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61996C0318

Conclusioni dell'avvocato generale Alber del 20 novembre 1997. - SPAR Österreichische Warenhandels AG contro Finanzlandesdirektion für Salzburg. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Verwaltungsgerichtshof - Austria. - Articolo 33 della Sesta direttiva - Imposte sulla cifra d'affari - Imposta camerale ("Kammerumlage"). - Causa C-318/96.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-00785


Conclusioni dell avvocato generale


A - Introduzione

I - Ambito della questione

1 Nel presente procedimento pregiudiziale il Verwaltungsgerichtshof di Vienna propone alla Corte alcune questioni relative alla compatibilità della Kammerumlage (imposta camerale austriaca per il finanziamento delle Camere di commercio) con il sistema comune di imposta sul valore aggiunto, quale disciplinato dalla sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari - Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (1) (in prosieguo: la «sesta direttiva»).

2 Si tratta in particolare delle due questioni seguenti:

- se la Kammerumlage 1 sia un diritto avente la natura di imposta sulla cifra d'affari, il che la renderebbe illegittima ai sensi dell'art. 33 della sesta direttiva (seconda questione pregiudiziale), e

- se la Kammerumlage 1 comprima, dal punto di vista del diritto comunitario, il diritto a deduzione sancito dall'art. 17 della sesta direttiva (prima questione pregiudiziale), poiché essa si ricollega all'importo delle imposte versate a monte per definire la base imponibile e, pertanto, in tal modo, le riduce.

II - Natura e calcolo della Kammerumlage

3 La Kammerumlage contribuisce al finanziamento dei compiti istituzionali delle Camere di commercio, fra i quali la difesa degli interessi di tutti i membri. Ai sensi dell'art. 3, n. 2, dello Handelskammergesetz (legge austriaca in materia di Camere di commercio, in prosieguo: lo «HKG»), sono membri della Camera di commercio «tutte le persone fisiche o giuridiche nonché tutte le società in nome collettivo (società in accomandita semplice) e le società a scopo di lucro registrate, autorizzate allo svolgimento, in maniera autonoma, di attività imprenditoriali di natura artigianale, industriale, commerciale, nonché nei settori della finanza, del credito, delle assicurazioni, del trasporto e del turismo». La legge ha configurato la Camera di commercio come un'associazione con obbligo di adesione.

4 Secondo le indicazioni fornite dal giudice a quo, alle Camere di commercio viene affidato il compito, accanto alla tutela degli interessi comuni dei loro membri, di svolgere mansioni ausiliarie per conto dello Stato. Una parte rilevante delle missioni loro attribuite dalla legge chiama le Camere di commercio a partecipare all'esercizio delle tre funzioni dello Stato.

5 A norma dell'art. 57, nn. 1-6, dello HKG, i membri delle Camere di commercio sono obbligati a versare l'imposta detta «Kammerumlage 1» (in prosieguo: la «KU 1»). L'art. 57 ha il seguente disposto:

«1) Per far fronte alle spese, previste nei bilanci preventivi annuali approvati e non coperte con entrate diverse, che dovranno sostenere le Camere di commercio federali e dei Länder, può venire imposto ai membri un contributo in rapporto all'utilizzazione dei servizi offerti; tale rapporto va commisurato anche a quello esistente tra l'ammontare dei contributi e la differenza tra i prezzi d'acquisto e di vendita. (...) Il contributo si calcola in base agli importi che:

a) sono dovuti a titolo di imposta sul valore aggiunto sulle forniture o sulle altre prestazioni fornite al membro della Camera di commercio per la sua impresa da terzi imprenditori, ad eccezione di quelli dovuti, a tale titolo, sulle cessioni d'impresa,

b) sono dovuti dal membro della Camera di commercio a titolo di IVA sulle importazioni o sugli acquisti intracomunitari di beni per la sua impresa.

L'imposta viene fissata dall'Assemblea della Camera di commercio federale in base ad un'aliquota in millesimi della base imponibile, a norma di quanto disposto alle lettere a e b. L'aliquota non può superare il 4,3$.

2) In deroga al numero 1, la base imponibile per singole categorie di membri della Camera di commercio viene stabilita come segue:

1. Per gli istituti di credito (...), va tenuta presente la somma delle commissioni lorde e la somma del (...) ricavato netto degli interessi (...).

2. Per le società di assicurazione, le quali (...) fanno parte della sezione finanze, crediti e assicurazioni, va tenuto presente (...) il volume dei premi (...).

3) L'assemblea della Camera di commercio federale può decidere che alcune voci della base imponibile non siano prese in considerazione, qualora la soluzione contraria possa condurre, nell'ambito di specifici settori professionali, a un'imposizione sproporzionata a carico dei membri della Camera di commercio (...).

(...)

5) L'importo di cui ai nn. 1 e 2 va riscosso dagli uffici delle imposte competenti della federazione secondo le seguenti modalità:

1. Le norme fiscali vigenti in materia di imposte sulla cifra d'affari, ad eccezione dell'art. 20, n. 1, quarta frase, e dell'art. 21 dell'Umsatzsteuergesetz (legge austriaca in materia di imposte sulla cifra d'affari) del 1994, vanno applicate mutatis mutandis.

2. Ogni soggetto passivo ha l'obbligo di calcolare esso stesso, per ogni trimestre dell'anno civile, l'importo dell'imposta che deve versare e di corrispondere quest'ultimo entro e non oltre il quindicesimo giorno del secondo mese del calendario successivo alla fine del trimestre considerato (...).

3. Se sul modulo ufficiale per la dichiarazione dell'imposta sulla cifra d'affari è prevista l'indicazione dell'importo annuo del contributo, il detto importo annuo va indicato nella dichiarazione dell'imposta sulla cifra d'affari.

4. Sono esenti dalle imposte i membri della Camera di commercio il cui fatturato (...) non supera i due milioni di scellini austriaci (ÖS).

5. Il presidente della Camera di commercio del Land è competente a decidere sui ricorsi aventi ad oggetto il fondamento o l'ammontare dell'imposta (...).

6) Il contributo di cui ai nn. 1 e 2 va versato dalle singole esattorie della federazione alla Camera di commercio federale. Esso è suddiviso tra le Camere di commercio dei Länder e la Camera federale secondo il rapporto 12:13 (...). Il 75% delle spettanze della Camera di commercio federale è destinato a sostenere il commercio con l'estero.

(...)».

6 Con regolamento 1_ gennaio 1995, la presidenza della Camera federale dell'economia dell'Austria ha stabilito che l'imposta dev'essere pari al 3,9$ della base imponibile.

7 Per coprire le proprie spese, la Camera federale dell'economia (o le Camere di ciascun Land) può fissare un contributo supplementare che si calcola in base ai salari, la cosiddetta «Kammerumlage 2» (in prosieguo: la «KU 2») (2). Dalle informazioni fornite dal governo austriaco si evince che attualmente questo contributo è effettivamente riscosso dalla Camera federale dell'economia e da tutte le Camere di commercio dei Land.

III - Procedimento a quo e questioni pregiudiziali

8 La ricorrente nella causa principale, la SPAR Österreichische Warenhandels AG, è una società per azioni che svolge attività commerciale e, in forza delle disposizioni dello HKG, è per legge membro della Camera di commercio federale e della corrispondente Camera del Land. La controversia è sorta poiché l'impresa aveva dichiarato che, per il 1995, l'importo della sua KU 1 dovesse essere pari a 0 ÖS. Il Finanzamt ha poi fissato importi diversi. Il ricorso proposto avverso questi provvedimenti ha portato alla fine la controversia dinanzi al Verwaltungsgerichtshof.

9 Dal punto di vista del Verwaltungsgerichtshof sussistono dubbi sulla compatibilità delle disposizioni di cui all'art. 57, nn. 1-6, dello HKG che riguardano la KU 1 con l'art. 17 della sesta direttiva. Esso dichiara, fra l'altro, quanto segue:

«La legge austriaca in materia d'imposta sulla cifra d'affari (...) concede, in linea di principio, piena facoltà di operare le detrazioni. La disciplina dell'art. 57, n. 1, dello HKG si risolve però in sostanza nel non concedere alle imprese ivi contemplate la possibilità di una detrazione integrale dell'IVA versata a monte, ma solo di una detrazione in misura minore. L'importo che si può far valere come imposta fissata a monte viene infatti assunto, in virtù dell'art. 57, n. 1, dello HKG, come parametro per un tributo analogo ad un'imposta. In questo modo dunque da un lato (...) si ammette la detrazione dell'IVA a monte, dall'altro però per una vasta categoria di imprese il fisco reclama il rimborso di una parte della somma dedotta come IVA a monte. Ciò si opera in maniera che l'importo relativo all'imposta sulla cifra d'affari per forniture (...) all'imprenditore (...) costituisce la base imponibile per la KU 1. La base imponibile per la KU 1 è quindi costituita dall'importo spettante all'imprenditore come quota di detrazione dell'IVA a monte (...)» (3).

Il giudice afferma inoltre:

«Il Verwaltungsgerichtshof ritiene inoltre giustificato il dubbio che si possa anche ritenere che la disciplina della KU 1 contravvenga al divieto di imposte analoghe alle imposte sulla cifra d'affari, sancito dall'art. 33 della direttiva 77/388/CEE (...) (4)».

10 A causa dei dubbi nutriti sulla compatibilità della KU 1 con le due summenzionate disposizioni della sesta direttiva, il Verwaltungsgerichtshof di Vienna ha proposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1. Se l'art. 17 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, vieti ad uno Stato membro di riscuotere un tributo che, secondo un'aliquota fissa, si calcola in base ai seguenti parametri:

a) l'imposta sulla cifra d'affari dovuta per le forniture o per altre prestazioni effettuate da terze imprese al soggetto passivo per la sua impresa, eccezion fatta per le ipotesi fondate sulle cessioni dell'impresa, e

b) l'imposta sulla cifra d'affari dovuta al soggetto passivo per l'importazione di beni destinati alla sua impresa e per gli acquisti effettuati dalla sua impresa all'interno della Comunità.

2) Se l'art. 33 della direttiva 77/388/CEE vieti la riscossione del contributo quale quello definito sub 1)».

IV - Disposizioni di diritto comunitario rilevanti

11 L'art. 17, n. 2, della sesta direttiva dispone quanto segue:

«Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore:

a) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo;

b) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci importate;

(...)».

12 L'art. 33 della sesta direttiva, nel testo di cui alla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (5), dispone che:

«1. Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, in particolare quelle previste dalle vigenti disposizioni comunitarie relative al regime generale per la detenzione, la circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere d'imposta sulla cifra d'affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».

B - Osservazioni

I - Sulla compatibilità della KU 1 con l'art. 33 della sesta direttiva (seconda questione pregiudiziale)

13 Contrariamente all'ordine delle questioni pregiudiziali e sull'esempio del governo italiano e della Commissione, occorre iniziare l'analisi con l'art. 33, poiché quest'ultimo traccia le linee generali di confine tra imposte di uno Stato membro e sistema comune di imposta sul valore aggiunto e, con ciò, delimita parimenti le competenze di cui godono gli Stati membri e la Comunità in materia di diritto dell'IVA. Ai sensi dell'art. 33, non si vieta ad uno Stato membro di mantenere o introdurre qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d'affari.

1. Se l'imposta camerale sia una quota associativa

14 A titolo di osservazione preliminare, si può sottolineare l'impossibilità di aderire alle conclusioni cui giunge il governo austriaco secondo il quale l'imposta camerale, essendo una quota associativa, non rientrerebbe assolutamente nell'ambito dell'art. 33 e sarebbe sempre ammissibile. E' ben possibile che, in base alle sue finalità, l'imposta camerale costituisca una forma di quota associativa. Tuttavia, l'importo di una quota associativa non oscilla in una misura paragonabile a quella dell'imposta camerale, bensì è stabilito entro un numero limitato di livelli. Inoltre una quota associativa non è nemmeno subordinata all'utilizzazione dei servizi offerti dall'ente. L'imposta camerale è invece prelevata quale corrispettivo dei servizi svolti dalla Camera di commercio, per quanto questi ultimi possano forse risultare fittizi. Essa è quindi paragonabile piuttosto a una tassa, che rientra nell'ambito dell'art. 33. Il criterio decisivo non è la denominazione letterale o lo scopo del tributo, bensì i suoi effetti (6).

15 Quanto alle circostanze che la KU 1 non è versata all'erario, bensì destinata a uno scopo particolare, che è corrisposta quale corrispettivo di una prestazione - pur se, forse, fittizia -, che il suo importo è fissato dall'Assemblea della Camera di commercio (non dal legislatore), che è prelevata trimestralmente e non annualmente, che la base imponibile e l'ammontare sono indicati dalla stessa impresa e che sono previste altre forme di tutela giuridica - cfr., a tal proposito, nei particolari, l'art. 57 dello HKG -, esse sono irrilevanti nel presente contesto, poiché valgono solo a differenziare le modalità dell'imposizione - imposta, diritto, tassa - e non a definire il carattere del contributo, che è la sola questione ora determinante.

16 Al contrario, l'art. 57, n. 5, sub 1, dello HKG, con il suo riferimento all'applicazione mutatis mutandis delle disposizioni vigenti per l'imposta sulla cifra d'affari, non assimila automaticamente - come allegato dalla Commissione - la KU 1 a un diritto paragonabile a un'imposta sulla cifra d'affari, poiché le disposizioni menzionate non definiscono la natura del diritto, bensì sono principalmente funzionali alle modalità tecniche di calcolo e liquidazione del tributo da parte dell'amministrazione.

2. Possibilità di analizzare isolatamente la KU 1

17 Occorre pertanto esaminare, alla luce dell'art. 33, la compatibilità della KU 1 con il sistema d'imposta sul valore aggiunto. Il governo austriaco e la Finanzlandesdirektion für Salzburg hanno sostenuto a tal proposito che la KU 1 non dovrebbe essere valutata isolatamente. Occorrerebbe piuttosto prendere in considerazione il sistema complessivo di finanziamento delle Camere di commercio, che comprende anche la KU 2, la quale viene calcolata in base ai salari. La KU 1 costituirebbe solo un elemento - non molto significativo - di questo sistema complessivo, per cui nemmeno gli effetti della KU 1, che si riflettano eventualmente sull'imposta fissata a monte, potrebbero essere analizzati isolatamente e valutati alla luce dell'art. 33.

18 Non ritengo condivisibile tale tesi poiché in questa sede non si discute sul finanziamento delle Camere di commercio in generale, bensì sul calcolo della KU 1 in base ai negozi a monte. Se si giungesse alla conclusione che questa modalità di calcolo è incompatibile con il sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto, l'esistenza di un contributo ulteriore - la KU 2 -, calcolato in modo differente, si rivelerebbe privo di significato; tanto più che i due contributi sono reciprocamente indipendenti in quanto essi (come chiarito in udienza) non sono necessariamente versati insieme da tutti i membri. Per questa ragione la KU 1 può essere esaminata isolatamente alla luce dell'art. 33.

3. Esame delle caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto

19 Come la Corte ha ripetutamente dichiarato (per esempio, nelle sentenze Kerrutt, Wisselink e Giant), l'art. 33 non osta all'esistenza di regimi di imposta concorrenti con l'IVA (7). Gli Stati membri possono pertanto istituire tributi la cui riscossione porti a un cumulo con l'imposta sul valore aggiunto per la stessissima operazione, purché queste imposte o diritti non abbiano il carattere di imposte sulla cifra d'affari (8). Sono illegittimi anche o, rectius, ancor più i diritti che potrebbero essere sostituiti con un aumento dell'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto (9).

20 I criteri di delimitazione, così come il dettato complessivo dell'art. 33, devono essere presi in considerazione nell'ambito del sistema armonizzato dell'imposta sulla cifra d'affari sotto forma di sistema comune di imposta sul valore aggiunto (10). Ai sensi dell'art. 2 della prima direttiva IVA (11), tutto ciò è fondato sul principio che consiste nell'applicare ai beni ed ai servizi un'imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi - fino allo stadio del commercio al minuto incluso - qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell'imposizione. A ciascuna transazione, l'imposta sul valore aggiunto è esigibile solo previa deduzione dell'ammontare dell'IVA che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo.

21 L'art. 33 della sesta direttiva si propone di impedire che il funzionamento del sistema comune dell'IVA sia leso da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravano sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpiscono i negozi commerciali in modo analogo a quello che caratterizza l'IVA (12). La Corte non si basa quindi principalmente sulla questione se gli oneri abbiano o meno il carattere di imposte sulla cifra d'affari, bensì esamina sempre prioritariamente il problema, se i diritti presentino le caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto. Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte (v. per esempio le sentenze Bozzi e Dansk Denkavit), devono essere considerati colpire la circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello tipico dell'IVA, le imposte, i diritti e le tasse che posseggono le caratteristiche essenziali dell'IVA. Ne consegue che il citato art. 33 non osta al mantenimento in vigore o all'istituzione di tipi di imposte, diritti e tasse non aventi le caratteristiche essenziali dell'IVA (13). Quanto alle caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto, la Corte le ha già definite in più occasioni:

- l'IVA si applica in maniera generale a negozi aventi ad oggetto beni o servizi;

- essa è proporzionata al prezzo di tali beni o servizi;

- essa è riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione;

- essa colpisce il valore aggiunto dei beni e dei servizi giacché l'imposta dovuta in occasione di un negozio viene calcolata previa detrazione di quella pagata in occasione del negozio precedente (14);

- infine, occorre ancora sottolineare che l'imposta può essere trasferita sul prezzo dei servizi e dei beni e che essa va pertanto, in definitiva, a carico del consumatore (15).

3.1 Validità generale della KU 1

22 Si dovrà adesso verificare se la KU 1, in questa sede controversa, presenti queste caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto. Come primo (duplice) criterio si deve pertanto esaminare se la KU 1 si applichi in modo generale ai negozi aventi ad oggetto beni o servizi. Secondo il parere della Commissione, il requisito della generalità è soddisfatto. Essa fa riferimento a tal proposito all'ordinanza di rinvio e alle dichiarazioni del giudice a quo, secondo le quali ogni operatore economico dei settori dell'industria, dell'artigianato e del commercio è assoggettato all'imposta camerale. Essa fa rinvio inoltre all'art. 3, n. 2, dello HKG; ai sensi di questa disposizione, sono membri delle Camere di commercio tutte le persone fisiche o giuridiche nonché tutte le società in nome collettivo (società in accomandita semplice) e a scopo di lucro le quali svolgono, in maniera autonoma, attività imprenditoriali di natura artigianale, industriale, commerciale, nonché nei settori della finanza, del credito, delle assicurazioni, del trasporto e del turismo. La circostanza che la KU 1 si applichi a negozi si evince, secondo la Commissione, dall'art. 57, n. 1, dello HKG, in forza del quale l'imposta è determinata in base agli importi dovuti dal terzo imprenditore a titolo d'imposta sulla cifra d'affari a fronte delle forniture o delle altre prestazioni fornite al membro della Camera di commercio. Ciò significa che l'imposta è collegata all'imposta sulla cifra d'affari dovuta dal fornitore a titolo delle sue forniture, e pertanto ai suoi negozi.

23 Viceversa, i governi italiano e tedesco sostengono che la KU 1 non ha un ambito di validità generale. Il governo italiano sottolinea a tal proposito la circostanza che la KU 1 non grava sui liberi professionisti il cui fatturato è inferiore a due milioni di ÖS. Secondo la Commissione, però, questo non altera il carattere generale della KU 1, perché anche la sesta direttiva prevede determinate eccezioni per le piccole imprese, i produttori agricoli e i liberi professionisti, la qual cosa non pregiudica assolutamente il carattere generale dell'imposta sul valore aggiunto.

24 Il governo austriaco allega tuttavia che la KU 1 non è sempre calcolata in base ai negozi a monte, vale a dire in base alle forniture al membro della Camera di commercio. L'art. 57, n. 2, dello HKG prevede infatti basi imponibili diverse per istituti di crediti e società di assicurazione. Ai sensi dell'art. 57, n. 3, l'Assemblea della Camera di commercio federale potrebbe decidere di escludere alcune componenti della base imponibile dal calcolo dell'imposta camerale, nel caso di un'imposizione sproporzionata a carico di specifici settori professionali, come avvenuto in qualche ipotesi. Esisterebbero di conseguenza eccezioni al calcolo della KU 1, ai sensi dell'art. 57, n. 2, dello HKG, per gli istituti di credito, gli istituti finanziari, le società di assicurazione, le casse per le pensioni, le imprese edilizie, l'industria petroliera, il settore del commercio dei combustibili ed idrocarburi, i supermercati alimentari, gli spedizionieri, le imprese di trasporto merci, nonché le stazioni di servizio. Da ciò discenderebbe che il collegamento con i negozi a monte sarebbe solo una fra le tante modalità di calcolo.

25 In udienza la Finanzlandesdirektion für Salzburg ha illustrato la rilevanza che riveste l'imposta camerale in base al suo ambito di applicazione. Se ne ricava che la KU 1 grava solo su circa la metà dei membri delle Camere di commercio, vale a dire pressappoco su 111 000 soggetti. Andrebbe parimenti rilevato che esiste un numero molto ridotto di membri delle Camere di commercio tenuti al versamento della sola KU 1. Ciò significherebbe che la KU 1 opererebbe nella grandissima maggioranza dei casi in combinazione con la KU 2. I soggetti passivi obbligati al versamento della sola KU 1 si ridurrebbero a poche migliaia. Infine, si è detto in udienza che in circa 6 000 casi la KU 2 sarebbe riscossa indipendentemente dalla KU 1 calcolata in base all'imposta a monte. Ciò confermerebbe che il caso della KU 1 collegata al negozio a monte costituirebbe solo una delle tante modalità di calcolo e non potrebbe essere considerato generale. Per di più, si è già avuto modo di sottolineare che il collegamento tra la KU 1 e la KU 2 è irrilevante ai fini della questione che occorre risolvere in questa sede.

26 Il governo italiano sottolinea infine che la KU 1 non si applica nemmeno a tutti i negozi dei membri delle Camere di commercio, bensì soltanto nei casi in cui questi ultimi abbiano ricevuto forniture e abbiano dovuto pertanto versare un'imposta sulla cifra d'affari. In udienza il rappresentante della Finanzlandesdirektion für Salzburg ha illustrato un esempio al riguardo. Egli ha ipotizzato che l'imprenditore assoggettato all'imposta camerale abbia interamente prodotto da solo il bene da lui fornito, senza ricorrere all'ausilio di terzi. In questo caso, la KU 1 non si applicherebbe proprio. Secondo la tesi del governo austriaco, l'imposta camerale si basa, in linea generale, sui fattori produttivi esterni, vale a dire sulle prestazioni effettuate a favore dell'impresa. Poiché la prospettiva principale, che va sempre tenuta presente, è quella della riscossione della KU 1 in rapporto all'utilizzazione dei servizi offerti dalle Camere di commercio, occorrerebbe determinare in ogni caso il modo in cui tale rapporto dev'essere rispettato nel modo migliore. Per tali ragioni, i fattori produttivi esterni sarebbero in parte calcolati in base ai salari, ma in parte anche in base alle forniture e, nel caso delle società di assicurazione, per esempio, mediante altri metodi.

27 Ma, come sottolineato prima, tutto ciò risulta inifluente, poiché è necessario verificare se il calcolo dell'imposta camerale in base ai negozi a monte sia compatibile con il sistema di imposta sul valore aggiunto. Al riguardo occorre esaminare se il prelievo della KU 1 in base ai negozi a monte debba essere considerato un'imposta o, rectius, un diritto generale nel senso di un'imposta sul valore aggiunto. Ciò dipende in primo luogo dalla definizione della nozione di «generale», ragion per cui non può escludersi a priori che anche una fra le tante modalità di calcolo possa essere considerata generale nel senso dell'imposta sul valore aggiunto.

28 Dalle allegazioni delle parti si evince con chiarezza che alla base di ognuna delle loro tesi stanno concezioni distinte della nozione di «generale». Nella giurisprudenza della Corte non è dato ricavare una definizione davvero chiara della detta nozione. E' pertanto necessario esaminare alcune specifiche sentenze vertenti sulla questione della validità generale di un'imposta, per ricavare in tal modo eventualmente un criterio di delimitazione. Così, ad esempio, la Corte ha negato l'esistenza di questa validità generale nel caso di un'imposta particolare sui consumi che colpiva un certo tipo di autovetture e che era riscossa in occasione della loro consegna o della loro importazione. La Corte ha dichiarato che non si trattava in tal caso di un'imposta generale, poiché essa colpiva solo due categorie di prodotti ben determinati, cioè talune autovetture e motociclette (16).

29 La Corte si è pronunciata nello stesso senso in merito a un'imposta istituita da un Comune, mediante un regolamento in forza del quale chiunque abitualmente o occasionalmente organizzasse spettacoli o intrattenimenti pubblici nel territorio del Comune e facesse pagare a tale titolo un prezzo d'ingresso era debitore di un'imposta sull'ammontare lordo di tutti i proventi. Essa non è stata considerata un'imposta generale, poiché si applicava solo a una categoria limitata di beni e di servizi (17).

30 Infine, non è stato considerato di natura generale un contributo integrativo versato alla Cassa di previdenza, alla quale tutti gli avvocati esercenti stabilmente un'attività in Italia sono obbligati ad iscriversi. Tutti gli avvocati iscritti all'ordine dovevano applicare una determinata maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel loro volume d'affari annuo ai fini dell'IVA e versarne l'ammontare alla cassa. Anche in quel caso la Corte ha deciso che questo contributo integrativo non costituiva un prelievo avente carattere generale. Essa ha motivato ciò sottolineando che il detto contributo riguardava solo gli avvocati e che, inoltre, non si applicava a tutti gli onorari, ma solo a quelli corrispondenti all'attività forense (18).

31 Ne deriva che va escluso il carattere generale dell'imposta quando essa si ricollega solo a beni, attività o categorie di persone ben determinate. Nella presente controversia si potrebbe pertanto ritenere che, come nell'ultimo caso menzionato, l'imposta riguardi solo una determinata categoria di persone, vale a dire i membri delle Camere di commercio, e che essa non possa essere pertanto considerata generale.

32 Questo appare tuttavia problematico. Indubbiamente determinate imprese - come risulta dalle allegazioni delle parti - non sono soggette alla KU 1 (per esempio, quando il loro fatturato annuo non è superiore ai 2 milioni di ÖS). Tuttavia, da questa circostanza non discende che solo determinate categorie di persone, e pertanto determinate attività e negozi, sono colpite da questo contributo. Si potrebbe affermare piuttosto che la KU 1 grava su imprenditori operanti in tutti i settori dell'economia. Ciò corrisponde alla logica dello HKG, secondo la quale sarebbe auspicabile che tutti gli utenti dei servizi delle Camere di commercio contribuiscano al finanziamento di queste ultime. L'ambito di validità "ratione personae" degli artt. 1, n. 1, e 3, nn. 2 e 3, dello HKG è definito in termini così ampi che l'affermazione del governo austriaco, secondo la quale la KU 1 riguarderebbe solo alcune imprese, non può essere accolta senza discussione. Le eccezioni indicate dal governo austriaco potrebbero essere giudicate piuttosto come una conferma della regola, secondo la quale la KU 1 gode di un'applicazione generale.

33 Volendo comunque prendere in considerazione le norme in vigore per gli istituti di credito e le società di assicurazione, per i quali vige una modalità di calcolo diversa da quella fondata sui negozi a monte, si potrebbe giungere a un altro risultato. Ma anche quest'eccezione porta semplicemente ad escludere determinate categorie di imprese ed attività dall'ambito della KU 1 calcolata in base ai negozi a monte. Per negare il carattere generale sarebbe però necessario che l'imposta o, rectius, il contributo riguardasse solo categorie di persone, beni o attività davvero ben determinate. Ma il contributo colpisce sempre, di regola, una gran parte della vita economica o, per meglio dire, delle attività economiche. Pertanto, non può negarsi alla KU 1 un carattere generale ai sensi della sesta direttiva.

3.2 Finalità della KU 1

34 Si deve ora esaminare se la KU 1 debba essere considerata diversa da un diritto avente il carattere d'imposta sulla cifra d'affari ai sensi dell'art. 33 - benché colpisca i negozi in modo generale - solo perché è stata creata specificamente per il finanziamento delle Camere di commercio. In tale contesto occorre fare riferimento alla sentenza Wilmot, in cui la Corte si era pronunciata su un contributo di solidarietà destinato a finanziare fondi previdenziali. I diritti erano stati istituiti specificamente per alimentare fondi previdenziali. Il loro evento generatore era costituito dall'attività delle imprese, o di determinate categorie di imprese, ed erano commisurati al fatturato annuo complessivo, senza incidere direttamente sul prezzo dei beni e dei servizi (19). Anche in tale occasione la Corte si è richiamata alla funzione dell'art. 33, che è di impedire che si perturbi il funzionamento del sistema comune dell'IVA. L'art. 33 non può quindi - chiariva la Corte - «mirare a vietare agli Stati membri il mantenere in vigore o l'istituire tributi che non abbiano natura fiscale, ma siano istituiti specificamente per alimentare fondi previdenziali e il cui fatto generatore sia costituito dall'attività delle imprese, o di determinate categorie di imprese, e siano commisurati al fatturato annuo complessivo, senza incidere direttamente sul prezzo dei beni e dei servizi» (20).

35 Da ciò si può trarre la conclusione che una «quota associativa» per il finanziamento di un organismo autonomo non può essere considerata un'imposta o, meglio, un diritto ai sensi dell'art. 33. A tal proposito occorre però osservare che l'art. 33 non venne allora applicato non semplicemente perché il prelievo era stato istituito per finanziare fondi previdenziali, ma anche perché non erano presenti talune caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto. Pertanto anche in tale circostanza ci si basò sulle caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto.

36 Di conseguenza, anche la KU 1 dev'essere esaminata alla luce delle caratteristiche essenziali dell'imposta sul valore aggiunto. Come già constatato, occorre ammettere che essa presenta la prima caratteristica, poiché la KU 1 è collegato in modo generale ai negozi.

3.3 Definizione dei negozi gravati dalla KU 1

37 In questo contesto potrebbe tuttavia essere anche importante sapere a quali negozi essa si ricolleghi. Il punto dev'essere esaminato adesso poiché a seconda dei negozi presi come base la questione concernente l'esistenza del secondo criterio - la proporzionalità - va risolta in modo diverso. Com'è già stato ricordato, il sistema comune di imposta sul valore aggiunto poggia, ai sensi dell'art. 2 della prima direttiva IVA, sul principio secondo il quale occorre applicare ai beni e ai servizi un'imposta generale sui consumi. In forza dell'art. 2 della sesta direttiva, sono soggetti all'imposta sul valore aggiunto:

1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

2. le importazioni di beni.

Ai sensi della sesta direttiva, si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo un'attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività (21). La sesta direttiva si fonda di conseguenza sull'attività economica del soggetto passivo. Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, vale a dire i negozi da esso realizzati, sono soggette all'imposta sul valore aggiunto. Ciò risulta parimenti dall'art. 11 A, n. 1, lett. a), il quale determina la base imponibile. Per le forniture di beni e le prestazioni di servizi, la base imponibile è costituita da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato al fornitore o al prestatore per tali operazioni. Ciò significa che colui il quale effettua i negozi imponibili è parimenti soggetto passivo ai sensi della sesta direttiva.

38 Nel caso della KU 1, però, non sono i negozi effettuati dal soggetto passivo della medesima a costituire la base imponibile del contributo e ad essere pertanto direttamente gravati dall'imposta. La base per il calcolo è costituita dall'IVA versata, unitamente al prezzo, dal membro della camera di commercio ai suoi fornitori. Sono pertanto i negozi del fornitore che sono posti alla base del calcolo dell'imposta camerale. Secondo il governo austriaco, ne deriva che la KU 1 non costituisce un'imposta sulla cifra d'affari ai sensi dell'art. 33.

39 Si potrebbe ammettere un assoggettamento dei negozi del soggetto passivo dell'imposta camerale accogliendo l'ipotesi che l'imprenditore gravato dalla KU 1 trasferisca l'imposta camerale che egli deve versare sul prezzo delle sue cessioni di beni o prestazioni di servizi e, in tal modo, sulla successiva fase di utilizzazione. Occorre tuttavia tener presente a tal proposito che non esistono collegamenti diretti tra la KU 1 versata e il negozio effettuato dal membro della camera di commercio. Come il rappresentante della Finanzlandesdirektion für Salzburg ha chiarito in udienza con un esempio, non ogni negozio del soggetto passivo dell'imposta camerale comporta il prelievo della KU 1. Se l'imprenditore assoggettato all'imposta camerale ha interamente prodotto egli stesso il bene ceduto, senza far ricorso a fattori produttivi esterni, non si applica la KU 1. Essa non è quindi compresa nel prezzo del bene, nemmeno quale fattore per il calcolo dei costi.

40 Anche se, viceversa, si potesse constatare che, ogni volta che è dovuta una KU 1, esiste un negozio corrispondente riferibile al membro della Camera di commercio, il collegamento tra l'onere fiscale e la singola operazione, necessario nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto, non potrebbe per ciò solo ritenersi in questa sede realizzato. Ciò apparirà con chiarezza esaminando il prossimo criterio da valutare, il quale esige che l'imposta o, per meglio dire, il diritto sia esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi.

3.4 Proporzionalità della KU 1

41 Essa è ammessa dalla Commissione. Quest'ultima fa riferimento a tal proposito al dettato dell'art. 57 dello HKG, secondo il quale l'imposta è riscossa in rapporto al principio dell'utilizzazione dei servizi e ciò tenendo presente che, come prescritto dall'art. 57, questo rapporto di proporzionalità «va commisurato anche a quello esistente tra l'ammontare dei contributi e la differenza tra i prezzi d'acquisto e di vendita». Questa formulazione è troppo imprecisa per giustificare una proporzionalità. La questione del quando la KU 1 sia effettivamente proporzionale all'utilizzazione resta pertanto soggetta all'interpretazione, poiché la proporzionalità dev'essere misurata in funzione del rapporto tra l'importo dei contributi e la differenza tra prezzi di acquisto e di vendita - vale a dire l'utile - solo «anche», vale a dire «tra l'altro». Inoltre, secondo quanto riferito in udienza, questa proporzionalità è considerata solo quale principio programmatico superiore, rispettato nelle singole imprese mediante differenti modalità di calcolo. Una di esse consiste nell'assumere come base i negozi a monte. Ma ciò non basta tuttavia a dimostrare che questa modalità di calcolo conduca effettivamente a un onere esattamente proporzionale al prezzo delle cessioni di beni e di servizi.

42 A riprova della proporzionalità, la Commissione aggiunge che la KU 1 dovrebbe essere «calcolata in base alla tassa sul fatturato» (22) e «ne condividerebbe pertanto la proporzionalità». A tal proposito occorre dire che l'imposta che il membro della Camera di commercio versa unitamente al prezzo, e sulla quale si base il calcolo della KU 1, fa riferimento ai negozi del fornitore, vale a dire alle operazioni a monte. Quest'imposta è esattamente proporzionale al prezzo dei beni messi a disposizione dal fornitore. Poiché la KU 1 è calcolata in millesimi di quest'imposta sulla cifra d'affari, se ne può dedurre che essa stessa sia esattamente proporzionale al prezzo di questi beni o dei servizi forniti. Tuttavia, così com'è stato prima dimostrato, le operazioni che occorre esaminare in questa sede non sono quelle della fase a monte, bensì quelle effettuate dallo stesso membro della Camera di commercio. Non è certo che esista una proporzionalità esatta anche in rapporto al prezzo riscosso per queste operazioni.

43 Persino partendo dalle ipotesi che l'imprenditore assoggettato all'imposta camerale trasferisca la KU 1 da lui assolta sul prezzo dei beni e dei servizi da lui offerti, non può ammettersi che l'importo dell'imposta camerale sia esattamente proporzionale al prezzo dei detti beni e servizi. L'ammontare della KU 1 dipende dalle forniture di cui ha bisogno per le sue operazioni l'imprenditore assoggettato all'imposta camerale. Il prezzo dei beni e dei servizi da lui poi forniti non dipende però soltanto dal volume delle suddette forniture, ma anche dalle sue stesse prestazioni. Queste ultime possono essere di diverso ammontare e pertanto essere incluse in proporzione diverse nel prezzo del prodotto finito. Il rappresentante della Finanzlandesdirektion für Salzburg ha infatti sottolineato in udienza che il valore aggiunto varia da un settore economico all'altro, e persino all'interno dello stesso settore, a seconda che l'imprenditore riesca o meno a sfruttare in modo ottimale i mezzi impiegati. Un settore economico ad alta redditività è costituito, per esempio, dagli istituti di credito e dalle società di assicurazione. In tale ambito, le somme dovute a titolo di IVA sulle forniture effettuate da imprese terze o sulle prestazioni di altro tipo rappresentano solo importi esigui. Significa che, malgrado una redditività relativamente alta, l'onere rappresentato dalla KU 1 sarebbe abbastanza ridotto. Ciò è del resto la ragione per cui il legislatore dello HKG ha formulato per questo settore l'eccezione di cui all'art. 57, n. 2, dello HKG, in forza della quale la KU 1 non è calcolata in funzione dei negozi a monte.

44 Per le ragioni esposte, non sembra evidente come la KU 1 possa essere sempre esattamente proporzionale al prezzo dei beni. Ciò fa pensare che nel caso della KU 1 si sia fondamentalmente in presenza - come affermato, tra l'altro, dai governi austriaco e tedesco - solo di una componente dei costi, la quale, come altre componenti, grava sul prezzo del prodotto finito, senza che possa però essere considerata un'imposta sul valore aggiunto.

45 Occorre pertanto ritenere che la KU 1 non gravi sui negozi dei membri delle Camere di commercio in modo paragonabile all'imposta sul valore aggiunto e che non sia nemmeno esattamente proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi offerti da questi ultimi.

46 Occorre però esaminare se la conclusione cui si è giunti vada modificata qualora si prendano in considerazione i negozi del fornitore del membro della Camera di commercio. Come anche la Commissione ha sottolineato in udienza, a fronte del ricevimento di una prestazione sta sempre, nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto, la fornitura di una prestazione.

47 Si potrebbe sostenere a tal proposito che, nella cornice dell'art. 33, il solo aspetto decisivo è che alcuni negozi - non importa quali - siano assoggettati ad un'imposta in modo paragonabile all'IVA. Basandosi allora sulle operazioni effettuate dal fornitore del membro della Camera di commercio, si potrebbe ipotizzare che queste ultime siano tassate, poiché la KU 1 è calcolata a partire da questi negozi. Come già evidenziato, la KU 1 è anche proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi offerti nell'ambito di questi negozi a monte. Occorre comunque sottolineare che in questo caso non è il fornitore (vale a dire colui che effettua le operazioni) a dovere versare la KU 1, bensì la persona che beneficia dei beni o dei servizi.

48 Questa circostanza non deve necessariamente portare a ritenere che l'imposizione della KU 1 non possa essere considerata paragonabile all'imposta sul valore aggiunto, poiché anche nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto è proprio il beneficiario della prestazione che versa l'IVA. Essa è da lui versata, unitamente al prezzo, al fornitore, il quale la riversa poi al competente ufficio delle imposte (dopo aver dedotto l'IVA che lui stesso ha versato sui negozi a monte). Nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto è previsto che il tributo venga trasferito sulla fase produttiva successiva. Anche nel caso della KU 1 è la persona che beneficia dei beni o dei servizi che assolve l'imposta camerale. La differenza con l'IVA consiste nel fatto che il soggetto passivo non versa l'imposta camerale al fornitore, ma l'assolve direttamente.

49 In considerazione di ciò si potrebbe ipotizzare che con la KU 1 - ragionando rigorosamente a livello di principi - vengano assoggettate a imposta talune operazioni in modo paragonabile all'IVA. Rimane comunque dubbio se, seguendo un simile ragionamento, si possano ritenere soddisfatti anche gli altri criteri dell'IVA.

3.5 Possibilità di trasferire l'onere rappresentato dalla KU 1 sul consumatore finale

50 Come dichiarato dalla Corte, un'imposta può avere il carattere di un'imposta sulla cifra d'affari ai sensi dell'art. 33 solo se può essere trasferita sul consumatore (23). Ciò significa anche che, una volta giunto al consumatore finale, che non sia un soggetto passivo, il bene resta gravato dall'IVA per un importo proporzionale al prezzo che il detto consumatore ha pagato al proprio fornitore (24). Nel sistema dell'IVA, l'imposta sul valore aggiunto è sempre pagata, sino al livello del consumatore finale, dal beneficiario al fornitore, che versa l'imposta, detratto il tributo da lui assolto quale beneficiario di altre prestazioni. L'imposta sul valore aggiunto è in tal modo sempre esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi offerti. Questo è valido anche per l'imposta sul valore aggiunto che deve versare il consumatore finale.

51 Nel caso della KU 1, però, è la fornitura al membro della Camera di commercio che costituisce l'operazione tassata. L'imposta camerale è versata dalla persona che riceve i beni o i servizi. Nel caso di una fornitura a un consumatore finale, che non sia membro della Camera di commercio, non si applica pertanto nessuna KU 1. Essa è già stata applicata nella fase precedente, in occasione della fornitura all'ultimo imprenditore, che l'ha parimenti assolta. Anche ipotizzando che quest'ultimo imprenditore nel ciclo produttivo trasferisca l'onere sul consumatore finale, si tratterà di un'ipotesi diversa dalla tassazione del consumatore finale prevista dalla sesta direttiva. Qui non c'è trasferimento diretto del contributo sul beneficiario dell'operazione tassata, bensì un onere applicato, mediante calcoli sui prezzi, in una fase posteriore. Inoltre, come già dimostrato, l'imposta camerale non è esattamente proporzionale al prezzo che deve versare il consumatore finale.

3.6 Riscossione della KU 1 in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione

52 In questo modo è anche certo che il terzo criterio individuato dalla Corte non è soddisfatto: la KU 1 non è riscossa in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione (ivi compresa quella del commercio al minuto). L'ultima fase - il trasferimento proporzionale sul consumatore - in questo caso manca.

53 Ciò potrebbe forse andare diversamente se ci si fondasse sui negozi del membro della Camera di commercio. Poiché sono membri della Camera di commercio imprenditori attivi in tutte le fasi della produzione e della distribuzione, si potrebbe dire che la KU 1 è, in linea di principio, riscossa in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione. Si deve tuttavia ricordare che - qualora ci si basi su questo ragionamento - viene meno la proporzionalità della KU 1.

3.7 Applicazione della KU 1 al valore aggiunto

54 Per quanto concerne ora il quarto criterio - applicazione al valore aggiunto dei beni e dei servizi - è pacifico che la KU 1 non grava sul valore aggiunto dei beni, poiché essa è calcolata solo in base all'imposta dovuta a monte, vale a dire all'imposta sul valore aggiunto dovuta per le forniture ai membri della Camera di commercio. E' però motivo di controversia la questione, se un'imposta o, rectius, un diritto ai sensi dell'art. 33 debba soddisfare incondizionatamente questo criterio. Dall'esame della giurisprudenza della Corte si evince che quest'ultima ha ribadito che un'imposta o, meglio, un diritto non può considerarsi analogo all'IVA, tra l'altro, se esso non grava sul valore aggiunto dei beni (25). La Commissione è di diverso parere. Essa fa riferimento a tal proposito alla sentenza Dansk Denkavit e Poulsen Trading, dove la Corte ha affermato che non è necessario che un tributo sia del tutto simile all'IVA per avere il carattere d'imposta sulla cifra d'affari (26). La Corte comunque aggiunge: «è sufficiente che ne possegga le caratteristiche essenziali» (27). Ma una di queste caratteristiche essenziali individuate dalla Corte è il fatto di gravare sul valore aggiunto dei beni e dei servizi. Di conseguenza, affinché un'imposta o, meglio, un diritto sia incompatibile con il sistema dell'IVA ai sensi dell'art. 33, sarebbe indispensabile che esso gravi sul valore aggiunto dei beni e dei servizi.

55 Occorre comunque sottolineare che la Corte ha più volte dichiarato che devono «in ogni caso» essere considerati colpire la circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello tipico dell'IVA, le imposte, i diritti e le tasse che posseggono caratteristiche essenziali dell'IVA (28). Da ciò non si può certamente trarre la conclusione che un'imposta non possa essere contraria all'art. 33 se uno di questi caratteri non sia presente, in particolare l'applicazione al valore aggiunto. Ciò è indicato anche dal dettato dello stesso art. 33, ove si dice semplicemente che può essere mantenuta, in generale, qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d'affari. Di conseguenza anche un'imposta sulla cifra d'affari la quale non gravi sul valore aggiunto dei beni e dei servizi potrebbe eventualmente essere considerata, ai sensi dell'art. 33, incompatibile con il sistema dell'IVA. In tal caso occorrerrebbe allora accertare se, malgrado l'assenza di quest'unica caratteristica l'imposta o, meglio, il diritto non alteri il funzionamento del sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto in modo paragonabile all'IVA. Ma poiché in questa sede è già sicura, per altre ragioni (difetto di proporzionalità o, meglio, di un possibile trasferimento su un consumatore finale), l'assenza di imposte paragonabili all'IVA, la mancanza di un altro criterio essenziale - vale a dire l'applicazione al valore aggiunto - può solo corroborare la conclusione secondo la quale il sistema dell'imposta sul valore aggiunto non è assolutamente alterato.

56 Si può pertanto affermare che la KU 1, in questa sede controversa, non è un diritto paragonabile all'imposta sulla cifra d'affari ai sensi dell'art. 33 della sesta direttiva. Essa rappresenta piuttosto una componente dei costi che può gravare sul prezzo dei beni e che contribuisce al finanziamento di un ente autonomo. Anche se la KU 1 dovesse colpire in tal modo talune operazioni, ciò non avviene in modo contrario all'art. 33, poiché essa non si pone accanto all'IVA bensì, quale tributo particolare, prende solo in considerazione l'ammontare delle imposte a monte come elemento per il calcolo della base imponibile.

57 Occorre quindi risolvere la seconda questione pregiudiziale dichiarando che l'art. 33 della sesta direttiva non osta al prelievo della KU 1.

II - Analisi dell'art. 17, n. 2, della sesta direttiva (prima questione pregiudiziale)

58 Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice a quo chiede inoltre chiarimenti sulla compatibilità della KU 1 con l'art. 17 della sesta direttiva. Quest'ultimo disciplina le detrazioni, le quali consentono all'IVA di applicarsi solo al valore aggiunto dei beni e dei servizi. Secondo il parere della Commissione, in questo caso sussiste una violazione dell'art. 17 poiché, calcolando l'imposta camerale in base al negozio a monte, sul quale si basa parimenti la deduzione, quest'ultima subirebbe una riduzione. Le altri parti in causa sono di diverso parere. I governi austriaco e tedesco, per esempio, allegano infatti che la deduzione verrebbe ridotta - sempre che ciò possa avvenire - solo da un punto di vista contabile.

59 Non sembra necessario esaminare ulteriormente la KU 1 alla luce dell'art. 17 della sesta direttiva. Una volta accertato che la KU 1 è compatibile, ai sensi dell'art. 33, con il sistema dell'imposta sul valore aggiunto, benché porti a un onere per le operazioni, un esame supplementare renderebbe superflue le analisi svolte per l'art. 33. Quest'ultimo rappresenta la norma che delimita, in rapporto al sistema delle imposte sul valore aggiunto, le imposte e i diritti che gli Stati membri sono autorizzati a mantenere. Pertanto, è solo sulla base dell'art. 33 che occorre decidere quali imposte e diritti possano essere mantenuti accanto all'IVA. Una volta constatato che, in considerazione delle sue caratteristiche oggettive, il diritto è globalmente compatibile con l'insieme del sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto, non è più giustificato un esame della sua compatibilità in merito a specifici punti. Se un diritto è in regola con l'art. 33 della sesta direttiva valgono allora le peculiari norme (nazionali) previste per esso e non, per quanto lo concerne, quelle della sesta direttiva. Se la soluzione fosse differente ciò porterebbe ad una limitazione delle competenze nazionali e, di conseguenza, a un conflitto con il principio di sussidiarietà. Le imposte e i diritti ammissibili in forza dell'art. 33 possono pertanto essere considerate isolatamente, vale a dire indipendentemente dalle disposizioni della sesta direttiva. Da ciò discende inoltre che persino una «violazione» di talune disposizioni della sesta direttiva è di conseguenza irrilevante, poiché queste disposizioni valgono solo per i diritti compresi nel sistema dell'imposta sul valore aggiunto. Un esame in base all'art. 17 è pertanto possibile solo nella cornice del sistema dell'imposta sul valore aggiunto.

60 Ciò si evince parimenti esaminando la giurisprudenza della Corte sull'art. 17, nell'ambito della quale sono state valutate, alla luce del detto articolo, disposizioni che prevedevano o deroghe alla sesta direttiva (29), o una base imponibile modificata per l'imposta sul valore aggiunto (30), o termini di pagamento diversi per l'IVA e per l'imposta sulla cifra d'affari relativa alle importazioni (31). Pertanto, si trattava sempre di disposizioni in materia di riscossione dell'imposta sul valore aggiunto in applicazione della sesta direttiva. Persino nell'ipotesi in cui un'imposta di nuova istituzione non rappresentava un tributo autonomo in rapporto all'IVA, la valutazione veniva condotta in base all'art. 33 della sesta direttiva e non all'art. 17 (32).

61 Anche interrogandosi sull'esistenza di una violazione dell'art. 17, si giunge alla conclusione che una riduzione dell'ammontare delle deduzioni può essere solo di natura contabile. Non sussiste un collegamento diretto tra la possibilità di reclamare una deduzione e il prelievo della KU 1. Infatti, quest'ultima è riscossa anche qualora il membro della Camera di commercio non abbia nessuna possibilità di far valere le operazioni a monte nell'ambito delle deduzioni.

III - Se sussista una violazione dell'art. 5 del Trattato CE

62 In udienza, la Commissione ha inoltre prospettato la possibilità di considerare la KU 1 come un ostacolo indiretto per il sistema dell'imposta sul valore aggiunto, vietato dall'art. 5 del Trattato. Le sentenze che essa cita a tal proposito (33) riguardano, da un lato, le imposte dirette, quindi non l'IVA, e, dall'altro, la questione della violazione della libera circolazione dei lavoratori, quindi, del divieto di discriminazione mediante prelievo dell'IVA o riscossione delle imposte. In tali ipotesi, vale a dire in caso di violazione di una libertà fondamentale o del divieto di discriminazioni, la Corte ha fatto riferimento all'art. 5, quando la competenza spettava agli Stati membri. Ma in questa sede non si lamenta la violazione né di una libertà fondamentale, né del divieto di discriminazione. Il ricorso all'art. 5 del Trattato CE non sembra necessario anche perché esiste in questo caso una norma speciale di chiusura, vale a dire l'art. 33, che non lascia intravedere nessuna lacuna giuridica.

63 Inoltre, l'art. 5 riguarda principalmente i principi di natura generale; è assai dubbio che rientrino in tale ambito norme specifiche di disciplina dell'IVA. Come si evince dai considerando della sesta direttiva (34), come principi generali in tal senso si possono intendere piuttosto quelli della libera circolazione, della prevenzione delle distorsioni della concorrenza e dell'eliminazione delle formalità all'attraversamento delle frontiere. Deve anche essere istituita una base uniforme per le risorse proprie della Comunità. Questa base verrebbe ridotta se imposte e diritti fossero separati dal sistema dell'imposta sul valore aggiunto e prelevati separatamente o in aggiunta all'IVA. Poiché nessuna di queste ragioni vale per la KU 1, quest'ultima non rappresenta nemmeno un ostacolo, in tale contesto, alla libera circolazione dei beni e dei servizi.

Anche se si condividessero opinioni diverse, occorre ritenere che, a causa del suo esiguo ammontare, la KU 1 non porti a distorsioni, tanto più che il legislatore tollera margini di manovra molto più ampi per quanto concerne le aliquote dell'IVA.

IV - Riepilogo

64 Riepilogando, si può dire che la KU 1 non è un diritto che soddisfi i requisiti essenziali dell'imposta sul valore aggiunto. Non è dato nemmeno rilevare un'alterazione del sistema dell'IVA per oneri gravanti sulla circolazione dei beni e dei servizi. La KU 1 è pertanto conforme all'art. 33.

65 La KU 1 non intende nemmeno aggirare l'imposta sul valore aggiunto, né coreggerla, né esserne un doppione. Essa ha lo scopo esclusivo di finanziare un'attività di tutela degli interessi, riconosciuta dalla legge, mediante apporti dei membri delle Camere di commercio. La scelta, non proprio felice, dell'ammontare dell'imposta versata a monte quale indicatore della capacità contributiva dei membri delle Camere di commercio e, quindi, quale base imponibile, è stata operata per ragioni di pura praticità, poiché il detto ammontare è facilmente determinabile e verificabile in base a dati già noti per altra via.

V - Analisi, in via subordinata, degli effetti della sentenza nel tempo

66 Nel caso in cui la Corte non dovesse aderire a questa proposta e giungesse alla conclusione che la KU 1 è incompatibile con il sistema dell'imposta sul valore aggiunto, occorre ancora esaminare la questione della delimitazione degli effetti della sentenza nel tempo, sollevata in via subordinata dal governo austriaco.

67 Non è compito della Corte pronunciarsi in linea di principio sulla legittimità complessiva della KU 1. Ciò spetta ai tribunali nazionali. Compito della Corte è solo quello di valutare se le modalità di calcolo della KU 1, vale a dire il suo collegamento con i negozi a monte, sia compatibile con il sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto. Se la soluzione della questione dovesse essere negativa, ciò non significherebbe che la KU 1 non possa più essere riscossa. In tale ipotesi sarebbe semplicemente necessario trovare un'altra modalità di calcolo, compatibile con il sistema dell'imposta sul valore aggiunto. Per questa ragione, una delimitazione degli effetti della sentenza nel tempo sarebbe utile, poiché essa non potrebbe portare, per il passato, ad operazioni di rimborso, ma semplicemente al ricalcolo di un'imposta camerale di ammontare non tanto differente.

68 Inoltre, se si dovesse riconoscere l'esistenza di una violazione, quest'ultima non sarebbe stata tanto facilmente riscontrabile, a causa della complessità della problematica. La situazione era diversa nella causa Dansk Denkavit e Poulsen Trading. In tale circostanza la Commissione, già due settimane dopo l'istituzione del diritto controverso, aveva attirato l'attenzione del governo danese sui problemi che il detto tributo avrebbe potuto sollevare alla luce dell'art. 33. In tale contesto, la Corte non ha ritenuto opportuno limitare gli effetti della sua sentenza nel tempo (35). Ma poiché nella presente controversia non sarebbe stato così facile riconoscere l'esistenza di un'eventuale violazione dell'art. 33, si potrebbe prevedere una limitazione degli effetti della sentenza nel tempo.

Conclusioni

69 Per queste ragioni propongo pertanto di risolvere le questioni pregiudiziali nel seguente modo:

«L'art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all'imposta sulla cifra d'affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, non vieta a uno Stato membro di riscuotere un'imposta che venga calcolata, con aliquota fissa, su una base imponibile così composta:

a) l'imposta sulla cifra d'affari dovuta sulle forniture o sulle altre prestazioni fornite al soggetto passivo per la sua impresa da terzi imprenditori, ad eccezione dell'imposta sulla cifra d'affari sulle cessioni d'impresa, e

b) l'imposta sulla cifra d'affari dovuta dal soggetto passivo sull'importazione di beni per la sua impresa o sugli acquisti intracomunitari per la sua impresa.

Non occorre, nel presente caso, esaminare l'art. 17 della sesta direttiva».

(1) - GU L 145, pag. 1.

(2) - Art. 57, nn. 7 e 8, dello HKG.

(3) - Pag. 7 e ss. dell'ordinanza di rinvio.

(4) - Pag. 9 dell'ordinanza di rinvio.

(5) - GU L 376, pag. 1.

(6) - Sentenza 13 luglio 1989, cause riunite 93/88 e 94/88, Wisselink e a. (Racc. pag. 2671, punti 10 e 12).

(7) - Sentenze 8 luglio 1986, causa 73/85, Kerrutt (Racc. pag. 2219, punto 22), Wisselink e a. (citata nella nota 6), punto 14, e 19 marzo 1991, causa C-109/90, Giant (Racc. pag. I-1385, punto 9).

(8) - Sentenze Kerrutt (citata nella nota 7), punto 22, e Wisselink e a. (citata nella nota 6), punto 14.

(9) - Conclusioni presentate il 30 gennaio 1992 nella causa C-200/90 (Dansk Denkavit e Poulsen Trading, Racc. pag. I-2217, in particolare pagg. I-2231, I-2235).

(10) - Sentenza 27 novembre 1985, causa 295/84, Wilmot (Racc. pag. I-3759, punto 14).

(11) - Prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari (GU 1967, n. 71, pag. 1301).

(12) - Sentenza Rousseau Wilmot (citata nella nota 10), punto 16.

(13) - Sentenze 7 maggio 1992, causa C-347/90, Bozzi (Racc. pag. I-2947, punti 9 e 10), e 31 marzo 1992, causa C-200/90, Dansk Denkavit e Poulsen Trading (Racc. pag. I-2217, punto 11).

(14) - Sentenze Bozzi (citata nella nota 13), punto 12; 3 marzo 1988, causa 252/86, Bergandi (Racc. pag. 1343, punto 15); Wisselink e a. (citata nella nota 6), punto 18; Giant (citata nella nota 7), punti 11 e 12, e Dansk Denkavit e Poulsen Trading (citata nella nota 9), punto 11.

(15) - Sentenze Bergandi (citata nella nota 14), punto 8, e 26 giugno 1997, cause riunite C-370/95, C-371/95 e C-372/95, Careda e a. (Racc. pag. I-3721, punto 15).

(16) - Sentenza Wisselink e a. (citata nella nota 6), punto 20.

(17) - Sentenza Giant (citata nella nota 7), punto 14.

(18) - Sentenza Bozzi (citata nella nota 13), punto 14.

(19) - Sentenza Wilmot (citata nella nota 10), punto 16.

(20) - Si veda la nota 19.

(21) - Art. 4, n. 1, della sesta direttiva; le attività economiche oggetto delle disposizioni sono, a norma dell'art. 4, n. 2, le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate. Si considera in particolare attività economica un'operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità.

(22) - Si tratta in questo caso dell'imposta sulla cifra d'affari che il membro della Camera di commercio deve versare insieme al prezzo.

(23) - Sentenza Careda e a., (citata nella nota 15), punto 15.

(24) - Sentenza 4 febbraio 1988, causa 391/85, Commissione/Belgio (Racc. pag. 579, punto 23).

(25) - Sentenze Giant (citata nella nota 7), punto 14, Bozzi (citata nella nota 13), punto 16, e 16 dicembre 1992, causa C-208/91, Beaulande (Racc. pag. I-6709, punto 17).

(26) - Sentenza citata nella nota 9, punto 14.

(27) - Si veda la nota 26.

(28) - Sentenza Bozzi (citata nella nota 13), punto 9; sentenze 17 settembre 1997, causa C-130/96, Solisnor/Estaleiros Navais (Racc. pag. I-5053, punto 14), e causa C-28/96, Fricarnes (Racc. pag. I-4939, punto 37).

(29) - Sentenza 21 settembre 1988, causa C-50/87, Commissione/Francia (Racc. pag. 4797).

(30) - Sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz (Racc. pag. I-1883).

(31) - Sentenza 10 luglio 1984, causa C-42/83, Dansk Denkavit (Racc. pag. 2649).

(32) - Sentenza Commissione/Belgio (citata nella nota 24).

(33) - Sentenze 15 gennaio 1986, causa 44/84, Hurd (Racc. pag. 29); 6 luglio 1988, causa 127/86, Ledoux (Racc. pag. 3741), e 3 maggio 1994, causa C-47/93, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-1593).

(34) - Secondo, terzo e quarto considerando della sesta direttiva e risoluzione del Parlamento europeo in merito alla proposta della Commissione delle Comunità europee al Consiglio concernente una sesta direttiva in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all'imposta sulla cifra d'affari - Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU C 40, dell'8 aprile 1974, pag. 34).

(35) - Sentenza citata nella nota 13, punti 20-23.