscale e alla coerenza del sistema tributario (14).

L'interesse alla tutela dei consumatori

19 Il governo ellenico ha affermato che l'interesse che riveste la tutela dei consumatori, può, nella specie, giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi. La Commissione, per contro, ritiene che una normativa come quella lussemburghese non sia tale da favorire la tutela dei consumatori.

20 Senza dubbio, va attribuita grande importanza alla tutela dei consumatori; la salvaguardia dei loro interessi può, secondo la giurisprudenza della Corte, giustificare talune restrizioni alla libera prestazione dei servizi. Tuttavia, la necessità di prendere in considerazione, nell'ambito di un certo settore, in modo generale, la tutela dei consumatori non può, di per sé, giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Si deve, in particolare, anzitutto fornire la prova che la normativa nazionale è, in concreto, idonea a promuovere precisi interessi, inerenti alla protezione dei consumatori.

21 Nell'ambito dell'attività bancaria esiste un bisogno di tutelare i clienti e altri depositanti dal rischio di fallimento dell'istituto di credito. Tale motivo, tuttavia, nella specie non ricorre trattandosi di un mutuo concesso dall'istituto di credito. In tal caso occorre invece tutelare i clienti da condizioni contrattuali inique dell'istituto di credito e far sì che essi siano informati in modo dettagliato sulle condizioni del mutuo e sui costi che dovranno sopportare in conseguenza del mutuo stesso, così da poter effettuare comparazioni.

22 E' tuttavia giocoforza sottolineare che disposizioni del tipo di quelle di cui trattasi nella specie non riguardano questioni di tal genere. Si deve pertanto concludere, a mio avviso, che nel corso della trattazione della causa non sono stati forniti elementi comprovanti in modo sufficiente che gli interessi dei consumatori possano giustificare una normativa nazionale come quella descritta nell'ordinanza di rinvio.

L'interesse al controllo

23 La Commissione ha affermato che gli Stati membri hanno un legittimo interesse ad assicurarsi che il versamento degli aiuti pubblici si operi nel rispetto delle regole ad esso relative e che talune restrizioni alla libera prestazione dei servizi potrebbero pertanto essere giustificate dalla necessità di procurarsi informazioni sicure circa l'esistenza e l'ammontare del mutuo e degli interessi, che stanno alla base dell'abbuono di interessi. Tuttavia, a parere della Commissione, il requisito dello stabilimento imposto dalla normativa lussemburghese come condizione perché sia concesso al mutuatario l'abbuono di interessi non è necessario per la realizzazione di detto obiettivo. La Commissione, a questo riguardo, ha fatto presente che gli Stati membri hanno, secondo l'art. 7 della direttiva 77/780, hanno la possibilità di ottenere da altri Stati membri delle informazioni su singoli prestiti.

24 Non si deve, a mio avviso, supporre che le disposizioni relative allo scambio di informazioni, contenute nell'art. 7 della direttiva 77/780, nella versione all'epoca in vigore, fossero dirette a consentire alle autorità nazionali di scambiarsi informazioni al fine di controllare i dati forniti dai mutuatari nelle domande intese ad ottenere un abbuono di interessi sui prestiti concessi da istituti di credito stabiliti in altri Stati membri. Dai termini contenuti nella parte introduttiva dell'art. 7, n. 1, emerge chiaramente che lo scambio di informazioni avviene «per vigilare sull'attività degli enti creditizi (...)» e che le informazioni di cui specificamente si tratta in tale disposizione sono informazioni concernenti «la direzione, la gestione e la proprietà di tali enti creditizi che possano facilitarne la vigilanza ed agevolare l'esame delle condizioni per la relativa autorizzazione, nonché tutte le informazioni atte a facilitare il controllo della loro liquidità e solvibilità».

25 L'interesse attinente al controllo potrà tuttavia essere preso in considerazione, senza difficoltà, in modo diverso e molto meno restrittivo che esigendo che l'istituto di credito abbia sede nello Stato membro considerato. Infatti, il regime di abbuono potrebbe semplicemente implicare modalità tali da consentire alle autorità nazionali di esigere dall'interessato le prove da esse ritenute necessarie in merito all'esistenza, all'ammontare del mutuo e al pagamento degli interessi, ed eventualmente di negare il versamento dell'abbuono se dette prove non sono fornite (15).

L'interesse alla coerenza del sistema tributario nazionale

26 I governi lussemburghese ed ellenico hanno sostenuto che gli Stati membri debbono avere il diritto di adattare le condizioni per la concessione di pubblici sussidi alle particolari circostanze economiche e sociali esistenti nel loro territorio. Se il mutuo per la costruzione (etc.) dell'abitazione è contratto nello Stato che concede l'abbuono di interessi, tale Stato membro potrà assoggettare a imposizione gli interessi percepiti dal mutuante. Se, al contrario, il mutuo è contratto in un altro Stato membro lo Stato membro che concede l'abbuono non potrà assoggettare ad imposta l'istituto di credito mutuante e non potrà così compensare in tutto o in parte, tramite la tassazione del mutuante, l'aiuto versato al proprietario dell'alloggio.

27 Secondo la Commissione non sussiste invece un interesse alla coerenza dei regimi tributari nazionali tale da giustificare la restrizione considerata.

28 Nella sua giurisprudenza, la Corte ha affermato che considerazioni economiche non potrebbero di per sé giustificare una normativa nazionale che ostacoli la libera prestazione dei servizi (16). Disposizioni normative nazionali possono, a prima vista, apparire giustificate se si guarda solo all'economia nazionale, pur essendo contrarie al diritto comunitario, per esempio, se sono discriminatorie nei confronti dei cittadini di altri Stati membri (17).

29 A sostegno della compatibilità della restrizione con il diritto comunitario è stata fatta menzione, nel corso del procedimento, di due sentenze del 28 gennaio 1992 (18), nelle quali la Corte ha constatato che l'esigenza di preservare la coerenza dei sistemi tributari nazionali, può, almeno in talune situazioni, costituire una ragione imperativa di interesse pubblico idonea a giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi e che un regime tributario nazionale che produca un siffatto effetto restrittivo sulla libera prestazione dei servizi può non essere compatibile con il Trattato se la coerenza del regime tributario non può essere garantita da disposizioni meno restrittive delle libertà fondamentali istituite dal Trattato. Queste sentenze riguardavano una normativa nazionale che subordinava la deducibilità dal reddito imponibile di contributi assicurativi versate, tra l'altro, per l'assicurazione di vecchiaia alla condizione che l'impresa assicuratrice fosse stabilita nello Stato membro considerato, in modo da garantire a detto Stato membro la possibilità di assoggettare a imposta le prestazioni che fossero versate a loro tempo in applicazione di detto regime. Si trattava pertanto di un regime fiscale nel quale una sola e stessa persona vedeva la propria imposizione differita e nel quale, in mancanza di norme armonizzate in materia, la riscossione dell'imposta e il suo controllo rendevano detta restrizione necessaria per evitare che si abusasse del regime di deduzione al fine di sottrarre all'imposta le somme in questione.

30 Nella presente causa la situazione mi sembra notevolmente diversa. La pretesa coerenza del regime tributario consiste qui, non già in un regime, dove una sola e medesima persona veda la propria imposizione differita e dove la restrizione è necessaria per evitare che dei fondi siano sottratti all'imposizione dello Stato membro considerato: l'abbuono e l'imposizione, riguardano, al contrario, soggetti fiscali diversi e il regime corrisponde in tutti i suoi punti ad altri regimi, dove le sovvenzioni statali sono finanziate dalle entrate generali dello Stato, in particolare dalle imposte e dalle tasse.

31 Non vi sono, propriamente parlando, rapporti tra l'importo dell'abbuono versato dalle autorità lussemburghesi e le entrate fiscali che le stesse autorità percepiscono, grazie all'imposta sulle società, dagli istituti di credito stabiliti in Lussemburgo. Il calcolo fornito dal governo lussemburghese nel corso della causa non tiene conto, ad esempio, del fatto che non è assolutamente certo che, per effetto del regime di abbuono degli interessi, si creino in capo agli istituti di credito lussemburghesi disponibilità finanziarie tassabili. Un imponibile sorge infatti solo se la gestione dell'istituto di credito considerato si traduce globalmente in un utile, caso che non ricorrerà necessariamente, in quanto il risultato di gestione può essere influenzato negativamente da altri fattori, per esempio da perdite su prestiti o da perdite di cambio su titoli in portafoglio. Il calcolo di cui s'è detto non prende neppure in considerazione la circostanza che, anche senza la restrizione, un certo numero di mutui per la casa sarà contratto presso istituti di credito lussemburghesi. Del resto, un calcolo in termini di economia politica deve, senza dubbio, prendere altresì in considerazione gli effetti globali, in termini macroeconomici, di una concorrenza liberata dalla restrizione di cui trattasi, tra gli istituti di credito dei vari Stati membri, che offrono mutui edilizi.

32 Se si ammettesse una restrizione, come quella ora in esame, sarebbe allora giocoforza ammettere siffatti regimi anche in altri settori. Si possono citare, ad esempio - per restare nel settore dell'alloggio - le norme nazionali che forniscono un aiuto alla ristrutturazione delle abitazioni, ma ne subordinano la concessione alla condizione che l'artigiano, alle cui prestazioni viene fatto ricorso, sia stabilito nello Stato membro considerato, di modo che lo Stato membro possa assoggettare ad imposta il reddito percepito dal suddetto artigiano per la ristrutturazione di un alloggio, ovvero ancora le norme relative all'indennità di alloggio, la cui concessione è subordinata alla condizione che il locatore sia stabilito nello Stato membro considerato, di modo che i redditi derivanti dalla locazione siano tassabili in detto Stato membro.

33 Mi pare impossibile - e sarebbe assolutamente in contrasto con gli obiettivi del Trattato - sostenere che regimi nazionali che impongano requisiti di stabilimento a dei prestatori di servizi sono compatibili con il Trattato, quando gli Stati membri concedano aiuti destinati a compensare, in maggiore o minore misura, le spese sostenute dal destinatario della prestazione in corrispettivo del servizio ricevuto.

34 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, ritengo che l'interesse alla coerenza del sistema tributario nazionale non possa giustificare il fatto che uno Stato membro restringa il beneficio dell'abbuono di interessi concesso dallo Stato per l'acquisto di un'abitazione al caso in cui il mutuo sia stato contratto presso un istituto di credito stabilito nello Stato membro considerato. Si deve pertanto risolvere la questione sollevata dal giudice nazionale dichiarando che le norme del Trattato CEE sulla libera prestazione dei servizi debbono essere interpretate nel senso che uno Stato membro non può negare ad un mutuatario un contributo statale al pagamento degli interessi sul mutuo contratto per la costruzione, l'acquisto o la ristrutturazione della casa per il motivo che il mutuo è stato contratto presso un istituto di credito che non è stabilito nello Stato membro considerato, mentre l'aiuto viene concesso nel caso in cui il mutuo, in circostanze per il resto analoghe, viene contratto con un istituto di credito stabilito nello Stato membro considerato.

Rilevanza del fatto che i ricorrenti siano cittadini di uno Stato terzo

35 Il governo lussemburghese ha tuttavia rilevato che l'istituto di credito belga non è parte nel procedimento dinanzi al giudice nazionale ed ha sollevato la questione se i ricorrenti che, al momento che rileva ai fini della presente causa, erano ambedue cittadini di uno Stato terzo, cioè la Svezia, potessero in definitiva avvalersi di norme del Trattato che istituiscono il diritto alla libera prestazione dei servizi.

36 La Commissione, a questo proposito, sostiene che la legge lussemburghese non distingue tra cittadini degli Stati membri e cittadini di paesi terzi. L'art. 59 del Trattato esige che il prestatore di servizi sia cittadino di uno Stato membro, ma non pone condizioni analoghe per quanto riguarda il destinatario della prestazione di cui trattasi.

37 L'art. 59, n. 1, del Trattato descrive il diritto alla libera prestazione dei servizi come un diritto di cui beneficiano i prestatori di servizi che sono «cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione». Come rilevato dalla Commissione, è vero che questa disposizione non prevede che il destinatario della prestazione sia un cittadino di uno Stato membro; in sostanza, questa disposizione prevede, pertanto, essenzialmente che gli Stati membri non debbono impedire lo scambio di prestazioni tra un prestatore e un destinatario stabilito in un altro Stato membro. Tale formulazione della norma deve essere messa in relazione col fatto che quest'ultima non vieta solo restrizioni a prestazioni di servizi la cui esecuzione è già stata concordata tra prestatore e destinatario. Si deve infatti altresì riconoscere che le disposizioni degli artt. 59 e 60 vietano talune restrizioni che impediscono al prestatore di entrare in contatto con destinatari potenziali di prestazioni in altri Stati membri, per esempio, negando all'interessato l'ingresso sul territorio dello Stato o vietandogli di farvi pubblicità per le sue prestazioni, quando un siffatto divieto non si applica ai prestatori cittadini dello Stato membro considerato.

38 Nonostante il fatto che l'art. 59 sia stato formulato prendendo come punto di partenza la situazione del prestatore di servizi, la Corte, ha, secondo una costante giurisprudenza, dichiarato che il diritto alla libera prestazione dei servizi prevista all'art. 59 del Trattato si estende non solo ai prestatori, ma altresì ai destinatari di servizi (19). Così, per esempio, i destinatari dei servizi hanno il diritto di recarsi in uno Stato membro, per esempio come turisti, per beneficiare ivi di un servizio senza essere intralciati da restrizioni e senza essere l'oggetto di una discriminazione (20). Sempre rispetto al destinatario, il punto essenziale del diritto alla libera prestazione dei servizi deve essere che gli Stati membri non possono impedire che i destinatari di servizi beneficino di prestazioni di servizi fornite da prestatori residenti in altri Stati membri. Il diritto di entrare come turista in un altro Stato membro per beneficiare ivi di prestazioni senza essere esposto a un trattamento discriminatorio non presuppone pertanto che si debba concretamente provare che i prestatori di servizi - per esempio gli albergatori - sono cittadini di uno Stato membro.

39 I prestatori di servizi che non sono cittadini della Comunità, bensì di uno Stato terzo, non hanno diritto alla libera prestazione dei servizi nella Comunità. In quanto tale, questa conclusione già promana dall'idea che gli Stati membri hanno in genere inteso, col Trattato, fare beneficiare delle disposizioni del Trattato soltanto i loro cittadini, ma è allo stesso tempo messa in evidenza dalla conclusione a contrario che si può trarre dall'art. 59, n. 2, a tenore del quale il Consiglio può estendere il beneficio delle disposizioni in materia di servizi ai prestatori di servizi cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità. Siffatte disposizioni ancora non sono state adottate.

40 Come è stato in precedenza indicato, l'art. 59 prende l'avvio dalla situazione del prestatore di servizi, ma il suo campo di applicazione è stato esteso dalla giurisprudenza della Corte al destinatario del servizio di cui trattasi. Non si deve arguire che con ciò si sia inteso conferire ai cittadini dei paesi terzi una posizione più favorevole in quanto destinatari di servizi che in quanto prestatori di servizi. Si deve pertanto ritenere che solo i cittadini degli Stati membri possano avvalersi del diritto che le norme sulla libera prestazione dei servizi conferiscono ai destinatari delle prestazioni considerate. I cittadini dei paesi terzi non hanno, pertanto, tale diritto. I cittadini di paesi terzi che, sulla base di un permesso di soggiorno o di un visto risiedono o soggiornano in uno Stato membro, non possono, per esempio, basarsi sull'art. 59 del Trattato per invocare un diritto autonomo di viaggiare negli altri Stati membri per beneficiare ivi di prestazioni in qualità di turisti, senza restrizioni e senza discriminazioni (21).

41 I ricorrenti nella causa principale, i coniugi Peter Svensson e Lena Gustavsson sono entrambi cittadini svedesi e, pertanto, all'epoca dei fatti che rilevano ai fini della presente causa, cittadini di un paese terzo. Essi non potevano, alla luce delle considerazioni che precedono, avvalersi, nei confronti di uno Stato membro delle norme del Trattato sulla libera prestazione dei servizi. Ma, d'altro lato, il Trattato evidentemente non si oppone a che i ricorrenti fruiscano, su un'altra base - per esempio, sulla base del diritto nazionale dello Stato membro interessato - del medesimo status giuridico che avrebbero se fossero stati cittadini di uno Stato membro. L'accordo di associazione, concluso il 22 luglio 1972, tra la CEE e la Svezia (22) non contiene norme relative alla libera prestazione dei servizi, e, in particolare, l'art. 19, che si riferisce, in particolare, tra l'altro, ai pagamenti, non può neppure essere considerato disciplinare, sia pure indirettamente, siffatte questioni.

42 Ci si potrebbe limitare in sé e per sé a risolvere la questione sollevata dal giudice a quo nel senso che i cittadini dei paesi terzi non possono a titolo autonomo avvalersi delle norme del Trattato CEE relative alla libera prestazione dei servizi. Non essendo titolari di un siffatto diritto secondo il diritto comunitario, la loro eventuale equiparazione ai cittadini degli Stati membri della Comunità sarà dunque unicamente funzione del diritto nazionale. Tuttavia può essere importante, ai fini dell'interpretazione del diritto nazionale da parte del giudice a quo, il conoscere quale sia lo status giuridico dei cittadini degli Stati membri. Nel corso del procedimento si è altresì appreso che alcuni provvedimenti erano stati sospesi, in attesa della risposta della Corte alla questione sollevata. Riteniamo pertanto che sarebbe opportuno che la Corte fornisse al giudice a quo una risposta il più possibile adeguata e utile alla questione sottopostale, prendendo posizione sul problema interpretativo, tale quale è stato sollevato.

Conclusioni

43 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere la questione sottopostale con ordinanza 28 dicembre 1993 dal Conseil d'État del Lussemburgo, come segue:

«L'art. 59 del Trattato CEE deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può negare ad un mutuatario un contributo statale al pagamento degli interessi dovuti su un mutuo contratto per la costruzione, l'acquisto o la ristrutturazione di un alloggio, per il motivo che il mutuo è stato contratto presso un istituto di credito che non è stabilito nello Stato membro considerato, mentre tale contributo viene concesso se il mutuo è stato stipulato, in circostanze per il resto analoghe, presso un istituto di credito stabilito nello Stato membro considerato.

L'art. 59 del Trattato CEE non può essere invocato, in modo autonomo, da cittadini di un paese terzo».

(1) - Si deve supporre che gli Stati membri dovessero dare attuazione alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1989, 89/646/CEE, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio e recante modifica della direttiva 77/780/CEE (GU L 386, pag. 1) solo a partire dal 1_ gennaio 1993, conformemente al combinato disposto dell'art. 24 della direttiva e dell'art. 10, n. 3, della direttiva 89/647/CEE. V., a questo proposito, la nota 20 maggio 1990, n. XV/120/90 del comitato consultivo bancario della Commissione delle Comunità europee.

(2) - Secondo la giurisprudenza della Corte, l'art. 67 non è di applicazione diretta: v., in particolare, sentenza 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati (Racc. pag. 2595, punti 8-13), come pure sentenza 21 settembre 1988, causa 267/86, Van Eycke (Racc. pag. 4769, punti 23 e 24).

(3) - GU L 178, pag. 5.

(4) - Causa C-204/90 (Racc. pag. I-249).

(5) - V. sentenza 3 febbraio 1993, causa C-148/91, Veronica Omroep Organisatie (Racc. pag. I-487).

(6) - V., ad esempio, sentenza 24 ottobre 1978, causa 15/78, Koestler (Racc. pag. 1971, punto 3).

(7) - V. art. 61, n. 2, del Trattato; cfr. sentenza Van Eycke, già citata alla nota 2.

(8) - V. sentenza 3 dicembre 1974, causa 33/74, Van Binsbergen (Racc. pag. 1299).

(9) - V., in questo senso, sentenze Bachmann, già citata alla nota 4, punto 31, e 28 gennaio 1992, causa C-300/90, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-305, punto 22).

(10) - V., tra l'altro, sentenza 13 dicembre 1989, causa C-49/89, Corsica Ferries France (Racc. pag. I-4441, punto 8).

(11) - V., in particolare, sentenza 26 febbraio 1991, causa C-154/89, Commissione/Francia (Racc. pag. I-659), causa C-180/89, Commissione/Italia (Racc. pag. I-709), e causa C-198/89, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-727).

(12) - V. sentenza 17 maggio 1994, causa C-18/93, Corsica Ferries (Racc. pag. I-1783), e le sentenze 4 dicembre 1986, pronunciate in materia di coassicurazione, causa 220/83, Commissione/Francia (Racc. pag. 3663), causa 252/83, Commissione/Danimarca (Racc. pag. 3713), causa 205/84, Commissione/Germania (Racc. pag. 3755), e causa 206/84, Commissione/Irlanda (Racc. pag. 3817), come pure le sentenze Bachmann e Commissione/Belgio, già citate alla nota 9.

(13) - V., tra l'altro, sentenza 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-1039, punto 58).

(14) - V. sentenze Bachmann e Commissione/Belgio, già citate alla nota 9.

(15) - V. sentenza Bachmann, già citata alla nota 4, punto 20, e Commissione/Belgio, già citata alla nota 9, punto 13.

(16) - V. sentenze 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerds e a. (Racc. pag. 2085, punto 34), e 25 luglio 1991, causa C-288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda e a. (Racc. pag. I-4007, punto 11).

(17) - V., per esempio, sentenza 22 giugno 1993, causa C-243/89, Commissione/Danimarca (Racc. pag. 3353, punto 23) con riferimento all'applicazione di una «clausola compra danese» nel contesto dell'aggiudicazione di un appalto di lavori.

(18) - Sentenza Bachmann, già citata alla nota 4, punti 21-33, e Commissione/Belgio, già citata alla nota 9, punti 11-24.

(19) - V., da ultimo, sentenza 9 agosto 1994, causa C-43/93, Vander Elst (Racc. pag. I-3803, punto 13).

(20) - V. sentenza 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone (Racc. pag. 377) e, per quanto riguarda il divieto di discriminazione, l'art. 7 del Trattato CEE e la sentenza 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan (Racc. pag. 195).

(21) - La situazione si presenta diversa allorché un diritto derivato dalle norme comunitarie si applica alla famiglia di un cittadino di uno Stato membro, v., ad esempio, gli artt. 10, 11 e 12 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2). Nella sentenza Vander Elst, già citata alla nota 19, la Corte ha contestato che non si può imporre ad un'impresa che vuole prestare servizi in un altro Stato membro sollecitare, tra l'altro, un'autorizzazione di lavoro di un altro Stato membro per quanto riguarda i cittadini di Stati terzi occupati in modo regolare e abituale nello Stato membro ove è stabilita l'impresa.

(22) - GU del 31 dicembre 1972, pag. 99, ivi comprese le successive modifiche.