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Avviso legale importante

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61997C0003

Conclusioni dell'avvocato generale Léger del 12 marzo 1998. - Procedimento penale a carico di John Charles Goodwin e Edward Thomas Unstead. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Court of Appeal (England) - Regno Unito. - Disposizioni fiscali - Armonizzazione delle legislazioni - Imposte sulla cifra d'affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto - Sesta direttiva 77/388/CEE - Sfera d'applicazione - Cessione di profumi contraffatti. - Causa C-3/97.

raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-03257


Conclusioni dell avvocato generale


1 La cessione di profumi contraffatti rappresenta un'operazione soggetta al pagamento dell'IVA? Con questa domanda, la Court of Appeal - Criminal Division, Londra, vi invita a precisare la vostra giurisprudenza che esclude alcune operazioni illecite dal campo d'applicazione della sesta direttiva (1).

Quadro fattuale

2 Perseguiti nell'ambito di un procedimento penale, i signori Goodwin e Unstead (in prosieguo: gli «imputati nel procedimento a quo») sono stati ritenuti entrambi colpevoli di avere svolto dolosamente attività finalizzate all'evasione fraudolenta dell'imposta sul valore aggiunto, in violazione dell'art. 72, n. 1, del Value Added Tax Act del 1994. L'uno è stato condannato per aver acquistato e rivenduto profumi contraffatti senza essere iscritto nei registri dell'IVA, sfuggendo così al pagamento di tale imposta. All'altro veniva addebitato di aver concorso alla fabbricazione, produzione, distribuzione e vendita di profumi contraffatti, nell'ambito di un'impresa ch'egli esercitava con altre persone, la quale, non essendo iscritta nei registri dell'IVA, evadeva il versamento di questa imposta.

3 I due imputati nel procedimento a quo hanno proposto appello nei confronti di queste condanne innanzi alla Court of Appeal. Pur non negando di avere effettuato le operazioni loro ascritte, essi hanno sostenuto che, sulla base di un'interpretazione corretta della sesta direttiva, la cessione di prodotti contraffatti non è soggetta all'IVA.

4 Sebbene ritenga corretta la pronuncia dell'Inner Crown Court secondo cui l'IVA era dovuta nel caso di specie, la Court of Appeal ha giudicato utile una vostra pronuncia su questo punto. Di conseguenza, essa vi ha sottoposto la seguente questione:

«Se la cessione di profumi contraffatti rientri nell'ambito di applicazione della direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sul giro d'affari (sesta direttiva) ».

Sfondo giuridico e giurisprudenziale

5 Il campo di applicazione della sesta direttiva è definito dal suo art. 2, che recita:

«Sono soggette ad imposta sul valore aggiunto:

1. Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

2. Le importazioni di beni».

6 Conformemente alla lettera di questo testo, voi ritenete che la natura dell'operazione non incida ai fini dell'assoggettamento all'IVA, dal momento che «(...) il principio della neutralità fiscale non consente (...) in materia di riscossione dell'IVA, una distinzione generale tra le operazioni lecite e le operazioni illecite» (2).

7 Tuttavia, avete ammesso alcune eccezioni a questo principio.

8 Trasponendo la vostra giurisprudenza in materia di dazi doganali (3) a talune ipotesi di assoggettamento all'IVA di importazioni e di cessioni illegali, avete in più occasioni considerato che certi prodotti «(...) che si trovano in una situazione particolare per il fatto di ricadere, per loro stessa natura, sotto il divieto assoluto di messa in circolazione in tutti gli Stati membri, fatta eccezione per un circuito economico rigorosamente sorvegliato in vista dell'uso per scopi medici e scientifici» (4), o per il fatto che «(...) non sono suscettibili di essere [messi] in commercio né [integrati] nel circuito economico» (5), sono del tutto «(..). [estranei] alle disposizioni della sesta direttiva riguardanti la definizione dell'imponibile e, di conseguenza, a quelle riguardanti il sorgere di un debito fiscale in fatto di imposta sulla cifra d'affari» (6).

9 Sono già state identificate due categorie di prodotti che presentano tali caratteristiche particolari. E' il caso innanzi tutto degli stupefacenti, come le anfetamine o l'hashish, il cui smercio o importazione, al di fuori di un circuito economico rigorosamente sorvegliato dalle autorità competenti in vista di un uso per scopi medici o scientifici, «(...) può dar luogo (...) soltanto a misure repressive» (7). Allo stesso modo, e «(...) a maggior ragione», le importazioni di denaro falso, che non possono in nessun caso essere autorizzate, non possono dar luogo alla riscossione dell'IVA (8).

10 Nel caso di questi prodotti illegali, l'eccezione al principio di neutralità fiscale è giustificabile, dal momento che, «(...) in ragione delle [loro] caratteristiche particolari (...) è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito ed un settore illecito» (9).

11 All'opposto, invitati ad applicare questa giurisprudenza a dei sistemi informatici, «(...) per [i quali] non sono proibite tutte le operazioni in ragione della natura stessa di questi prodotti o delle loro caratteristiche particolari», avete ritenuto che il solo divieto d'esportazione di questi prodotti verso alcune destinazioni precise, a causa della loro eventuale utilizzazione a fini strategici, «(...) non sarebbe (...) sufficiente di per sé a far sfuggire le esportazioni di questi prodotti dal campo di applicazione della sesta direttiva» (10).

12 Menziono infine la causa C-283/95, Fischer, attualmente in corso, nella quale l'avvocato generale Jacobs vi propone in particolare, al paragrafo 20 delle sue conclusioni, di statuire che «(...) le operazioni illecite, considerate nella fattispecie, relative al gioco della roulette in causa, rientrano nel campo di applicazione dell'IVA. Esse sono pertanto soggette a tassazione, a titolo dell'art. 2, punto 1, della direttiva (...)».

Sulla soluzione della questione

13 Come il giudice a quo, tutte le parti in causa prendono quale punto di partenza delle loro riflessioni la giurisprudenza precitata. Tuttavia, le osservazioni depositate divergono per quanto riguarda la sua applicazione. Mentre gli imputati ne deducono che la sesta direttiva non si applica nel caso di specie, la Commissione ed i governi greco e del Regno Unito difendono l'opinione contraria.

14 Condividendo la tesi di questi ultimi, ritengo che la giurisprudenza da voi elaborata in materia a proposito degli stupefacenti e del denaro falso non possa essere trasposta a prodotti di contraffazione quali i profumi oggetto del contenzioso.

15 Insisto innanzi tutto sull'importanza fondamentale del principio della neutralità fiscale che sta alla base della sesta direttiva, in virtù del quale tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all'interno di uno Stato membro da un soggetto passivo, così come tutte le importazioni di beni, generano sistematicamente l'assoggettamento all'IVA. Ne consegue che il commercio illecito e quello lecito devono essere trattati in modo identico ai fini dell'IVA, in modo tale da non avvantaggiare gli operatori che delinquono a scapito dei loro concorrenti che agiscono entro i limiti della legalità.

16 Nel caso di specie, dunque, conformemente a questo principio, nonostante il carattere condannabile della contraffazione, i prodotti in causa dovrebbero rientrare fra quelli che danno luogo al pagamento dell'IVA per le operazioni che li riguardano. Gli elementi di cui disponiamo non permettono di stabilire se i profumi contraffatti smerciati dagli imputati nel procedimento a quo siano prodotti sul territorio comunitario o se siano importati da uno Stato terzo. Tuttavia, in entrambi i casi, sia che ci si trovi in presenza di una «cessione di beni effettuata a titolo oneroso all'interno di un paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale», sia che si tratti di una «importazione di beni», l'operazione in causa rientra tra quelle previste all'art. 2, n. 1 o 2, della sesta direttiva.

17 Come sottolineano i governi greco e del Regno Unito, in applicazione della vostra giurisprudenza, qualsiasi eccezione a questo principio deve essere intesa restrittivamente e limitata alle sole ipotesi, marginali, in cui, in ragione della natura dei prodotti in causa, non esiste alcuna concorrenza possibile tra un settore lecito ed un settore illecito. Secondo la formula usata nelle vostre sentenze, si deve trattare di «merci che, a causa delle loro caratteristiche particolari, non sono suscettibili di essere messe in circolazione né integrate nel circuito economico».

18 La tesi degli imputati nel procedimento a quo, volta a far beneficiare di questa eccezione le operazioni controverse, in ragione del fatto che, colpendo considerevolmente il funzionamento del mercato comune, esse non potrebbero che essere «estranee» alla sesta direttiva, lascia innanzi tutto un'impressione di disagio difficile da eliminare. Infatti, in flagrante contraddizione con il principio «Nemo auditur turpitudinem propriam allegans», queste parti tentano di avvalersi del carattere malsano, se non addirittura pericoloso, da un punto di vista economico, delle loro attività, per sostenere che non dovrebbero essere assoggettate all'IVA.

19 Ma, soprattutto, questa tesi non resiste all'applicazione nel caso di specie dei criteri giurisprudenziali or ora enunciati.

20 In primo luogo, contrariamente alle droghe o al denaro falso, i prodotti contraffatti non fanno parte di quelli la cui messa in circolazione è vietata a causa della loro stessa natura o delle loro caratteristiche particolari.

21 Gli stupefacenti o il denaro falso sono prodotti che possono solo dar luogo ad operazioni intrinsecamente illegali, dal momento che sono oggetto di un divieto sistematico in tutti gli Stati membri a causa delle loro caratteristiche particolari: la loro disastrosa nocività sull'organismo umano per gli uni, sull'economia di un paese per l'altro. Essi sono vietati per proteggere un interesse che potremmo definire generale. Del resto, voi avete sottolineato il carattere universalmente condannabile di questi due tipi di prodotti citando le convenzioni internazionali che li riguardano (11).

22 I prodotti contraffatti, quali i profumi oggetto del presente contenzioso, non sono, di per sé, vietati all'interno della Comunità a causa della loro natura intrinseca. Esiste evidentemente un commercio lecito dei profumi o di qualsiasi altro prodotto suscettibile di essere contraffatte. Se la commercializzazione di prodotti contraffatti può essere proibita, ciò non avviene per proteggere direttamente un interesse generale, ma, secondo i casi, per evitare che il consumatore sia ingannato dall'acquisto di un bene diverso da quello che gode delle garanzie legate al marchio contraffatto, o, soprattutto, per proteggere gli interessi, individuali, del titolare di un diritto. Qualora le operazioni effettuate su questi prodotti contravvengano ad una regola quale la proprietà intellettuale, il divieto che ne deriva non è legato alla natura, alle caratteristiche essenziali di questi prodotti.

23 La contraffazione è un certamente una piaga che produce un pesante danno alle attività economicamente lecite (12), dalla quale la Comunità ha cercato di premunirsi, nell'ambito particolare dei prodotti provenienti dai paesi terzi o destinati a paesi terzi, adottando due regolamenti successivi (13), ma per la quale la constatazione del carattere illecito è subordinata, a livello comunitario, ad un'azione del titolare del diritto usurpato.

24 Infatti, la procedura comunitaria instaurata si apre normalmente con la presentazione di una domanda da parte del titolare del diritto usurpato (14). Il regolamento n. 3295/94 prevede inoltre una sorta di intervento d'ufficio da parte delle autorità doganali, che possono avvertire il titolare di un diritto circa un rischio d'infrazione di cui esse potrebbero sospettare e possono trattenere la merce in causa per consentire al titolare del diritto di procedere al deposito di una domanda di sospensione della revoca del sequestro (15). Ciò non toglie che, anche in questa ipotesi, il mantenimento del sequestro dipende dalla presentazione di un ricorso nel merito da parte del titolare del diritto presso l'autorità competente.

25 Allo stesso modo, se non si è in presenza di prodotti importati, ma di merci fabbricate nella Comunità - cosa che non è possibile determinare nel caso di specie in base all'ordinanza di rinvio -, la vendita di queste merci deve presumersi lecita finché il titolare di una marchio o di un diritto simile non abbia provato che i suoi diritti esclusivi sono stati violati (16).

26 Così, una merce contraffatta, come i profumi in causa, non è illecita sul piano comunitario a causa delle sue caratteristiche intrinseche. Essa può essere proibita solo qualora risulti lesiva di un valido diritto di proprietà. Come osserva la Commissione (17), il suo smercio costituirebbe al limite oggetto di un divieto condizionale, ma non, come nel caso degli stupefacenti o del denaro falso, di una proibizione assoluta. Contrariamente a questi ultimi casi, ci si trova da questo punto di vista nello stesso tipo di situazione che ha dato luogo alla vostra sentenza Lange, già citata, in cui le merci non erano proibite a causa della loro stessa natura ed erano oggetto di un divieto d'esportazione solo a causa del fatto che esse erano destinate a certi paesi per fini strategici. Nelle sue conclusioni in causa Fischer, già citata, l'avvocato generale Jacobs vi propone di considerare valido questo stesso ragionamento a proposito delle operazioni che consistono nell'organizzazione illecita di giochi d'azzardo.

27 Dal momento che i prodotti contraffatti rientrano, a causa delle loro caratteristiche particolari, fra le suddette «merci che non sono suscettibili di essere messe in commercio né integrate nel circuito economico», si è ben lontani dall'escludere qualsiasi possibilità di concorrenza con i prodotti che sono oggetto di operazioni realizzate in un circuito legale.

28 Infatti, come giustamente sottolineano il governo del Regno Unito e la Commissione, a differenza del caso del denaro falso e degli stupefacenti, per i quali non esiste un commercio lecito, oppure questo commercio è sottoposto ad una sorveglianza così stretta da non trovarsi mai in concorrenza con un commercio lecito, esiste evidentemente un commercio lecito della profumeria, quale parte integrante dell'economia della Comunità. Ora, quand'anche il mercato della contraffazione sia vietato, in particolare, come abbiamo visto, per il fatto che esso nuoce alle attività economiche lecite suscettibili di essergli sostituite, ma anche allo scopo di tutela dei consumatori (18), e se ne deplori l'esistenza, non se ne può negare la persistenza. Se ci rifiutassimo di prendere in considerazione questo elemento, in particolare dal punto di vista fiscale che ci interessa, considerando che, dal momento che queste merci sono proibite, esse si trovano fuori della sfera del commercio e non possono essere assoggettate ad IVA, concederemmo un vantaggio concorrenziale inammissibile agli operatori che agiscono illegalmente, a detrimento degli operatori economici legali, che sarebbero, essi soli, sottomessi all'obbligo di versare l'IVA.

29 La presente causa permette d'altronde di rendersi conto perfettamente dei pericoli di un'estensione della vostra giurisprudenza relativa al campo delle eccezioni al principio di neutralità fiscale. E' assai probabile che gli imputati nel procedimento a quo abbiano potuto ritenere che, malgrado i procedimenti penali in cui sarebbero incorsi, il non assoggettamento all'IVA dei profumi contraffatti ne avrebbe comunque fatto un commercio proficuo. Non è dunque il caso di incoraggiare, seguendo il loro ragionamento, questo tipo di operazioni assicurando loro un'esenzione fiscale ingiustificata.

30 Aggiungo, come sottolineato dal governo del Regno Unito e dalla Commissione (19), che, se si dovesse far dipendere l'applicazione dell'IVA dalla natura contraffatta o meno di un prodotto, l'intera coerenza del mercato interno ne risulterebbe stravolta. Infatti, in mancanza di armonizzazione in materia, il catalogo dei beni contraffatti varia da uno Stato membro all'altro. E' dunque solamente evitando di effettuare distinzioni in base a questo carattere, con riferimento all'assoggettamento all'IVA, che si può garantire un trattamento fiscale identico di tutte le operazioni sul territorio della Comunità.

31 Un'ultima considerazione. In tutte le cause citate, la Corte si è preoccupata di precisare che la questione dell'assoggettamento all'IVA di un'operazione era indipendente dall'applicazione di altre regole di diritto nazionale, in particolare di natura penale. Nel caso di specie, è evidente che tale considerazione resta valida e che la vostra sentenza non pregiudicherà in nulla «(...) la competenza degli Stati membri nel perseguire le infrazioni alla loro legislazione (...) attraverso sanzioni appropriate, anche nel caso in cui esse comportino conseguenze di natura pecuniaria» (20).

32 Ritengo di conseguenza che le operazioni relative a prodotti contraffatti, quali i profumi in causa, rientrino nella sfera di applicazione dell'IVA. Esse sono, quindi, soggette a tassazione, ai sensi dell'art. 2 della sesta direttiva.

Conclusioni

33 Per tali motivi, vi propongo di risolvere come segue la questione sottopostavi dalla Court of Appeal - Criminal Division, Londra:

«L'art. 2 della sesta direttiva del Consiglio 17 marzo 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sul giro d'affari Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che la cessione di prodotti contraffatti, come i profumi, è soggetta all'IVA».

(1) - Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sul giro d'affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1).

(2) - Sentenze 5 luglio 1988, causa 269/86, Mol (Racc. pag. 3627, punto 18) e causa 289/86, Happy Family (Racc. pag. 3655, punto 20), e 20 agosto 1993, causa C-111/92, Lange (Racc. pag. I-4677, punto 16).

(3) - Nelle sentenze 5 febbraio 1981, causa 50/80, Horvath (Racc. pag. 385); 26 ottobre 1982, causa 221/81, Wolf (Racc.pag. 3681), e causa 240/81, Einberger I (Racc. pag. 3699), avete ritenuto che in caso di importazione di stupefacenti quali la morfina, l'eroina e la cocaina, che non fanno parte del circuito economico strettamente sorvegliato dalle autorità competenti in vista dell'utilizzazione a fini medici e scientifici, non si originava alcun debito doganale.

(4) - Sentenze Mol (punto 18), e Happy Family (punto 20), citate.

(5) - Sentenza Lange, citata, punto 12.

(6) - Sentenze Happy Family (punto 17), e Mol (punto 15), citate, e 6 dicembre 1990, causa C-343/89, Witzemann (Racc. pag. I-4477, punto 19). V. anche sentenza 28 febbraio 1984, causa 294/82, detta Einberger II (Racc. pag. 1177, punto 20), e sentenza Lange, citata (punto 12).

(7) - Sentenze Mol (punto 15), e Happy Family (punto 18), citate.

(8) - Sentenza Witzemann, citata, punto 20.

(9) - Sentenza Lange, citata, punto 16. V. anche sentenze Mol (punto 18), e Happy Family (punto 20), citate.

(10) - Sentenza Lange, citata, punto 17.

(11) - Si tratta delle seguenti convenzioni: convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 (sentenza Happy Family, citata, punto 25), convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971 (sentenza Mol, citata, punto 24), e convenzione per la repressione della falsificazione di denaro (sentenza Witzemann, citata, punto 14).

(12) - Per un ragguaglio, basato in particolare su dati statistici, v. Gourdin-Lamblin, A.-S.: «La lutte contre la contrefaçon en droit communautaire», Revue du marché commun et de l'Union européenne, n. 394, gennaio 1996.

(13) - Regolamento (CEE) del Consiglio 1n. dicembre 1986, n. 3842, che fissa alcune misure volte al divieto della messa in libera pratica di merci contraffatte (GU L 357, pag. 1), abrogato e modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, che fissa le misure volte all'interdizione della messa in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e la sottoposizione ad un regime sospensivo delle merci di contraffazione e delle merci pirata (GU L 341, pag. 8).

(14) - Art. 3 del regolamento n. 3295/94.

(15) - Art. 4 del regolamento n. 3295/94.

(16) - In questa ipotesi, sarebbero applicabili le regole relative al diritto dei marchi, in particolare l'art. 5 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, volta ad armonizzare le legislazioni degli Stati membri relative ai marchi (GU 1989, L 40, pag. 1), che prevede che il titolare di un marchio ha la facoltà di impedire a qualsiasi soggetto terzo di far uso del proprio marchio o di un segno per il quale esista un rischio di confusione a causa della sua somiglianza con il marchio.

(17) - Punto 27 delle sue osservazioni.

(18) - V., in questo senso, il secondo `considerando' del regolamento n. 3295/94, citato.

(19) - V. anche il paragrafo 26 delle conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa Fischer, citata.

(20) - V., in ultimo, sentenza Lange, citata, punto 24.