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61995C0347

Conclusioni riunite dell'avocato generale Tesauro del 23 gennaio 1997. - Fazenda Pública contro União das Cooperativas Abastecedoras de Leite de Lisboa, UCRL (UCAL). - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Supremo Tribunal Administrativo - Portogallo. - Causa C-347/95. - Fazenda Pública contro Fricarnes SA. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Supremo Tribunal Administrativo - Portogallo. - Causa C-28/96. - Tasse nazionali sullo smercio dei latticini e delle carni - Tassa di effetto equivalente - Imposizione interna - Imposta sulla cifra d'affari.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-04911


Conclusioni dell avvocato generale


1 Le presenti procedure pregiudiziali riportano all'attenzione della Corte la problematica, ormai nota, della compatibilità con il diritto comunitario di tributi che gravano in egual misura su prodotti nazionali e prodotti importati, il cui gettito è destinato a finanziare le attività istituzionali di un ente pubblico.

Per meglio comprendere la portata dei quesiti sottoposti alla Corte, è opportuno procedere preliminarmente ad una descrizione della natura delle tasse controverse, dei testi normativi che le hanno istituite e delle competenze dei diversi organismi destinatari del gettito delle tasse stesse (1).

2 Nella causa C-347/95, si tratta di una tassa riscossa sui prodotti lattiero-caseari al momento della loro commercializzazione sul mercato portoghese. Tale tributo, istituito ad una data (non precisata) precedente al 1974, è stato successivamente modificato a più riprese (2).

La causa C-28/96 concerne tre tasse egualmente riscosse al momento della messa in commercio dei relativi prodotti sul mercato portoghese: una tassa su carni, frattaglie e uova; una tassa sulle carni bovine, ovine e caprine, specificamente destinata a combattere le malattie dei ruminanti; ed una tassa sulla carne suina, specificamente destinata alla lotta contro la peste porcina. Tali tributi, in vigore da una data precedente al 1949, sono stati anch'essi oggetto di diverse modifiche successive (3).

3 Il gettito dei tributi appena descritti era inizialmente destinato a finanziare un organismo di coordinamento economico, creato nel 1939 e denominato Junta Nacional dos Produtos Pecuários (JNPP). A seguito dell'adesione del Portogallo alle Comunità europee, tutti i diritti e le competenze di tale organismo erano stati trasferiti, con decreto legge n. 15/87, del 9 gennaio 1987, ad un ente pubblico di nuova istituzione, l'Instituto Regulador e Orientador dos Mercados Agrícolas (in prosieguo: l'«IROMA»), che diventava altresì destinatario dei proventi delle tasse in parola.

Ai sensi dell'art. 3, n. 4, del citato decreto legge, all'IROMA, ente dotato di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale ed amministrativa, venivano affidati la gestione ed il coordinamento dei mercati dei prodotti agricoli e dell'allevamento. Più precisamente, esso assolveva i seguenti compiti: la costituzione delle garanzie istituzionali previste dai sistemi nazionali e comunitari di intervento, prezzi, premi, aiuti e sovvenzioni per tali prodotti; la gestione dei meccanismi finanziari previsti a livello nazionale o comunitario per sostenere le azioni di intervento, regolarizzazione, orientamento e organizzazione dei mercati in parola; il monitoraggio dell'evoluzione e del funzionamento dei mercati agricoli e dell'allevamento in Portogallo e negli altri Stati membri; la disciplina e la regolarizzazione del commercio estero dei prodotti agricoli e del bestiame; la partecipazione nazionale alla gestione dei mercati comunitari di tali prodotti; la collaborazione con l'amministrazione nazionale e con i servizi competenti della Commissione, in particolare per la raccolta e la distribuzione di dati sul funzionamento di tali mercati; la collaborazione con gli organismi rappresentativi degli operatori interessati al funzionamento dei mercati in parola; l'informazione e la formazione di produttori, industriali, commercianti e consumatori del settore; l'iniziativa legislativa in materia di regolarizzazione, orientamento e organizzazione dei mercati interessati; infine, la gestione dei macelli.

4 Nel 1988, con l'adozione del decreto legge n. 282/88, del 12 agosto, l'IROMA veniva affiancato da un nuovo ente, l'Instituto Nacional de Intervenção e Garantia Agrícola (in prosieguo: l'«INGA»). A quest'ultimo venivano trasferite tutte le competenze fino ad allora esercitate dall'IROMA, fatta eccezione per la gestione dei macelli.

L'IROMA, tuttavia, rimaneva destinatario di una percentuale pari al 50% circa del gettito delle tasse oggetto della presente procedura, mentre il restante 50% veniva attribuito all'INGA.

5 Il decreto legge n. 56/90, del 13 febbraio 1990, istituiva poi una nuova direzione specializzata presso il ministero dell'Agricoltura, la Direcção-Geral dos Mercados Agrícolas e da Indústria Agro-Alimentar (in prosieguo: la «DGMAIAA»). Con lo stesso decreto, a quest'ultima venivano trasferite tutte le competenze in precedenza attribuite all'IROMA e all'INGA, oltreché numerose altre competenze specifiche nella gestione e nella regolarizzazione dei mercati dei prodotti agricoli e dell'allevamento (4).

Con l'entrata in vigore di un ulteriore decreto legge in materia (n. 284/91, del 9 agosto 1991), una parte dei proventi delle tasse in questione veniva destinata, nella misura del 15% circa, alla DGMAIAA. Il gettito globale delle tasse controverse, pertanto, a partire da quell'anno, risultava ripartito tra DGMAIAA, INGA ed IROMA.

6 I fatti all'origine delle presenti procedure risalgono al 1991 per quanto riguarda la causa C-347/95 e al 1992 relativamente alla causa C-28/96. E' precisamente per il mancato pagamento delle tasse prima descritte, dovute per quegli anni, che la Fazenda Pública ha infatti emesso nei confronti della União das Cooperativas Abastecedoras de Leite de Lisboa (in prosieguo: l'«UCAL») e della Fricarnes S.A. (in prosieguo: la «Fricarnes») due ingiunzioni fiscali volte al recupero delle somme non percepite.

La UCAL e la Fricarnes si sono opposte alle suddette ingiunzioni dinanzi al Tribunal Tributario di Lisbona, deducendo l'incostituzionalità dei tributi controversi. Il giudice di primo grado ha accolto le istanze delle opponenti, dichiarando tuttavia le tasse in questione illegittime perché incompatibili con il diritto comunitario, precisamente con gli artt. 9 e 12 del Trattato.

7 La Fazenda Pública (in prosieguo: la «ricorrente») ha proposto appello contro le due sentenze di primo grado davanti al Supremo Tribunal Administrativo, che ha deciso di sospendere entrambe le procedure e di effettuare due rinvii pregiudiziali alla Corte, chiedendole di pronunciarsi sull'interpretazione delle disposizioni comunitarie conferenti.

I tre quesiti del giudice di rinvio, come risultano dalle ordinanze 11 agosto 1994 e 11 ottobre 1995, sono formulati in maniera analoga e vertono sulla compatibilità delle tasse controverse con l'art. 95 del Trattato, con gli artt. 9 e 12 dello stesso, nonché con l'art. 33 della sesta direttiva IVA, 77/388/CEE (5).

Sul primo e sul secondo quesito

8 Il primo e il secondo quesito, che vertono sulla compatibilità delle tasse in parola con gli artt. 9 e 12, da un lato, e 95, dall'altro, sono strettamente connessi e vanno pertanto trattati insieme.

In proposito, ritengo anzitutto opportuno richiamare, sia pure brevemente, i principi sviluppati dalla Corte nella sua giurisprudenza in materia, che non esito a definire particolarmente esaustiva e consolidata.

9 In primo luogo, la Corte ha precisato a più riprese che le disposizioni del Trattato in materia di tasse di effetto equivalente e l'art. 95, relativo alle imposizioni interne discriminatorie, non possono essere applicati cumulativamente; pertanto, la legittimità di regimi fiscali (o parafiscali) nazionali che rientrano nell'ambito di applicazione delle prime non può essere contestualmente valutata con riferimento al secondo (6).

La Corte ha inoltre precisato che, ai fini della qualificazione e della valutazione giuridica di tributi che gravano indistintamente su prodotti nazionali e prodotti importati, è necessario tenere conto della destinazione del loro gettito. Taluni tributi, difatti, sebbene riscossi in egual misura su prodotti nazionali e prodotti importati, possono poi, proprio in ragione della loro destinazione, assumere un'incidenza sostanzialmente diversa sui due prodotti, così da configurarsi, a seconda delle circostanze, vuoi come tasse di effetto equivalente, vuoi come imposizioni interne discriminatorie. In effetti, secondo una giurisprudenza consolidata, anche oneri fiscali formalmente non discriminatori, qualora siano destinati a finanziare attività che vanno a specifico vantaggio dei prodotti nazionali tassati, si traducono, per il prodotto nazionale, in un esborso che viene sostanzialmente compensato dai vantaggi ricevuti, mentre, per il prodotto importato, rappresentano un onere netto, che non trova alcuna compensazione nell'erogazione di altri vantaggi o sovvenzioni (7).

10 In tale ipotesi, come precisato da ultimo nella sentenza Scharbatke (8), occorre pertanto verificare in che misura il tributo riscosso sul prodotto nazionale è compensato dai vantaggi ricevuti. Ove la compensazione sia totale, si dovrà ritenere che l'onere grava in realtà esclusivamente sul prodotto importato e costituisce dunque una tassa di effetto equivalente; ove la compensazione sia parziale, si dovrà constatare che sul prodotto nazionale grava comunque un onere inferiore a quello che incide sul prodotto importato, con la conseguenza che si è in presenza di un'imposizione discriminatoria ai sensi dell'art. 95 del Trattato.

E' pacifico, peraltro, che siffatta verifica spetta al giudice nazionale, che è il solo a disporre di tutti gli elementi, anche di fatto, necessari per procedere alle valutazioni del caso (9).

11 Dalla stessa giurisprudenza della Corte emerge inoltre che l'applicazione del principio della compensazione presuppone che vi sia identità tra prodotto tassato e prodotto nazionale favorito (10). In effetti, per poter verificare se vi è stata o no una compensazione dell'onere fiscale sopportato è ovviamente necessario che il gettito della tassa torni, almeno in parte, a beneficio del prodotto nazionale tassato e non esclusivamente a beneficio di prodotti diversi. In tali condizioni, è chiaro che la questione della compensazione non si pone affatto qualora un tributo, riscosso ad esempio sulla commercializzazione di carni, venga poi utilizzato per finanziare incentivi che vanno a vantaggio soltanto di altri settori, ad esempio la produzione di latte e derivati.

12 La sentenza CELBI fornisce poi indicazioni utili riguardo ai criteri su cui il giudice nazionale deve basarsi per accertare se la compensazione di cui beneficia il prodotto nazionale è totale o parziale. A tale proposito, la Corte ha precisato che occorre accertare, con riferimento ad un determinato periodo di tempo, se vi sia equivalenza pecuniaria tra l'ammontare dell'onere del tributo sopportato dalla produzione nazionale ed i vantaggi di cui essa ha fruito in via esclusiva; mentre altri parametri, quali la natura, l'importanza o il carattere indispensabile di tali vantaggi non rappresentano una base sufficientemente oggettiva per valutare la compatibilità di un provvedimento tributario nazionale con le disposizioni del Trattato (11).

13 Quanto, infine, alle conseguenze che il giudice nazionale dovrà trarre dalla qualificazione giuridica del tributo ai sensi dell'una o dell'altra categoria di norme, esse risultano già dalla sentenza IGAV: nell'ipotesi in cui i vantaggi per la produzione nazionale compensino in toto (o addirittura superino) l'onere su di essa gravante, la tassa percepita sul prodotto importato dovrà, in qualità di tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale, ritenersi integralmente illegittima; nell'ipotesi in cui, viceversa, i vantaggi compensino pro parte l'onere gravante sulla produzione nazionale, la tassa percepita sul prodotto importato, in principio legittima, dovrà essere semplicemente ridotta in proporzione (12).

14 Tornando al caso che ci occupa, spetterà dunque al giudice nazionale, in applicazione dei principi appena ricordati, verificare se dalle numerose attività istituzionalmente svolte dagli organismi (di volta in volta) destinatari delle tasse controverse traevano effettivamente vantaggio anche i prodotti importati tassati, ed eventualmente in che misura.

Tanto premesso, non ritengo tuttavia che una risposta da parte della Corte che si limitasse a ribadire i principi che emergono dalla sua giurisprudenza consolidata sia tale da consentire al giudice di risolvere le controversie dinanzi ad esso pendenti. Se così fosse, infatti, egli non avrebbe sospeso i procedimenti e adito la Corte per chiedere lumi sul punto (13). In realtà, la stessa circostanza che il giudice abbia sollevato le questioni che oggi ci occupano è sintomo, a mio avviso, delle innegabili difficoltà applicative di tale giurisprudenza, che pure è chiara nei suoi termini essenziali, ai singoli casi di specie.

15 Cercherò pertanto di formulare alcune osservazioni ulteriori sulle tasse controverse, allo scopo di fornire al giudice di rinvio il maggior numero di indicazioni utili per determinare la loro qualificazione giuridica. E ciò, beninteso, nei limiti delle informazioni che risultano dal fascicolo (come integrato dalle informazioni fornite dalle parti), nonché nel rispetto della competenza del giudice stesso, cui spetta comunque, lo ricordo, statuire in via definitiva sul punto.

Le tasse controverse, come rilevato, sono tributi che gravano indistintamente sui prodotti nazionali e su quelli importati, sia per quanto riguarda le aliquote applicabili che le modalità di riscossione (14). All'epoca dei fatti, il loro gettito risultava ripartito, in percentuali diverse fra tre organismi pubblici, di cui uno (la DGMAIAA) era competente per legge ad organizzare e coordinare, nei termini prima precisati, il mercato dei prodotti agricoli e dell'allevamento (15).

16 E' proprio dall'esame dei compiti affidati a siffatti organismi che la ricorrente, nonché il governo portoghese e la Commissione, pur riconoscendo la competenza definitiva del giudice nazionale a statuire sul punto, deducono che le tasse in questione non sembrerebbero costituire né delle tasse di effetto equivalente a dazi doganali né delle imposizioni discriminatorie ai sensi della citata giurisprudenza della Corte. E ciò essenzialmente perché gli organismi destinatari del gettito della tassa svolgevano (o avevano svolto) le attività di gestione e coordinamento del mercato rilevante a favore di tutti gli operatori del settore, nazionali o stranieri che fossero.

Questi argomenti, tuttavia, non sono di per sé decisivi. Essi non escludono, infatti, che indipendentemente dalla irrilevanza formale della differenza tra prodotti nazionali e prodotti importati, la produzione nazionale finisse poi col trarre, de facto, un profitto esclusivo o predominante dalle prestazioni degli organismi stessi, ovvero che l'onere sopportato dai prodotti nazionali fosse completamente (o parzialmente) compensato da tale profitto.

17 Si pensi ad esempio ai tributi specificamente destinati a combattere le malattie dei ruminanti e la peste porcina. E' evidente che dei proventi di tali tributi, finalizzati al finanziamento delle misure dirette alla prevenzione e alla cura delle malattie del bestiame, potevano verosimilmente beneficiare in misura maggiore, se non esclusiva, i capi allevati sul territorio nazionale (16).

Ma si pensi altresì al ruolo svolto dall'IROMA (oggi dalla DGMAIAA) nel quadro della disciplina e della regolarizzazione del commercio estero dei prodotti agricoli e del bestiame (17). All'evidenza, se l'espressione "commercio estero" si riferisce non solo al commercio dei prodotti di cui si tratta con i paesi terzi, ma anche al commercio intracomunitario, ne consegue che di tale specifica attività erano destinati a beneficiare, con ogni probabilità, esclusivamente i produttori (e dunque i prodotti) nazionali.

18 Nella prospettiva opposta, il governo portoghese deduce invece che un'ulteriore prova della compatibilità delle tasse in parola con le disposizioni comunitarie conferenti consisterebbe nella circostanza che, all'epoca dei fatti di entrambe le cause, alla sola DGMAIAA spettavano competenze organizzative nel settore in parola, mentre l'INGA e l'IROMA, che pure rimenevano destinatarie di una buona parte del gettito delle tasse controverse (circa l'85%), non svolgevano più alcun ruolo significativo nel settore. Ciò escluderebbe a priori, secondo il governo portoghese, qualsiasi possibile compensazione dell'onere sopportato dai prodotti nazionali attraverso vantaggi tratti dalle attività di questi ultimi organismi.

Confesso che neanche questo argomento mi sembra convincente. Anzi, esso solleva a mio avviso il problema opposto: resta infatti proprio da verificare, e la Corte non dispone di informazioni precise sul punto, che tipo di attività svolgevano l'IROMA e l'INGA, che, dopo essere state «spogliate» delle competenze organizzative del mercato trasferite alla DGMAIAA, rimanevano comunque destinatarie di una percentuale consistente dei proventi derivanti dalle tasse controverse; e quale incidenza avevano tali attività sull'eventuale compensazione dell'onere gravante rispettivamente sui prodotti nazionali e su quelli importati.

19 La Commissione rileva inoltre, dal canto suo, che nel caso di specie farebbe difetto un'altra delle condizioni stabilite dalla giurisprudenza della Corte perché si possa tenere conto dell'eventuale compensazione dell'onere, vale a dire l'identità tra prodotto tassato e prodotto nazionale eventualmente favorito. E ciò in quanto gli organismi destinatari delle tasse detenevano competenze generalizzate per l'organizzazione di tutto il mercato dei prodotti agricoli e dell'allevamento, mentre i tributi in questione colpivano esclusivamente determinati prodotti.

E' evidente, però, che tale argomentazione si basa su una lettura imprecisa della giurisprudenza della Corte. Come ho già rilevato sopra, al punto 11, essa va correttamente intesa nel senso che la questione della compensazione non ha ragione di porsi quando un tributo riscosso su un determinato prodotto venga poi utilizzato per finanziare incentivi che vanno a vantaggio soltanto di altri prodotti; non già quando lo stesso tributo è utilizzato per finanziare le attività di un'intera organizzazione di mercato, nella quale rientra per definizione anche il prodotto di cui si discute.

20 In definitiva, tenuto conto delle difficoltà in cui all'evidenza si trova il giudice di rinvio nell'applicazione dei principi sviluppati nella giurisprudenza della Corte, sarebbe opportuno che quest'ultima gli fornisca il maggior numero di indicazioni utili per la soluzione della controversia; e ciò anche al fine di ridimensionare il rischio, peraltro da me già evidenziato nelle conclusioni relative alle causa Lornoy, che gli orientamenti espressi da diversi giudici, eventualmente chiamati a pronunciarsi in relazione allo stesso tributo finiscano col risultare divergenti (18).

Sul terzo quesito

21 Qualche brevissima osservazione sarà necessaria per fornire al giudice una risposta in relazione al terzo quesito, che verte, lo ricordo, sulla compatibilità dei tributi in questione con l'art. 33 della sesta direttiva IVA. Tale disposizione, come è noto, vieta agli Stati membri di introdurre o mantenere in vigore imposte, dazi o tasse che abbiano il carattere di imposta sulla cifra d'affari.

Ora, dall'esame dei tributi in questione mi sembra risulti con ogni evidenza che essi hanno caratteristiche diverse da quelle dell'IVA, così come definite con precisione dalla giurisprudenza costante della Corte (19). Tali tributi, infatti, diversamente dall'IVA, non si applicano in modo generalizzato, riguardando invece solo determinati prodotti; non sono (o almeno non risultano) proporzionati al prezzo dei prodotti stessi; non sono riscossi ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione, ma soltanto allo stadio della commercializzazione; infine, non sono applicabili al valore aggiunto dei prodotti e dunque non ne è deducibile la parte di imposta già pagata per l'operazione a monte.

Non mi sembra si ponga, pertanto, alcun problema di compatibilità dei tributi in questione con la suddetta disposizione della sesta direttiva.

22 Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo pertanto alla Corte di rispondere nel modo seguente ai quesiti posti dal Supremo Tribunal Administrativo:«1) Una tassa riscossa alle stesse condizioni sui prodotti nazionali e sui prodotti importati, il cui gettito è destinato a finanziare attività di cui beneficiano i soli prodotti nazionali, sicché i vantaggi che ne derivano compensano integralmente l'onere gravante sugli stessi, costituisce una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale, vietata dagli artt. 9 e 12 del Trattato. Qualora tali vantaggi compensino solo in parte l'onere sopportato dai prodotti nazionali, la tassa costituisce invece un'imposizione interna discriminatoria, vietata dall'art. 95 del Trattato.Spetta al giudice nazionale verificare se sussiste equivalenza pecuniaria fra l'ammontare totale del tributo riscosso sui prodotti nazionali e i vantaggi di cui tali prodotti fruiscono in via esclusiva. Nell'ambito di tale verifica, il giudice nazionale dovrà tenere conto della circostanza che i proventi della tassa sono specificamente destinati a combattere malattie del bestiame allevato sul territorio nazionale e/o a regolarizzare il commercio con gli altri Stati membri dei prodotti colpiti dalla tassa.2) L'art. 33 della sesta direttiva IVA, 77/388/CEE, non osta a che gli Stati membri introducano o mantengano in vigore tasse che non abbiano il carattere di imposta sulla cifra d'affari; una tassa riscossa solo su determinati prodotti, che non è proporzionata al prezzo dei prodotti stessi, che non è riscossa ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione e che non si applica al valore aggiunto dei prodotti non ha le caratteristiche di un'imposta sulla cifra d'affari».

(1) - Le due ordinanze di rinvio sono in verità alquanto laconiche al riguardo, in quanto si limitano sostanzialmente a formulare i quesiti pregiudiziali sottoposti alla Corte. Considero tuttavia che siano sufficienti gli elementi di fatto e di diritto comunque acquisiti agli atti, in particolare attraverso i chiarimenti forniti dalla ricorrente, dal governo portoghese e dalla Commissione in risposta a specifici quesiti posti per iscritto dalla Corte. Anche in considerazione della natura sostanziale che ritengo debba attribuirsi alla cooperazione tra giudice comunitario e giudici nazionali, non mi avventurerò pertanto in un approfondimento del profilo di adeguatezza formale delle ordinanze di rinvio rispetto alle possibilità di cognizione della Corte.

(2) - Il decreto legge n. 309/86, del 23 settembre 1986, stabilisce all'art. 1 l'aliquota applicabile all'epoca dei fatti di causa.

(3) - Le aliquote applicabili per ciascuna di dette tasse all'epoca dei fatti erano stabilite, rispettivamente, dal decreto legge n. 343/86, del 9 ottobre 1986, dal decreto legge n. 240/82, del 22 giugno 1982, e dal decreto legge n. 44158, del 17 gennaio 1962. Le tre tasse sono state in seguito soppresse con il decreto legge n. 365/93, del 22 ottobre 1993. Come risulta dalle osservazioni della Commissione, esse erano state tutte oggetto di procedure di infrazione per violazione degli obblighi imposti dall'art. 95 del Trattato, procedure successivamente archiviate per ragioni diverse: in relazione alla prima tassa, in virtù della constatata assenza di effetti discriminatori; in relazione alle altre due tasse, a seguito della loro soppressione.

(4) - V., in particolare, artt. 2 e 6, n. 1, del decreto n. 56/90.

(5) - Sesta direttiva del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari -Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1).

(6) - V., tra le più recenti, sentenza 2 agosto 1993, causa C-266/91, CELBI (Racc. pag. I-4337, punto 9). Ma il principio si ritrova già nelle sentenze 8 luglio 1965, causa 10/65, Deutschmann (Racc. pag 539), e 16 giugno 1966, causa 57/65, Lütticke (Racc. pag. 219).

(7) - La giurisprudenza sul punto è copiosa; v., ad esempio, già sentenze 19 giugno 1973, causa 77/72, Capolongo (Racc. pag. 611), 18 giugno 1975, causa 94/74, IGAV (Racc. pag. 699), e 25 maggio 1977, causa 77/76, Cucchi (Racc. pag. 987); o, più recentemente, sentenza 11 marzo 1992, cause riunite da C-78/90 a C-83/90, Compagnie Commerciale de l'Ouest (Racc. pag. I-1847).

(8) - Sentenza 27 ottobre 1993, causa C-72/92 (Racc. pag. I-5509, punto 10).

(9) - V., ad esempio, sentenza Compagnie Commerciale de l'Ouest (citata in nota 7), punto 28, nonché sentenza 16 dicembre 1992, causa C-17/91, Lornoy (Racc. pag. I-6523, punto 22).

(10) - V. sentenza Cucchi (citata in nota 7), nonché sentenza 25 maggio 1977, causa 105/76, Interzuccheri (Racc. pag. 1029).

(11) - Sentenza CELBI (citata in nota 6), punto 18.

(12) - Sentenza IGAV (citata in nota 7), punto 13; ma v. anche, più recentemente, sentenza Compagnie Commerciale de l'Ouest (anch'essa citata in nota 7), punto 27.

(13) - Va ricordato, peraltro, che il giudice che ha sollevato le questioni che oggi ci occupano è lo stesso che aveva adito la Corte nel caso CELBI, chiedendole un'interpretazione riguardante le medesime disposizioni. Ne consegue, con ogni evidenza, che detto giudice è ben consapevole dei principi contenuti nella giurisprudenza della Corte in materia.

(14) - A questo proposito, rilevo peraltro che ancora non è chiaro quale fosse, all'epoca dei fatti, il reale fatto generatore delle tasse controverse. Mentre infatti dal fascicolo risulta che si trattava di tasse riscosse al momento della commercializzazione dei relativi prodotti, talune affermazioni fatte in udienza dall'agente del governo portoghese lascerebbero intendere che per i prodotti importati i tributi in questione venivano riscossi al momento dell'importazione. Anche su questo punto, pertanto, al giudice nazionale spetterà condurre le verifiche necessarie, dai cui esiti dovrà trarre le debite conseguenze.

(15) - V. supra, punti 3-5.

(16) - Tale circostanza, peraltro, è stata sostanzialmente ammessa dal governo portoghese in udienza.

(17) - V. supra, punto 3.

(18) - Conclusioni del 25 giugno 1992, nella causa Lornoy (citata in nota 9), lett. a).

(19) - V., ad esempio, sentenza 31 marzo 1992, causa C-200/90, Dansk Denkavit (Racc. pag. I-2217, punto 11).