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61998C0158

Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly dell'11 marzo 1999. - Staatssecretaris van Financiën contro Coffeeshop "Siberië" vof. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hoge Raad - Paesi Bassi. - Disposizioni fiscali - Armonizzazione delle legislazioni - Imposte sulla cifra d'affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto - Sesta direttiva - Campo di applicazione - Messa a disposizione di un banco per la vendita di stupefacenti. - Causa C-158/98.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-03971


Conclusioni dell avvocato generale


1 Lo Hoge Raad dei Paesi Bassi (1) chiede se sia esigibile l'IVA sulla locazione di un tavolo nei coffeeshop per la vendita di cannabis nei Paesi Bassi. Alla base della questione sta il dilemma morale se tassare una determinata attività equivalga ad avallarla. La maggior parte degli ordinamenti giuridici ha risolto da molto tempo il problema preferendo accantonare ogni scrupolo morale che avrebbe avuto la paradossale conseguenza di premiare le attività illecite esentandole da imposizione fiscale. Generalmente il diritto comunitario segue il medesimo orientamento, ma ha fatto eccezione per lo smercio di stupefacenti. La questione posta dallo Hoge Raad sorge nel contesto della politica olandese di tolleranza nei confronti delle cessioni di modiche quantità di cannabis nei coffeeshop. Riassumerò brevemente il quadro normativo olandese e l'ordinanza di rinvio. Analizzerò quindi i principi che reggono la giurisprudenza in materia. Infine, valuterò se sia possibile considerare la locazione di un tavolo come un'operazione di per sé lecita e distinta dallo spaccio illegale di stupefacenti che essa è intesa a favorire, ovvero se, a motivo del contenuto manifestamente illecito dell'operazione, vada considerata inscindibile dall'attività di smercio e rientri pertanto nel campo di applicazione dei principi sanciti nella sentenza della Corte Happy Family (2).

I - Il contesto di fatto e di diritto

2 La resistente nella causa principale, una società commerciale denominata Coffeeshop «Siberië» vof (in prosieguo: la «resistente»), gestisce un «coffeeshop» ad Amsterdam (3). Nelle sue osservazioni il governo dei Paesi Bassi afferma che i coffeeshop sono locali nei quali non si servono alcolici ed in cui vengono vendute e consumate droghe «leggere». Di regola in tali locali si servono anche caffè, tè e bibite e si mettono videogiochi a disposizione della clientela (4). Dal 1990 al 1993 uno «huisdealer» (rivenditore accreditato) vendeva prodotti derivati dalla canapa indiana ad un tavolo all'interno del coffeeshop della resistente. Quest'ultima metteva a sua disposizione un tavolo espressamente a tale scopo e registrava nella sua contabilità il compenso versatole dal rivenditore sotto la voce «tafelhuur» (canone per la locazione del tavolo). I clienti che si recavano al bar per acquistare droghe leggere venivano indirizzati al suddetto tavolo da un «barista» alle dipendenze della resistente. Questa non versava l'IVA sugli introiti della locazione del tavolo, ma pagava l'IVA sulle altre sue prestazioni detraendo quella versata a monte. Le autorità tributarie olandesi (lo Staatssecretaris van Financiën, ricorrente nella causa principale; in prosieguo: il «ricorrente») ingiungevano alla resistente di versare l'ulteriore IVA relativa alla locazione del tavolo, pari a 22 733 HFL.

3 La resistente ha quindi impugnato l'ingiunzione dinanzi al Gerechtshof (corte regionale di appello) di Amsterdam, il quale ha considerato che la resistente era coinvolta nel commercio illegale di droghe «leggere», così che la prestazione da essa offerta al rivenditore accreditato era completamente estranea alle disposizioni della Wet op de Omzetbelasting (legge sull'imposta sulla cifra d'affari) del 1968. Ritenendo che andasse applicata la sentenza Happy Family, nonostante il fatto che nei Paesi Bassi il commercio delle suddette droghe non venga più perseguito penalmente in maniera sistematica, il Gerechtshof ha concluso che in relazione alla suddetta prestazione non poteva sorgere alcun debito d'imposta. Il ricorrente ha presentato ricorso dinanzi allo Hoge Raad, che ha proposto la domanda pregiudiziale in esame.

4 Lo Hoge Raad ha rilevato, in primo luogo, che nei Paesi Bassi la vendita di sostanze a base di cannabis è vietata dall'Opiumwet (legge sulle sostanze stupefacenti; in prosieguo: la «legge») del 12 maggio 1928 (5). La cannabis è una delle sostanze figuranti nell'elenco II allegato alla legge, la cui detenzione, vendita e fornitura intenzionale costituisce un reato previsto dall'art. 3, n. 1, lett. B, e penalmente perseguibile ai sensi dell'art. 11 della medesima legge. Lo Hoge Raad osserva però che, analogamente, ai sensi dell'art. 48 del Wetboek van Strafrecht (codice di procedura penale), è considerato complice di un atto penalmente perseguibile colui che intenzionalmente fornisca una possibilità, mezzi o informazioni per la commissione del reato.

5 Tuttavia, si evince dalle direttive del Collegio dei procuratori generali olandesi in materia di indagini e di procedimenti penali relativi ai reati contemplati dalla suddetta legge - che sono in vigore dal 1976 (6) e sono state da ultimo consolidate nel 1996 (7) - che non deve esercitarsi l'azione penale per lo spaccio al minuto dei prodotti a base di canapa qualora siano soddisfatte talune condizioni, note come «criteri AHOJ-G» (8).

6 L'art. 2, n. 1, della sesta direttiva IVA dispone che sono soggette all'imposta sul valore aggiunto «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale» (9). Nella sentenza Happy Family la Corte ha interpretato la suddetta disposizione nel senso che «la cessione illegale di stupefacenti effettuata all'interno del territorio di uno Stato membro non dà origine ad alcun debito d'imposta sulla cifra d'affari», a meno che detti prodotti non facciano parte del circuito economico rigorosamente sorvegliato dalle autorità competenti in vista dell'uso per scopi medici e scientifici (10).

7 Lo Hoge Raad osserva che la rilevanza penale dell'atto consistente nell'offrire l'opportunità di smerciare droghe «leggere» nulla toglie al fatto che ci si trovi di fronte a una prestazione di servizi. Tuttavia, nutre dubbi sul fatto se la sentenza Happy Family, secondo cui la cessione illegale di stupefacenti non dà origine ad alcun debito d'imposta sulla cifra d'affari, debba essere interpretata nel senso che riguarda anche l'offerta della possibilità di smerciare prodotti derivati dalla cannabis, giacché siffatta interpretazione condurrebbe ad un'ulteriore limitazione del campo di applicazione della sesta direttiva e ignorerebbe l'evoluzione, che il giudice nazionale ritiene essere avvenuta in parecchi Stati membri, della valutazione sociale riguardante il carattere economico oppure illegale di comportamenti correlati allo smercio di droghe «leggere». La questione proposta dallo Hoge Raad è così formulata:

«Se l'art. 2 della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che non sorge alcun debito di imposta sulla cifra di affari a carico di colui che dietro compenso offra ad altri la possibilità di smerciare prodotti a base di cannabis».

II - Osservazioni

8 Hanno presentato osservazioni scritte la resistente, i Paesi Bassi e la Commissione (11).

9 La resistente sottolinea l'illiceità della sua condotta. La locazione del tavolo al rivenditore accreditato per agevolare la vendita di sostanze proibite non è distinguibile dalla vendita stessa e, pertanto, non dev'essere assoggettata all'IVA. La resistente nega che vi sia stata alcuna variazione di rilievo nella legge e nella prassi in materia di droghe «leggere» nei Paesi Bassi o in altri Stati membri. Le autorità locali olandesi non hanno l'obbligo di applicare i criteri AHOJ-G e possono agire penalmente - e a suo dire ciò avviene spesso - nei confronti dello smercio di stupefacenti all'interno dei coffeeshop.

10 I Paesi Bassi sostengono che il caso in esame può essere distinto da quello di cui alla sentenza Happy Family. In primo luogo, se sono rispettati i criteri AHOJ-G, i gestori dei coffeeshop, in mancanza di opposizione a livello locale, non vengono perseguiti penalmente. In secondo luogo le attività di un coffeeshop possono essere tenute distinte da quelle considerate dalla Corte nella causa Happy Family; esse non sono illegali di per sé, in quanto la loro potenziale illegittimità deriva esclusivamente dal loro nesso con le attività del rivenditore accreditato.

11 La Commissione sostiene che i criteri AHOJ-G sono compatibili con gli obblighi internazionali incombenti ai Paesi Bassi in forza della Convenzione unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti del 1961 (12). Osserva inoltre che i Paesi Bassi hanno adottato questa politica al fine di proteggere i giovani dai rischi connessi all'uso di droghe «pesanti». La pubblicazione sul Nederlandse Staatscourant (gazzetta ufficiale olandese) attribuisce un carattere ufficiale alla nuova politica AHOJ-G. Di fatto la maggior parte dei comuni e delle province olandesi tollera la presenza di uno o più coffeeshop. La Commissione osserva che la cifra d'affari media dei coffeeshop si aggira intorno ai 200 000 HFL e corrisponde al fatturato della metà degli esercizi legittimi che offrono servizi al banco nei Paesi Bassi, con i quali i coffeeshop sono in concorrenza. La giurisprudenza inaugurata dalla sentenza Happy Family riguarda l'importazione o la cessione a titolo oneroso di stupefacenti la cui importazione o vendita è rigorosamente vietata e che pertanto non rientrano nei normali circuiti commerciali della Comunità. In quanto eccezione al principio di neutralità, la suddetta giurisprudenza non dovrebbe essere estesa ai coffeeshop, che in parte offrono comunque servizi del tutto legali. Infine la Commissione afferma che, rispetto all'epoca della sentenza Happy Family, vi è stato nei Paesi Bassi un notevole cambiamento dell'opinione pubblica riguardo allo smercio al minuto di droghe «leggere». Di fatto, questo smercio sarebbe divenuto legittimo.

III - Analisi

12 I Paesi Bassi e la Commissione sottolineano che, conformemente al principio della neutralità fiscale, l'IVA è esigibile indistintamente sulle operazioni legittime e su quelle illegali. In tal senso, nella sentenza Lange la Corte, richiamandosi alla sentenza Happy Family, ha affermato (13):

«La sesta direttiva, che mira ad un'ampia armonizzazione in materia di IVA, è improntata al principio della neutralità fiscale. Detto principio (...) non consente, in materia di riscossione dell'IVA, una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite, fatta eccezione per i casi in cui, date le particolari caratteristiche di alcune merci, è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito ed uno illecito».

Attualmente soltanto due tipi di prodotti sono stati riconosciuti come dotati di «particolari caratteristiche» così intese, ossia gli stupefacenti e il denaro falso (14). Questo elenco non è certamente esaustivo e, in linea di principio, può includere i servizi. Tuttavia, come ha rilevato l'avvocato generale Jacobs, l'esclusione «costituisce un'eccezione, rispetto alla normale regola secondo la quale alle operazioni lecite ed illecite va riservato lo stesso trattamento fiscale» (15). Il caso in esame, come ha osservato lo Hoge Raad, riguarda l'offerta intenzionale della possibilità di smerciare droga. E' quindi necessario richiamare brevemente la giurisprudenza relativa allo spaccio di stupefacenti.

A - L'esclusione degli stupefacenti

13 La giurisprudenza della Corte sugli stupefacenti inizia nei primi anni '80 con una serie di cause riguardanti l'importazione illegale in Germania di droghe «pesanti» (eroina, cocaina, morfina) (16) e la questione dell'applicabilità della Tariffa doganale comune. La Corte ha affermato che non sorgeva alcun debito doganale. Dalla sentenza Einberger I risulta chiaramente che punto di partenza del ragionamento della Corte è che i suddetti stupefacenti «presentano caratteristiche particolari in quanto ne è generalmente riconosciuta la dannosità e ne sono proibiti l'importazione e lo smercio in tutti gli Stati membri (...)» (17). La Corte ha rilevato che siffatta situazione giuridica era «conforme alla Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 (...) alla quale [avevano] aderito tutti gli Stati membri» (18). La conclusione che non sorgesse alcun debito doganale era conseguenza del fatto che gli stupefacenti restavano comunque nei circuiti commerciali illegali e non erano «idonei ad essere messi in commercio e ad integrarsi nell'economia comunitaria» (19), e della terminologia impiegata nella normativa sui dazi doganali allora in vigore, che collegava l'obbligazione doganale al «carattere economico dei dazi all'importazione e [alle] circostanze nelle quali le merci (...) vengono integrate nell'economia della Comunità» (20).

14 Due anni più tardi, nella sentenza Einberger II (21), la Corte, considerando che non vi era alcuna differenza tra assoggettabilità ai dazi doganali e assoggettabilità all'IVA, ha applicato il ragionamento sopra citato alla riscossione dell'IVA sull'importazione di morfina, che era stata discussa nella causa Einberger I. Ha completato il quadro nelle sentenze Mol (22) e Happy Family (23), applicando il medesimo ragionamento in generale alle vendite all'interno degli Stati membri. Si è richiamata alle precedenti pronunce, secondo cui l'introduzione di merci del genere «nel circuito economico e commerciale della Comunità è assolutamente vietata e [tale] importazione illegale può dar luogo soltanto a misure repressive», il che è «del tutto estrane[o] alle disposizioni della sesta direttiva (...)» (24). Riconoscendo che il principio della neutralità fiscale non consente «una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite» (25), la Corte ha dichiarato (26):

«[Q]uesta considerazione non vale per la cessione di merci come gli stupefacenti, che si trovano in una situazione particolare per il fatto di ricadere in tutti gli Stati membri, per loro stessa natura, sotto il divieto assoluto di messa in circolazione, fatta eccezione per un circuito economico rigorosamente sorvegliato in vista dell'uso per scopi medici e scientifici. In questa situazione specifica, in cui è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito e un settore illecito, il non assoggettamento all'IVA non può compromettere il principio della neutralità fiscale».

15 Mi pare che gli elementi chiave di questa giurisprudenza siano: in primo luogo, la nocività generalmente riconosciuta degli stupefacenti, come conferma la Convenzione unica; in secondo luogo, l'esistenza in tutti gli Stati membri di un divieto assoluto della loro introduzione nei normali circuiti economici; in terzo luogo, il fatto che il loro smercio può dar luogo soltanto a misure repressive. Queste, tuttavia, sono osservazioni relative ai fatti o all'opinione prevalente nel diritto nazionale e non costituiscono di per sé un'affermazione di principi di diritto comunitario. Nella causa Witzemann (27) l'avvocato generale Jacobs ha affermato che era difficile individuare il vero fondamento di tale giurisprudenza (28) e ha ritenuto giusta la richiesta della Commissione di definirne la base giuridica, asserendo che la causa, che riguardava in sé e per sé lo smercio di denaro falso, forniva «opportunamente alla Corte la possibilità di chiarire se la sua giurisprudenza fosse basata direttamente sul Trattato (...) o (...) si basasse sul diritto derivato» (29). Purtroppo la Corte non pare aver accolto l'invito, pur considerando la suddetta giurisprudenza applicabile a fortiori al denaro falso (30).

16 Secondo me, l'essenza della citata giurisprudenza è che gli stupefacenti, atteso che il loro smercio è assolutamente vietato in tutti gli Stati membri e può dar luogo soltanto a misure repressive, non rivestono alcun ruolo nell'economia normale. Di conseguenza, il principio della neutralità fiscale semplicemente non viene in rilievo, in quanto «è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito e un settore illecito (...)» (31).

17 A parte la sentenza Witzemann, in cui la Corte ha confermato che sulle importazioni di denaro falso non erano esigibili né dazi doganali né IVA, il principio dell'esenzione dall'IVA enunciato nelle sentenze Einberger II, Mol e Happy Family non è più stato applicato. Recentemente, nelle sentenze Lange (sviamento illecito di esportazioni di materiale suscettibile di uso a fini strategici in paesi soggetti ad embargo) (32), Goodwin e Unstead (sottrazione fraudolenta al versamento dell'IVA di vendite di profumi contraffatti) (33) e Fischer (organizzazione di giochi d'azzardo illeciti) (34), la Corte, pur riaffermando il principio secondo cui l'IVA non è esigibile sulle merci che «non possono essere messe in commercio né inserite nel circuito economico», ha distinto, in ciascun caso, il grado di illiceità della vendita dei prodotti o della prestazione dei servizi di cui trattavasi dal «divieto tassativo» di cui alla giurisprudenza sugli stupefacenti ed alla sentenza Witzemann e, di conseguenza, ha affermato l'esigibilità dell'IVA (35). Dunque, per quanto sia ipotizzabile che in futuro alla Corte possa venir chiesto di valutare - ad esempio a proposito dei proventi dello sfruttamento della prostituzione minorile, della pornografia pedofila o della tratta di esseri umani - se l'attività debba formare oggetto di un divieto assoluto per poter rientrare nell'esenzione, nel caso di specie, siccome le attività dei rivenditori accreditati rientrano chiaramente nel campo di applicazione dei principi di cui alla sentenza Happy Family, occorre soltanto stabilire se il loro rapporto con i coffeeshop sia sufficientemente stretto e indissolubile da far sì che l'esenzione dall'IVA, che vale per cessioni di stupefacenti, possa estendersi anche agli atti che consistono nel facilitarle.

B - Parere

18 Alla luce di questa giurisprudenza, mi sembra che la questione dell'assoggettabilità o meno all'IVA delle attività controverse possa essere analizzata in due modi diversi. In primo luogo occorre valutare se, come suggerisce il governo dei Paesi Bassi, si tratti semplicemente del corrispettivo della locazione del tavolo, che è indiscutibilmente imponibile, nonostante il nesso diretto e immediato tra questa operazione e la vendita di sostanze illegali. In alternativa, se la locazione del tavolo non può essere separata dal suo fine illecito, occorre valutare se la vendita di prodotti a base di cannabis, effettuata nell'ambito della politica ufficiale di tolleranza del governo olandese, esuli o rientri nella sfera di applicazione dei principi sanciti dalla giurisprudenza, in particolare nella sentenza Happy Family.

i) Considerazioni di ordine sociale

19 E' opportuno soffermarsi, in limine, sul parere dello Hoge Raad secondo cui vi sarebbe stata un'evoluzione della valutazione sociale in ordine allo smercio dei prodotti a base di cannabis. A mio giudizio, sarebbe del tutto fuori luogo che la Corte si pronunci in proposito.

20 In primo luogo, dalla sentenza Happy Family risulta chiaramente che qualunque presunta distinzione tra il commercio delle droghe cosiddette «leggere» e quello delle droghe «pesanti» è priva di qualunque fondamento sia in diritto comunitario che in diritto nazionale e internazionale (36). In secondo luogo, la Corte non dispone di alcuna base fattuale (il giudice nazionale non ha fornito alcuna prova) né ha il compito, sotto il profilo giuridico, di fare distinzioni del genere. L'Unione europea, quando, come entità distinta dalla Comunità, ha assunto una posizione sulle questioni relative agli stupefacenti, non pare aver ammesso tale distinzione, che non compare neppure all'art. K.1 del titolo VI del Trattato sull'Unione europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam (37). La detta disposizione prevede, tra l'altro, un'azione dell'Unione per prevenire varie forme di criminalità, compreso il «traffico illecito di droga».

21 E' possibile che lo Hoge Raad abbia anche pensato che la Corte considerasse di scostarsi eventualmente dalla giurisprudenza Happy Family in ragione dei mutamenti sociali intervenuti nei Paesi Bassi, anche se non sono imitati in altri Stati membri. Tuttavia, l'esenzione dall'IVA delle cessioni di stupefacenti è attualmente troppo radicata nella giurisprudenza per poter essere rimessa in discussione, salvo un eventuale intervento del legislatore.

ii) Distinzione tra locazione del tavolo e vendita di stupefacenti

22 Il parere del governo olandese secondo cui la messa a disposizione di un tavolo per gli huisdealer all'interno di un coffeeshop va assoggettata ad imposta solleva la questione se la vendita diretta di sostanze proibite vada tenuta distinta dalle attività comprendenti l'aiuto e l'incitamento alla vendita. Sinora questa questione non era mai stata sollevata nella giurisprudenza. Dalla sentenza Happy Family non emerge chiaramente quale fosse l'esatta base giuridica su cui le autorità tributarie olandesi tentavano di fondare l'assoggettamento all'IVA dell'associazione Happy Family per le cessioni di stupefacenti effettuate da un rivenditore accreditato nel centro giovanile dell'associazione. La Corte ha presunto che i proventi delle vendite (o quanto meno parte di essi) andassero all'associazione e che, pertanto, potessero essere attribuiti all'associazione stessa (38). Ai fini di questa causa, tuttavia, devo presumere che, secondo il diritto olandese, l'associazione fosse considerata la venditrice degli stupefacenti. La differenza tra le attività della detta associazione e quelle della resistente nella causa principale sta nel fatto che quest'ultima non vende stupefacenti, bensì affitta un tavolo ad un rivenditore accreditato, attività che, indipendentemente dall'illiceità del fine della locazione, è perfettamente legittima. Questa distinzione è significativa ai fini dell'applicazione del ragionamento posto alla base della sentenza Happy Family?

23 E' giusto, naturalmente, ricordare che qualunque esenzione dall'IVA costituirebbe un'eccezione al principio della neutralità fiscale, di cui ho già trattato. Ciò, tuttavia, non esclude la necessità di considerare se una determinata operazione che rientra nella categoria delle cessioni di beni (e presumibilmente delle prestazioni di servizi) e presenta le «particolari caratteristiche» descritte nella giurisprudenza possa essere senz'altro esentata dall'IVA. Secondo me, la Corte potrebbe benissimo pronunciarsi nella presente causa semplicemente nel senso che la locazione di un tavolo costituisce, di per sé, una normale prestazione di un servizio, come tale imponibile, in quanto concorre a formare il reddito di un'impresa legittima che opera nel normale circuito economico in normali condizioni di concorrenza, il che rende applicabile il principio della neutralità fiscale.

24 A mio parere, tuttavia, tale soluzione sarebbe incompleta e insoddisfacente qualora non tenesse conto dell'illiceità che l'operazione controversa condivide con lo smercio di stupefacenti da parte del rivenditore accreditato. Anzitutto, questo punto di vista purtroppo presuppone che la locazione di tavoli costituisca un mercato autonomo. Lo Hoge Raad ha affermato che l'attività della resistente è penalmente illecita, in quanto equivale a fornire possibilità, mezzi e informazioni per la commissione del reato di spaccio di stupefacenti.

25 Se l'attività di smercio di sostanze stupefacenti da parte dello huisdealer esula totalmente dai normali circuiti economici per sua stessa natura, è difficile vedere su quale base, in diritto comunitario, potrebbe riservarsi un trattamento diverso al titolare del coffeeshop. La distinzione, in diritto nazionale, tra autore e complice del reato non ha alcuna incidenza sulla questione se le attività di locazione di tavoli per lo smercio di stupefacenti abbiano natura diversa da quelle dei rivenditori di droga. Il tavolo viene affittato esclusivamente al fine di smerciare stupefacenti e tale smercio si avvale dell'aiuto diretto del titolare del coffeeshop, che fornisce indicazioni ai clienti.

26 Due osservazioni ulteriori aiutano a far chiarezza sul punto. Se i tavoli fossero locati per la vendita di droghe «pesanti» totalmente al di fuori dei criteri AHOJ-G, sarebbe più semplice ravvisare nella locazione le «particolari caratteristiche» menzionate nella giurisprudenza. Tuttavia, qualora la differenza essenzialmente economica tra la vendita vera e propria di stupefacenti e la locazione di tavoli al medesimo fine consentisse di porre in non cale la giurisprudenza Happy Family, la medesima logica obbligherebbe la Corte a dichiarare assoggettabile all'IVA la locazione del tavolo ai rivenditori accreditati che smerciano droghe «pesanti». Inoltre una distinzione basata sulla differenza tra locazione di un tavolo e smercio di stupefacenti potrebbe essere aggirata con molta facilità. Ad esempio, il proprietario del coffeeshop, pur rispettando i criteri AHOJ-G, potrebbe associarsi nella vendita di droga o assumere lo huisdealer alle sue dipendenze. Entrambe le ipotesi forse determinerebbero l'applicabilità della giurisprudenza Happy Family e probabilmente costringerebbero i giudici olandesi che in futuro si trovassero a doversi pronunciare su tali strutture di vendita modificate a chiedere ulteriori chiarimenti alla Corte.

27 Pertanto, ritengo che occorra considerare che la questione rimette in discussione l'effetto della politica AHOJ-G sull'applicabilità della giurisprudenza Happy Family.

iii) La depenalizzazione di fatto delle attività dei coffeeshop

28 Nella sentenza Happy Family la Corte ha affermato che «il divieto assoluto di smercio che colpisce gli stupefacenti non è scalfito dal solo fatto che le autorità nazionali incaricate di applicarlo, tenendo conto delle disponibilità, manifestamente limitate, di uomini e di mezzi e allo scopo di concentrare le risorse disponibili nella lotta contro gli stupefacenti, mettano in secondo piano la repressione di un determinato tipo di commercio di stupefacenti poiché considerano più pericolosi altri tipi di commercio», ed ha fermamente dichiarato che tale decisione «non può affatto portare ad equiparare il traffico illegale di stupefacenti al circuito economico rigorosamente sorvegliato dalle autorità competenti nel campo medico e scientifico» (39). La Corte ha rilevato inoltre che questo traffico, «anche se tollerato entro determinati limiti, resta illegale e può, in qualsiasi momento, essere represso dalla polizia se le autorità competenti lo ritengono opportuno». Ha aggiunto che l'applicabilità dell'IVA ad un'operazione illecita non poteva dipendere dalle modalità di repressione effettivamente seguite in questo o quello Stato membro, fermo restando che tali operazioni erano illegali, in quanto sarebbe stata compromessa l'armonizzazione del sistema d'imposta sul valore aggiunto, cui mira la sesta direttiva.

29 Occorre rammentare che questa valutazione è stata effettuata nel contesto di un presunto divieto assoluto di smercio di stupefacenti, cannabis inclusa, e ha condotto la Corte ad escludere l'applicabilità del principio di neutralità in ragione della mancanza di qualsiasi forma di concorrenza tra attività lecite e illecite. A me sembra quanto meno dubbio che la stessa affermazione valga effettivamente anche per l'attuale situazione dei Paesi Bassi, in cui è stata operata ufficialmente una distinzione tra droghe «leggere» e droghe «pesanti».

30 Prima di trarre una conclusione su questo aspetto del caso in esame, vorrei richiamare l'attenzione su due sgradevoli conseguenze dell'attuale situazione giuridica con riferimento all'esenzione risultante dalla giurisprudenza in materia di stupefacenti, ben evidenti in questo procedimento. I trafficanti di stupefacenti sono autorizzati, anzi addirittura incoraggiati, ad avvalersi dell'opportunità di presentare alla Corte osservazioni che evidenziano l'illiceità del loro comportamento. La resistente nella causa principale ha affermato, ad esempio, di essere colpevole non soltanto di complicità, bensì anche del reato principale di detenzione di stupefacenti. Chi ha commesso un illecito non dovrebbe trarne un vantaggio proporzionale alla gravità del fatto. Secondo un principio consolidato nella maggior parte degli Stati membri, alle parti non dev'essere consentito di far valere a proprio vantaggio un comportamento illecito. Condivido l'amarezza espressa dall'avvocato generale Léger nella causa Goodwin e Unstead, laddove osserva che, «in flagrante contraddizione» con il principio «nemo auditur turpitudinem propriam allegans», le parti in quel procedimento «tenta[vano] di avvalersi del carattere malsano, se non addirittura pericoloso, da un punto di vista economico, delle loro attività, per sostenere che non [avrebbero dovuto] essere assoggettate all'IVA» (40). Ciò vale a fortiori nella fattispecie, in cui il carattere malsano e pericoloso delle attività considerate dà origine ad una violazione sia del diritto penale che del diritto internazionale. In generale trovo aberrante l'idea secondo cui l'attività illecita, in particolare lo spaccio di droga, debba, proprio in ragione della sua illiceità, ricevere un trattamento fiscale migliore.

31 La questione da esaminare nella specie è se le attività di smercio di stupefacenti nei coffeeshop dei Paesi Bassi, in circostanze che rientrano nell'ambito della politica AHOJ-G, possiedano effettivamente le «particolari caratteristiche» a motivo delle quali sono, «per loro stessa natura», al di fuori del circuito economico.

32 A me non sembra che la politica AHOJ-H, quanto meno nella forma attuale, sia basata su una mera facoltà discrezionale di perseguire penalmente o meno, motivata da ragioni di gestione efficace dei mezzi della polizia e delle autorità giudiziarie.

33 Le attuali direttive ufficiali olandesi in materia di repressione sono in vigore dal 1_ ottobre 1996 e sono state pubblicate sul Nederlandse Staatscourant. In sostanza, come ha osservato la Commissione, hanno aggiornato le politiche precedenti e hanno consolidato gli sviluppi della prassi (41). La resistente afferma, tuttavia, che i titolari di coffeeshop affrontano ancora notevoli rischi di natura penale. Questa tesi non può essere conciliata né con le direttive né con i documenti sulla politica globale prodotti dalla Commissione e pubblicati nel 1995 dal governo olandese (42). Quest'ultimo segue una politica globale sul consumo di droghe che associa una decisa lotta al traffico illecito con misure di tutela dei giovani, compresa la dissuasione dall'uso di cannabis. In «Continuità e cambiamento», facendo riferimento ai dati scientifici, il governo olandese riconosce formalmente una differenza, basata su motivi di tutela della sanità pubblica, tra droghe «leggere», come la canapa indiana, e droghe «pesanti»; i rischi per la salute correlati alle prime vengono ritenuti accettabili (43). Riguardo alla cannabis, in «Continuità e cambiamento» si afferma (44):

«La politica olandese sull'uso di cannabis è basata sulla presunzione che si passi dalle droghe leggere a quelle pesanti a causa di fattori sociali, più che psicologici. Se i giovani desiderano assumere droghe leggere - e l'esperienza insegna che molti lo desiderano - i Paesi Bassi ritengono sia più opportuno che ciò avvenga in luoghi non esposti alla sottocultura criminale che ruota intorno alle droghe pesanti. La tolleranza del facile accesso a modiche quantità di droga leggera per uso personale è intesa a tenere il mercato delle droghe leggere separato da quello delle droghe pesanti, creando in tal modo una barriera sociale al passaggio dalle prime alle seconde».

34 La politica di tolleranza da parte dell'autorità giudiziaria, iniziata con lo smercio di cannabis in centri giovanili ad opera di rivenditori in buona fede (come avveniva nella causa Happy Family), si è ora estesa ai coffeeshop che vendono «op commerciële basis» (su base commerciale) agli adulti (45). Il controllo e la sorveglianza vengono sostanzialmente affidati alle autorità locali. I coffeeshop vengono aperti in una provincia con l'autorizzazione del competente triumvirato locale composto da sindaco, capo della polizia e pubblico ministero. Naturalmente, la vendita di cannabis rimane tecnicamente illecita (46). Inoltre, le autorità locali possono ordinare la chiusura di uno o di tutti i coffeeshop. Tuttavia, l'azione penale non viene esercitata qualora siano rispettati i criteri AHOJ-G. Mi sembra che questa politica di astensione dall'azione penale costituisca qualcosa di più di un semplice espediente. Risulta infatti che il pubblico ministero, qualora intenda discostarsi da una consolidata politica di questo genere, vigente in un determinato comune o in una determinata provincia per quanto riguarda la vendita conforme ai criteri AHOJ-G, ed esercitare l'azione penale, potrebbe essere chiamato a giustificare tale decisione (47).

35 Alla luce di quanto precede, concordo con la Commissione nel ritenere che la vendita al dettaglio di modiche quantità di cannabis nei coffeeshop, ancorché illecita, deliberatamente inserita dalla politica ufficiale in un mercato separato, vada considerata, come ha riconosciuto lo stesso governo olandese in «Continuità e cambiamento», come di fatto depenalizzata e pertanto come attività commerciale in concorrenza parziale, ma diretta, con i soggetti passivi che nei Paesi Bassi gestiscono bar o caffè simili, ma normali. Ne consegue, secondo me, che tali vendite al dettaglio e le altre attività ad esse inscindibilmente connesse, come quelle in discussione nella specie, devono essere trattate come normali attività commerciali ai fini dell'IVA e tassate di conseguenza. Questa conclusione, a mio parere, non ha alcun effetto negativo sul grado di armonizzazione attualmente raggiunto in materia di applicazione dell'IVA nella Comunità, in quanto negli Stati membri che non praticano una politica analoga a quella dei Paesi Bassi (vale a dire la maggior parte, se non tutti), la vendita al dettaglio di cannabis non potrebbe essere qualificata come operazione commerciale e non potrebbe, per definizione, essere effettuata in circostanze equiparabili, e quindi in concorrenza, con quelle normalmente svolte negli esercizi gestiti dai normali soggetti passivi (48).

C - La qualificazione delle attività dei coffeeshop ai fini dell'IVA

36 Nelle sue osservazioni la Commissione solleva il problema della qualificazione ai fini dell'IVA delle attività analoghe a quelle della resistente, presumendo ch'esse rientrino, in via di principio, nel campo di applicazione della sesta direttiva. A suo parere, andrebbero qualificate come «locazione di beni immobili», o di parte di essi, esentata dall'IVA ai sensi dell'art. 13, punto B, sub b), piuttosto che come operazioni consistenti nell'obbligo «di tollerare un atto od una situazione», imponibile in forza dell'art. 6, n. 1, secondo trattino. Tuttavia, poiché lo Hoge Raad non ha ritenuto necessario porre alcuna questione al riguardo, propongo alla Corte di non esprimere alcun parere sulla qualificazione proposta dalla Commissione. Basti dire che non sarei incline, prima facie, a considerare la locazione di un tavolo in un coffeeshop equivalente a quella di un immobile per poter configurare un'esenzione espressa dall'IVA che va, in ogni caso, interpretata restrittivamente (49).

IV - Conclusione

37 Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere le questioni sottopostele dallo Hoge Raad nel modo seguente:

«L'art. 2 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, dev'essere interpretata nel senso che l'IVA è dovuta sui proventi della locazione di un tavolo ai fini dello smercio di stupefacenti illegali nelle circostanze descritte nella causa principale».

(1) - Corte suprema dei Paesi Bassi, in prosieguo: lo «Hoge Raad».

(2) - Sentenza 5 luglio 1988, causa 289/86 (Racc. pag. 3655).

(3) - In olandese i coffeeshop sono noti anche come «reggaebar», «koffiehuis», «theehuis», «shoarma-huis» e «sappenbar».

(4) - A tale proposito v. la recente sentenza dello Hoge Raad 28 gennaio 1998, Nederlandse Belastingrechtspraak 1998/116 (n. 33 0777).

(5) - Staatsblad 167, nella versione da ultimo modificata dalla legge 21 dicembre 1994, Staatsblad 1995, 32.

(6) - Direttive del 28 ottobre 1976. Murphy e O'Shea, in «Dutch drugs policy, Ecstasy and the 1997 Utrecht CVO Report», (1998) 8 Irish Criminal Law Journal, 141, pag. 142, che fanno risalire le origini dell'attuale politica olandese alle raccomandazioni del Werkgroep Verdovende Middelen (gruppo di lavoro sugli stupefacenti) del 1972, noto come «Commissie-Baan» (commissione Baan); v. Baan, Achtergronden en Risico's van Druggebruik, L'Aia, 1972.

(7) - V. Staatscourant, 187, pag. 12.

(8) - Tali condizioni sono: (affichering) gli stupefacenti non possono essere pubblicizzati; (harddrugs) è vietata la vendita di droghe «pesanti»; (overlast) il coffeeshop non deve arrecare disturbo; (jeugdigen) è vietata la vendita di stupefacenti ai minori (di età inferiore agli anni 18) e l'ammissione di questi nei locali dei coffeeshop; (grote) nell'ambito di un'operazione non possono vendersi più di cinque grammi di sostanza stupefacente a persona. Inoltre, lo handelsvoorraad (scorta commerciale) tollerato di un coffeeshop non deve eccedere i 500 grammi. Infine, le autorità comunali o provinciali possono negare l'autorizzazione all'apertura di un coffeeshop e possono ordinare la chiusura di un coffeeshop esistente anche nel caso in cui siano soddisfatti i requisiti summenzionati.

(9) - Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).

(10) - Sentenza citata alla nota 2, punto 23.

(11) - Non è stata richiesta la trattazione orale e la Corte ha deciso, ai sensi dell'art. 104, n. 4, del suo regolamento di procedura, di farne a meno.

(12) - Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, 520, n. 7515 (in prosieguo: la «Convenzione unica»).

(13) - Sentenza 2 agosto 1993, causa C-111/92, Wilfried Lange/Finanzamt Fürstenfeldbruck (Racc. pag. I-4677, punto 16).

(14) - V. le conclusioni presentate dall'avvocato generale Léger nella causa C-3/97, Goodwin e Unstead (Racc. 1998, pag. I-3257, paragrafo 9).

(15) - Sentenza 11 giugno 1998, causa C-283/95, Fischer (Racc. pag. I-3369, paragrafo 17 delle conclusioni).

(16) - V. sentenze 5 febbraio 1981, causa 50/80, Horvath (Racc. pag. 385); 26 ottobre 1982, causa 221/81, Wolf (Racc. pag. 3681), e 26 ottobre 1982, Einberger (Racc. pag. 3699; in prosieguo: la «sentenza Einberger I»).

(17) - Punto 8.

(18) - Ibid., punto 9. La Corte si è espressamente richiamata al preambolo della Convenzione unica, che parla (terzo `considerando') di «calamità» e del conseguente «danno economico e sociale per l'umanità» determinato da siffatte sostanze.

(19) - Punto 13.

(20) - Punto 14.

(21) - Sentenza 28 febbraio 1984, causa 294/82, Einberger (Racc. pag. 1177; in prosieguo: la «sentenza Einberger II»). Ai sensi dell'art. 2, n. 2, della sesta direttiva, le «importazioni di beni» sono soggette all'imposta sul valore aggiunto.

(22) - Sentenza 5 luglio 1988, causa 269/86 (Racc. pag. 3627), che riguardava lo smercio di anfetamine.

(23) - Citata alla nota 2.

(24) - Sentenza Happy Family, punto 17.

(25) - Sentenza Happy Family, punto 20.

(26) - Ibid.

(27) - Sentenza 6 dicembre 1990, causa C-343/89 (Racc. pag. I-4477).

(28) - Ibid., paragrafo 20 delle conclusioni.

(29) - Paragrafo 15 delle conclusioni.

(30) - La Corte ha dichiarato (punto 20) che le considerazioni svolte in materia di importazione illegale di stupefacenti «si applica[va]no a fortiori nel caso delle importazioni di denaro falso», in quanto esisteva un divieto assoluto di fabbricazione, possesso, importazione e vendita di tale denaro, nazionale o estero, in tutti gli Stati membri.

(31) - Sentenza Happy Family, punto 20.

(32) - Citata alla nota 13.

(33) - Citata alla nota 14.

(34) - Citata alla nota 15.

(35) - V., ad esempio, sentenza Lange, punti 12 e 13.

(36) - Nel risolvere la seconda questione sottopostale dallo Hoge Raad in quella causa la Corte, accogliendo il parere dell'avvocato generale Mancini, si è rifiutata di tracciare qualunque distinzione tra droghe «leggere» e droghe «pesanti»; v. punti 25 e 26 della sentenza e paragrafo 5 delle conclusioni (conclusioni comuni alle cause Mol e Happy Family, Racc. 1988, pag. 3267, in particolare pag. 3643). Tale distinzione infatti, basata com'è esclusivamente sulle caratteristiche di determinate sostanze, viene considerata persino fuorviante, in quanto ignora altri fattori importanti che incidono sul consumo di droga, quali l'ambiente in cui avviene; v. Murphy e O'Shea, op. cit., pag. 144.

(37) - V. l'azione comune del 17 dicembre 1996, adottata dal Consiglio sulla base dell'articolo K.3 del Trattato sull'Unione europea, relativa al ravvicinamento delle legislazioni e delle prassi degli Stati membri dell'Unione europea ai fini della lotta contro la tossicodipendenza e della prevenzione e lotta contro il traffico illecito di droga (GU L 342, pag. 6).

(38) - Mentre la relazione d'udienza fa riferimento all'assoggettamento dell'associazione Happy Family ad un accertamento relativo alle «sue vendite di droghe leggere» (Racc. pag. 3655, in particolare pag. 3656; il corsivo è mio), la sentenza tace sul punto, facendo semplicemente riferimento alle «vendite di hascisc in detto centro giovanile» (punto 2). L'avvocato generale Mancini, tuttavia, afferma espressamente (v. Racc. 1988, pag. 3627, in particolare pag. 3639) che parte dei proventi andavano all'associazione.

(39) - Ibid., punto 29.

(40) - Paragrafo 18 delle conclusioni.

(41) - Al riguardo la Commissione cita, in particolare, le precedenti direttive del 28 ottobre 1976 e del 21 ottobre 1994.

(42) - V. Het Nederlandse Drugbeleid: Continuïteit en Verandering (Politica in materia di droga nei Paesi Bassi: continuità e cambiamento), Rijswijk, 1995 (in prosieguo: «Continuità e cambiamento»).

(43) - V. «Continuità e cambiamento», pag. 2 della versione prodotta dalla Commissione dinanzi alla Corte.

(44) - Ibid., pag. 3.

(45) - V. «Continuità e cambiamento», pag. 3.

(46) - Sebbene in «Continuità e cambiamento» il governo faccia riferimento alla decriminalisering (depenalizzazione) della vendita di canapa indiana all'interno dei coffeeshop, sia dalle osservazioni da esso presentate nella presente causa sia dall'ordinanza di rinvio risulta chiaramente ch'essa rimane vietata ai sensi del diritto penale olandese.

(47) - Al riguardo, la Commissione si richiama ad una sentenza dello Hoge Raad del 5 marzo 1991, Nederlandse Jurisprudentie, 1991, n. 694 (n. 88087), che ha confermato in linea di massima la decisione emessa da un giudice inferiore in un procedimento penale contro il titolare di un coffeeshop, secondo cui i principi di un corretto giudizio penale imponevano che l'azione promossa in contraddizione con una politica generalmente ammessa di non perseguibilità fosse dichiarata improponibile salvo giustificazioni del pubblico ministero. Tuttavia, la sentenza impugnata è stata annullata in quanto non comprovava l'esistenza di una siffatta politica.

(48) - Vi è un altro motivo che sta alla base dell'adozione di una visione più dinamica della concorrenza tra coffeeshop e normali bar o caffè nei Paesi Bassi. In una sentenza del 28 gennaio 1998 (citata alla nota 4) lo Hoge Raad ha statuito che i coffeeshop potevano esercitare il diritto di detrazione conferito dalla sesta direttiva per tutte le spese a monte relative a beni e servizi da essi acquistati nel corso dell'esercizio, anche se non sono soggetti, secondo la sentenza Happy Family, all'IVA sul loro smercio di droghe «leggere». Qualora venga attribuito un diritto pieno alla detrazione, mentre l'IVA è dovuta soltanto per certe prestazioni, sembra ancor più importante, al fine di evitare di favorire effettivamente le attività dei coffeeshop rispetto a quelle dei normali bar, assoggettare i primi all'IVA per l'intera cifra d'affari realizzata con l'esercizio dei loro locali.

(49) - La Corte ha costantemente confermato il ruolo cardine del principio di interpretazione restrittiva dell'esenzione dall'IVA nell'ambito della sesta direttiva. V., tra l'altro, sentenze 26 marzo 1987, causa 235/85, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 1471, punto 19); 15 giugno 1989, causa 348/87, Stichting Uitvoering Financiële Acties (Racc. pag. 1737, punto 13), e 12 novembre 1998, causa C-149/97, Institute of the Motor Industry (Racc. pag. I-7053, punto 17).