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61995C0408

Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 27 maggio 1997. - Eurotunnel SA e a. contro SeaFrance. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de commerce de Paris - Francia. - Regime transitorio dei "negozi duty free" - Direttive del Consiglio 91/680/CEE e 92/12/CEE - Esame di validità. - Causa C-408/95.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-06315


Conclusioni dell avvocato generale


1 Il completamento del mercato interno, implicando uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, è foriero di realizzazioni estremamente vantaggiose per il cittadino comunitario. Nondimeno, deve riconoscersi che l'eliminazione delle frontiere fiscali tra gli Stati membri, elemento indispensabile ai fini del completamento del mercato interno, comporterà almeno una conseguenza che, se non altro a livello emotivo, non sarà particolarmente gradita dai cittadini: mi riferisco all'abolizione della possibilità di acquistare merci esentasse (in duty-free). Tale possibilità è infatti destinata a scomparire, beninteso per quanto riguarda i viaggi all'interno del territorio comunitario, alla fine di un periodo che scade il 30 giugno 1999.

La presente procedura rischia di avvicinare il momento in cui non sarà più possibile, per i viaggiatori che effettuano voli o traversate marittime intracomunitari, acquistare merci in duty-free. I quesiti pregiudiziali sottoposti alla Corte dal Tribunal de commerce di Parigi vertono infatti sulla validità dell'art. 28 duodecies della direttiva 77/388/CEE (1) (nel prosieguo: la «sesta direttiva IVA»), così come modificata dalla direttiva 91/680/CEE (2), nonché sulla validità dell'art. 28 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (3) (nel prosieguo: la «direttiva accise»). Si tratta precisamente delle disposizioni che consentono agli Stati membri di mantenere, fino al 30 giugno 1999, il regime esentasse relativamente al traffico intracomunitario di viaggiatori per via aerea o marittima.

Il contesto normativo

2 La direttiva 91/680 e la direttiva accise hanno come obiettivo principale di attuare, a partire dal 1_ gennaio 1993, le condizioni necessarie all'eliminazione delle frontiere fiscali all'interno della Comunità. Al fine di facilitare il passaggio al regime definitivo di tassazione degli scambi in base al Paese di provenienza della merce, tali direttive hanno previsto un periodo transitorio con scadenza il 31 dicembre 1996. Tuttavia, come risulta dalla motivazione delle direttive in questione: «il periodo transitorio di tassazione degli scambi intracomunitari deve essere messo a frutto per adottare le misure necessarie a por rimedio sia alle ripercussioni sociali sui settori interessati che alle difficoltà regionali, in particolare nelle regioni frontaliere, che potrebbero sorgere a seguito della soppressione delle tassazioni all'importazione e delle detassazioni all'esportazione per gli scambi fra Stati membri; (...) a tal fine è opportuno autorizzare gli Stati membri ad esonerare, fino al 30 giugno 1999, le cessioni di beni effettuate entro i limiti previsti da spacci esenti da tasse, nel quadro del traffico di viaggiatori fra Stati membri per via aerea o marittima» (4).

L'art. 28 duodecies della sesta direttiva IVA, la cui motivazione è costituita dal `considerando' appena riportato, per quanto qui rileva dispone che:

«Nel corso di un periodo che scade il 30 giugno 1999, si applicano le seguenti disposizioni:

1) Gli Stati membri possono esentare le cessioni, effettuate a mezzo di punti di vendita, di beni destinati ad essere importati nei bagagli personali di viaggiatori che si rechino in un altro Stato membro utilizzando un trasporto aereo o marittimo intracomunitario. (...)

(...)

Sono assimilate alle cessioni di beni effettuate a mezzo di punti vendita le cessioni che avvengono a bordo di un aereo o di una nave nel corso di un trasporto intracomunitario di viaggiatori.

La presente esenzione si applica anche alle cessioni di beni effettuate da punti di vendita situati nell'area di uno dei due terminali di accesso al canale sotto la Manica per passeggeri in possesso di un titolo di trasporto valido per il percorso effettuato tra questi due terminali;

2) Il beneficio dell'esenzione di cui al paragrafo 1 si applica soltanto alle cessioni di beni:

a) il cui valore globale non superi, per persona e per viaggio, i limiti previsti dalle vigenti disposizioni comunitarie nell'ambito del traffico di viaggiatori tra i paesi terzi e la Comunità».

A sua volta, l'art. 28 della direttiva accise contiene disposizioni aventi lo stesso tenore e redatte in modo sostanzialmente analogo.

Per completare il quadro normativo, va infine ricordato che i limiti per gli acquisti in franchigia, quali previsti dall'art. 28 duodecies, punto 2, lett. a), della sesta direttiva IVA, sono stati modificati dalla direttiva del Consiglio 14 febbraio 1994, 94/4/CE (5). A seguito di tale modifica, la disposizione in parola stabilisce che il beneficio dell'esenzione si applica soltanto alle cessioni di beni «a) il cui valore globale non superi, per persona e per viaggio, 90 ecu».

3 La Francia, che ha provveduto alla trasposizione delle direttive in questione con legge n. 92-677 del 17 luglio 1992, si è avvalsa della possibilità di esonero offerta dagli artt. 28 duodecies della sesta direttiva IVA e 28 della direttiva accise. Le disposizioni nazionali di esecuzione, che riprendono alla lettera le pertinenti disposizioni degli articoli in parola, prevedono infatti l'esenzione dal pagamento di IVA e di accise, fino al 30 giugno 1999, per quanto riguarda gli acquisti effettuati dai viaggiatori nell'ambito del traffico intracomunitario per via aerea o marittima, nonché nell'area del terminale (francese) di accesso al canale sotto la Manica (6).

I fatti e i quesiti pregiudiziali

4 La controversia di cui alla causa principale oppone le società che cogestiscono il collegamento ferroviario fisso che percorre il tunnel sotto la Manica, vale a dire le società di diritto francese Eurotunnel SA e France Manche e le società di diritto inglese Eurotunnel plc e The Channel Tunnel Group Ltd (nel prosieguo: «Eurotunnel»), a uno dei vettori marittimi che effettuano la traversata della Manica, la società Nouvelle d'Armement Transmanche (attualmente denominata SeaFrance; nel prosieguo: la «SNAT»), società controllata dalla SNCF, che gestisce con la società STENA un certo numero di traghetti sotto il nome «Sealink». Più precisamente, il 14 giugno 1995 Eurotunnel ha proposto, dinanzi al Tribunal de commerce di Parigi, un ricorso in concorrenza sleale contro la SNAT (7), chiedendo di dichiarare che dal 22 dicembre 1994, data alla quale lo "Shuttle" ha cominciato ad operare anche rispetto ai veicoli da turismo, la SNAT esercita una concorrenza sleale nei suoi confronti e, pertanto, di vietarle di effettuare scambi esenti da IVA e da accise, di condannarla a pagarle 77 milioni di FF per il pregiudizio subito dal 22 dicembre 1994 al 31 maggio 1995 e 15 milioni di FF per ogni mese successivo, nonché 500 000 FF ai sensi dell'art. 700 del nuovo codice di procedura civile.

Pur riconoscendo di aver conquistato in alcuni mesi quote molto significative del traffico attraverso la Manica, Eurotunnel ha sostenuto, dinanzi al giudice nazionale, che una guerra commerciale sulle condizioni delle traversate si sarebbe scatenata nei suoi confronti; tale guerra si manifesterebbe attraverso la vendita sottocosto dei biglietti, compensata dalla promozione, che esso considera esagerata, delle vendite esentasse di prodotti alcoolici e di derivati del tabacco sui traghetti che effettuano la traversata della Manica. Essendo tutto ciò consentito dall'art. 28 duodecies della sesta direttiva IVA e dall'art. 28 della direttiva accise, vale a dire da norme che, ad avviso di Eurotunnel, sarebbero illegittime, si renderebbe necessaria una pronuncia della Corte di giustizia sulla validità delle stesse. Sono questi, dunque, i motivi sui quali Eurotunnel ha fondato la sua azione.

La SNAT, da parte sua, ha chiesto il rigetto delle pretese di Eurotunnel, facendo valere di essersi limitata a fare applicazione di disposizioni nazionali che traspongono fedelmente disposizioni comunitarie, sicché non potrebbe in alcun caso essere accusata di concorrenza sleale, che comunque non è provata. Essa ha aggiunto che l'azione di Eurotunnel avrebbe in realtà come solo scopo di far dichiarare l'invalidità delle direttive in questione, ciò che dovrebbe esserle precluso per due motivi. In primo luogo, Eurotunnel avrebbe omesso, pur avendone la facoltà, di impugnare ex art. 173 le direttive in questione. In secondo luogo, la richiesta di Eurotunnel tendente a farne dichiarare l'invalidità sarebbe già stata disattesa dal giudice inglese. Il riferimento, è opportuno ricordarlo, è alla sentenza 17 febbraio 1995 della High Court of Justice, con cui quest'ultima non ha ammesso il ricorso proposto da Eurotunnel, il 30 giugno 1994, contro le norme inglesi di trasposizione delle direttive qui in discussione (8).

5 Rilevato che Eurotunnel subisce perdite di incassi a causa della concorrenza della SNAT e che in Francia la vendita a perdere è vietata unicamente per i prodotti e non per i servizi, il Tribunal de commerce è pervenuto alla conclusione che l'unico mezzo che Eurotunnel potrebbe far valere in un'azione di concorrenza sleale è l'applicazione, da parte della SNAT, della norma nazionale che ha trasposto (in modo fedele) una disposizione illegittima del Consiglio.

Il giudice nazionale ha pertanto ritenuto necessario effettuare, ai fini della soluzione della controversia, un rinvio pregiudiziale alla Corte. Esso chiede:

«1) Qualora non sia stato proposto un ricorso d'annullamento ai sensi dell'art. 173 da parte dell'Eurotunnel contro le decisioni del Consiglio 91/680 e 92/12 nelle parti di queste relative alle tassazioni (IVA e accise) sui collegamenti attraverso la Manica, e in caso di rigetto di una domanda dell'Eurotunnel con pronuncia della High Court of Justice 17 febbraio 1995, se sia ricevibile la domanda dell'Eurotunnel che chiede l'annullamento di dette decisioni in base all'art. 177 del Trattato.

2) In caso affermativo, se il Consiglio abbia adottato ritualmente tali decisioni.

In subordine, se la decisione 94/4 copra un eventuale annullamento delle suddette due decisioni.

3) In caso di annullamento, se si debba considerare come illecito il fatto che la SA SNAT (Nouvelle d'Armement Transmanche) abbia applicato le leggi tributarie adottate in base a dette decisioni, e quale sia la data a partire dalla quale l'illecito sarebbe stato commesso».

6 I quesiti posti alla Corte mirano dunque a stabilire se Eurotunnel possa far valere l'invalidità delle direttive controverse (9) nell'ambito di un procedimento pregiudiziale, sebbene non le abbia impugnate con un'azione di annullamento ai sensi dell'art. 173 (primo quesito); se le due direttive in questione siano state adottate regolarmente (secondo quesito); e quali sono le conseguenze di un'eventuale dichiarazione di invalidità delle stesse direttive rispetto all'azione in concorrenza sleale, più precisamente in relazione al risarcimento dei danni preteso da Eurotunnel (terzo quesito).

Prima ancora di esaminare lo specifico problema di ricevibilità sollevato dallo stesso giudice di rinvio con il primo quesito, ritengo sia necessario soffermarsi su altri due profili di ricevibilità, di carattere più generale, sollevati nel corso della procedura. La SNAT e le parti intervenute al suo fianco hanno infatti sostenuto che la Corte non dovrebbe rispondere ad alcuno dei quesiti ad essa sottoposti. Esse hanno fatto valere, a tal fine, che l'azione promossa da Eurotunnel dinanzi al giudice nazionale rivestirebbe carattere manifestamente artificiale e che, in ogni caso, i quesiti posti alla Corte sarebbero manifestamente privi di pertinenza rispetto all'oggetto della causa pendente davanti al giudice nazionale, dunque non necessari ai fini della soluzione della controversia principale.

Sulla ricevibilità

7 Comincio col ricordare che, conformemente ad una costante giurisprudenza della Corte, «qualora dinanzi ad un giudice nazionale venga sollevata la questione della legittimità di un atto emanato dalle istituzioni della Comunità, rientra nella discrezionalità di tale giudice valutare se la decisione della controversia sia subordinata alla soluzione di tale questione e, quindi, se occorra chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla questione medesima. In tal caso spetterà a quest'ultima, nell'ambito dei rapporti di stretta collaborazione con i giudici nazionali sanciti dall'art. 177 del Trattato, risolvere la questione sollevata dal giudice nazionale, salvo che la Corte non rilevi che la questione stessa non presenta alcun nesso con il carattere effettivo o con l'oggetto della controversia principale» (10).

La tesi sostenuta dalla SNAT, in quanto fondata sul carattere artificiale della controversia e sulla manifesta irrilevanza dei quesiti in relazione al merito della controversia, concerne pertanto precisamente le due ipotesi in cui la Corte, conformemente alla giurisprudenza appena richiamata (11), afferma la sua competenza a rifiutarsi di rispondere al giudice nazionale e, dunque, a dichiarare il non luogo a provvedere.

- Sul carattere artificiale della controversia

8 La SNAT e le parti intervenute al suo fianco fanno notare che l'effettiva materia del contendere nella causa principale non è il risarcimento dei danni eventualmente subiti da Eurotunnel, bensì il problema della validità delle direttive che consentono il mantenimento, fino al 30 giugno 1999, del regime di vendite in duty-free. In altre parole, scopo essenziale dell'azione di Eurotunnel sarebbe precisamente di far dichiarare l'invalidità di tali direttive e non di ottenere il risarcimento dei danni, ciò che risulterebbe sia dalla circostanza che Eurotunnel avrebbe già tentato, ma senza successo, di ottenere un rinvio pregiudiziale sul punto da parte della High Court of Justice, sia da dichiarazioni pubbliche rese dal suo stesso presidente (12).

In tali condizioni, sarebbe fin troppo evidente, ad avviso della SNAT, che l'azione in concorrenza sleale promossa da Eurotunnel costituisce un artificio procedurale, un modo per indurre la Corte a pronunciarsi sulla validità delle direttive in oggetto. Una siffatta utilizzazione dell'art. 177 costituirebbe tuttavia un abuso e dovrebbe pertanto condurre la Corte, conformemente alla giurisprudenza Foglia/Novello (13), a dichiararsi incompetente a risolvere i quesiti ad essa posti dal giudice nazionale.

9 Non ritengo che la tesi in questione possa essere condivisa. Se è vero infatti che nella sentenza Foglia/Novello II la Corte ha affermato che in determinate ipotesi una declaratoria di incompetenza «consente di evitare l'utilizzazione del procedimento di cui all'art. 177 a fini diversi da quelli che gli sono propri», è altresì vero che essa ha preliminarmente precisato che non le compete «la soluzione di questioni di interpretazione che le siano proposte nell'ambito di schemi processuali precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su taluni problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessità obiettiva inerente alla definizione di una controversia» (14).

Orbene, tenuto conto della vicenda Eurotunnel complessivamente considerata, non può certo escludersi che il litigio davanti al giudice francese sia stato tenacemente cercato e voluto da Eurotunnel precisamente ed al solo fine di ottenere una dichiarazione di invalidità delle direttive controverse (15). Ciò non toglie, tuttavia, che la causa davanti al giudice nazionale non ha affatto la natura di uno schema processuale precostituito dalle parti nel senso chiarito dalla Corte. Anzi; è fin troppo evidente che nella specie le parti non sono d'accordo su nulla: né sulla necessità di operare un rinvio alla Corte, tant'è vero che la SNAT contesta la ricevibilità dei quesiti posti, né sul risultato da raggiungere nel merito.

10 Peraltro, anche a voler considerare che l'ipotesi di controversia artificiale non sia limitata al caso in cui le parti concordino sia sulla materia del contendere che sulla decisione di adire la Corte, ma ricomprenda anche altre ipotesi in cui l'art. 177 sia utilizzato in modo non proprio conforme al suo scopo, resta che la nozione di abuso di procedura non può che essere rigorosamente circoscritta ad ipotesi eccezionali (16). Una tale soluzione si impone, in particolare, tenuto conto del ruolo svolto dal giudice nazionale nell'ambito del procedimento pregiudiziale, giudice che certamente non può essere considerato un mero "strumento" nelle mani delle parti o di una di esse (17).

In definitiva, ritengo che non vi siano elementi idonei a far qualificare come artificiale la controversia di cui alla causa principale. Aggiungo che il fine perseguito da Eurotunnel attraverso l'azione intentata davanti al giudice nazionale non può comunque assumere un rilievo tale da indurre a ritenere che i quesiti posti alla Corte integrino uno sviamento della procedura e dello scopo di cui all'art. 177.

- Sulla pertinenza dei quesiti

11 La SNAT e le parti intervenute al suo fianco sostengono che i quesiti posti sarebbero irrilevanti in relazione al merito della controversia, in quanto, quand'anche le direttive controverse fossero dichiarate invalide, la SNAT non potrebbe comunque essere chiamata a risarcire i danni eventualmente subiti da Eurotunnel. La SNAT, infatti, non avrebbe fatto altro che applicare, in perfetta buona fede, una legge nazionale che ha correttamente trasposto le direttive in questione: il suo comportamento non potrebbe pertanto essere considerato tale da costituire un illecito, fonte di responsabilità. Ne conseguirebbe che non sarebbe affatto necessaria, ai fini della soluzione della controversia principale, una pronuncia della Corte sulla validità delle direttive.

12 La tesi appena prospettata impone di verificare se la risposta ai quesiti oggetto del presente procedimento possa o no tornare utile al giudice a quo ai fini della soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente. Un tale esame di pertinenza, invero solo marginale, ha finora condotto la Corte a rifiutarsi di rispondere unicamente in presenza di questioni non aventi «alcuna relazione con l'oggetto della causa principale» (18), oppure «di carattere ipotetico» (19), o, ancora, «non obiettivamente necessarie ai fini della decisione che il giudice (...) deve adottare» (20).

In tale ottica, acquistano particolare rilievo i motivi eventualmente indicati dallo stesso giudice nazionale, nell'ordinanza di rinvio, per spiegare il nesso tra quesiti posti e controversia dinanzi ad esso pendente e, quindi, la necessità di ottenere una risposta da parte della Corte (21).

13 Orbene, nel caso che ci occupa il giudice nazionale si è limitato ad affermare che l'unico fondamento di un'azione in concorrenza sleale potrebbe essere costituito dall'applicazione, da parte della SNAT, della norma nazionale che ha trasposto (in modo fedele) una disposizione illegittima del Consiglio. Se, dunque, risulta con chiarezza che la validità delle direttive in questione porterebbe a disattendere le domande di Eurotunnel, non è altrettanto chiaro in che modo l'eventuale dichiarazione di invalidità potrebbe incidere sull'esito dell'azione in concorrenza sleale, in particolare sulla richiesta di risarcimento danni avanzata da Eurotunnel nei confronti della SNAT.

E' ciò sufficiente per considerare che i quesiti posti alla Corte non sono necessari alla soluzione della controversia pendente davanti al giudice nazionale? Pur riconoscendo che sul punto che qui rileva l'ordinanza di rinvio non è certo un modello di chiarezza, ritengo che la risposta ad un tale quesito non possa che essere negativa.

14 In primo luogo, l'utilità della risposta della Corte, ai fini della soluzione della controversia principale, è indubbia nell'ipotesi in cui dall'esame delle questioni poste non emergano elementi atti ad inficiare la validità delle direttive controverse (22). In secondo luogo, la circostanza fatta valere dalla SNAT, secondo cui essa non potrebbe comunque essere chiamata, neppure nell'ipotesi in cui le direttive controverse fossero dichiarate invalide, a risarcire i danni eventualmente subiti da Eurotunnel (23), potrebbe non essere di per sé tale da privare l'azione in concorrenza sleale di ogni interesse (24).

In definitiva, sarebbe a mio avviso forzato sostenere che i quesiti posti sono manifestamente privi di ogni nesso con l'oggetto della causa principale ovvero oggettivamente non necessari alla definizione della controversia (25). Passo pertanto all'esame dei quesiti posti dal giudice nazionale.

Sul primo quesito

15 Con il primo quesito, lo ricordo, il giudice nazionale chiede se Eurotunnel possa far valere l'invalidità delle direttive in oggetto nell'ambito di una procedura pregiudiziale. I dubbi al riguardo, quali espressi nello stesso quesito, sono dovuti alla circostanza che Eurotunnel non ha impugnato tali direttive con un ricorso in annullamento ai sensi dell'art. 173, nonché al rigetto, con sentenza del 17 febbraio 1995, dell'azione promossa da Eurotunnel davanti alla High Court of Justice, azione tendente a far controllare la legittimità delle misure adottate dal Regno Unito in attuazione delle disposizioni controverse.

16 Rispetto all'ultimo profilo evidenziato, lo stesso giudice a quo sottolinea tuttavia nell'ordinanza di rinvio, da un lato, che «esso non è competente a interpretare la decisione della High Court of Justice, che è l'unica autorizzata al riguardo, né a porsi questioni sui motivi di tale decisione»; dall'altro, che «non tutti gli atti del procedimento londinese sono stati trasmessi» e che «le parti sono diverse».

Al riguardo, ritengo qui sufficiente limitarmi ad osservare che l'azione promossa da Eurotunnel dinanzi alla High Court of Justice non assume alcun rilievo ai fini della presente procedura. Al di là del fatto che si tratta di un'azione diversa e con parti diverse, è fin troppo evidente, infatti, che, nell'ambito della procedura ex art. 177, la Corte non può certo sindacare la necessità di un rinvio pregiudiziale in funzione della soluzione adottata da un diverso giudice nazionale a proposito di un problema analogo. Resta, infatti, che si tratta di una procedura da giudice a giudice, in cui quello nazionale conserva integro il suo diritto di porre dei quesiti alla Corte allorché nutra dei dubbi su una questione che coinvolge l'interpretazione e/o la validità di norme di diritto comunitario.

17 Rispetto al secondo profilo di ricevibilità evocato nel quesito in oggetto, occorre invece stabilire se al giudice nazionale, davanti al quale Eurotunnel ha sollevato la questione di validità delle direttive controverse, sia preclusa la possibilità di chiedere ed ottenere sul punto, conformemente all'art. 177, primo comma, lett. b), una pronuncia della Corte: e ciò per il solo motivo che Eurotunnel non ha impugnato tali direttive, sempre ammesso che fosse legittimata a farlo, mediante un ricorso in annullamento ex art. 173. Tale quesito, come evidenziato nella stessa ordinanza di rinvio, è stato posto in ragione della soluzione accolta dalla Corte nella sentenza TWD Textilwerke Deggendorf (26).

Con tale sentenza, infatti, la Corte ha rimesso in discussione la sua precedente giurisprudenza in materia, da cui emergeva, in modo espresso (27) o anche solo implicitamente (28), che i privati ben possono far valere l'invalidità di un atto comunitario attraverso la procedura ex art. 177, senza che sia necessario accertare l'eventuale possibilità, riconosciuta agli stessi, di impugnare direttamente l'atto in questione.

18 La sentenza TWD ha parzialmente rivisto questo approccio. In tale sentenza, infatti, la Corte ha affermato che il beneficiario di un aiuto non poteva eccepire l'invalidità della decisione della Commissione, rivolta allo Stato membro che aveva erogato l'aiuto e che ne prescriveva il recupero, nell'ambito di un procedimento promosso dinanzi al giudice nazionale: e ciò precisamente perché l'impresa in questione ben avrebbe potuto, essendone legittimata, impugnare detta decisione in base all'art. 173. Una diversa conclusione, ad avviso della stessa Corte, significherebbe riconoscere, nella specie al beneficiario dell'aiuto, la possibilità di eludere il carattere definitivo che, in forza del principio della certezza del diritto, deve spettare ad una decisione dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 173 (29).

In nome del principio della certezza del diritto, la Corte ha dunque modificato una giurisprudenza ampiamente condivisibile e, a mio avviso, più corretta, in particolare perché rispettosa dello spirito di cooperazione tra giudice nazionale e giudice comunitario, che è alla base della procedura ex art. 177. Privare il giudice nazionale della possibilità di adire utilmente la Corte, allorché nutra dei dubbi sulla validità di un atto comunitario, comporta infatti il disconoscimento di tale spirito di collaborazione, nonché, in ultima analisi, uno snaturamento della procedura pregiudiziale.

19 Ciò detto, è pur vero che il nuovo orientamento in materia non deve essere inteso nel senso che, a partire dalla sentenza TWD, sia ormai precluso ai singoli di far valere l'invalidità di un atto comunitario davanti al giudice nazionale - con conseguente impossibilità per quest'ultimo di adire la Corte in via pregiudiziale - ogniqualvolta l'atto in questione avrebbe potuto essere da essi impugnato con un ricorso ex art. 173. Ed infatti, sollecitata a prendere posizione sulla ricevibilità di quesiti pregiudiziali concernenti la validità di un regolamento, la Corte ha affermato che, «trattandosi di un regolamento comunitario, le cui disposizioni controverse si riferiscono in termini generali a categorie di persone considerate in modo astratto e a situazioni determinate oggettivamente, non è evidente che un ricorso (...), fondato sull'art. 173 del Trattato, avverso il detto regolamento sarebbe stato ricevibile» (30). La Corte è così pervenuta alla conclusione che l'invalidità del regolamento in questione ben poteva essere eccepita davanti al giudice a quo ed ha, nella stessa occasione, precisato che in ipotesi di tale tipo il riferimento alla sentenza TWD è ininfluente, atteso che quest'ultima riguardava «il caso di una società che indiscutibilmente era legittimata, ed era stata informata di essere legittimata, a proporre un ricorso d'annullamento contro l'atto comunitario del quale eccepiva l'illegittimità davanti ad un giudice nazionale» (31).

L'affermazione appena riportata evidenzia che la possibilità di far valere l'invalidità di un atto comunitario via art. 177 può essere preclusa unicamente nell'ipotesi in cui la persona fisica o giuridica interessata fosse «indiscutibilmente» legittimata a proporre, contro l'atto comunitario di cui si tratta, un ricorso ex art. 173. In altre parole, non basta che la persona in questione avesse la possibilità di impugnare l'atto con un'azione in annullamento, occorre anche che non vi fosse alcun dubbio circa la ricevibilità del ricorso, vuoi perché la persona in questione è destinataria dell'atto medesimo, vuoi perché, come nel caso TWD, è sicuramente legittimata ad impugnarlo ed informata su tale possibilità.

20 Ritornando al caso che ci occupa, deve riconoscersi, alla luce della giurisprudenza appena richiamata, che Eurotunnel non può certo considerarsi «indiscutibilmente» legittimata a proporre un ricorso in annullamento ai sensi dell'art. 173. A tal fine, è sufficiente rilevare che gli atti di cui è contestata la validità dinanzi al giudice a quo sono delle direttive, dunque atti aventi, quantomeno in via di principio, portata normativa generale, con la conseguenza che non è evidente che un ricorso ex art. 173 avverso tali direttive sarebbe stato ricevibile.

Tanto basta, a mio avviso, per concludere nel senso che Eurotunnel non era «indiscutibilmente» legittimata a proporre un ricorso in annullamento e che, pertanto, essa può far valere l'invalidità delle direttive controverse nell'ambito di un procedimento pregiudiziale.

21 Aggiungo, per completezza, che se è ben vero che la Corte non ha escluso a priori la possibilità per i singoli di impugnare le disposizioni di una direttiva (32), è a tal fine necessario che le disposizioni in questione rivestano il carattere di una decisione che li riguardi direttamente ed individualmente. Orbene, l'art. 28 duodecies della sesta direttiva IVA e l'art. 28 della direttiva accise si limitano a consentire agli Stati membri di mantenere, fino al 30 giugno 1999, la possibilità di vendite in duty-free nel quadro del traffico intracomunitario di viaggiatori per via aera o marittima, ivi compreso per le traversate della Manica: si tratta, all'evidenza, di una facoltà lasciata agli Stati membri e non di un obbligo. Ciò significa che le disposizioni controverse sono prive di effetto diretto e necessitano, ai fini della loro applicazione, dell'intervento del legislatore nazionale, il quale ben avrebbe potuto scegliere di non avvalersi della richiamata facoltà e dunque di non trasporre le disposizioni in questione nel proprio ordinamento interno. Siffatta circostanza è di per sé tale da portare ad escludere che Eurotunnel potesse essere considerata «direttamente ed individualmente» interessata da tali disposizioni ai sensi e per gli effetti dell'art. 173.

Le osservazioni che precedono ben dimostrano che Eurotunnel non solo non poteva essere considerata indiscutibilmente legittimata a proporre un ricorso in annullamento ex art. 173 avverso le disposizioni controverse delle direttive in questione, ma altresì che un tale ricorso sarebbe stato comunque irricevibile. In tali condizioni, è fin troppo evidente che il primo quesito va risolto nel senso che Eurotunnel è legittimata ad eccepire, dinanzi al giudice a quo, l'invalidità delle direttive in questione.

Sul secondo quesito

22 Ricordo anzitutto che, con il secondo quesito, il giudice di rinvio si limita a chiedere alla Corte se la direttiva 91/680/CEE e la direttiva accise sono state adottate «ritualmente», vale a dire rispettando le regole di procedura all'uopo previste. Più precisamente, come si evince dalla stessa ordinanza di rinvio, il giudice a quo fa riferimento alla circostanza che le proposte della Commissione non contenevano le disposizioni controverse e che il Parlamento non è stato riconsultato dopo l'inserimento, da parte del Consiglio, di tali disposizioni.

Eurotunnel, ai fini dell'invalidità delle direttive in parola, ha tuttavia fatto valere, oltre ai mezzi prospettati dal giudice a quo nell'ordinanza di rinvio, anche il difetto di motivazione, la violazione delle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato, la violazione degli artt. 99 e 7 A del Trattato, lo sviamento di potere in cui sarebbe incorso il Consiglio, la violazione dei principi del legittimo affidamento, della certezza del diritto e di proporzionalità, nonché la violazione del principio di non discriminazione. Atteso che il quesito sulla validità sarebbe redatto in termini generali, non potendosi interpretare l'avverbio «ritualmente» nel senso che il giudice nazionale abbia inteso limitare l'esame di validità ai vizi di procedura, secondo Eurotunnel la Corte dovrebbe, così come in precedenti casi, prendere in considerazione tali mezzi, da essa fatti valere nel corso della procedura e già davanti al giudice nazionale.

23 Non ritengo che questa tesi possa essere condivisa. Se è vero, infatti, che in alcune sentenze la Corte ha esaminato vizi di validità non menzionati dal giudice di rinvio, ma fatti valere dalle parti nel corso del procedimento, è altresì vero che essa lo ha fatto unicamente in presenza di quesiti redatti in termini assolutamente generali e nell'impossibilità di ricavare, dall'ordinanza di rinvio, i motivi che avevano indotto il giudice nazionale a dubitare della validità dell'atto di cui si trattava (33). Ed è lecito presumere che la Corte abbia, in ipotesi di questo tipo, ritenuto che il giudice a quo si fosse fondato, nel decidere di effettuare il rinvio, sui mezzi invocati dalle parti.

L'ipotesi che ci occupa è invece completamente diversa. Anche a non voler attribuire una specifica valenza all'avverbio «ritualmente», resta, infatti, che dall'ordinanza di rinvio si evince con estrema chiarezza che i vizi ai quali il giudice a quo fa riferimento sono l'assenza delle disposizioni controverse nelle proposte presentate dalla Commissione e la mancata riconsultazione del Parlamento (34). Nella specie, pertanto, ciò che occorre stabilire è se la Corte possa e/o debba prendere in considerazione, oltre ai vizi di validità prospettati nei quesiti e comunque precisati nella motivazione dell'ordinanza di rinvio, anche gli altri vizi di validità fatti valere da una delle parti della causa principale.

24 Al riguardo, ricordo anzitutto che in una sentenza del 1964, confrontata ad un problema analogo, la Corte affermò di potersi limitare a verificare, oltre ai vizi menzionati nei quesiti, esclusivamente se le decisioni criticate nella specie «non siano inficiate da vizi rilevabili d'ufficio» (35). Pur non ritornando espressamente sulla questione, la Corte ha successivamente seguito un tale orientamento; all'occorrenza ha infatti esaminato le questioni di validità ad essa sottoposte anche rispetto a vizi non prospettati dal giudice a quo ma rilevabili d'ufficio, quali l'obbligo di motivazione (36).

E' questa, a mio avviso, la soluzione più corretta al problema che ci occupa. Tale soluzione si impone peraltro in virtù di una consolidata giurisprudenza secondo cui «le informazioni fornite e le questioni poste nelle decisioni di rinvio pregiudiziale devono (...) altresì dare ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell'art. 20 dello Statuto CE della Corte» e che «incombe alla Corte di vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio» (37). Va da sé, infatti, che una tale possibilità non sarebbe garantita nell'ipotesi in cui né le questioni sollevate dal giudice nazionale né la motivazione dell'ordinanza di rinvio precisassero i mezzi di invalidità.

Alla luce di tali osservazioni, ritengo che, rispetto ai mezzi sollevati da Eurotunnel e non precisati nell'ordinanza di rinvio, la Corte debba unicamente esaminare il mezzo fondato sul difetto di motivazione. L'assenza di motivazione, in quanto integra una violazione di forme sostanziali, è infatti rilevabile d'ufficio, come peraltro la Corte ha già avuto modo di affermare a più riprese (38). L'esame di validità delle disposizioni controverse va dunque effettuato anzitutto in relazione all'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato.

- Sul difetto di motivazione

25 Ricordo preliminarmente che, conformemente alla costante giurisprudenza in materia, la motivazione richiesta dall'art. 190 dipende dalla natura dell'atto di cui trattasi e dal contesto nel quale esso è stato adottato (39). In particolare, essa deve «far apparire in forma chiara e non equivoca l'iter logico seguito dall'istituzione da cui promana l'atto, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e alla Corte di esercitare il proprio controllo» (40). Ciò evidenzia, se mai ve ne fosse bisogno, che il difetto di motivazione, vizio di carattere formale, va tenuto distinto dalle eventuali censure concernenti la fondatezza della stessa (41).

Orbene, è qui sufficiente constatare che il tredicesimo `considerando' della direttiva 91/680/CEE ed il ventitresimo `considerando' della direttiva accise affermano che la previsione di un periodo transitorio, in cui agli Stati membri sia consentito avvalersi della possibilità di esonerare dal pagamento di IVA e di accise gli scambi effettuati nell'ambito del traffico intracomunitario per via aerea o marittima, nasce dall'esigenza di far fronte alle ripercussioni sociali sui settori interessati ed alle difficoltà regionali che potrebbero sorgere a seguito della soppressione delle tassazioni all'importazione e delle detassazioni all'esportazione. Gli elementi sui quali il Consiglio si è basato sono dunque indicati in modo sufficiente per consentire agli interessati di contestarne la fondatezza ed alla Corte di esercitare il suo sindacato di legittimità. Ne consegue che le disposizioni controverse risultano sufficientemente motivate.

- Sull'assenza di proposta della Commissione e la mancata riconsultazione del Parlamento

26 Come già accennato, la motivazione dell'ordinanza di rinvio chiarisce che la validità degli artt. 28 duodecies della sesta direttiva IVA e 28 della direttiva accise è messa in dubbio sia in ordine alla competenza del Consiglio ad introdurre, in assenza di proposta della Commissione, le diposizioni in questione nel testo infine adottato, sia in ragione della mancata riconsultazione, dopo il loro inserimento, del Parlamento europeo.

Essendo pacifico che le proposte iniziali della Commissione non contenevano le disposizioni in questione (42), aggiunte dal Consiglio nella fase finale del negoziato e, dunque, senza essere sottoposte all'esame del Parlamento (43), non resta che verificare la fondatezza dei mezzi fatti valere da Eurotunnel.

27 Per quanto riguarda l'assenza di proposta della Commissione, ritengo siano sufficienti pochi rilievi. Invero, l'art. 189 A, n. 1, del Trattato attribuisce al Consiglio il potere di emanare un atto che costituisca emendamento della proposta presentata dalla Commissione deliberando all'unanimità (44). Considerato che le due direttive in questione sono fondate sull'art. 99 del Trattato, vale a dire su una norma che esige, ai fini dell'adozione dell'atto di cui si tratta, l'unanimità, va da sé che tale condizione è stata rispettata.

E' appena il caso di aggiungere, poi, che la tesi di Eurotunnel, secondo cui l'esistenza di una proposta della Commissione costituirebbe un'esigenza assoluta ai fini dell'esercizio, da parte del Consiglio, dei poteri ad esso conferiti dall'art. 99, non trova alcun fondamento. Ciò che rileva, come sottolineato dallo stesso Consiglio, è che gli emendamenti adottati non esulino dal campo di applicazione, quale delimitato dalla proposta, dell'atto di cui si tratta. Orbene, non mi sembra possa nutrirsi dubbio alcuno quanto al fatto che l'inserimento, nelle direttive in questione, di disposizioni che prevedono il mantenimento in vigore, per un periodo limitato, del regime esentasse relativo agli scambi effettuati nel quadro del traffico intracomunitario di viaggiatori per via aerea o marittima rientri a pieno titolo nel campo di applicazione di direttive che si propongono di attuare le condizioni necessarie all'eliminazione delle frontiere fiscali all'interno della Comunità.

28 Più complessa è invece la situazione in relazione all'obbligo di consultazione del Parlamento. Al riguardo, ricordo preliminarmente che, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, «l'obbligo di consultare il Parlamento europeo durante il procedimento legislativo, nei casi previsti dal Trattato, comporta l'obbligo di una nuova consultazione del Parlamento ogni volta che l'atto infine adottato, considerato complessivamente, sia diverso quanto alla sua sostanza da quello sul quale il Parlamento sia stato già consultato, eccetto i casi in cui gli emendamenti corrispondono essenzialmente al desiderio espresso dallo stesso Parlamento» (45).

Una nuova consultazione del Parlamento non è dunque necessaria in due sole ipotesi: quando l'atto infine adottato, complessivamente considerato, non è diverso, quanto alla sua sostanza, da quello su cui il Parlamento è già stato consultato, ovvero quando gli emendamenti successivamente introdotti corrispondono per l'essenziale ai desiderata espressi dallo stesso Parlamento.

29 Al fine di verificare se le modifiche apportate dal Consiglio sono di carattere sostanziale, è evidentemente necessario procedere ad un raffronto fra il testo delle proposte su cui il Parlamento si è pronunciato ed il testo delle direttive infine adottate. Al riguardo, è opportuno ricordare ancora una volta che le direttive in questione hanno inteso assicurare il passaggio ad un regime caratterizzato dalla totale eliminazione delle frontiere fiscali e che, a tale scopo, esse prevedono un regime transitorio per consentire l'adattamento alla nuova realtà (è questo il caso, in particolare, della direttiva 91/680/CEE) ovvero disposizioni che tengano conto dell'abolizione dei controlli alle frontiere (è questo il caso della direttiva accise). Stando così le cose, non resta che verificare se le disposizioni che consentono l'esonero dal pagamento dell'IVA e delle accise, peraltro in condizioni rigorosamente prestabilite e per un periodo di tempo limitato, allo scopo preciso di compensare eventuali difficoltà nelle regioni e sui settori interessati, debbano essere considerate tali da aver intaccato la sostanza stessa delle direttive in questione.

A mio avviso, tenuto conto dell'economia complessiva delle direttive in questione e del risultato cui esse mirano, la risposta dovrebbe essere negativa. Se è vero infatti che in tal modo la soppressione delle vendite in duty-free è stata rimandata di qualche anno, è altresì vero che si tratta di modifiche che non solo non sono tali da compromettere lo scopo ultimo cui dette direttive tendono, ma neppure ne alterano il campo di applicazione. A ciò si aggiunga, lo ricordo, che i casi in cui la Corte ha ritenuto necessaria una nuova consultazione del Parlamento riguardavano modifiche, rispetto alla proposta su cui il Parlamento era stato consultato, che ne alteravano in modo sensibile il campo di applicazione o finanche gli stessi obiettivi perseguiti, tanto da incidere «sul contenuto essenziale stesso del dispositivo normativo attuato» (46). Pur riconoscendo che le modifiche apportate dal Consiglio non possono essere considerate di carattere meramente tecnico (47), ritengo che ciò non si verifichi nella fattispecie che ci occupa. Ne consegue che, non essendo le modifiche apportate dal Consiglio di carattere sostanziale, non era necessario procedere ad una nuova consultazione del Parlamento.

30 In ogni caso, poi, ritengo che alla stessa conclusione si pervenga anche attraverso un esame degli emendamenti proposti dallo stesso Parlamento al momento in cui è stato consultato. Ed infatti, rispetto alla proposta di direttiva concernente l'IVA, il Parlamento aveva proposto, tra l'altro, gli emendamenti n. 6 e n. 31. Con il primo di essi chiedeva l'inserimento di un nuovo `considerando' così redatto: «considerando che il periodo transitorio deve essere utilizzato per l'adozione di misure volte ad attenuare le ripercussioni a livello sociale sulle professioni interessate, nonché le difficoltà regionali che potrebbero insorgere in particolare nelle regioni transfrontaliere a seguito della soppressione delle frontiere fiscali» (`considerando' quarto septies). L'emendamento n. 31, a sua volta, suggeriva l'inserimento di un ulteriore `considerando' avente il seguente tenore: «considerando che le implicazioni economiche e sociali del completamento del mercato interno per quel che riguarda le vendite in franchigia fiscale verranno illustrate da una relazione elaborata dalla Commissione e sottoposta al Consiglio e al Parlamento europeo» (`considerando' quarto octies).

Ed è precisamente l'emendamento n. 6, ripreso dalla Commissione nella proposta modificata da essa presentata il 2 maggio 1991 (48), ad essere stato utilizzato dal Consiglio come motivazione dell'art. 28 duodecies. Lo stesso Consiglio ha inoltre fatto valere, a mio avviso non senza fondamento, che i termini in cui è redatto l'emendamento n. 31 - in particolare la richiesta di una relazione da parte della Commissione sulle implicazioni economiche e sociali relative alle vendite in franchigia - consentivano di ritenere che il Parlamento preconizzasse il mantenimento, beninteso a titolo temporaneo, del regime in questione. La tesi sostenuta da quest'ultimo (49), in base alla quale la relazione in questione presupponeva che il regime di vendite in franchigia fosse stato completamente abolito e che le ripercussioni negative di cui all'emendamento n. 6 concernessero piuttosto la sorte dei doganieri, non appare del tutto convincente, in particolare tenuto conto dell'espresso riferimento alla necessità di utilizzare il periodo transitorio per attenuare le ripercussioni negative derivanti per i settori interessati dall'abolizione delle frontiere fiscali.

31 Ancora meno convincente, se non addirittura inconsistente, è la posizione sostenuta dal Parlamento rispetto agli emendamenti nn. 25 e 38, con cui aveva proposto di aggiungere, all'art. 18 della proposta di direttiva sulle accise, il seguente testo: «Le disposizioni della presente direttiva lasciano impregiudicati gli accordi esistenti in materia di vendita di prodotti soggetti ad accisa nei negozi in franchigia doganale presso porti e aeroporti, a bordo di aerei in volo o di imbarcazioni in mare, fino al 31 dicembre 1995» (50). Contrariamente a quanto affermato dal Parlamento, infatti, tale proposta non può certo essere riferita al traffico extracomunitario, se non altro perché la direttiva accise disciplina la detenzione e la circolazione dei prodotti soggetti ad accisa nelle relazioni intracomunitarie e non rispetto ai Paesi terzi.

In tali condizioni, e quali che fossero le reali intenzioni del Parlamento, mi sembra non possa ragionevolmente sostenersi che il Consiglio, inserendo l'art. 28, abbia modificato la direttiva accise in senso contrario ai desideri espressi dallo stesso Parlamento (51), ciò che mi induce, conformemente alla giurisprudenza prima ricordata, a concludere nel senso che una nuova consultazione del Parlamento non era necessaria.

32 Le osservazioni che precedono evidenziano che dall'esame delle questioni sollevate non è emerso alcun elemento atto ad inficiare la validità delle disposizioni controverse. Aggiungo, per il caso in cui la Corte pervenisse ad un diverso risultato, che la "regolare" adozione della direttiva 94/4/CE, con cui il Consiglio ha proceduto all'aumento dei limiti per gli acquisti in franchigia effettuati da viaggiatori intracomunitari, non potrebbe comunque essere considerata tale da sanare retroattivamente la violazione di forme sostanziali di cui risulterebbero inficiate, in mancanza del rispetto del prescritto obbligo di consultazione del Parlamento, la direttiva 91/680/CEE e la direttiva accise.

Sul terzo quesito

33 Con il terzo quesito, lo ricordo, il giudice di rinvio chiede se l'aver applicato una disposizione nazionale che traspone correttamente una direttiva comunitaria, successivamente dichiarata invalida, possa costituire un illecito, fonte di responsabilità extracontrattuale. Con lo stesso quesito, il giudice nazionale chiede inoltre alla Corte di stabilire il momento a partire dal quale l'invalidità delle disposizioni in questione ha prodotto i suoi effetti, dunque di prendere posizione sull'eventuale limitazione nel tempo degli effetti dell'emananda sentenza.

Tenuto conto della conclusione cui sono pervenuto in ordine al secondo quesito, non sarebbe necessario prendere posizione su tale ultimo quesito, che, lo ricordo, è stato già evocato nel trattare il profilo di ricevibilità fondato sulla presunta irrilevanza dei quesiti posti (52). Sul punto, mi limiterò pertanto a qualche breve e puntuale osservazione.

34 Preciso anzitutto di non ritenere corretta la tesi secondo cui, essendo compito del giudice nazionale statuire sulle conseguenze (sul piano nazionale) della dichiarata invalidità di un atto comunitario, non spetterebbe alla Corte pronunciarsi al riguardo. Invero, la stessa circostanza che il giudice nazionale abbia posto alla Corte un tale quesito non può che significare, a mio avviso, che gli è necessario sapere se il diritto comunitario imponga, o quantomeno consenta, di qualificare come illecito l'applicazione di norme comunitarie dichiarate invalide in un momento successivo. In altre parole, ritengo che il giudice a quo abbia posto tale quesito precisamente perché la norma eventualmente illegittima è una norma comunitaria e perché, ove il comportamento della SNAT non potesse essere qualificato come illecito sulla base del diritto comunitario, detto giudice comunque non potrebbe, circostanza di cui non ho motivo di (e non oso) dubitare, affermare la responsabilità della SNAT nei confronti di Eurotunnel.

35 Ciò premesso, osservo che il diritto comunitario non offre alcuna base giuridica da cui possa dedursi che il singolo che si conformi ad una norma di diritto comunitario, successivamente dichiarata invalida, possa essere poi chiamato a rispondere degli eventuali danni subiti da un concorrente. In un'ipotesi come quella che ci occupa, in cui il privato si è limitato ad applicare una disposizione nazionale di attuazione di una norma comunitaria, ciò è ancora più evidente. Va da sé, infatti, che al più potrebbe essere messa in discussione la responsabilità dell'istituzione che ha adottato l'atto, poi dichiarato invalido, non certo quella dello Stato che aveva l'obbligo di adottare la normativa di trasposizione, ed ancor meno quella del privato che ha applicato tale normativa nazionale di derivazione comunitaria.

Alla stessa conclusione, vale a dire l'impossibilità di fondare la responsabilità extracontrattuale su una norma di diritto comunitario, la Corte è anche pervenuta riguardo all'ipotesi in cui il beneficiario di un aiuto, poi dichiarato incompatibile con il mercato comune, sia chiamato a rispondere dei danni subiti da un concorrente, nonostante detto beneficiario avesse omesso di accertarsi della regolare concessione dell'aiuto, in particolare della previa notifica alla Commissione (53).

36 Nella stessa sentenza, è vero, la Corte ha precisato che «ciò non impedisce tuttavia l'eventuale applicazione del diritto nazionale in materia di responsabilità extracontrattuale. Se, alla luce dei suoi principi, l'operatore economico che accetta un sostegno illegittimo idoneo a provocare un danno ad altri operatori economici può, in talune circostanze, essere considerato civilmente responsabile, il principio di non discriminazione può indurre il giudice nazionale ad affermare la responsabilità del beneficiario di un aiuto di Stato corrisposto in violazione dell'art. 93, n. 3, del Trattato» (54). In altre parole, il giudice nazionale può affermare la responsabilità del beneficiario di un aiuto "illegittimo", in quanto ben consapevole - o che comunque avrebbe dovuto esserlo - dell'irregolarità dello stesso, sempreché ciò avvenga anche rispetto ad analoghe situazioni in cui rilevi il solo diritto nazionale.

Il caso che ci occupa è tuttavia ben diverso. Alla SNAT, infatti, non può essere imputata alcuna negligenza, di nessun tipo, essendosi essa limitata ad avvalersi di una possibilità espressamente prevista da disposizioni nazionali adottate per dare attuazione a disposizioni contenute in direttive comunitarie. Più in generale, è da escludere - e nel modo più categorico - che un singolo che applichi una norma nazionale che ha trasposto (in modo corretto) una norma comunitaria, e che, in ipotesi, sia tenuto ad applicare tale norma, possa poi veder impegnata la propria responsabilità. Aggiungo che una soluzione di tipo diverso sarebbe quantomeno bizzarra: sotto ogni latitudine.

37 Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue ai quesiti posti dal Tribunal de commerce di Parigi:

«1. La possibilità per un singolo di far valere nel corso di un procedimento nazionale l'invalidità di diposizioni di una direttiva, quali gli artt. 28 duodecies della sesta direttiva IVA e 28 della direttiva accise, non è gli è preclusa per il solo fatto di non averle impugnate con un'azione di annullamento ai sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato.

2. L'esame della questione posta non ha messo in luce alcun elemento atto ad inficiare la validità dell'art. 28 duodecies della sesta direttiva IVA e dell'art. 28 della direttiva accise».

(1) - Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1).

(2) - L'articolo in questione è stato infatti inserito nella sesta direttiva IVA in virtù dell'art. 1, punto 22, della direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376, pag. 1).

(3) - GU L 76, pag. 1.

(4) - Così il tredicesimo `considerando' della direttiva 91/680/CEE. In termini pressoché identici è redatto il ventitreesimo `considerando' della direttiva accise.

(5) - Direttiva che modifica le direttive 69/169/CEE e 77/388/CEE e aumenta il valore delle franchigie per i viaggiatori provenienti da paesi terzi e dei limiti per gli acquisti in franchigia effettuati da viaggiatori intracomunitari (GU L 60, pag. 14). Tale direttiva non ha invece modificato i limiti previsti dalla direttiva accise, che pertanto rimangono quelli «previsti dalle disposizioni comunitarie vigenti nell'ambito della circolazione di viaggiatori fra i paesi terzi e la Comunità» (art. 28, n. 2, della direttiva accise).

(6) - Più precisamente, l'art. 262 quater del codice generale delle imposte, inserito in virtù dell'art. 17 II della legge n. 92-677, esonera dal pagamento dell'IVA, fino al 30 giugno 1999, gli scambi effettuati in punti vendita ubicati nell'area di un aeroporto o di un porto ovvero nell'area del terminale (francese) di accesso al canale sotto la Manica. A sua volta, l'art. 302 F dello stesso codice generale delle imposte, inserito in virtù dell'art. 59 della legge n. 92-677, contiene disposizioni analoghe in relazione al pagamento delle accise.

(7) - A fianco della SNAT sono intervenute l'associazione che rappresenta le imprese impegnate nell'industria del duty-free (International Duty Free Confederation); l'associazione che raggruppa e rappresenta gli interessi della maggior parte degli aeroporti del Regno Unito (Airport Operators Association Ltd); la società che sfrutta le linee marittime attraverso la Manica diverse da quelle del passo di Calais (Bretagne Angleterre Irlande SA); e l'associazione che raggruppa le compagnie marittime di trasporto dei passeggeri che effettuano la traversata marittima da e verso il Regno Unito (Passenger Shipping Association Ltd).

(8) - Più precisamente, con la sentenza in questione la High Court of Justice, rifiutando di prorogare il termine di tre mesi previsto dalla legislazione nazionale, ha negato ad Eurotunnel l'autorizzazione per introdurre l'azione di annullamento. Essa le ha tuttavia accordato la possibilità di intentare un'azione relativamente alla vendita esentasse effettuata nel corso di «booze-cruises», vale a dire viaggi andata e ritorno da effettuarsi in giornata, se non addirittura con lo stesso vettore marittimo; Eurotunnel non si è tuttavia avvalsa di tale possibilità.

(9) - E' appena il caso di precisare che le decisioni evocate dal giudice di rinvio nei quesiti posti alla Corte, quali riportati al punto precedente, sono invece delle direttive.

(10) - Sentenza 13 dicembre 1994, causa C-306/93, SMW Winzersekt (Racc. pag. I-5555, punto 15; il corsivo è mio).

(11) - Tale giurisprudenza si è maggiormente affermata in relazione a pregiudiziali interpretative. In tale ipotesi, la formula ormai "classica" utilizzata dalla Corte consiste nell'affermare, dopo aver precisato che essa «statuisce senza dover, in linea di principio, accertare le circostanze in cui i giudici nazionali sono stati indotti a sottoporle le questioni e intendono applicare la disposizione di diritto comunitario che le hanno chiesto di interpretare», che «la conclusione sarebbe diversa solo nelle ipotesi in cui risultasse che con il procedimento ex art. 177 del Trattato, utilizzato in modo contrario alla sua finalità, si intende in realtà indurre la Corte a pronunciarsi per il tramite di una controversia fittizia, ovvero fosse manifesto che la disposizione di diritto comunitario sottoposta all'interpretazione della Corte non può essere applicata» (in tal senso v., da ultimo, sentenza 5 dicembre 1996, causa C-85/95, Reisdorf, Racc. pag. I-6257, punti 15 e 16).

(12) - Il riferimento è ad un'intervista concessa da Sir Alastair Morton e pubblicata sulla rivista «Frontier» del settembre 1995. Il presidente di Eurotunnel, nel corso di tale intervista, ha infatti dichiarato che «Il risarcimento dei danni ottenuto nei confronti del più piccolo dei vettori marittimi non è significativo. Ciò che conta è ottenere una decisione».

(13) - Sentenza 11 marzo 1980, causa 104/79, Foglia/Novello I (Racc. pag. 745), e sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia/Novello II (Racc. pag. 3045).

(14) - Sentenza Foglia/Novello II (citata alla nota precedente), punto 18.

(15) - Per completezza, osservo che neppure la tesi secondo cui Eurotunnel non avrebbe alcun interesse ad agire - atteso che le disposizioni controverse della sesta direttiva IVA e della direttiva accise, lungi dall'incidere negativamente sugli interessi di Eurotunnel, le consentono di effettuare vendite in duty-free e sono pertanto ad essa favorevoli - è tale da spostare i termini del problema. Sul punto, basti qui rilevare che, se è ben vero che la carenza di interesse ad agire potrebbe condurre alla constatazione dell'inesistenza di una controversia, che è invece uno dei presupposti ineliminabili per poter azionare il procedimento di cui all'art. 177, resta che l'esistenza dell'interesse ad agire (e con esso di una controversia) è un aspetto che avrebbe dovuto essere valutato dal giudice nazionale sulla base delle norme processuali del suo ordinamento interno.

(16) - E certo non è un caso che alcuna applicazione pratica dei principi affermati nelle sentenze Foglia/Novello, pure costantemente ribaditi nel corso degli anni, è rinvenibile nella successiva giurisprudenza. Il caso Foglia/Novello resta dunque un caso isolato, ancorché fin troppo celebre.

(17) - Sul punto non è superfluo ricordare che l'art. 177 «instaura una collaborazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali mediante un procedimento non contenzioso, sottratto all'iniziativa delle parti e nel corso del quale queste sono semplicemente invitate a presentare le loro osservazioni» (sentenza 19 gennaio 1994, causa C-364/92, Eurocontrol, Racc. pag. I-43, punto 9).

(18) - In tal senso v. ordinanza 26 febbraio 1990, causa 286/88, Falciola (Racc. pag. I-191, punto 9); nonché sentenza 16 luglio 1992, causa C-343/90, Lourenço Dias (Racc. pag. I-4673, punto 42).

(19) - Sentenza 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke (Racc. pag. I-4871, punti 28-30).

(20) - Ordinanza 16 maggio 1994, causa C-428/93, Monin II (Racc. pag. I-1707, punto 15).

(21) - Ciò spiega perché nella giurisprudenza in materia è dato sempre più spesso ritrovare, soprattutto negli ultimi anni, l'affermazione secondo cui «è indispensabile che il giudice nazionale chiarisca i motivi per i quali ritiene necessaria la soluzione delle questioni ai fini della definizione della controversia» (in questo senso v., ad esempio, sentenza Lourenço Dias, citata alla nota 18, punto 19).

(22) - In tale ipotesi, infatti, le domande di Eurotunnel, come già accennato, andrebbero sicuramente disattese. Sul punto, ritengo non privo di interesse richiamare il caso Celestini (causa C-105/94, tuttora pendente), caso che presenta non poche analogie con quello che ci occupa e che può essere così riassunto: un giudice italiano, al fine di pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento danni presentata da un'impresa italiana nei confronti dell'impresa tedesca cui aveva venduto una partita di vino, vino rispedito in Italia dalle autorità tedesche in quanto considerato inadatto al consumo umano, ha chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario di un particolare sistema di controllo sui vini utilizzato dalle autorità tedesche. A fronte della tesi della Commissione secondo cui i quesiti posti sarebbero manifestamente irrilevanti in relazione al merito della controversia, l'avvocato generale Fennelly, nelle conclusioni presentate il 26 settembre 1996, ha ritenuto sufficiente, ai fini della pertinenza dei quesiti, la circostanza, evidenziata dallo stesso giudice di rinvio, che «se le soluzioni della Corte fossero nel senso che il sistema impiegato era conforme alla normativa comunitaria, la domanda dell'attrice dovrebbe essere radicalmente disattesa» (punto 28). Nelle stesse conclusioni, l'avvocato generale ha infatti giustamente sottolineato che «il dovere di cooperazione che disciplina i rapporti tra giudici nazionali e Corte di giustizia nel procedimento pregiudiziale impone alla Corte (...) di rifiutarsi di risolvere le questioni ad essa deferite solo se è assolutamente fuori dubbio che non si può ragionevolmente fornire una soluzione effettivamente utile» (punto 29).

(23) - Tale problema costituisce specifico oggetto del terzo quesito, su cui v. infra, punti 33-36.

(24) - Ed infatti, l'eventuale invalidità delle direttive controverse, nella misura in cui fosse tale da permettere, come il giudice sembra indicare nell'ordinanza di rinvio, di qualificare il comportamento della SNAT come "concorrenza sleale", sarebbe indubbiamente utile allo stesso giudice (quantomeno) per intimare alla SNAT di cessare un tale comportamento, vale a dire di non continuare la vendita in duty-free, ciò che corrisponderebbe peraltro ad una delle richieste di Eurotunnel nella causa principale (v. supra, punto 4).

(25) - In proposito v. nota 11, nonché il punto 12, in particolare note 18 e 20.

(26) - Sentenza 9 marzo 1994, causa C-188/92 (Racc. pag. I-833).

(27) - V. sentenza 27 settembre 1983, causa 216/82, Universität Hamburg (Racc. pag. 2771, punti 7-11), e sentenza 21 maggio 1987, cause riunite 133/85-136/85, Rau e a. (Racc. pag. 2289, punti 11 e 12).

(28) - V., ad esempio, sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost (Racc. pag. 4199), in cui la Corte si è pronunciata su quesiti concernenti la validità di una decisione che il ricorrente nella causa principale ben avrebbe potuto impugnare ex art. 173. V., inoltre, sentenza 1º dicembre 1965, causa 16/65, Schwarze (Racc. pag. 910), in cui la Corte, prendendo posizione, nell'ambito di un procedimento pregiudiziale di validità, sul rapporto tra art. 173 e art. 177, ebbe modo di rilevare che «non si può quindi affermare che le parti nella causa di merito abbiano voluto aggirare le disposizioni dell'articolo 173 del Trattato e il giudice nazionale abbia voluto statuire, in sede nazionale, su questioni di stretta competenza del giudice comunitario; le parti hanno chiesto e il giudice ha effettuato il rinvio alla Corte di Giustizia, in conformità al Trattato» (pag. 922).

(29) - La stessa argomentazione è stata utilizzata dalla Corte nella successiva sentenza 30 gennaio 1997, causa C-178/95, Wiljo (Racc. pag. I-585, punti 20-23), in cui destinataria della decisione, non impugnata ex art. 173, era tuttavia la stessa ricorrente nella causa principale.

(30) - Sentenza 12 dicembre 1996, causa C-241/95, Accrington Beef e a. (Racc. pag. I-6699, punto 15; il corsivo è mio).

(31) - Ibidem, punto 16; il corsivo è mio.

(32) - V. ordinanza 27 aprile 1988, causa 352/87, Farzoo e Kortmann/Commissione (Racc. pag. 2281); ordinanze 7 dicembre 1988, causa 138/88, Flourez e a./Consiglio (Racc. pag. 6393), e causa 160/88, Fedesa e a./Consiglio (Racc. pag. 6399); nonché, più in particolare, sentenza 29 giugno 1993, causa C-298/89, Gibilterra/Consiglio (Racc. pag. I-3605, punti 15-19). Più restio a riconoscere l'impugnabilità delle direttive da parte dei singoli sembra essere il Tribunale di primo grado, che, nell'ordinanza 20 ottobre 1994, causa T-99/94, Asocarne/Consiglio (Racc. pag. II-871), ha sottolineato: «L'art. 173, quarto comma, del Trattato non contempla, per i singoli, alcuna facoltà di impugnazione diretta dinanzi al giudice comunitario delle direttive o delle decisioni adottate sotto forma di direttive. Questa esclusione si giustifica con la circostanza che, nel caso delle direttive, la tutela giuridica dei singoli è direttamente e sufficientemente garantita dai giudici nazionali che ne controllano la trasposizione nei vari ordinamenti nazionali» (punto 17). Lo stesso Tribunale ha tuttavia aggiunto, nella stessa sentenza, che «pur se si potessero assimilare - ponendo in non cale il tenore dell'art. 173, quarto comma, del Trattato - le direttive ai regolamenti per poter legittimare l'impugnazione di una decisione emanata "sub specie" di direttiva, la direttiva controversa non costituisce una decisione "dissimulata", né contiene disposizioni specifiche, aventi indole di decisione individuale» (punto 18).

(33) - V., ad esempio, sentenza 13 marzo 1968, causa 5/67, Beus (Racc. pag. 113, in particolare pag. 130); sentenza 25 ottobre 1978, cause riunite 103/77 e 145/77, Royal Scholten-Honig (Racc. pag. 2037, punti 16 e 17); sentenza 11 luglio 1990, causa C-323/88, Sermes (Racc. pag. 3027, punto 13); sentenza 5 ottobre 1993, cause riunite C-13/92, C-14/92, C-15/92 e C-16/92, Driessen e a. (Racc. pag. 4751, punti 17-20).

(34) - Tale ricostruzione è confermata dalla circostanza che il giudice di rinvio chiede in subordine, sempre con il secondo quesito, se l'eventuale adozione "irregolare" delle direttive in questione possa essere superata dalla successiva adozione "regolare" della direttiva 94/4/CE con cui sono stati modificati i limiti, per persona e per viaggio, degli acquisti di beni in franchigia.

(35) - Sentenza 18 febbraio 1964, cause riunite 73/63 e 74/63, Rotterdam e Puttershoek (Racc. pag. 1, in particolare pag. 26); nella specie, essa pervenne alla conclusione che l'«eventuale mancanza di una pubblicazione prescritta può essere rilevata d'ufficio». La Corte ha invece rifiutato di prendere in considerazione, allorché non rilevabili d'ufficio, mezzi di invalidità fatti valere dalle parti e non ripresi dal giudice di rinvio (v., ad esempio, sentenza 27 ottobre 1971, causa 6/71, Rheinmühlen, Racc. pag. 823, punto 13; nonché le conclusioni dell'avvocato generale Dutheillet De Lamothe relative alla stessa causa, Racc. pag. 842 ss., in particolare pag. 852 ss.).

(36) - E' così, ad esempio, che nella sentenza «Crociere del burro», chiamata a pronunciarsi sulla validità di un regolamento sotto il profilo della violazione di alcuni principi fondamentali dell'ordinamento, la Corte ha ritenuto opportuno, prima di esaminare tali mezzi, «stabilire se il regolamento corrisponda alle prescrizioni in materia di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato» (sentenza 7 luglio 1981, causa 158/80, Rewe, Racc. pag. 1805, punti 18 e 19).

(37) - V., tra le altre, ordinanze 19 luglio 1996, causa C-191/96, Modesti (Racc. pag. I-3939, punto 5), e causa C-196/96, Hassan (Racc. pag. I-3945, punto 5). In tal senso v. già sentenza 1º aprile 1982, cause riunite 141/81, 142/81 e 143/81, Holdijk (Racc. pag. 1299, punto 6).

(38) - Sul punto v. quanto già ricordato alla nota 36. Aggiungo che in senso analogo è anche la giurisprudenza relativa ai ricorsi in annullamento ex art. 173: v., ad esempio, sentenza 28 giugno 1972, causa 32/71, Jamet/Commissione (Racc. pag. 483, punto 11/12), e sentenza 1º luglio 1986, causa 185/85, Usinor/Commissione (Racc. pag. 2079, punto 19).

(39) - V., ad esempio, sentenza 11 gennaio 1973, causa 13/72, Paesi Bassi/Commissione (Racc. pag. 27), nonché sentenza 14 gennaio 1981, causa 819/79, Germania/Commissione (Racc. pag. 21).

(40) - Sentenza 13 giugno 1996, causa C-205/94, Binder (Racc. pag. I-2871, punto 25).

(41) - Sul punto v. le conclusioni del giudice Vesterdorf, designato come avvocato generale nelle cause da T-1/89 a T-4/89 e da T-6/89 a T-15/89 (polipropilene), presentate il 10 luglio 1991 (Racc. 1991, pag. II-869, in particolare pag. II-908).

(42) - La proposta per una direttiva del Consiglio che completa il sistema comune d'imposta sul valore aggiunto e modifica la direttiva 77/388/CEE è stata presentata il 7 agosto 1987 (GU C 252, pag. 2) e successivamente modificata il 17 maggio 1990 (GU C 176, pag. 8) ed il 2 maggio 1991 (GU C 131, pag. 3); quest'ultima modifica è intervenuta a seguito della consultazione del Parlamento ed ha ripreso, come si vedrà, alcuni degli emendamenti da questo proposti. A sua volta, la proposta iniziale relativa alla direttiva accise è stata presentata dalla Commissione il 27 settembre 1990 (GU C 322, pag. 1) e successivamente modificata il 24 gennaio 1991 (GU C 45, pag. 10).

(43) - Il Parlamento ha espresso il proprio parere sulla proposta di direttiva 91/680 il 20 novembre 1990 (GU C 324, pag. 97). Il parere sulla proposta relativa alla direttiva accise è stato invece approvato nella seduta del 12 giugno 1991 (GU C 183, pag. 122).

(44) - All'epoca dei fatti, tale disposizione era contenuta nell'art. 149, n. 1.

(45) - Sentenza 5 luglio 1995, causa C-21/94, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-1827, punto 18). Nello stesso senso v., tra le altre, sentenza 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania/Consiglio (Racc. pag. I-4973, punto 38), e sentenza 5 ottobre 1993 (citata alla nota 33), punto 23.

(46) - In questo senso v. sentenza 5 luglio 1995 (citata alla nota precedente), punti 20-22; sentenza 1º giugno 1994, causa C-388/92, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-2067, punti 11-13), e sentenza 16 luglio 1992, causa C-65/90, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-4593, punti 19-21).

(47) - Va infatti precisato che i casi in cui la Corte ha ritenuto che una nuova consultazione del Parlamento non era indispensabile concernevano modifiche minori e di carattere per lo più tecnico. V., ad esempio, sentenza 10 maggio 1995, causa C-417/93, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-1185, punti 30-33); e sentenza 5 ottobre 1994 (citata alla nota 45), punti 40-42.

(48) - V. nota 42.

(49) - Conformemente all'art. 21 dello Statuto della Corte, il Parlamento è stato infatti ammesso a presentare osservazioni nella presente procedura.

(50) - Tale emendamento, è appena il caso di rilevarlo, non è stato incluso dalla Commissione nella proposta modificata da essa presentata al Consiglio. Aggiungo, per completezza, che la Commissione si è sempre dichiarata contraria al mantenimento in vigore del regime qui in questione, tanto che, al momento dell'adozione delle due direttive, essa ha fatto includere agli atti una dichiarazione a verbale con cui ribadiva tale sua posizione di sfavore. Una tale circostanza, all'evidenza, non ha alcuna incidenza sui termini del problema che ci occupa; la stessa Commissione, peraltro, ha sostenuto, nel corso della procedura, che le modifiche apportate dal Consiglio non sono comunque tali da incidere sulla sostanza stessa delle direttive in questione.

(51) - Resta, è vero, che la proposta del Parlamento fa riferimento ad un periodo transitorio che scadeva il 31 dicembre 1995, mentre la direttiva infine adottata fissa la scadenza del periodo transitorio al 30 giugno 1999. Ritengo tuttavia che una tale "divergenza" non possa comunque essere considerata alla stregua di una modifica che intacca la sostanza dell'atto complessivamente considerato.

(52) - Secondo la SNAT, infatti, la Corte non avrebbe dovuto rispondere a tali quesiti precisamente perché, anche qualora le direttive in questione fossero state dichiarate invalide, non si sarebbe comunque potuto, in alcun modo, far derivare la responsabilità di un privato da un comportamento da esso tenuto in applicazione di una norma di legge (v. supra, punti 11 e 13).

(53) - Sentenza 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI e a. (Racc. pag. I-3547, punto 74).

(54) - Ibidem, punto 75.