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61996C0124

Conclusioni dell'avvocato generale La Pergola del 3 febbraio 1998. - Commissione delle Comunità europee contro Regno di Spagna. - Inadempimento - Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE - Esenzione di talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica - Restrizioni non giustificate. - Causa C-124/96.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-02501


Conclusioni dell avvocato generale


1 Con il presente ricorso, la Commissione chiede alla Corte di constatare che il Regno di Spagna ha mancato agli obblighi ad esso imposti ai sensi della sesta direttiva del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (nel prosieguo: la «direttiva») (1). Più precisamente, l'istituzione ricorrente deduce che il regime delle esenzioni concesse dalla legislazione spagnola per le attività sportive svolte presso enti privati è contrario al disposto dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della suddetta direttiva.

2 Prima di entrare nel merito delle censure fatte valere dalla Commissione, va ricordato brevemente il contesto normativo comunitario e quello nazionale.

L'art. 13 della direttiva dispone che talune attività di interesse pubblico sono esonerate dall'imposta. In particolare, ai nostri fini, viene in questione l'art. 13, n. 1, lett. m), il quale prevede un'esenzione in favore di «talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che esercitano lo sport e l'educazione fisica».

L'art. 13, n. 2, lett. a), prevede poi che

«Gli Stati membri possono subordinare, caso per caso, la concessione, ad enti diversi da quelli di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste al paragrafo 1, lettere b), g), h), i), l), m) e n) all'osservanza di una o più delle seguenti condizioni:

- gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti ma dovranno essere destinati al mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;

- essi devono essere gestiti ed amministrati a titolo essenzialmente gratuito da persone che non hanno di per sé o per interposta persona alcun interesse diretto o indiretto ai risultati della gestione;

- essi devono praticare prezzi approvati dalle autorità pubbliche o che non superino detti prezzi approvati, ovvero, per le operazioni i cui prezzi non sono sottoposti ad approvazione, praticare prezzi inferiori a quelli richiesti per servizi analoghi da imprese commerciali soggette all'imposta sul valore aggiunto;

- le esenzioni non devono essere tali da provocare distorsioni di concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all'imposta sul valore aggiunto».

La normativa spagnola in materia è costituita attualmente dall'art. 20 della legge n. 37, del 28 dicembre 1992, relativa alla tassa sul valore aggiunto, nella versione modificata risultante dall'art. 13 della legge n. 42, del 30 dicembre 1994. La disposizione pertinente della suddetta normativa è l'art. 20, n. 1, punto 13, ed è così testualmente formulato:

«1. Sono esonerate dalla tassa le seguenti operazioni:

(...)

13. I servizi forniti a persone fisiche che praticano lo sport o l'educazione fisica, quale che sia la persona o l'organismo a carico del quale la prestazione è fornita, a condizione che i suddetti servizi siano direttamente legati alla pratica dello sport e dell'educazione fisica e siano forniti dalle persone o dagli organismi seguenti:

a) stabilimenti di diritto pubblico; b) federazioni sportive; c) Comitato olimpico spagnolo;

d) organismi o stabilimenti privati a carattere sociale le cui quote d'ingresso non superino gli importi indicati qui di seguito:

- quote d'ingresso o di ammissione: 265 000 pesetas; - quote periodiche: 4 000 pesetas al mese» (2).

In sostanza, quindi, il legislatore spagnolo, per quanto riguarda le prestazioni di servizi connesse alla pratica sportiva o all'educazione fisica, accorda un'esenzione fiscale incondizionata alle prestazioni svolte presso organismi di diritto pubblico, federazioni sportive, ovvero il Comitato olimpico spagnolo. Con riferimento, invece, alle prestazioni rese da organismi sportivi privati a carattere sociale, la concessione dell'esenzione è subordinata all'esigenza che tali organismi richiedano quote associative d'ingresso, ovvero rette periodiche, di importo inferiore a quello indicato dalla citata disposizione.

3 Ritenendo che tale ultima previsione fosse contraria all'art. 13, n. 1, lett. m), della direttiva, la Commissione avviava nei confronti del Regno di Spagna la procedura precontenziosa prevista all'art. 169 del Trattato. In quella sede, lo Stato membro convenuto contestava la valutazione dell'istituzione ricorrente e faceva valere che la propria legislazione non collideva in alcun modo con il disposto della menzionata direttiva.

La Commissione introduceva quindi il presente ricorso, chiedendo che venisse constatato l'inadempimento dello Stato convenuto. Più precisamente, le conclusioni rassegnate dall'istituzione ricorrente sono così testualmente formulate:

«1) constatare che, prevedendo che l'esenzione dell'IVA in favore delle prestazioni aventi uno stretto legame con la pratica dello sport o dell'educazione fisica si applica solo agli stabilimenti privati le cui quote d'ingresso non superano un certo importo, il Regno di Spagna ha violato le disposizioni dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva IVA (77/388/CEE);

2) condannare il Regno di Spagna alle spese».

Il Regno di Spagna chiede il rigetto della domanda avversaria e la condanna dell'istituzione ricorrente alle spese. Il Regno Unito è intervenuto in giudizio a sostegno delle conclusioni dello Stato membro convenuto.

4 La Commissione afferma che la legislazione nazionale contestata introduce un criterio per la concessione dell'esenzione in favore degli enti privati a carattere sociale non previsto dalla direttiva, e dunque contrario ad essa. A tale riguardo, viene richiamata la giurisprudenza della Corte secondo cui l'art. 13, n. 1, prevede un obbligo chiaro, preciso ed incondizionato, per gli Stati membri, di esentare le attività elencate nella stessa disposizione (3). Tale obbligo, secondo questa prospettazione, non potrebbe essere circondato da ulteriori condizioni, non contemplate dalla direttiva. Inoltre, la previsione nazionale controversa non potrebbe essere giustificata assumendo che il limite dell'importo delle quote associative, che costituisce un ostacolo alla concessione dell'esenzione, rientra fra i «prezzi approvati dalle autorità pubbliche», ai sensi del terzo trattino dell'art. 13, n. 2, lett. a). Nella specie, infatti, il legislatore spagnolo avrebbe semplicemente introdotto una presunzione juris et de jure circa il carattere non lucrativo degli organismi sportivi: quelli che richiedono quote di ingresso inferiori al limite fissato dalla legislazione in questione si presumono enti che svolgono la propria attività in assenza di finalità lucrativa; gli altri sono invece considerati come organismi che prestano servizi a scopo di lucro, e dunque sono esclusi dal beneficio dell'esenzione.

Il governo convenuto, tuttavia, fa valere che l'applicazione del regime delle esenzioni previste dalla direttiva richiede necessariamente misure nazionali d'attuazione, per la cui emanazione gli Stati membri sarebbero investiti di un ampio potere discrezionale. Ebbene, nel caso di specie, la legislazione contestata risulterebbe dal legittimo esercizio del suddetto margine di discrezionalità, che il legislatore spagnolo avrebbe utilizzato precisamente al fine di raggiungere il risultato voluto dalla direttiva. L'art. 13, n. 1, lett. m), infatti, dispone che sia accordata un'esenzione fiscale in favore delle prestazioni sportive fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo; e la previsione normativa secondo cui sono esclusi dal beneficio dell'esenzione quegli enti che richiedono quote di partecipazione superiori ad un dato importo sarebbe, appunto, volta ad accertare se gli enti in questione perseguono, oppur no, scopo di lucro. Inoltre, sempre secondo il governo spagnolo, l'art. 13, n. 2, prevede la possibilità, per gli Stati membri, di subordinare l'esenzione al rispetto di talune condizioni, fra le quali quella che l'ente fornitore dei servizi pratichi «prezzi approvati dalle autorità pubbliche». Nella specie, la fissazione di un limite massimo all'importo delle quote associative rientrerebbe, per l'appunto, nella nozione di prezzo approvato dalla pubblica autorità e sarebbe così giustificato ai sensi della disposizione appena menzionata. Lo Stato membro convenuto contesta, poi, la posizione della Commissione circa l'esigenza di concedere l'esenzione secondo un criterio casistico, anziché - come è il caso della norma qui contestata - in virtù di una previsione generale: se è vero, infatti, che l'art. 13, n. 2, dispone che tale esenzione sia concessa «caso per caso», l'interpretazione della Commissione condurrebbe alla necessità di accordare il beneficio in questione valutando puntualmente la posizione di ogni singolo operatore. Il che sarebbe praticamente irrealizzabile. Di qui l'esigenza di prevedere un criterio di ordine generale.

5 Dico subito che le censure fatte valere dalla Commissione meritano, a mio avviso, di essere accolte. L'istituzione ricorrente ha correttamente dedotto che gli Stati membri sono tenuti a concedere le esenzioni contemplate all'art. 13, n. 1. Come ha detto la Corte in altra occasione (4), si tratta, infatti, di esenzioni obbligatorie e gli Stati membri non godono di alcun margine discrezionale in merito alla loro concessione. La discrezionalità concerne, se del caso, la definizione delle condizioni volte ad assicurare, come dispone lo stesso art. 13, n. 1, «la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso», nonché a «prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso». In ogni caso, tale discrezionalità va esercitata in modo da assicurare il risultato voluto dalla norma, che è quello di garantire al contribuente che ne ha diritto la concessione del previsto beneficio fiscale. Ebbene, l'esenzione che rileva nel nostro caso concerne le «prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport e dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che esercitano lo sport o l'educazione fisica» [art. 13, n. 1, lett. m)] (5). Occorre, dunque, che i servizi in parola godano comunque dell'esenzione che si prevede. Ed è proprio sotto questo profilo che la legislazione spagnola non è conforme alla norma in questione. Il governo spagnolo ha infatti osservato che la legislazione nazionale controversa è precisamente volta ad assicurare che i servizi connessi alla pratica dello sport forniti da organismi che agiscono in assenza di finalità lucrativa siano esonerati dall'onere dell'imposta. Senonché, è agevole osservare che la normativa nazionale contestata nel presente giudizio è manifestamente inidonea a raggiungere un tale risultato. Essa prevede che l'esenzione sia accordata solo a quegli organismi i quali richiedono quote associative, ovvero contributi periodici (segnatamente mensili), inferiori ad un dato importo, senza però diversificare detto importo a seconda del tipo di attività sportiva, degli impianti necessari per il relativo esercizio, del luogo di ubicazione degli impianti stessi o, infine, del numero di aderenti o iscritti all'ente in questione. In altri termini, il criterio prescelto dal legislatore spagnolo non tiene conto, in alcun modo, di quell'insieme di fattori che incidono sul costo del servizio e dunque contribuiscono, di riflesso, a valutare se l'ente presso il quale il servizio è fornito agisca, oppur no, a fini di lucro. Intendo dire, con questo, che la normativa nazionale in discorso trascura il fatto che l'attività sportiva rappresenta una realtà complessa e diversificata: l'esercizio di taluni sport richiede infrastrutture tecnologiche costose e comporta oneri di manutenzione particolarmente elevati, mentre altri hanno invece bisogno di impianti relativamente semplici. Nel primo caso, l'ammortamento delle strutture sportive potrà anche richiedere quote associative elevate, che non saranno invece necessarie nel secondo. Pertanto, la normativa spagnola non detta un sicuro criterio per valutare se l'organismo che fornisce i servizi in questione operi secondo finalità lucrative. A rigore, l'applicazione di tale normativa può anzi portare a risultati contrari al dettato dell'art. 13, n. 1: un'organizzazione privata, infatti, può richiedere quote associative superiori al limite fissato dalla legislazione spagnola, e dunque essere esclusa dal beneficio dell'esenzione, senza tuttavia esercitare la propria attività a scopo di lucro; mentre altri organismi, che pure percepiscono quote inferiori a detto limite, possono operare con finalità lucrative ed essere nondimeno ammesse al beneficio dell'esonero fiscale. Il che offende la finalità del menzionato art. 13, n. 1: l'interesse pubblico che giustifica la concessione del beneficio, infatti, sussiste solo là dove i servizi connessi alla pratica dello sport siano resi da «organizzazioni senza scopo lucrativo». Occorre, dunque, che il legislatore nazionale dia attuazione a tale disposizione assicurando che venga soddisfatta la finalità perseguita dalla direttiva. E, per le ragioni che ho appena spiegato, non ritengo che la normativa spagnola detti un criterio adeguato per garantire il perseguimento di tale finalità.

6 Non mi sembra, poi, meritevole di accoglimento la difesa del governo convenuto secondo cui i limiti di importo previsti dalla legislazione contestata andrebbero considerati come «prezzi approvati dalle autorità pubbliche». Con la conseguenza che essi rientrerebbero fra le condizioni alle quali, ai sensi dell'art. 13, n. 2, lett. a), gli Stati membri possono subordinare la concessione dell'esenzione.

Al riguardo, posso anche convenire sul fatto che il limite all'importo della quota associativa o del contributo periodico sia considerato come «prezzo», nel senso che esso è il corrispettivo della prestazione fornita dall'organizzazione presso la quale il servizio connesso alla pratica sportiva è fornito. Tuttavia, anche a volerli considerare come «prezzi approvati dalle autorità pubbliche», occorrerebbe comunque che essi fossero variamente graduati a seconda del tipo di attività sportiva. Solo così, infatti, il «prezzo» può essere considerato indicativo del fatto che l'ente in questione presta servizi connessi alla pratica dello sport nel quadro di un'attività esercitata in assenza di finalità lucrativa, come richiesto dall'art. 13, n. 1, al fine di concedere l'esenzione dall'imposta.

In sostanza, ritengo che il criterio dettato dal legislatore spagnolo per escludere dall'obbligo dell'imposta possa, in linea teorica, rientrare fra le condizioni enunciate all'art. 13, n. 2, lett. a). Mi sembra, però, che tale criterio sia del tutto inadeguato al raggiungimento della finalità perseguita dalla norma.

Non condivido, inoltre, l'obiezione del governo spagnolo secondo cui la tesi della Commissione sarebbe praticamente inattuabile, visto che essa comporterebbe la necessità di stabilire prezzi differenziati tenendo in conto la situazione di ogni singolo operatore economico. Anzitutto, a me sembra che un approccio di tipo, per così dire, «casistico» sia imposto dalla stessa norma dell'art. 13, n. 2, lett. a), la quale prevede appunto che gli Stati membri «possono subordinare, caso per caso, la concessione dell'esenzione» alla condizione che l'organismo interessato pratichi prezzi approvati dalla pubblica autorità. D'altra parte, non credo che la soluzione prospettata dalla Commissione conduca necessariamente all'esigenza di esaminare i prezzi praticati da ogni centro sportivo: sarebbe sufficiente, infatti, che la legislazione nazionale si attenga ad un criterio più realistico e, anziché fissare un importo unico per ogni genere di attività sportiva, determini un insieme di prezzi diversificati, magari a seconda della categoria di attività esercitata. Infine, come osserva l'istituzione ricorrente, l'asserita impossibilità di procedere a controlli individuali nella concessione dell'esenzione è smentita dalla stessa legislazione spagnola: l'art. 6 del regolamento sull'IVA, infatti, regola il «riconoscimento del carattere sociale di taluni organismi o stabilimenti» e prevede che «gli organismi o stabilimenti privati a carattere sociale devono domandare il riconoscimento dello statuto alla Delegacíon o Administracíon de la Agencia Estatal de Administracíon Tributaria nella circoscrizione territoriale nella quale si trova il loro domicilio fiscale» (6). Il che dimostra che è ben possibile procedere ad un controllo «caso per caso» nella verifica delle condizioni richieste per poter beneficiare dell'esenzione, come richiede, peraltro, il testuale disposto dell'art. 13, n. 2.

7 Alla luce delle precedenti considerazioni, suggerisco pertanto alla Corte di accogliere il ricorso presentato dalla Commissione e di condannare il Regno di Spagna alle spese.

(1) - GU L 145 del 13 giugno 1977, pag. 1.

(2) - La traduzione è mia.

(3) - V. sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker (Racc. pag. 53).

(4) - V. sentenza Becker, citata. V., in particolare, i punti 32, 33 e 34 della motivazione, dove la Corte ha rilevato che «(...) si deve anzitutto osservare che le "condizioni" summenzionate non riguardano in alcun modo la definizione del contenuto del previsto esonero. Da una parte, le "condizioni" summenzionate sono intese a garantire la corretta e semplice applicazione degli esoneri previsti. Uno Stato membro non può opporre, ad un contribuente che sia in grado di provare che la propria situazione fiscale rientra effettivamente in una delle categorie di esonero definite dalla direttiva, la mancata adozione delle disposizioni destinate, per l'appunto, ad agevolare l'applicazione di tale esonero. D'altra parte, le "condizioni" suddette riguardano i provvedimenti destinati a prevenire le frodi, l'evasione fiscale e gli eventuali abusi. Uno Stato membro che si trovi nella situazione di non aver preso le necessarie precauzioni a tale scopo non può far valere la propria omissione per rifiutare ad un contribuente il beneficio di un esonero che egli possa legittimamente pretendere in forza della direttiva, tanto più che nulla vieta a tale Stato di ricorrere, in mancanza di specifiche disposizioni in materia, a tutte le disposizioni applicabili della propria legislazione fiscale generale per la lotta contro le frodi».

(5) - E' appena il caso di osservare che non merita accoglimento la tesi del governo spagnolo secondo cui gli Stati membri sarebbero liberi di determinare quali prestazioni esonerare, visto che l'art. 13, n. 1, lett. m), si limita a prevedere che siano esonerate solo «talune prestazioni di servizi». Non credo, infatti, che il legislatore comunitario abbia inteso riconoscere un così ampio potere di scelta in capo agli Stati membri. L'inciso in parola («talune») corrisponde certamente ad un'infelice formulazione della norma, ma non riveste la portata che gli attribuisce la difesa del governo convenuto: esso significa solo che non tutte le prestazioni di servizi vanno esonerate, ma esclusivamente quelle che, come precisa la stessa disposizione, sono «fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo». D'altra parte, visto che quest'ultima è la finalità che giustifica la concessione dell'esenzione, occorrerebbe comunque che la norma contestata - nel prevedere quali prestazioni esentare - sia idonea a perseguire tale scopo. Il che, come spiegherò più avanti, non accade nel presente caso.

(6) - La traduzione è mia.