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61995C0028

Conclusioni riunite dell'avocato generale Jacobs del 17 settembre 1996. - A. Leur-Bloem contro Inspecteur der Belastingdienst/Ondernemingen Amsterdam 2. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Gerechtshof Amsterdam - Paesi Bassi. - Causa C-28/95. - Bernd Giloy contro Hauptzollamt Frankfurt am Main-Ost. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hessisches Finanzgericht Kassel - Germania. - Causa C-130/95. - Art. 177 - Competenza della Corte - Normativa nazionale che riprende disposizioni comunitarie.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-04161


Conclusioni dell avvocato generale


1 Nella causa C-28/95, Leur-Bloem contro Inspecteur der Belastingdienst/Ondernemingen Amsterdam 2, il Gerechtshof di Amsterdam chiede alla Corte una pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/434/CEE, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo e agli scambi di azioni concernenti società di Stati membri diversi (in prosieguo: la «direttiva sul regime fiscale» o la «direttiva») (1). Nella causa C-130/95 Giloy/Hauptzollamt Frankfurt am Main-Ost il Finanzgericht dell'Assia chiede una pronuncia sul regolamento del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (in prosieguo: il «codice doganale» o semplicemente il «codice») (2). Esaminerò entrambe le cause in queste conclusioni poiché entrambe sollevano la questione della competenza della Corte a pronunciarsi ai sensi dell'art. 177 del Trattato nell'ambito di controversie che ricadono al di fuori del campo d'applicazione del diritto comunitario, ma alle quali il diritto comunitario si applica in virtù di disposizioni di diritto nazionale.

Il contesto delle cause e le questioni dei giudici nazionali

Causa C-28/95, Leur-Bloem

2 Il Gerechtshof di Amsterdam ha chiesto alla Corte una pronuncia in via pregiudiziale sull'interpretazione della direttiva sul regime fiscale, in particolare sull'espressione «scambio di azioni» di cui all'art. 2, lett. d), della direttiva.

3 Lo scopo della direttiva è di eliminare gli ostacoli fiscali alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti di attivo ed agli scambi di azioni nell'ambito della Comunità. In base alla maggior parte dei sistemi fiscali, trasferimenti di azioni e conferimenti di attivo da una società ad un'altra fanno sorgere utili assoggettabili ad imposta per l'azionista o la società conferente. In un contesto nazionale spesso viene concessa un'esenzione fiscale quando la transazione è collegata ad un'operazione di raggruppamento o di ristrutturazione. Tuttavia, l'esenzione concessa varia da uno Stato membro all'altro e, prima dell'adozione della direttiva, talvolta non si estendeva a tutte le transazioni nell'ambito della Comunità.

4 Nel preambolo della direttiva si rileva che «le fusioni, le scissioni, i conferimenti di attivo e gli scambi di azioni che interessano società di Stati membri diversi possono essere necessari per porre in essere nella Comunità condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per garantire in tal modo l'instaurazione e il buon funzionamento del mercato comune; tali operazioni non devono essere intralciate da restrizioni, svantaggi e distorsioni particolari derivanti dalle disposizioni fiscali degli Stati membri; occorre quindi istituire per queste operazioni regole fiscali neutre nei riguardi della concorrenza, per consentire alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato comune, di migliorare la loro produttività e di rafforzare la loro posizione competitiva sul piano internazionale» (3).

5 Il preambolo continua chiarendo che tale obiettivo può essere raggiunto solo introducendo un regime fiscale comune. Tale regime deve «evitare un'imposizione all'atto di una fusione, di una scissione, di un conferimento di attivo o di uno scambio di azioni, pur tutelando gli interessi finanziari dello Stato cui appartiene la società conferente o acquisita» (4).

6 Questo doppio obiettivo viene perseguito in sostanza imponendo agli Stati membri di differire l'imposizione degli utili derivanti dalla cessione di attivo o di azioni in connessione con tali transazioni, pur concedendo loro la possibilità di riscuotere l'imposta differita al momento della definitiva cessione dell'attivo da parte della società ricevente o al momento della cessione da parte degli azionisti delle nuove azioni ricevute in base ad uno scambio di azioni.

7 L'art. 11 della direttiva concede agli Stati membri di revocare il beneficio della direttiva qualora il principale obiettivo di una transazione o uno dei suoi principali obiettivi sia l'evasione o l'elusione fiscale.

8 La transazione di cui trattasi nella causa principale non comprende società di diversi Stati membri, ma è puramente interna ai Paesi Bassi. La signora Leur-Bloem è l'unica azionista e amministratrice della Phoenix Uitzendorganisatie BV (in prosieguo: la «Uitzendorganisatie») e della Phoenix Industrial BV (in prosieguo: l'«Industrial»). Entrambe le società sono titolari di una licenza per gestire agenzie di assunzione di lavoratori temporanei, e queste licenze hanno un valore commerciale. La signora Leur-Bloem intende acquisire le azioni di una società a responsabilità limitata già esistente, la Phoenix Holding BV (in prosieguo: la «Holding»), che ha un capitale sociale sottoscritto e versato di 35 000 HFL. Al 31 dicembre 1991 la società non aveva attivo e aveva debiti a breve termine di 2 779 HFL, mentre al 31 dicembre 1992 non aveva né attivo né debiti. La signora Leur-Bloem propone di scambiare le sue azioni nell'Uitzendorganisatie e nell'Industrial contro azioni nella Holding, che sarebbe quindi diventata l'unica azionista dell'Uitzendorganisatie e dell'Industrial.

9 Nella causa principale la signora Leur-Bloem impugna una decisione preliminare adottata sulla transazione dalle autorità fiscali dei Paesi Bassi. La signora Leur-Bloem ritiene che lo scambio di azioni proposto costituisca una fusione per scambio di azioni che dà diritto ad un'esenzione fiscale ai sensi dell'art. 14 b, n. 1, della legge dei Paesi Bassi sull'imposta sui redditi del 1964. L'art. 14 b, n. 1, prevede che non siano considerati profitti imponibili gli utili derivanti dalla cessione di azioni nell'ambito di una fusione per scambio di azioni. L'art. 14 b, n. 2, stabilisce che vi è fusione per scambio di azioni quando:

«a) una società con sede nei Paesi Bassi acquista, contro cessione di sue azioni o titoli di partecipazione, con pagamento eventuale di un saldo, un certo numero di azioni in un'altra società con sede nei Paesi Bassi di modo che essa può esercitare più della metà dei diritti di voto in quest'ultima società, al fine di riunire in maniera duratura, da un punto di vista finanziario ed economico, l'impresa della società acquirente e quella di un'altra in una stessa entità».

10 L'art. 14 b, n. 2, sub b), contiene una identica definizione della fusione per scambio di azioni, relativamente alle transazioni nell'ambito della Comunità. L'art. 14 b, n. 2, sub c), contiene una definizione analoga, benché con un requisito più restrittivo per quanto riguarda i diritti di voto («tutti o quasi tutti i diritti di voto»), relativamente a fusioni per scambio di azioni che coinvolgono una o più società con sede al di fuori della Comunità.

11 L'art. 14 b, n. 7, consente al ministro di autorizzare le autorità fiscali ad applicare per analogia le disposizioni dell'art. 14 b, qualora una (o entrambe) delle due società menzionate nell'art. 14 b, n. 2, sub a), o sub b), non conduca (o non conducano) un'impresa.

12 Le autorità fiscali sostengono che la transazione che si intende effettuare non soddisfa i requisiti dell'art. 14 b, n. 2, sub a), poiché il fine dell'acquisizione delle azioni della società controllata da parte della società controllante non è di fondere la controllata in una unità più grande da un punto di vista economico e finanziario. Tale unità già esiste poiché entrambe le società hanno lo stesso amministratore ed azionista unico.

13 La transazione di cui trattasi nella causa principale, essendo puramente interna ai Paesi Bassi, non rientra nel campo d'applicazione della direttiva, che si applica solo a «scambi di azioni riguardanti società di due o più Stati membri» (v. art. 1 della direttiva). Tuttavia, il giudice nazionale ritiene che il legislatore dei Paesi Bassi intendesse che le lett. a) e b) dell'art. 14 b, n. 2, concernenti, rispettivamente, fusioni mediante scambio di azioni nazionali e intracomunitarie, dovessero ricevere un'unica interpretazione. Esso è pervenuto a tale conclusione sulla base della formulazione di quelle disposizioni, che è la stessa per le transazioni nazionali ed intracomunitarie, e del loro iter legislativo, in particolare sulla base del secondo paragrafo del punto 3.5 del memorandum esplicativo del segretario di Stato per le finanze (Kamerstukken II, 1991-1992, 22 338, n. 3). In esso il segretario di Stato, dopo aver chiarito le modifiche che dovevano essere apportate alla normativa dei Paesi Bassi al fine di dare attuazione alla direttiva, afferma che, benché il diritto comunitario non richieda formalmente che le fusioni per scambio di azioni beneficino delle stesse condizioni (vantaggiose) delle fusioni intracomunitarie, è auspicabile al fine del completamento del mercato unico che le due categorie di transazioni siano trattate allo stesso modo.

14 Il giudice nazionale conclude che la questione se nella presente causa vi sia una fusione per scambio di azioni ai sensi dell'art. 14 b, n. 2, sub a), della legge deve essere risolta in riferimento alle disposizioni e alla portata della direttiva. Egli ha pertanto proposto alla Corte le seguenti questioni:

«Se possano essere sottoposte alla Corte di giustizia questioni relative all'interpretazione delle disposizioni e alla portata di una direttiva del Consiglio delle Comunità europee anche qualora la direttiva non si applichi direttamente alla situazione in concreto esistente, ma secondo l'intenzione del legislatore nazionale detta situazione debba essere trattata allo stesso modo di una situazione oggetto invece della direttiva.

Se sussista uno scambio di azioni, ai sensi dell'art. 2, parte iniziale e lett. d), della direttiva del Consiglio delle Comunità europee 23 luglio 1990, 90/434/CEE, qualora la società acquirente ai sensi della lett. h) di detto articolo non eserciti direttamente un'impresa.

Se allo scambio di azioni ai sensi di cui sopra osti il fatto che la stessa persona fisica che, prima dello scambio, era azionista unico delle società acquistate e le dirigeva, dopo lo scambio diriga la società acquirente e ne sia azionista unico.

Se sussista uno scambio di azioni ai sensi di cui sopra solo qualora questo scambio miri a riunire in un'unità duratura di carattere economico e finanziario l'impresa della società acquirente e quella di un'altra società.

Se sussista uno scambio di azioni ai sensi di cui sopra solo qualora questo scambio miri a riunire in un'unità duratura di carattere economico e finanziario le imprese di due o più società acquistate.

Se uno scambio di azioni che avviene al fine di attuare orizzontalmente una compensazione fiscale di perdite fra le società partecipanti allo scambio all'interno di un'unione fiscale ai sensi dell'art. 15 della Wet op de vennootschapsbelasting (legge olandese sull'imposta sulle società) del 1969 costituisca una giustificazione sufficientemente oggettiva per lo scambio stesso ai sensi dell'art. 11 della direttiva».

15 Si può rilevare che il governo dei Paesi Bassi contesta la conclusione del giudice nazionale secondo cui le lett. a) e b) dell'art. 14 b, n. 2, della legge del 1964 debbano ricevere la stessa interpretazione. Esso ritiene che il giudice nazionale abbia dato troppo peso a quanto affermato dal segretario di Stato.

Causa C-130/95, Giloy

16 In questa causa il Finanzgericht dell'Assia chiede una pronuncia della Corte sull'interpretazione dell'art. 244 del codice doganale, che stabilisce quanto segue:

«La presentazione di un ricorso non sospende l'esecuzione della decisione contestata.

Tuttavia, l'autorità doganale può sospendere, in tutto o in parte, l'esecuzione della decisione quando abbia fondati motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata alla normativa doganale, o si debba temere un danno irreparabile per l'interessato.

Quando la decisione impugnata abbia per effetto l'applicazione di dazi all'importazione o di dazi all'esportazione, la sospensione dell'esecuzione è subordinata all'esistenza o alla costituzione di una garanzia. Tuttavia non si può esigere detta garanzia qualora, a motivo della situazione del debitore, ciò possa provocare gravi difficoltà di carattere economico e sociale».

17 La causa dinanzi al giudice nazionale non riguarda tuttavia dazi all'importazione, ma l'IVA, alla quale il codice si applica in base a disposizioni del diritto tedesco. Il 28 marzo 1990 le autorità doganali tedesche adottavano una decisione con cui si chiedeva al signor Giloy di pagare 293 870,76 DM a titolo di IVA su beni importati. Il ricorso del signor Giloy per l'annullamento di questa decisione è ancora pendente.

18 Il 16 agosto 1994 veniva emesso un provvedimento di sequestro del reddito da lavoro del signor Giloy. Avendo appreso l'ammontare del debito, il suo datore di lavoro denunciava il contratto di lavoro con lettera 31 agosto 1994, dalla quale data il signor Giloy fruiva dell'assistenza sociale. Quest'ultimo ha chiesto al giudice a quo che gli fosse concessa la sospensione dell'esecuzione della decisione 28 marzo 1990. Facendo riferimento alla sua domanda principale, egli sostiene che vi sono fondati motivi per ritenere che la decisione sia illegittima. Egli sostiene inoltre che, indipendentemente dal merito della sua azione, l'esecuzione della decisione dev'essere sospesa poiché egli potrebbe subire, e ha già subito, danni irreparabili: l'azione intrapresa per l'esecuzione forzata del debito mediante il pignoramento della sua retribuzione ha comportato per lui la perdita del lavoro e la necessità di fare affidamento sull'assistenza sociale. Egli sostiene poi che il suo precedente datore di lavoro gli aveva assicurato che sarebbe stato riassunto se non vi fosse stato alcun rischio che la decisione controversa venisse eseguita. Egli sostiene inoltre che in base al terzo comma dell'art. 244 del codice non gli si può chiedere di prestare una garanzia poiché, in considerazione della sua situazione economica, non è in grado di farlo.

19 Le autorità tedesche sostengono che non vi è alcun motivo per ritenere che la decisione controversa sia illegittima. Inoltre non vi è alcun rischio di danni irreparabili poiché dagli accertamenti finora condotti risulta che ulteriori tentativi di dare esecuzione forzata al debito sarebbero rimasti per il momento senza successo. Ulteriori provvedimenti potrebbero essere adottati solo se il signor Giloy riprendesse la sua attività lavorativa e, in tal caso, solo entro stretti limiti imposti dalla normativa tedesca in materia di esenzione dal pignoramento; di conseguenza, anche se egli riprendesse il suo lavoro non subirebbe danni irreparabili.

20 Al fine di risolvere la controversia il giudice nazionale ha proposto alla Corte le seguenti questioni:

«1) Se entrambi i seguenti presupposti:

- fondati motivi di dubitare della conformità alla normativa doganale

oppure

- danno irreparabile per l'interessato,

menzionati nell'art. 244, secondo comma, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario, si trovino in rapporto di reciproca, completa autonomia, cosicché un provvedimento di sospensione dell'esecuzione debba essere concesso anche se non sussiste alcun dubbio sulla legittimità dell'avviso di accertamento doganale in considerazione del quale viene richiesta la suddetta sospensiva ma vi sia la possibilità che si producano danni irreparabili per l'interessato.

In caso di soluzione affermativa della questione sub 1):

2) Se la sussistenza del presupposto menzionato sopra al secondo trattino escluda necessariamente la costituzione di una garanzia, o se a tal fine debbano intervenire altri presupposti e, in caso affermativo, quali.

3) Se il rischio di perdere il posto di lavoro - evento se del caso già verificatosi a seguito della scadenza del debito d'imposta - rientri fra le "gravi difficoltà di carattere economico o sociale" anche nel caso in cui, in forza delle norme nazionali, venga garantito il minimo di sussistenza grazie, per esempio, all'assistenza sociale.

4) Se in caso di concessione della sospensione dell'esecuzione la garanzia debba sempre essere fissata per l'intero ammontare del debito d'imposta o se vi sia la possibilità di limitarla a una quota di quest'ultimo, in considerazione della situazione economica complessiva dell'instante».

21 Le questioni si basano sul presupposto che l'art. 244 del codice doganale si applica al debito di IVA di cui trattasi nella causa principale. Tuttavia, erroneamente il giudice nazionale ritiene che l'IVA all'importazione sia un dazio all'importazione ai sensi del codice. In forza dell'art. 4, n. 10, del codice l'espressione «dazi all'importazione» è limitata ai dazi doganali e alle tasse di effetto equivalente nonché ai prelievi agricoli e alle altre imposizioni all'importazione istituite nel quadro della politica agricola comune o di talune altre disposizioni in materia di prodotti agricoli. Essa non comprende l'IVA.

22 Come già rilevato, tuttavia, sembra che l'art. 244 del codice si applichi alla presente fattispecie sulla base di disposizioni di diritto tedesco. Le disposizioni pertinenti sono contenute nell'art. 69 della Finanzgerichtsordnung. L'art. 69, n. 2, pone le condizioni per la concessione della sospensione dell'esecuzione da parte delle autorità fiscali, mentre l'art. 69, n. 3, prevede che queste condizioni devono essere applicate mutatis mutandis dai giudici tributari. Nelle sue osservazioni scritte depositate dinanzi alla Corte la Commissione rileva che la formulazione dell'art. 69, n. 2, che risale alla data di entrata in vigore del codice, differisce in certo qual modo da quella dall'art. 244 del codice e dovrebbe essere modificata per riportare la formulazione di quest'ultimo; essa aggiunge tuttavia che la giurisprudenza e la dottrina tedesca riconoscono che le autorità doganali sono obbligate ad applicare l'art. 244 del codice. Nella sua risposta ai due quesiti scritti posti dalla Corte il governo tedesco osserva che l'art. 69, n. 3, della Finanzgerichtsordnung rinvia, ai fini del procedimento dinanzi ai giudici tributari, alle norme vigenti per le autorità fiscali; l'art. 21, n. 2, della legge tedesca sull'imposta sul fatturato pone la regola generale secondo cui le disposizioni sui dazi doganali devono essere applicate mutatis mutandis all'IVA sulle importazioni.

23 Entrambe le cause sollevano la questione se la Corte sia competente ai sensi dell'art. 177 del Trattato a risolvere questioni di interpretazione del diritto comunitario poste da un giudice nazionale qualora tali questioni sorgano nell'ambito di una controversia alla quale il diritto comunitario non si applica in quanto tale, ma viene trasferito in un contesto non comunitario dal diritto nazionale. Tale questione è sorta in un certo numero di precedenti cause e può essere utile innanzi tutto effettuare un breve resoconto delle precedenti decisioni della Corte.

Giurisprudenza pertinente

24 La questione è stata esaminata per la prima volta dalla Corte nel 1985 nella causa Thomasdünger (5), nella quale era stata chiesta alla Corte una pronuncia sull'interpretazione della Tariffa doganale comune in un procedimento concernente l'importazione di merci in Germania dalla Francia, una situazione che ricade al di fuori del campo d'applicazione della tariffa. Nelle sue conclusioni l'avvocato generale Mancini ha chiarito che l'interesse della Thomasdünger nel chiedere una pronuncia sulla tariffa era costituito dal fatto che alcune amministrazioni tedesche, quali le ferrovie tedesche, adoperavano la classificazione comunitaria per determinare le loro tariffe. Egli ha concluso che la Corte non dovrebbe rispondere ai quesiti posti dal giudice nazionale poiché «la Corte interpreterebbe in apparenza le norme che essi menzionano, ma in realtà apprezzerebbe le regole interne in cui tali norme sono state assorbite perdendo del tutto il loro contenuto imperativo».

25 Tuttavia, la Corte ha respinto questa obiezione con un semplice riferimento al noto principio secondo cui «salvo casi eccezionali nei quali manifestamente la disposizione di diritto comunitario di cui viene chiesta l'interpretazione non è applicabile alla fattispecie cui si riferisce la causa principale, la Corte lascia siffatte questioni all'apprezzamento del giudice nazionale, al quale spetta valutare, in relazione ai fatti di ogni singola causa, la necessità della soluzione della questione pregiudiziale sollevata ai fini della decisione della controversia di cui è investito».

26 Nel 1990 la Corte ha affrontato più direttamente la questione nelle cause Dzodzi (6) e Gmurzynska-Bscher (7). La signora Dzodzi, cittadina togolese, aveva sposato un cittadino belga poco prima della sua morte. In seguito alla morte di suo marito, la signora Dzodzi chiedeva la concessione di un permesso di soggiorno in Belgio nella sua qualità di coniuge di un cittadino di uno Stato membro della Comunità. Era chiaro che la situazione era puramente interna e non vi era alcun elemento di collegamento con il diritto comunitario. Tuttavia, in base ad una norma di diritto belga il coniuge straniero di un cittadino belga doveva essere trattato come se fosse un cittadino comunitario. Sembra che il giudice nazionale abbia interpretato tale norma nel senso che estende a stranieri coniugati con cittadini belgi il beneficio delle norme comunitarie che si applicano ai coniugi di cittadini di altri Stati membri residenti in Belgio. Di conseguenza, al fine di risolvere la controversia il giudice nazionale ha chiesto se la signora Dzodzi avrebbe avuto il diritto di risiedere e rimanere in Belgio se suo marito fosse stato cittadino di uno Stato membro diverso dal Belgio.

27 I fatti nella causa Gmurzynska-Bscher non sono diversi da quelli nella causa Giloy. Le norme tedesche sull'IVA facevano riferimento alla nomenclatura della Tariffa doganale comune ai fini di esenzioni e riduzioni fiscali. La signora Gmurzynska-Bscher che intendeva importare un'opera d'arte dai Paesi Bassi in Germania chiedeva un parere vincolante in materia di classificazione doganale al fine di determinare quanto avrebbe dovuto pagare a titolo di IVA.

28 L'avvocato generale Darmon, aderendo alla tesi dell'avvocato generale Mancini nella causa Thomasdünger, concludeva che la Corte non era competente a rispondere alle questioni del giudice nazionale in entrambe le cause (8). Egli ha sostenuto che lo scopo del procedimento pregiudiziale, vale a dire la garanzia dell'uniformità degli effetti del diritto comunitario, riguarda solo la sfera d'applicazione di quest'ultimo come definita da esso e solo da esso; il rinvio effettuato al diritto comunitario non può estenderne la portata e, con essa, la competenza della Corte. Sarebbe inaccettabile che il ruolo della Corte sia ridotto a quello di rilasciare pareri e consulenze come quelli che un giure consulto qualificato deve talvolta fornire al giudice del foro quando questi deve applicare la legge straniera.

29 Tuttavia, la Corte si è discostata per la seconda volta dalla tesi dell'avvocato generale e sia nella causa Dzodzi sia nella causa Gmurzynska-Bscher ha risposto ai quesiti del giudice nazionale. Nella sentenza Dzodzi la Corte ha dichiarato:

«Non risulta dal dettato dell'art. 177 né dalle finalità del procedimento istituito da questo articolo che gli autori del Trattato abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su di una norma comunitaria nel caso specifico in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvia al contenuto della norma in parola per determinare le norme da applicare ad una situazione puramente interna a detto Stato.

L'ordinamento giuridico comunitario ha anzi manifestamente interesse, per evitare future divergenze di interpretazione, a garantire un'interpretazione uniforme di tutte le norme di diritto comunitario, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate» (9).

30 La Corte ha rilevato che il suo ruolo si limita a dedurre dalla loro lettera e dal loro spirito il significato delle disposizioni di diritto comunitario e che spetta solo ai giudici nazionali applicare le disposizioni di diritto comunitario così interpretate, tenendo conto delle circostanze di fatto e di diritto nella causa loro sottoposta. La Corte in via di principio non era obbligata ad accertare le circostanze in cui i giudici nazionali fossero stati indotti a sottoporle le questioni e intendessero applicare la disposizione di diritto comunitario che le hanno chiesto di interpretare. La Corte ha aggiunto:

«Ciò non si verifica solo qualora risulti che con il procedimento ex art. 177, in contrasto con il suo scopo, si intende in realtà indurre la Corte a pronunciarsi per il tramite di una controversia fittizia ovvero sia manifesto che la disposizione di diritto comunitario sottoposta all'interpretazione della Corte non può essere applicata.

Quando il diritto comunitario viene applicato tramite le disposizioni di diritto nazionale spetta solo al giudice nazionale valutare la portata esatta del rinvio al diritto comunitario. Se ritiene che il contenuto di una disposizione di diritto comunitario vada applicato a causa di tale rinvio alla situazione puramente interna alle origini della controversia sottopostagli, il giudice nazionale è legittimato a sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale alle condizioni stabilite dal complesso delle disposizioni dell'art. 177 del Trattato così come sono interpretate dalla giurisprudenza della Corte.

La competenza della Corte è tuttavia limitata unicamente al vaglio delle disposizioni del diritto comunitario. Nel risolvere le questioni sottopostele dai giudici nazionali essa non può tener conto del sistema generale delle disposizioni di diritto interno le quali nel rinviare al diritto comunitario determinano l'ampiezza del rinvio. I limiti fissati dal legislatore nazionale all'applicazione del diritto comunitario a situazioni puramente interne, cui si applica solo per il tramite della legge nazionale, vanno presi in considerazione giusto il diritto interno e sono pertanto di esclusiva competenza dei giudici dello Stato membro» (10).

31 Le sentenze Dzodzi e Gmurzynska-Bscher hanno avuto poco dopo un seguito nella sentenza Tomatis e Fulchiron (11), nella quale il giudice nazionale chiedeva una pronuncia sulla Tariffa doganale comune al fine di stabilire l'aliquota IVA da applicare a talune merci in base al diritto nazionale. Esse hanno trovato applicazione anche, in circostanze alquanto diverse, nelle sentenze Fournier (12) e Federconsorzi (13). Nella causa Fournier alla Corte è stato chiesto di interpretare una direttiva comunitaria alla quale - alquanto inusualmente - era stata data efficacia da accordi di diritto privato. Il giudice nazionale aveva il compito di decidere quale tra un certo numero di uffici nazionali di assicurazione fosse alla fine responsabile nei confronti dei coniugi Fournier relativamente ad un incidente stradale in Francia. L'art. 2, n. 2, della direttiva del Consiglio 72/166 (14) prevedeva che fosse concluso un accordo tra i sei uffici nazionali di assicurazione ai sensi del quale ogni ufficio nazionale si rendesse garante, alle condizioni stabilite dalla propria legislazione nazionale, per la definizione dei sinistri sopravvenuti nel suo territorio e provocati dalla circolazione dei veicoli stazionanti abitualmente nel territorio di un altro Stato membro. La maggior parte delle disposizioni della direttiva aveva efficacia solo alla conclusione dell'accordo. Il giudice nazionale chiedeva una pronuncia sul significato dell'espressione «territorio in cui il veicolo staziona abitualmente» di cui all'art. 1, n. 4, della direttiva al fine di poter interpretare tale espressione nell'accordo concluso dagli uffici di assicurazione.

32 Nelle mie conclusioni in quella causa proponevo che la Corte ammettesse la propria competenza in conformità del principio sancito nella sentenza Dzodzi. Benché tale principio non valga necessariamente in tutti i casi in cui si tratta dell'interpretazione di nozioni di diritto comunitario trasposte in un contratto privato, in tale fattispecie l'accordo in questione costituiva un elemento essenziale del sistema instaurato dalla direttiva 72/166. Non solo l'accordo era contemplato dalla direttiva, ma la sua conclusione era il presupposto dell'entrata in vigore della maggior parte delle sue disposizioni (15).

33 Nella sentenza la Corte ha risolto le questioni del giudice nazionale senza occuparsi specificamente del problema della competenza. Tuttavia, in risposta ad un argomento relativo all'interpretazione della direttiva, la Corte ha rilevato che «spetta al giudice proponente, unico competente ad interpretare l'accordo tra uffici nazionali, attribuire ai termini da questo usati il senso che esso ritiene opportuno, senza che esso sia vincolato in proposito dal senso che deve essere attribuito all'identica espressione contenuta nella direttiva» (16).

34 Nella causa Federconsorzi un giudice italiano chiedeva una pronuncia sull'interpretazione di talune disposizioni di regolamenti del Consiglio e della Commissione in materia di agricoltura nell'ambito di una controversia tra l'ente d'intervento italiano e la Federconsorzi, assuntore delle operazioni di intervento nel settore dell'olio d'oliva, relativamente alla determinazione dell'importo dovuto dalla Federconsorzi all'ente di intervento per quanto riguarda un quantitativo di olio d'oliva che era stato rubato da uno dei magazzini della Federconsorzi. Il contratto tra le parti prevedeva che l'assuntore era responsabile per «le perdite per fatti di cui risponde l'assuntore al valore precisato dalla legislazione comunitaria al momento vigente».

35 La Corte, seguendo le conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven, ha dichiarato che trovava applicazione il principio sancito nella sentenza Dzodzi; la disposizione contrattuale in questione faceva riferimento al contenuto di norme di diritto comunitario al fine di determinare il limite entro il quale può essere implicata la responsabilità di una delle parti.

36 Nella sua più recente sentenza su tale questione nella causa Kleinwort Benson (17), una causa rinviata alla Corte non ai sensi dell'art. 177 del Trattato ma ai sensi del protocollo relativo all'interpretazione da parte della Corte della Convenzione di Bruxelles (18), la Corte ha adottato una tesi più restrittiva dei limiti della sua competenza. La Court of Appeal inglese chiedeva un'interpretazione dell'espressione «in materia contrattuale» di cui all'art. 5, punto 1, della Convenzione e «in materia di delitti o quasi delitti» di cui all'art. 5, punto 3. Con tale questione il giudice nazionale chiedeva assistenza non nell'applicazione della Convenzione stessa ma dell'allegato 4 del Civil Jurisdiction and Judgments Act 1982 (legge del 1982 sulla giurisdizione e sulle sentenze in materia civile), contenente norme strettamente modellate sulla Convenzione, che prevedevano un sistema di ripartizione delle competenze fra i giudici delle diverse parti del Regno Unito. Tuttavia, le disposizioni dell'allegato 4 non erano sempre identiche a quelle della Convenzione nella versione in vigore in un dato momento. Tale era il caso in particolare dell'art. 5, punto 3, dell'allegato 4 (benché esso includesse l'espressione «matters relating to tort, delict or quasi-delict» che figura nell'art. 5, punto 3 della Convenzione del quale era chiesta un'interpretazione). L'art. 47, nn. 1 e 3, della legge del 1982 prevedeva la possibilità di apportare modifiche all'allegato 4, comprese «modifiche destinate a produrre delle divergenze tra le disposizioni dell'allegato 4 (...) e le corrispondenti disposizioni del titolo II della Convenzione del 1968». La legge del 1982 conteneva anche varie disposizioni in materia di interpretazione della Convenzione e dell'allegato 4. L'art. 3, n. 1, della legge del 1982 prevedeva che «ogni questione concernente il significato o gli effetti di una disposizione della Convenzione, se non costituisce oggetto di rinvio alla Corte di giustizia ai sensi del protocollo del 1971, deve comunque essere risolta conformemente ai principi stabiliti ed alle decisioni prese dalla stessa Corte». Per contro, l'art. 16, n. 3, lett. a), della legge del 1982 prevedeva che, per ogni questione relativa al significato o agli effetti di una disposizione di cui all'allegato 4, «è opportuno far riferimento a ogni principio pertinente posto dalla Corte di giustizia delle Comunità europee relativamente al titolo II della Convenzione del 1968 e ad ogni sentenza pertinente della stessa Corte quanto al significato o agli effetti di tale titolo».

37 Dopo una dettagliata analisi delle questioni l'avvocato generale Tesauro ha sostenuto che la Corte non era competente a risolvere le questioni poste dalla Court of Appeal sull'interpretazione della Convenzione e, per di più, ha suggerito alla Corte di riconsiderare la giurisprudenza Dzodzi nel suo insieme. Più avanti in queste conclusioni riprenderò direttamente o indirettamente alcuni dei punti sollevati dall'avvocato generale Tesauro.

38 Pur non raccogliendo l'invito dell'avvocato generale a riconsiderare la sua precedente giurisprudenza, la Corte ha dichiarato che non era competente a risolvere le questioni poste dalla Court of Appeal. La Corte ha rilevato che le disposizioni del Regno Unito non contenevano un rinvio diretto e incondizionato a norme di diritto comunitario, attraverso il quale queste ultime verrebbero rese applicabili nell'ordinamento giuridico interno, ma si limitavano a prenderle come modello e a riprodurne parzialmente la formulazione. Inoltre, era prevista esplicitamente la possibilità di modifiche destinate a produrre divergenze fra le disposizioni nazionali e le corrispondenti disposizioni della Convenzione. Di conseguenza, le disposizioni della Convenzione non sono state rese applicabili in quanto tali, in casi al di fuori del campo d'applicazione della Convenzione, dal diritto dello Stato contraente interessato.

39 La legge del 1982 non imponeva ai giudici del Regno Unito di risolvere le controversie di cui erano investiti applicando, in modo assoluto e incondizionato, l'interpretazione della Convenzione fornita dalla Corte; ove la Convenzione non fosse applicabile, il giudice interessato era pertanto libero di decidere se l'interpretazione fornita dalla Corte fosse ugualmente valida nell'applicazione del diritto nazionale modellato su tale Convenzione. Di conseguenza, l'interpretazione della Corte non sarebbe vincolante per il giudice del Regno Unito. Facendo riferimento al parere 1/91 (19), la Corte ha osservato che sarebbe inaccettabile che le soluzioni fornite dalla Corte di giustizia ai giudici degli Stati contraenti abbiano valore puramente consultivo e siano prive di efficacia vincolante; una situazione del genere snaturerebbe la funzione della Corte di giustizia quale concepita dal protocollo del 1971, vale a dire quella di un organo giurisdizionale che pronuncia sentenze vincolanti.

Gli argomenti dedotti nelle presenti cause

Leur-Bloem

40 Hanno presentato osservazioni scritte in questa causa la signora Leur-Bloem, i governi tedesco e dei Paesi Bassi nonché la Commissione.

41 La signora Leur-Bloem sostiene che la domanda è ricevibile. Poiché l'obiettivo della direttiva è quello di «porre in essere nella Comunità condizioni analoghe a quelle di un mercato interno», non si può, secondo la signora Leur-Bloem, concedere un trattamento meno favorevole alle transazioni interne rispetto a quelle intracomunitarie. Il legislatore dei Paesi Bassi ha ammesso il principio secondo cui entrambe le categorie di transazioni devono essere trattate allo stesso modo.

42 I governi tedesco e dei Paesi Bassi nonché la Commissione ritengono che la Corte non sia competente a risolvere le questioni. Il governo dei Paesi Bassi sostiene che, benché le disposizioni nazionali di cui trattasi riguardino anche le transazioni interne, il memorandum esplicativo del segretario di Stato indica semplicemente che si riteneva auspicabile che le transazioni interne beneficiassero dello stesso trattamento delle transazioni intracomunitarie. Né questo memorandum né la disposizione stessa prevedono esplicitamente l'applicazione delle disposizioni della direttiva a transazioni interne. Esso sostiene pertanto che la Corte dovrebbe dichiararsi incompetente per i motivi che ha indicato nella sentenza Kleinwort Benson.

43 Secondo la Commissione, benché sia auspicabile che gli Stati membri modellino le loro disposizioni nazionali sul diritto comunitario, assicurando al riguardo una spontanea armonizzazione, ciò non significa che le disposizioni nazionali sono assoggettate al regime istituzionale del Trattato, in particolare all'art. 177, anche se l'interpretazione della nozione di scambio di azioni è necessaria per la soluzione della controversia. La Commissione rileva che l'art. 14 b, n. 2, della legge del 1964 non fa riferimento alla direttiva né la rende applicabile, ma riproduce semplicemente - e non parola per parola - la formulazione dell'art. 2, lett. d). Nulla potrebbe impedire al legislatore dei Paesi Bassi di modificare la sua normativa. Diversamente dalla normativa di cui si trattava nella causa Kleinwort Benson, la normativa dei Paesi Bassi non impone al giudice nazionale di tener conto della giurisprudenza della Corte.

44 La Commissione ritiene che l'argomento in senso contrario basato sulla necessità di assicurare uniforme applicazione del diritto comunitario non convinca né in teoria né in pratica. I limiti della competenza della Corte coincidono necessariamente con i limiti del diritto comunitario. Esistono serie obiezioni di ordine istituzionale ad una tesi contraria. La competenza della Corte verrebbe determinata dalle scelte legislative di uno Stato membro. Inoltre, poiché la normativa dei Paesi Bassi usa la stessa definizione di scambio di azioni per transazioni che riguardano società con sede al di fuori della Comunità, la competenza della Corte si estenderebbe a scambi di azioni che riguardano una o più società con sede in paesi terzi. La Commissione aggiunge infine che difficilmente potrebbe avviare un procedimento ai sensi dell'art. 169 del Trattato contro i Paesi Bassi semplicemente a causa di una scelta del legislatore di tale Stato.

Giloy

45 In questa causa solo la Commissione ha presentato osservazioni scritte. Sostenendo una tesi diversa da quella avanzata nella causa Leur-Bloem, la Commissione ritiene che, nonostante la mancanza di un esplicito riferimento all'art. 244 del codice doganale nella normativa tedesca, è chiaro che l'art. 244 del codice si applica nell'ordinamento giuridico tedesco. La regola di diritto comunitario è pertanto inserita in maniera assoluta e incondizionata nel diritto tedesco, come richiesto dalla sentenza della Corte nella causa Kleinwort-Benson.

46 Nella sua risposta ai quesiti scritti della Corte, anche il governo tedesco ha sostenuto una tesi diversa da quella avanzata nella causa Leur-Bloem. Esso opera una distinzione tra la normativa tedesca e quella dei Paesi Bassi di cui trattasi nella causa Leur-Bloem per il fatto che il codice doganale costituisce un elemento dinamico del diritto tedesco in forza dell'art. 21, n. 2, della legge tedesca sull'imposta sui redditi. Il legislatore tedesco ha optato per l'applicazione del codice ed ha ammesso la competenza della Corte, poiché l'IVA sull'importazione e i dazi doganali sono spesso determinati in base ad un unico procedimento e ad un'unica decisione. E' pertanto essenziale che le disposizioni sui dazi doganali e sull'IVA siano interpretate allo stesso modo.

Esame della questione relativa alla competenza

Il campo d'applicazione del diritto comunitario e la finalità dell'art. 177

47 Può a prima vista sembrare sorprendente il fatto che la Corte, la cui funzione in base al Trattato è di assicurare «il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del (...) Trattato» (art. 164), si sarebbe dichiarata competente in casi in cui il diritto comunitario non si applica. Analogamente ad altri ordinamenti giuridici, il diritto comunitario definisce esso stesso il proprio campo d'applicazione, e si può ragionevolmente ammettere che tutto il diritto comunitario, compreso l'art. 177, trovi applicazione solo in tale ambito. La finalità dell'art. 177, nell'ambito del Trattato, è di assicurare che il diritto comunitario sia uniformemente applicato in tutti gli Stati membri. Non risulta immediatamente come possa essere perseguita questa finalità se la Corte si pronuncia in controversie nelle quali una norma comunitaria viene rilevata da uno Stato membro e trasposta in un contesto non comunitario. In tali controversie le norme che i giudici nazionali sono chiamati ad applicare sono norme di diritto nazionale piuttosto che di diritto comunitario; non vi può essere pertanto alcuna minaccia immediata per l'uniforme applicazione del diritto comunitario.

48 Nella sentenza Dzodzi la Corte ha cercato di far fronte a tale difficoltà dichiarando che «l'ordinamento giuridico comunitario ha anzi manifestamente interesse, per evitare future divergenze d'interpretazione, a garantire un'interpretazione uniforme di tutte le norme di diritto comunitario, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate» (20). In altri termini, pronunciandosi in controversie che sorgono in un contesto non comunitario, la Corte può impedire l'erronea applicazione del diritto comunitario per il futuro. A prima vista questo argomento presenta una certa solidità. Se un giudice nazionale ritiene necessario interpretare una norma comunitaria al fine di emettere una sentenza, esso sarà obbligato a cercare di interpretare esso stesso la norma in assenza di una autorevole pronuncia da parte della Corte. Se dovesse pervenire ad un'erronea interpretazione della norma comunitaria, l'esatta applicazione del diritto comunitario potrebbe essere minacciata indirettamente: benché adottata in un contesto non comunitario, tale interpretazione potrebbe essere seguita nello Stato membro interessato da altri giudici e da autorità amministrative nell'applicare la norma in questione in un contesto comunitario.

49 In definitiva, tuttavia, questo argomento non è convincente. In tali circostanze l'esatta applicazione del diritto comunitario nello Stato interessato sarebbe minacciata al massimo solo in maniera indiretta e temporanea. E' chiaro che un'interpretazione di una norma comunitaria data da un giudice nazionale non sarebbe basata su una pronuncia della Corte e, appena tale interpretazione venisse applicata in un contesto comunitario, potrebbe essere contestata. Inoltre è difficile conciliare la preoccupazione della Corte circa tali minacce puramente teoriche all'uniforme applicazione del diritto comunitario con il fatto che l'art. 177 prevede che il diritto comunitario sia interpretato ed applicato innanzi tutto dai giudici nazionali. Il diritto comunitario viene applicato ogni giorno dai giudici nazionali; solo in un limitato numero di casi, che vengono decisi da giudici di ultimo grado, esiste un obbligo di rinvio.

50 Inoltre, non è facile vedere come norme giuridiche possano essere interpretate al di fuori del loro contesto o, per usare l'espressione che figura nella sentenza Dzodzi, «a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate». La pronuncia della Corte nella sentenza Dzodzi può forse essere in parte spiegata dall'atteggiamento tollerante che la Corte ha adottato a quell'epoca nei confronti delle domande dei giudici nazionali in generale. La Corte ha messo in dubbio la necessità della pronuncia chiesta da un giudice nazionale solo in casi eccezionali, in particolare quando sembrava evidente che la pronuncia fosse chiesta in maniera impropria mediante una controversia fittizia o che la disposizione la cui interpretazione era chiesta non poteva manifestamente essere applicata alla controversia.

51 Tuttavia, la pronuncia della sentenza Dzozi non riflette più la posizione della Corte. In una serie di recenti sentenze a cominciare dalla sua pronuncia nel 1993 nella causa Telemarsicabruzzo (21) la Corte ha attribuito maggior importanza alla necessità di emettere una pronuncia nel contesto della situazione di fatto della causa e di conseguenza ha adottato un atteggiamento più restrittivo nel chiedere che i giudici nazionali specifichino chiaramente il contesto di fatto e di diritto nel quale la pronuncia è chiesta (22). Ciò è importante non solo per assicurare che la Corte fornisca al giudice nazionale una risposta che abbia rilevanza per la controversia dinanzi ad esso pendente, ma anche perché è spesso difficile o addirittura impossibile interpretare una norma in astratto.

I differenti contesti delle norme comunitarie e nazionali

52 La pronuncia nella sentenza Dzodzi è incompatibile con la soprammenzionata giurisprudenza. Quando la situazione di fatto che è alla base di un rinvio non è contemplata da una disposizione di diritto comunitario, alla Corte viene chiesto ipoteticamente di interpretare la norma al di fuori del suo vero e proprio contesto. Di conseguenza, la Corte corre il rischio non solo di omettere di esaminare tutte le questioni rilevanti, ma anche di essere fuorviata da elementi estranei.

53 Anche qualora vi fosse uno stretto legame tra le norme comunitarie e quelle nazionali, il contesto in cui è chiesta l'interpretazione di una norma comunitaria può essere sostanzialmente diverso dal suo contesto vero e proprio. Ad esempio nella causa Leur-Bloem, dove il giudice nazionale ritiene che il legislatore dei Paesi Bassi abbia in realtà esteso il campo d'applicazione della norma comunitaria, la transazione di cui trattasi è una transazione nazionale che riguarda una ristrutturazione puramente giuridica della proprietà di società, eventualmente intrapresa per motivi collegati al diritto tributario dei Paesi Bassi. Avrei serie perplessità nel cercare di interpretare espressioni usate nella direttiva sul regime fiscale - specialmente per la prima volta - avendo come sfondo una tale transazione, che sembra avere poco a che fare con il tipo di transazione contemplata dalla direttiva, in particolare fusioni e scambi di azioni internazionali intesi a incentivare raggruppamenti internazionali di imprese. Nel risolvere le questioni poste dal giudice nazionale sarebbe necessario, al fine di collocare nel loro giusto contesto le disposizioni pertinenti della direttiva, considerare fin dove le condizioni imposte dalle norme dei Paesi Bassi possano impedire la costituzione di strutture societarie internazionali che potrebbero essere elaborate nel caso di imprese che si raggruppano per motivi commerciali. La situazione di fatto nella causa Leur-Bloem difficilmente offre una base per argomenti su tale questione, come risulta dalle osservazioni scritte e orali presentate dinanzi alla Corte.

54 Per quanto riguarda più in particolare l'ultima questione del giudice nazionale sull'interpretazione della nozione di evasione fiscale di cui all'art. 11 della direttiva, non risulta dai documenti presentati dinanzi alla Corte se il vantaggio fiscale cui si fa riferimento, cioè la compensazione orizzontale di perdite, costituisca una questione in un contesto intracomunitario. Al fine di valutare esattamente la questione di interpretazione posta alla Corte, potrebbe pertanto essere necessario immaginare una situazione analoga che potrebbe indubbiamente presentarsi in un contesto intracomunitario, analoga nel senso che il vantaggio fiscale deriverebbe non dallo scambio stesso di azioni ma dalla struttura societaria che ne consegue. Ad esempio, si può immaginare una situazione in cui, nell'ambito di un'operazione di raggruppamento internazionale intrapreso per motivi commerciali, una società controllante aveva posto la sua sede in uno Stato membro anche per motivi fiscali, ad esempio al fine di ripartire l'aliquota d'imposta applicata sui profitti delle controllate in vari paesi o di usufruire del beneficio di un accordo fiscale concluso dallo Stato membro interessato. Di nuovo risulta che la situazione di fatto nella causa Leur-Bloem difficilmente fornisce una base per discutere tutte le questioni che possono essere rilevanti per l'interpretazione della nozione di evasione fiscale di cui all'art. 11, una nozione la cui portata ha importanti conseguenze per l'applicazione della direttiva.

55 E' vero che non è mai garantito che la situazione di fatto in una causa consenta che tutti i punti rilevanti siano presi in considerazione; nei casi in cui la Corte ha ritenuto necessario limitare la portata di precedenti decisioni o discostarsene, spesso ciò è avvenuto poiché non era possibile prevedere completamente le conseguenze di una pronuncia. I rischi sarebbero notevolmente maggiori tuttavia se la Corte dovesse dichiararsi competente per una categoria di cause nelle quali le sarebbe sistematicamente richiesto di interpretare disposizioni al di fuori del loro giusto contesto. Mi sembra di per sé insoddisfacente il fatto che si debbano prendere in considerazione, mediante un processo di estrapolazione, situazioni fittizie - che non hanno un reale collegamento con la situazione di fatto della causa principale - al fine di ottenere il necessario fondamento per la decisione. Sarebbe più facile in taluni casi che in altri immaginare un vero e proprio contesto comunitario. Anche in tal caso vi sarebbe ancora il rischio di trascurare inavvertitamente elementi rilevanti o di essere fuorviati da menti estranei. Ad esempio, come spiegherò più avanti, anche in contesti in apparenza strettamente collegati con i dazi sulle importazioni e l'IVA possono trovare applicazione considerazioni diverse. Inoltre, spesso sarà necessario consentire che il procedimento dinanzi alla Corte abbia il suo corso, prima che quest'ultima possa stabilire con un sufficiente grado di certezza di essere competente a pronunciarsi.

La rilevanza della pronuncia della Corte per l'interpretazione di una norma nazionale

56 Anche se si ammettesse che la Corte possa fornire un'esatta interpretazione del diritto comunitario in una controversia che sorge in un contesto non comunitario, non è certo che la pronuncia della Corte sia determinante per la soluzione della controversia. La Corte ha costantemente messo in evidenza l'importanza del fatto di interpretare le disposizioni di diritto comunitario nel loro contesto, ed è chiaro che anche due disposizioni di diritto comunitario, aventi un'identica formulazione, possano richiedere diverse interpretazioni a causa del loro differente contesto. Come la Corte ha dichiarato nella sentenza Metalsa (23):

«(...) si desume che l'estensione dell'interpretazione di una disposizione del Trattato ad una disposizione, redatta in termini analoghi, simili o addirittura identici, figurante in un accordo concluso dalla Comunità con un paese terzo dipende in particolare dallo scopo perseguito da ciascuna di queste disposizioni nel proprio ambito, e che il raffronto tra obiettivi e contesto dell'accordo, da un lato, e quelli del Trattato, dall'altro, assume al riguardo notevole importanza».

57 Mi sembra che lo stesso valga a fortiori per norme di diritto comunitario e nazionale formulate in maniera simile o identica. Considerazioni valide per l'interpretazione di una norma di diritto comunitario, quali la sua finalità e la sua collocazione nell'ambito del sistema e delle finalità del Trattato, possono essere irrilevanti nell'interpretazione di una norma nazionale. La differenza tra i contesti nei quali le norme comunitarie e nazionali si applicano può pertanto comportare interpretazioni diverse di tali norme.

58 Ad esempio, la doppia finalità della direttiva di cui trattasi nella causa Leur-Bloem è di rimuovere ostacoli fiscali al raggruppamento internazionale di imprese introducendo norme comuni sull'esenzione fiscale e di salvaguardare al tempo stesso gli interessi finanziari degli Stati membri concedendo loro la possibilità di recuperare successivamente l'imposta differita, nonostante l'elemento internazionale. Queste finalità non hanno alcuna rilevanza in un contesto nazionale.

59 Lo stesso vale per l'estensione di norme di diritto comunitario, che disciplinano un settore del diritto, ad un altro settore non armonizzato a livello comunitario. Ad esempio, nella causa Giloy la normativa tedesca instaura uno stretto legame tra dazi all'importazione ed IVA sulle importazioni. Anche in tal caso, tuttavia, come la Corte ha dichiarato nella recente sentenza Pezzullo (24), possono valere diverse considerazioni. In tale causa la Corte ha dichiarato che la direttiva comunitaria pertinente (25) consentiva che uno Stato membro prevedesse che, in caso di immissione in consumo nella Comunità di merci precedentemente vincolate al regime di perfezionamento attivo, il prelievo agricolo dovuto venisse assoggettato ad interessi moratori per il periodo compreso tra l'importazione temporanea e l'importazione definitiva; per contro, in base alla sesta direttiva IVA gli interessi cominciano a decorrere solo dal momento in cui i beni escono dal regime di perfezionamento attivo e vengono dichiarati ai fini dell'immissione in consumo. Nelle mie conclusioni ho fatto presente che la differenza potrebbe basarsi sul meccanismo della deduzione che si applica nel caso dell'IVA, ma non in quello dei prelievi all'importazione. La sentenza chiarisce anche che la differenza di contesto può apparire solo una volta che la Corte abbia interpretato la disposizione di cui trattasi.

60 Il fatto che il giudice nazionale dopo aver ottenuto una pronuncia della Corte possa decidere di non tenerne conto, in quanto i contesti delle norme comunitarie e nazionali sono diversi, ha influenzato la Corte nella sentenza Kleinwort Benson. In essa la Corte ha dichiarato che, poiché la normativa del Regno Unito non aveva reso le disposizioni della Convenzione di Bruxelles applicabili in quanto tali a situazioni interne, i giudici del Regno Unito potrebbero liberamente decidere se l'interpretazione della Corte fosse valida anche per le disposizioni nazionali. La Corte ha fatto riferimento al riguardo al seguente brano del parere 1/91:

«(...) non si può ammettere che le soluzioni fornite dalla Corte di giustizia ai giudici degli Stati dell'EFTA abbiano valore puramente consultivo e siano prive di efficacia vincolante. Tale situazione snaturerebbe la funzione della Corte di giustizia, qual è concepita dal Trattato CEE, vale a dire quella di un organo giurisdizionale che pronuncia sentenze vincolanti. Perfino nel caso molto particolare dell'art. 228 il parere della Corte di giustizia è munito dell'efficacia vincolante precisata nello stesso articolo».

61 Anche se l'analogia con l'accordo SEE non è completa, non si può negare che il principio secondo cui le pronunce della Corte sono vincolanti per i giudici nazionali è fondamentale per assicurare l'uniforme applicazione del diritto comunitario. Se la Corte dovesse accettare che un giudice nazionale sia in pratica libero di non tener conto delle sue pronunce in determinate categorie di cause per motivi di diverso contesto, ciò pregiudicherebbe gravemente tale principio.

62 Inoltre, la mancanza di qualsiasi garanzia che la pronuncia della Corte sarà rilevante per la soluzione della controversia, unitamente al fatto che non vi è una minaccia immediata per l'uniforme applicazione del diritto comunitario, indebolisce sostanzialmente gli argomenti a sostegno della tesi di estendere il procedimento di cui all'art. 177 - con i relativi ritardi nella soluzione della controversia e le relative spese per le parti, per la Commissione e gli Stati membri e per la Corte - ad un numero potenzialmente elevato di casi in cui gli Stati membri possano decidere di utilizzare norme comunitarie.

63 Infine, su tale punto ci si può chiedere quale rilevanza avrebbe una pronuncia qualora risultasse che la norma nazionale di cui trattasi non potesse essere interpretata allo stesso modo in cui la Corte ha interpretato la corrispondente norma comunitaria. Questo si verifica nella causa Leur-Bloem. Ammettiamo che la Corte, accogliendo le osservazioni della signora Leur-Bloem, interpretasse la direttiva sul regime fiscale in modo da chiarire che le condizioni imposte dalla normativa dei Paesi Bassi sulle fusioni per scambio di azioni fossero troppo restrittive. Nel caso di una transazione intracomunitaria che rientra nella direttiva, il giudice nazionale sarebbe obbligato, ammettendo che le disposizioni pertinenti della direttiva abbiano efficacia diretta, a disapplicare la normativa dei Paesi Bassi e ad applicare le disposizioni comunitarie. Non vi sarebbe un tale obbligo nelle circostanze della presente fattispecie. Ci si troverebbe pertanto nella curiosa situazione in cui una pronuncia della Corte avrebbe rilevanza per un giudice nazionale solo se, in conformità dei principi di interpretazione sanciti dal diritto nazionale, la norma nazionale potesse essere interpretata nel modo in cui lo è stato da parte della Corte.

Ulteriori difficoltà concettuali e pratiche nell'applicazione dell'art. 177

64 Vi sono inoltre diversi altri problemi collegati all'estensione del procedimento di cui all'art. 177 a controversie che sorgono in un contesto non comunitario. Innanzi tutto, in tali casi solo mediante un processo di contorsionismo giuridico è possibile motivare, per giudici contro le cui decisioni non si possono proporre ricorsi giurisdizionali, un obbligo di rinvio ai sensi del terzo comma dell'art. 177. Si dovrebbe sostenere che l'art. 177 impone un tale obbligo, anche se la necessità di un'interpretazione del diritto comunitario deriva non dal diritto comunitario ma dal diritto nazionale. Inoltre, è probabile che vi sia molta incertezza da parte dei giudici di ultimo grado circa la portata del loro obbligo di rinvio.

65 In secondo luogo, l'art. 177 prevede anche pronunce sulla validità di atti comunitari. Sarebbe particolarmente insensato che la Corte emettesse una tale pronuncia in una controversia che ricade al di fuori del campo d'applicazione di un atto. Inoltre, la rilevanza di una tale pronuncia ai fini della controversia sarebbe ancora più indiretta che nel caso di una pronuncia di interpretazione.

66 Infine, per quanto riguarda l'aspetto pratico, condivido le preoccupazioni espresse dall'avvocato generale Tesauro (26) circa il potenziale volume di cause nelle quali un giudice nazionale può identificare un nesso tra le norme nazionali e comunitarie e decidere di chiedere una pronuncia. Come egli ha rilevato, accade sempre più spesso che norme nazionali o convenzioni con paesi non membri della Comunità siano basate sul diritto comunitario o da esso ispirate.

La sentenza Kleinwort Benson

67 Nella sentenza Kleinwort Benson la Corte ha cercato una soluzione intermedia introducendo il requisito che la norma nazionale debba contenere un rinvio diretto ed incondizionato alle disposizioni di diritto comunitario in modo da inserirle nell'ordinamento giuridico nazionale. Questo criterio presenta forse alcuni vantaggi: esso impedisce che siano sottoposte alla Corte cause che hanno solo un tenue collegamento con il diritto comunitario e nelle quali la disparità di contesto è molto evidente.

68 Tuttavia la soluzione trovata nella sentenza Kleinwort Benson rappresenta un difficile compromesso. Innanzi tutto manca un solido fondamento teorico. Io non credo che i criteri posti operino una distinzione tra categorie concettualmente diverse. Se gli autori del Trattato o della normativa comunitaria decidono di non estendere il diritto comunitario ad un determinato settore, gli Stati membri possono avere un'opinione diversa circa la necessità di operare unilateralmente tale estensione nella loro normativa nazionale. Una norma comunitaria che, per uno Stato membro, impone il contenuto di norme nazionali ad essa collegate può essere considerata da un altro Stato membro solo come un modello potenzialmente interessante con un adeguato corpo di giurisprudenza.

69 Nonostante la scelta legislativa che uno Stato membro può effettuare, l'ordinamento giuridico comunitario e quello nazionale rimangono distinti. In mancanza di un esplicito riferimento nell'art. 177, non credo che la Corte possa consentire che l'estensione della sua competenza sia determinata dalla normativa nazionale. Se così fosse, la sua competenza varierebbe notevolmente tra uno Stato membro e l'altro.

70 In secondo luogo, non credo che la pronuncia nella sentenza Kleinwort Benson raggiunga lo scopo che si prefigge, cioè garantire che la pronuncia della Corte sia applicata dal giudice nazionale. Anche se la normativa nazionale contiene un esplicito rinvio al diritto comunitario, cosicché le norme comunitarie e quelle nazionali hanno identica formulazione, il giudice nazionale è sempre libero di pervenire alla conclusione che il differente contesto delle due disposizioni richiede diverse interpretazioni. Come già rilevato, anche due disposizioni di diritto comunitario, formulate in maniera identica, possono richiedere diverse interpretazioni a causa del loro diverso contesto.

71 In terzo luogo, ho già chiarito, nonostante lo stretto legame tra le norme comunitarie e nazionali, che rimangono i rischi e le difficoltà inerenti al fatto di interpretare norme comunitarie al di fuori del loro contesto.

72 In quarto luogo, come dimostrano le presenti cause, il requisito di un rinvio diretto ed incondizionato al diritto comunitario è difficile da applicare ed arbitrario. Nella causa Giloy è pacifico che le autorità doganali tedesche sono obbligate ad applicare l'art. 244 del codice alla riscossione dell'IVA sulle importazioni; inoltre tale obbligo non risulta in maniera del tutto chiara dalla normativa, ma si desume in parte dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Non spetta in ogni caso alla Corte interpretare la normativa tedesca, cosa che compete solo al giudice nazionale. Nella causa Leur-Bloem non vi è certamente un rinvio diretto ed incondizionato al diritto comunitario nella normativa dei Paesi Bassi. Tuttavia, questo può essere dovuto semplicemente alla natura del testo comunitario. Mentre è concepibile che una norma nazionale può contenere un esplicito riferimento a regolamenti o convenzioni comunitarie, uno Stato membro che intenda trasporre le norme contenute in una direttiva in un contesto non comunitario può semplicemente estendere il campo d'applicazione della sua normativa nazionale di attuazione. Come nella causa Leur-Bloem, il giudice nazionale può dedurre il nesso con la norma comunitaria dalla formulazione e dalle finalità delle disposizioni nazionali, eventualmente facendo riferimento ai lavori preparatori. Non può sorprendere il fatto che l'art. 14 b, n. 2, sub a), della legge olandese del 1964, come fa presente la Commissione, non ripeta parola per parola il testo della direttiva sul regime fiscale, così come avviene anche per l'art. 14 b, n. 2, sub b), con cui si intende dare attuazione alla direttiva.

73 Più in generale, ritengo sia arbitrario basare una distinzione sul modo in cui uno Stato membro traspone una norma comunitaria nel contesto nazionale. Ad esempio, il risultato perseguito estendendo a situazioni nazionali taluni benefici concessi da una direttiva che si applica unicamente a situazioni intracomunitarie può ugualmente essere raggiunto mediante una norma opportunamente formulata che vieta discriminazioni alla rovescia. Qualunque sia il mezzo impiegato, rimane il fatto che in controversie come quelle della presente fattispecie la norma che si applica è alla fine una norma di diritto nazionale. Tali controversie non riguardano diritti o obblighi che derivano dal diritto comunitario.

74 Infine, come abbiamo visto nelle presenti cause, una soluzione intermedia come quella adottata nella sentenza Kleinwort Benson può comportare una considerevole incertezza. Ciò causerà inevitabilmente il sorgere sistematico di questioni sulla competenza della stessa, che in molti casi sarà possibile risolvere solo dopo che il procedimento dinanzi alla stessa si è concluso. Inoltre, se la Corte dovesse dichiararsi competente, vi sarà ulteriore incertezza su se il giudice nazionale debba applicare la pronuncia, in considerazione dei diversi contesti.

I limiti della competenza della Corte in base all'art. 177

75 Pervengo pertanto alla conclusione che la Corte deve pronunciarsi solo nei casi in cui conosce il contesto di fatto e di diritto della controversia ed in cui tale contesto rientra nell'ambito delle finalità della norma comunitaria. Mi sembra che tale tesi sia la sola compatibile con i principi giuridici e la finalità dell'art. 177, assicuri la rilevanza della pronuncia della Corte per la decisione della controversia, ed eviti il rischio che alla Corte sia chiesto di interpretare una norma comunitaria al di fuori del proprio contesto. Essa fornisce inoltre un criterio chiaro e praticabile che dà ai giudici nazionali il necessario grado di certezza circa la portata della competenza della Corte.

76 Di conseguenza ritengo che la Corte non debba pronunciarsi in nessuna delle presenti cause. In entrambe le cause il legislatore nazionale ha utilizzato una norma comunitaria e l'ha trasposta in un contesto ad essa estraneo.

77 Per quanto riguarda le cause precedenti, condivido la tesi dell'avvocato generale Tesauro secondo cui la Corte non deve più pronunciarsi in casi quali Thomasdünger, Dzodzi, Gmurzynska-Bscher e Tomatis e Fulchiron. D'altra parte, mi sembra che le cause Fournier e Federconsorzi siano state correttamente decise. In queste cause vi era la fondamentale differenza che gli accordi contrattuali di cui trattasi erano stati conclusi in base a norme comunitarie. I fatti di entrambe le cause pertanto ricadono pienamente nel campo di applicazione delle norme comunitarie, e rispondere da parte della Corte alle questioni del giudice nazionale era compatibile sia con la finalità dell'art. 177 sia con il requisito che la Corte deve pronunciarsi in un contesto pertinente.

78 E' vero che, come ha rilevato l'avvocato generale Tesauro nella causa Kleinwort Benson, l'interpretazione dei contratti in questione nelle cause Fournier e Federconsorzi costituiva una questione di diritto nazionale. Tuttavia, questo vale anche qualora l'interpretazione da dare ad una norma comunitaria sia rilevante per l'interpretazione di una norma nazionale di attuazione. Cionondimeno, entrambi i casi hanno in comune il fatto che la norma o la disposizione contrattuale si applica nell'ambito di un contesto comunitario.

79 Vorrei rilevare che non sto suggerendo alla Corte di dichiararsi incompetente in tutti i casi in cui la rilevanza di una questione si basa su un'eventuale violazione del diritto nazionale. Si prenda ad esempio una situazione in cui uno Stato membro abbia esercitato il potere discrezionale, ad esso concesso da una direttiva, di imporre requisiti più restrittivi di quelli previsti da tale direttiva, ma la normativa nazionale di attuazione autorizzi le competenti autorità dello Stato membro solo ad adottare le disposizioni che sono assolutamente necessarie in base al diritto comunitario per l'attuazione della direttiva (una situazione che è simile a quella nella causa RTI e a. (27)). In una tale situazione è possibile che il giudice nazionale intenda accertare quali siano i requisiti minimi imposti dalla direttiva, e rinviare a tal fine una questione alla Corte, per affrontare l'argomento che lo Stato membro ha oltrepassato i poteri ad esso conferiti dalla normativa nazionale. In tali circostanze ritengo che la Corte debba dichiararsi competente poiché il diritto nazionale non ha trasposto le norme comunitarie in un diverso contesto; non vi è così pericolo che la Corte risolva una questione al di fuori del proprio contesto.

80 Può essere utile operare una distinzione tra effetti «verticali» ed «orizzontali» del diritto comunitario in un ordinamento giuridico nazionale. Nei casi in cui il diritto nazionale ha trasposto il diritto comunitario in un contesto nazionale al quale il diritto comunitario stesso non si applica, si è in presenza di quella che potrebbe essere definita come una situazione «orizzontale»: il diritto comunitario è rilevante solo perché è stato esteso per scelta del diritto nazionale ad una situazione nazionale alla quale non si intendeva applicarlo; tale estensione può essere effettuata mediante un'esplicita estensione o ripetizione letterale delle norme comunitarie, o mediante una disposizione generale di diritto nazionale che vieta discriminazioni alla rovescia o concorrenza sleale. D'altra parte, quando il diritto comunitario viene attuato solo nella misura prevista dalla normativa comunitaria, gli effetti che prevedibilmente derivano per il diritto nazionale da questa attuazione, anche se remoti, si possono ritenere rientranti nell'ambito di applicazione del diritto comunitario. Questi possono essere considerati come effetti «verticali». A mio parere, ad esempio, la Corte sarebbe competente in un caso come quello della causa Federconsorzi, anche se la controversia era in una fase più avanzata nel senso che una società in circostanze analoghe aveva pagato senza contestazione ma i suoi assicuratori avevano contestato la somma pagata quando la società ha fatto valere il suo contratto di assicurazione, il che ha comportato un rinvio alla Corte sul significato della stessa disposizione comunitaria di cui trattavasi nella causa Federconsorzi.

81 Utilizzando l'espressione «nell'ambito delle finalità del diritto comunitario», non intendo limitare la categoria dei rinvii, sui quali la Corte è competente a pronunciarsi, a situazioni specificamente considerate dal legislatore comunitario: ritengo che esso non possa, ad esempio, aver considerato la necessità, come conseguenza del furto di olio d'oliva nel caso della sentenza Federconsorzi, di interpretare una clausola contrattuale che fa riferimento alla disposizione comunitaria. Intendo semplicemente riferirmi a situazioni che derivano naturalmente dall'attuazione del diritto comunitario e non dalla sua estensione ad una situazione alla quale non si era mai inteso applicarlo.

Conclusione

82 Di conseguenza ritengo che la Corte debba risolvere nel modo seguente le questioni poste dal Gerechtshof di Amsterdam nella causa C-28/95, Leur-Bloem e dal Finanzgericht dell'Assia nella causa C-130/95, Giloy:

La Corte non è competente ai sensi dell'art. 177 del Trattato a risolvere le questioni ad essa sottoposte.

(1) - GU 1990, L 225, pag. 1.

(2) - GU 1992, L 302, pag. 1.

(3) - Primo `considerando'.

(4) - Quarto `considerando'.

(5) - Sentenza 26 settembre 1985, causa 166/84 (Racc. pag. 3001).

(6) - Sentenza 18 ottobre 1990, cause riunite C-297/88 e C-197/89 (Racc. pag. I-3763).

(7) - Sentenza 8 novembre 1990, causa C-231/89 (Racc. pag. I-4003).

(8) - Conclusioni del 3 luglio 1990, nella causa Dzodzi, menzionata alla nota 6, pag. I-3763, e nella causa Gmurzynska-Bscher, menzionata alla nota 7, pag. I-4009.

(9) - Punti 36 e 37 della sentenza.

(10) - Punti 40-42 della sentenza.

(11) - Sentenza 24 gennaio 1991, causa C-384/89 (Racc. pag. I-127).

(12) - Sentenza 12 novembre 1992, causa C-73/89 (Racc. pag. I-5621).

(13) - Sentenza 25 giugno 1992, causa C-88/91 (Racc. pag. I-4035).

(14) - Direttiva del Consiglio 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, e di controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità (GU L 103, pag. 1).

(15) - Paragrafo 19 delle conclusioni.

(16) - Punto 23 della sentenza.

(17) - Sentenza 28 marzo 1995, causa C-346/93 (Racc. pag. I-615).

(18) - Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

(19) - Racc. 1991, pag. I-6079.

(20) - Punto 37.

(21) - Sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite C-320/90, C-321/90 e C-322/90 (Racc. pag. I-393); v. anche ordinanza 19 marzo 1993, causa C-157/92, Banchero (Racc. pag. I-1085), ordinanza 26 aprile 1993, causa C-386/92, Monin Automobiles (Racc. pag. I-2049), 9 agosto 1994, causa C-378/93, La Pyramide (Racc. pag. I-3999), e 23 marzo 1995, causa C-458/93, Saddik (Racc. pag. I-511).

(22) - V. più recentemente ordinanza della Corte 19 luglio 1996, causa C-191/96, Modesti (Racc. pag. I-3997).

(23) - Sentenza 1_ luglio 1993, causa C-312/91 (Racc. pag. I-3751, punto 11). V. anche sentenza 9 febbraio 1992, causa 270/80, Polydor e RSO (Racc. pag. 329).

(24) - Sentenza 8 febbraio 1996, causa C-166/94 (Racc. pag. I-331).

(25) - Direttiva del Consiglio 4 marzo 1969, 69/73/CEE, relativa all'armonizzazione delle disposizioni legislative regolamentari ed amministrative riguardanti il regime del perfezionamento attivo (GU L 58, pag. 1).

(26) - V. paragrafo 26 delle sue conclusioni nella causa Kleinwort Benson, menzionata alla nota 17.

(27) - V. le mie conclusioni dell'11 luglio 1996 nelle cause riunite C-320/94, C-328/94, C-329/94, C-337/94, C-338/94 e C-339/94, RTI e a. (Racc. pag. I-6471).