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61998C0200

Conclusioni dell'avvocato generale Saggio del 3 giugno 1999. - X AB e Y AB contro Riksskatteverket. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Regeringsrätten - Svezia. - Libertà di stabilimento - Conferimenti effettuati da una società svedese alla propria consociata - Esenzione dall'imposta sul reddito. - Causa C-200/98.

raccolta della giurisprudenza 1999 pagina I-08261


Conclusioni dell avvocato generale


1 Con ordinanza del 19 maggio 1998 il Regeringsrätten (Consiglio di Stato svedese) ha rivolto alla Corte un quesito pregiudiziale concernente l'interpretazione degli artt. 52 del Trattato CE (divenuto, a seguito di modifiche, art. 43), 73 B del Trattato CE (divenuto art. 56), e 73 D del Trattato CE (divenuto art. 58), nell'ambito di una controversia vertente tra due società svedesi e l'organismo competente ad emettere pareri vincolanti in materia tributaria.

La normativa nazionale

a) Il parere preliminare in materia tributaria

2 Nell'ordinamento svedese il Regeringsrätten svolge le funzioni di organo d'appello avverso le decisioni della commissione tributaria (Skatterättsnämnden). Quest'ultima è competente, ai sensi della legge n. 1951:442 sul parere preliminare nelle questioni tributarie (lagen om förhandsbesked i taxeringsfrågor), ad emettere pareri vincolanti, su richiesta di singoli contribuenti, sull'applicazione della legislazione fiscale, in particolare delle imposte dirette nazionali o comunali. Le domande di parere vengono presentate per iscritto non oltre l'ultimo giorno utile per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta su cui verte la domanda. Il procedimento è sottoposto al dovere di riservatezza assoluta. Il parere preliminare emesso dalla commissione vincola l'amministrazione tributaria per il periodo d'imposta per cui è stato richiesto, qualora il contribuente ne faccia richiesta e dimostri che si sono realizzate tutte le condizioni per la sua applicazione. Il parere può essere impugnato dinanzi al Consiglio di Stato dal contribuente, dalla commissione tributaria centrale e, in determinati casi, dall'ente territoriale interessato. Nella prassi, i pareri emessi dalla commissione tributaria rivestono un'importanza che trascende la singola questione posta all'attenzione dell'organismo, in quanto assumono il valore di precedente per l'interpretazione e l'applicazione della normativa fiscale svedese.

b) Le norme sui conferimenti di gruppo

3 La normativa fiscale svedese prevede che un gruppo di società non sia, di per sé, soggetto d'imposta. Sono invece considerate soggetti d'imposta le singole consociate. L'art. 2, n. 3, della legge sull'imposta statale sul reddito (lagen om statling inkomstskatt, n. 1947:576; in prosieguo: l'«LSI») dispone che i conferimenti fra società appartenenti allo stesso gruppo possono beneficiare, a determinate condizioni, di agevolazioni fiscali. Secondo tale normativa, qualora una società svedese possegga più dei nove decimi delle azioni di un'altra società svedese, i conferimenti effettuati da una società a beneficio dell'altra devono essere considerati onere deducibile per la società conferente e reddito imponibile per la beneficiaria. Scopo della disciplina è quello di evitare che il carico fiscale subisca un incremento qualora l'esercizio di un'attività commerciale venga svolto da più imprese appartenenti ad uno stesso gruppo piuttosto che da una singola impresa.

L'art. 2, n. 3, secondo comma, dell'LSI, che contiene norme relative alle fusioni, estende tale regime ai conferimenti effettuati da una capogruppo ad una consociata che non sia interamente controllata dalla prima, qualora nel corso dell'intero periodo d'imposta il rapporto di proprietà tra le due società si sia configurato in modo tale che la società beneficiaria del conferimento abbia potuto essere incorporata nella capogruppo in seguito a fusione. A tal riguardo, si deve ritenere che possa esservi fusione qualora la capogruppo possieda più di nove decimi delle azioni della consociata.

4 Le norme ora descritte prendono in considerazione esclusivamente i conferimenti effettuati tra società svedesi appartenenti allo stesso gruppo. Nella prassi del Regeringsrätten è sorta più volte la questione se una tale limitazione delle agevolazioni fiscali garantite dall'LSI sia conforme o meno al divieto di discriminazione previsto dalle convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dalla Svezia con altri Paesi. In una pronuncia del 1993 il Consiglio di Stato ha esteso i benefici previsti dalla legge citata ai conferimenti effettuati da una capogruppo svedese ad una sua consociata, controllata tramite una società straniera, a condizione però che tra la Svezia e lo Stato in questione sia in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni. Si trattava, nella fattispecie, di conferimenti da una capogruppo svedese ad un'altra impresa svedese di proprietà di una società americana controllata dalla capogruppo.

L'esistenza di convenzioni sulle doppie imposizioni non consente invece l'applicazione delle deduzioni fiscali previste dall'LSI qualora i conferimenti siano effettuati in favore di una consociata le cui azioni siano di proprietà di due o più società straniere controllate integralmente dalla capogruppo. Secondo il Regeringsrätten, infatti, non si potrebbe consentire la contemporanea applicazione di due o più convenzioni contro le doppie imposizioni, in quanto le disposizioni di ognuna di dette convenzioni ne prevedono l'applicazione in favore di imprese che appartengono agli Stati contraenti, ma non di imprese di uno Stato terzo.

I fatti e il quesito pregiudiziale

5 Nell'ambito di una operazione di riorganizzazione di un gruppo di società, la capogruppo, X AB, e la sua consociata svedese, Y AB, chiedevano nel giugno 1996 alla commissione tributaria un parere preliminare relativo all'applicabilità, nei loro confronti, della normativa sui conferimenti di gruppo di cui all'art. 2, n. 3, dell'LSI, per gli anni dal 1997 al 1999. All'epoca della domanda il gruppo deteneva il 99,8% delle azioni della società Y AB. Tale 99,8% era così ripartito: il 58% era direttamente detenuto da X AB, il restante da società da questa interamente controllate. Per meglio finanziare l'acquisto di Y AB, la capogruppo intendeva vendere il 15% delle azioni di Y AB di sua proprietà a Z BV, consociata olandese, controllata integralmente. La capogruppo intendeva eventualmente vendere un ulteriore 15% delle azioni di Y AB a Y GmbH, consociata tedesca anch'essa controllata integralmente.

6 La domanda di parere preliminare sottoponeva all'attenzione della commissione tre diverse operazioni, per ognuna delle quali X AB desiderava conoscere le conseguenze sul piano fiscale. Ciò anche al fine di valutare la possibilità di effettuare, nei confronti di Y AB, dei conferimenti che dessero diritto alle agevolazioni di cui all'art. 2, n. 3, dell'LSI. In particolare, si chiedeva alla commissione quali sarebbero state le implicazioni fiscali per il periodo di imposta 1997-1999 qualora le azioni di Y AB fossero state interamente detenute da X AB e dalla consociata olandese Z BV interamente controllata, ovvero qualora quest'ultima avesse acquistato il 15% delle azioni di X AB, ovvero ancora nell'ipotesi in cui sia la società Z BV che la società tedesca Y GmbH avessero acquistato il 15% ciascuna delle azioni della società X AB.

7 La commissione tributaria emetteva, in data 22 novembre 1996, un parere preliminare con il quale riteneva applicabile al primo caso le agevolazioni relative ai conferimenti intragruppo in virtù del disposto dell'art. 2, n. 3, secondo comma, dell'LSI, relativo alle fusioni. Anche per quanto concerne il secondo scenario, la commissione riteneva applicabili tali agevolazioni in virtù della clausola di non discriminazione contenuta in una convenzione contro le doppie imposizioni firmata da Svezia e Olanda. Per quanto concerne infine la terza possibilità, la commissione non riconosceva il diritto alle agevolazioni: benché la Svezia sia firmataria di due convenzioni contro le doppie imposizioni rispettivamente con Germania e Olanda, in base alla giurisprudenza del Consiglio di Stato non sarebbe consentita una loro applicazione cumulativa. La commissione tributaria escludeva altresì che la conclusione raggiunta potesse essere rivista alla luce del diritto comunitario.

8 Le società X AB e Y AB impugnavano il parere preliminare dinanzi al Regeringsrätten. Le ricorrenti sostenevano che la soluzione raggiunta dalla Commissione, nella parte in cui non riconosceva le agevolazioni fiscali ai conferimenti intragruppo anche nel terzo caso, comporterebbe una discriminazione vietata dal Trattato, ed in particolare una violazione degli artt. 6 del Trattato CE (divenuto, a seguito di modifica, art. 12 CE), 52, 58 e 73 B del Trattato CE.

9 Il Regeringsrätten riteneva necessario, ai fini della soluzione della controversia, rivolgere alla Corte un quesito pregiudiziale il cui testo è il seguente:

«Ai sensi dell'art. 2, n. 3, della legge (1947:576) sull'imposta sul reddito vengono concesse, a talune condizioni, agevolazioni fiscali per i conferimenti di una società per azioni svedese ad un'altra società per azioni svedese che è completamente controllata dalla prima società o controllata da questa e da una o più consociate svedesi della stessa, a loro volta integralmente controllate. Il trattamento fiscale non muta qualora una o più delle società integralmente controllate siano straniere ma abbiano sede in un unico Stato membro e la Svezia abbia concluso con tale Stato una convenzione contro le doppie imposizioni che contenga una clausola di non discriminazione. Si chiede se in tale contesto sia compatibile con il diritto comunitario vigente, in particolare con il combinato disposto dell'art. 52 e degli artt. 58 e 73 B e 73 D del Trattato di Roma, l'applicazione di un regime in forza del quale per i conferimenti di gruppo non vengono concesse le stesse agevolazioni fiscali quando invece la società capogruppo svedese ha la proprietà della società destinataria dei conferimenti unitamente a due o più consociate straniere integralmente controllate con sede in diversi Stati membri con cui la Svezia ha concluso convenzioni contro le doppie imposizioni che contengono una clausola di non discriminazione».

Sulla ricevibilità

10 In via preliminare, va verificato se il Regeringsrätten svedese possa essere considerato una «giurisdizione nazionale» ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), qualora si pronunci in sede di annullamento di un parere preliminare emesso dalla commissione tributaria.

11 E' noto, a tal proposito, che la nozione di «giurisdizione» ai sensi del citato articolo è una nozione «comunitaria»; al fine di qualificare un organismo del tipo di quello in questione come «giurisdizione», la Corte richiede la presenza di alcuni requisiti quali l'origine legale, il carattere permanente, l'obbligatorietà della giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, l'applicazione di norme giuridiche e l'indipendenza (1). La Corte ha inoltre precisato che i giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essa è pendente una lite e se sono stati chiamati a statuire nell'ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale (2).

Alla luce di quest'ultimo parametro la Corte non ha considerato ricevibile, ad esempio, i quesiti rivolti dal Tribunale civile e penale di Milano adito in sede di volontaria giurisdizione, ai sensi dell'art. 2330 del codice civile italiano, per l'omologazione dell'atto costitutivo di una società di capitali. Nell'esercizio di tale competenza, ha concluso la Corte, il Tribunale non esercita funzioni giurisdizionali, bensì amministrative (3). E' stato invece considerato ricevibile il rinvio effettuato dalla Corte d'Appello di Milano, adita in sede di impugnazione contro la decisione del Tribunale, in quanto giurisdizione ai sensi del Trattato (4).

12 Premesso che non sembra contestabile che tutte le altre condizioni richieste dalla giurisprudenza della Corte siano nella fattispecie soddisfatte, si tratta di chiarire se il Consiglio di Stato svedese, adito in sede d'appello contro le decisioni della commissione tributaria, sia chiamato a statuire nell'ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale.

Ritengo che la risposta debba essere positiva. Nell'ambito del procedimento descritto in precedenza il Consiglio di Stato interviene per risolvere, con una decisione di carattere vincolante, una vera e propria controversia su un ricorso introdotto dal contribuente. Detta controversia verte sulla legittimità di un parere, assunto dalla commissione tributaria, capace di pregiudicare i diritti del contribuente in quanto vincolante nei confronti dell'amministrazione finanziaria.

13 Questa soluzione trova inoltre conforto nella sentenza emessa dalla Corte il 12 novembre 1998 nella causa Victoria Film (5). In quell'occasione, la Corte ha escluso che la commissione tributaria svedese sia chiamata a dirimere una controversia e sia quindi da includere nel novero delle giurisdizioni ai fini dell'art. 177, in quanto quest'ultima non ha come compito quello di controllare la legittimità delle decisioni dell'autorità tributaria, «bensì quello di prendere posizione, per la prima volta, riguardo all'imposizione su una particolare operazione» (punto 16). Dunque, continuava la Corte, «quando la Skatterättsnämnden emette, su domanda di un contribuente, un parere preventivo in materia di assoggettamento ad imposta o di tassazione, essa esercita una funzione non giurisdizionale, che del resto è affidata all'amministrazione finanziaria in altri Stati membri» (punto 17). Pertanto, la Corte ha concluso che la commissione tributaria «agisce come un'amministrazione che emette un parere preventivo vincolante, al quale il contribuente ha interesse nei limiti in cui può programmare meglio le sue attività, ma non è chiamata a dirimere una controversia». Ciò rilevato, la Corte ha tuttavia subito dopo precisato che «solo ove il contribuente o il Riksskatteverket proponesse un ricorso contro un parere preventivo, il giudice così adito potrebbe essere considerato investito, ai sensi dell'art. 177 del Trattato, di una funzione di natura giurisdizionale (6) avente ad oggetto il controllo della legittimità di un atto che disciplina il tributo al quale un contribuente è stato assoggettato» (punto 18).

14 La soluzione ora raggiunta rispetto alla natura di «giurisdizione» del Consiglio di Stato adito in sede di controllo della legittimità delle decisioni assunte dalla commissione tributaria svedese non è tuttavia ancora sufficiente a ritenere ricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale. Occorre infatti verificare, inoltre, che la Corte venga investita di una pronuncia interpretativa del diritto comunitario nell'ambito di una controversia reale, non puramente ipotetica. E' noto infatti che la Corte ha a volte ritenuto di poter procedere, per verificare la propria competenza, ad una valutazione delle condizioni in cui viene adita dal giudice nazionale. Nella sentenza Foglia/Novello (7), in particolare, la Corte ha rilevato che «l'art. 177 affida alla Corte il compito non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, ma di contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri. Ad essa non compete pertanto la soluzione di questioni di interpretazione che le siano proposte nell'ambito di schemi processuali precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su taluni problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessità obiettiva inerente alla definizione di una controversia» (punto 18) (8). La Corte ha inteso, in tal modo, limitare le possibilità di abuso della procedura di rinvio pregiudiziale, tramite la quale essa poteva essere indotta a pronunciarsi su schemi precostituiti dalle parti.

15 Ciò premesso, ed aggiunto incidentalmente che la soluzione raggiunta nel caso ora citato non mi persuade totalmente in quanto ridimensiona il ruolo del giudice nazionale, non ritengo che dai fatti di causa emerga che, nella fattispecie che ci occupa, si è in presenza di una controversia fittizia, creata ad arte per ottenere dalla Corte una pronunzia sulla compatibilità della normativa svedese con il diritto comunitario. In effetti, le parti hanno sottoposto alla commissione tributaria tre quesiti relativi ad altrettante operazioni societarie, ed hanno conseguentemente impugnato il parere preliminare, per loro pregiudizievole, dinanzi all'unico organo giurisdizionale chiamato a giudicarne la legittimità. Di fronte al Regeringsrätten è dunque pendente una vera controversia che investe il contenuto del parere preliminare e che oppone i ricorrenti all'amministrazione tributaria. I ricorrenti hanno interesse ad una pronunzia ad essi favorevole in modo tale che, per il periodo d'imposta 1997-1999, possano usufruire di agevolazioni fiscali dalle quali sarebbero altrimenti esclusi.

Ritengo sia altresì realizzata la condizione della necessarietà della pronunzia della Corte per la soluzione del giudizio dinanzi al giudice a quo. Non mi sembra infatti che, nel caso di specie, debbano ritenersi sussistenti le condizioni che hanno finora condotto la Corte a considerare manifestamente irrilevante il quesito posto dal giudice nazionale (9). Dall'ordinanza di rinvio emerge infatti che il giudice a quo si trova a dover applicare una normativa probabilmente in contrasto con disposizioni di diritto comunitario e chiede, onde decidere quale regime vada applicato ai conferimenti in esame, di conoscere l'interpretazione della Corte di giustizia sulle disposizioni in questione. La soluzione prescelta dalla Corte, vincolante per l'amministrazione tributaria, avrà influenza diretta sul patrimonio dei ricorrenti e sulla quantificazione degli oneri fiscali che saranno loro imposti.

16 Alla luce di quanto esposto ritengo dunque che la Corte debba ritenere ricevibili i quesiti rivolti dal Consiglio di Stato svedese.

Sulla libertà di stabilimento

17 Venendo ora al merito, va premesso che il giudice a quo, pur nella forma di un unico quesito, intende in realtà ottenere dalla Corte dei chiarimenti rispetto all'interpretazione di norme del Trattato relative, da una parte, alla libertà di stabilimento delle società (artt. 52, 58 del Trattato CE), dall'altra, alla circolazione dei capitali (artt. 73 B e 73 D). Affronterò dunque la questione distinguendo tra le due diverse situazioni.

18 Con la prima parte del quesito il giudice a quo intende sapere se le disposizioni in tema di libertà di stabilimento ostino all'applicazione di una normativa nazionale ai sensi della quale, in caso di conferimenti intragruppo, la concessione di agevolazioni fiscali viene condizionata al fatto che tali conferimenti avvengano tra società svedesi ovvero nei confronti di società, pur stabilite in Svezia, controllate da altre società straniere aventi sede in un altro Stato con il quale la Svezia ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni che contiene una clausola di non discriminazione. Qualora, invece, i conferimenti abbiano come beneficiari società non interamente controllate da società svedesi ma anche da consociate straniere aventi sede in più Stati, le agevolazioni non possono trovare applicazione, nonostante la Svezia abbia concluso una convenzione contro le doppie imposizioni con ognuno di questi Stati. Il Regeringsrätten intende quindi sapere se il divieto di contemporanea applicazione di due o più convenzioni contro le doppie imposizioni concluse dalla Svezia con altri Stati membri è compatibile con il diritto comunitario.

19 Ritengo che, al fine di fornire al giudice a quo una risposta completa, il quesito debba essere ampliato, in modo cioè da consentire alla Corte di esaminare se le disposizioni comunitarie in tema di libertà di stabilimento ostino in linea di principio alla disciplina contenuta nella legislazione svedese, a prescindere cioè dall'esistenza o meno di convenzioni contro le doppie imposizioni. Va dunque valutato se gli articoli del Trattato prima richiamati si oppongano ad una legislazione di uno Stato membro che impedisca ad una società capogruppo di ottenere agevolazioni fiscali, qualora la beneficiaria del conferimento sia controllata da società appartenenti al medesimo gruppo, ma stabilite in altri Stati membri.

20 A tal proposito, la Corte ha avuto più volte occasione di ribadire che, se pure in carenza di disposizioni comunitarie di armonizzazione delle legislazioni nazionali le questioni di fiscalità diretta rientrano nella competenza statale, gli Stati membri, nell'esercizio delle loro competenze, sono comunque tenuti al rispetto del diritto comunitario. Da ciò deriva che misure volte a limitare o restringere la libera circolazione di persone fisiche o giuridiche o che prevedano trattamenti fiscali discriminatori rientrano in linea di principio nel campo di applicazione dell'art. 52 del Trattato. La libertà di stabilimento che il Trattato attribuisce ai cittadini di un altro Stato membro e che implica per essi l'accesso alle attività subordinate ed il loro esercizio nello stesso modo stabilito dalla legge dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini comprende, ai sensi dell'art. 58 del Trattato, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che hanno la sede sociale, l'amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una succursale o agenzia (10).

21 La Corte ha poi aggiunto che, sebbene le norme relative alla libertà di stabilimento, così come formulate, mirino in special modo ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo Stato di origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione e corrispondente alla definizione dell'art. 58 del Trattato (11). Il principio di libertà di stabilimento ha pertanto una duplice portata: esso è volto ad assicurare il beneficio della disciplina dello Stato membro ospitante, ma osta, altresì, a che lo Stato d'origine ostacoli lo stabilimento in altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione.

22 Va poi rilevato che la Corte ha più volte sottolineato che la libertà di stabilimento costituisce uno dei principi fondamentali della Comunità e le norme che la sanciscono attribuiscono ai loro destinatari diritti assoluti che possono essere limitati solo in presenza di interessi considerati preminenti, quali motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (art. 56 del Trattato CE, divenuto, in seguito a modifica, art. 46 CE). Solo in tali ipotesi tassative ed eccezionali possono trovare giustificazione legislazioni nazionali discriminatorie. Considerazioni di mera natura economica, quali la perdita del gettito fiscale o la lotta alle frodi fiscali, non possono giustificare restrizioni ad un diritto fondamentale garantito dal Trattato (12).

23 Sulla scorta delle considerazioni che precedono, non resta ora che esaminare se la normativa svedese comporti delle restrizioni alla libertà di stabilimento e se, in caso di risposta positiva, le restrizioni possano trovare giustificazione alla luce dell'art. 56 del Trattato.

24 A tal proposito, va subito osservato che il requisito, imposto dalla normativa svedese, per cui le azioni della beneficiaria debbano essere interamente possedute da società svedesi affinché i conferimenti possano beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dall'LSI appare già prima facie discriminatorio. Esso infatti esclude la concessione di agevolazioni nel caso in cui i conferimenti vengano effettuati tra una società svedese e società anche parzialmente controllate da altre aventi sede in un altro Stato membro. La circostanza che, in presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni, le agevolazioni siano comunque applicabili è inconferente in quanto la portata dell'art. 52 del Trattato non può essere condizionata dalla presenza di dette convenzioni; anzi, proprio con riferimento a convenzioni contro le doppie imposizioni la Corte ha precisato che «i diritti attribuiti ai destinatari dall'art. 52 del trattato sono assoluti e uno Stato membro non può far dipendere la loro osservanza dal contenuto di un trattato stipulato con un altro Stato membro. In particolare, questo articolo non consente di subordinare questi diritti alla condizione della reciprocità allo scopo di ottenere vantaggi corrispondenti in altri Stati membri» (13).

25 La normativa svedese comporta una restrizione al diritto di stabilimento «in uscita» delle società svedesi, in quanto scoraggia queste ultime ad avere consociate con sedi in altri Stati membri. Sebbene nulla vieti ad una società svedese di esercitare la propria attività tramite l'ausilio di consociate stabilite in diversi Stati membri, le norme sui conferimenti intragruppo costituiscono un chiaro ostacolo alla libertà di stabilimento in quanto una società svedese che volesse effettuare conferimenti a favore di una consociata anch'essa stabilita in Svezia non potrebbe usufruire delle agevolazioni fiscali qualora la società beneficiaria sia controllata dalla prima insieme ad altre società stabilite in due o più altri Stati membri. Questo trattamento si rivela discriminatorio in quanto considera condizione imprescindibile per la concessione delle agevolazioni fiscali il fatto che le società coinvolte siano svedesi ovvero partecipate da società aventi sede in un solo altro Stato con cui la Svezia ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni.

26 Inoltre, la restrizione in parola non può trovare giustificazione alla luce delle deroghe che il Trattato consente alla libertà di stabilimento. Essa non può, infatti, essere motivata dalla protezione di interessi presi in considerazione in maniera tassativa dall'art. 56, vale a dire l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica. Quanto al rischio di elusione fiscale, come lo stesso governo svedese ha ammesso nel corso della procedura orale, esso non può venire in considerazione in una situazione in cui la società madre sottoposta al trattamento fiscale è comunque stabilita in Svezia. In ogni caso, trattandosi di disposizioni di carattere discriminatorio, basti ribadire che «art. 52 del trattato CEE non consente di derogare al principio fondamentale della libertà di stabilimento per motivi del genere» (14). Considerazioni di natura puramente economica, quale la perdita del gettito fiscale, non possono infatti giustificare restrizioni di carattere discriminatorio che rientrano nel campo di applicazione dell'art. 52 del Trattato (15).

27 Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere al quesito rivolto dal Consiglio di Stato svedese nel senso che gli artt. 52 e 58 del Trattato devono essere interpretati nel senso che si oppongono ad una legislazione nazionale, quale quella svedese, che subordini la concessione di agevolazioni fiscali in caso di trasferimenti intragruppo al fatto che la società conferente abbia sede sul suo territorio e che la società beneficiaria sia interamente di proprietà della prima società ovvero di quest'ultima insieme ad una società di un Paese membro con cui la Svezia ha concluso un accordo contro le doppie imposizioni.

Sulla libertà di circolazione di capitali

28 La soluzione ora raggiunta rispetto all'interpretazione delle norme comunitarie in materia di libertà di stabilimento è già sufficiente a fornire una risposta utile al quesito posto dal giudice a quo. Per ragioni di completezza, tuttavia, vengo ora ad esaminare la seconda parte del quesito posto dal Regeringsrätten, relativa all'interpretazione delle disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei capitali.

29 Va a questo proposito premesso che il Trattato CE, che dedica ai capitali e pagamenti gli artt. 73 B-G, non contiene alcuna definizione di cosa debba intendersi per «movimenti di capitali». Tuttavia, come di recente affermato dalla Corte (16), «in quanto l'art. 73 B del Trattato CE riporta in sostanza il contenuto dell'art. 1 della direttiva 88/361 e anche se quest'ultima è stata adottata sulla base degli artt. 69 e 70, n. 1, del Trattato CEE, nel frattempo sostituiti dagli artt. 73 B e seguenti del Trattato CE, la nomenclatura dei movimenti di capitali che è ad essa allegata conserva il valore indicativo che le era proprio prima della loro entrata in vigore per definire la nozione di movimenti di capitali, inteso che, conformemente alla sua introduzione, l'elenco che essa contiene non presenta un carattere esaustivo».

30 Ora, dal punto I dell'allegato I, «Investimenti diretti», punti 1) e 2), di tale direttiva risulta che costituiscono movimenti di capitali: «1) Costituzione ed estensione di succursali o di imprese nuove appartenenti esclusivamente al finanziatore e acquisto integrale di imprese già esistenti; 2) Partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli». Nella fattispecie che ci occupa si tratta di acquisto e vendita di partecipazioni azionarie in società estere. A ciò si aggiunga che la Corte ha qualificato «movimenti di capitali» operazioni tra cui l'esportazione di biglietti di banca all'estero, titoli depositati all'estero, partecipazioni al capitale di società estere, garanzie ipotecarie e finanziarie espresse in valuta di altri Stati membri (17).

31 Alla luce di ciò che precede, ritengo che possa essere qualificato quale movimento di capitali, ai sensi dell'art. 73 B del Trattato e della direttiva 88/361, l'acquisizione da parte di una società svedese di azioni o partecipazioni al capitale di altre società stabilite in un altro Paese membro.

32 Ciò detto, e ribadito che, se pure in mancanza di misure di armonizzazione, gli Stati membri devono esercitare le loro competenze nel settore fiscale nel rispetto del diritto comunitario, l'applicazione di misure fiscali non può avere l'effetto di ostacolare i movimenti di capitali operati conformemente alle disposizioni di diritto comunitario. Una legislazione come quella svedese, che pone limiti, non giustificati dalle norme del Trattato, alla libertà di stabilimento, comporta nel contempo una restrizione della libertà di circolazione di capitali nella misura in cui essa è tale da dissuadere le società svedesi dall'acquisire partecipazioni in società di altri Paesi membri: ciò porterebbe infatti al risultato di non poter usufruire delle stesse agevolazioni fiscali di cui le società svedesi beneficerebbero qualora tutte le società coinvolte nel gruppo siano svedesi o appartenenti ad uno Stato con cui la Svezia ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni.

33 Ritengo, pertanto, che l'art. 73 B osti ad una legislazione nazionale che vincoli la concessione di agevolazioni fiscali in caso di conferimenti intragruppo al fatto che la conferente abbia la propria sede sul territorio nazionale e la beneficiaria sia interamente controllata da una società svedese ovvero da quest'ultima con la partecipazione di società appartenenti a Paesi con cui la Svezia ha concluso una convenzione contro le doppie imposizioni. La normativa svedese è infatti tale da dissuadere le società svedesi dal costituire o dall'acquisire partecipazioni azionarie in consociate stabilite sul territorio di altri Stati membri.

Conclusioni

Alla luce delle osservazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nel seguente modo alle questioni poste dal Regeringsrätten:

«Gli artt. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43), 73 B del Trattato CE, (divenuto art. 56) e 73 D del Trattato CE (divenuto art. 58) devono essere interpretati nel senso che si oppongono ad una legislazione nazionale, quale quella svedese, che subordini la concessione di agevolazioni fiscali in caso di trasferimenti intragruppo al fatto che la società conferente abbia sede sul suo territorio e che la società beneficiaria sia interamente di proprietà della prima società ovvero di quest'ultima insieme ad una società di un Paese membro con cui la Svezia ha concluso un accordo contro le doppie imposizioni».

(1) - Si vedano le sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen Goebbels (Racc. pag. 407); 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò (Racc. Pag. 2545); 14 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult (Racc. pag. I-4961).

(2) - Ordinanza 5 marzo 1986, causa 318/85, Greis Unterweger (Racc. pag. 955); sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, Procedimenti penali contro X (Racc. pag. I-6609).

(3) - Sentenza 19 ottobre 1995, causa C-111/94, Job Centre I (Racc. pag. I-3361).

(4) - Sentenza 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Job Centre II (Racc. pag. I-7119).

(5) - Sentenza 12 novembre 1998, causa C-134/97 (Racc. pag. I-7023, punti 16-18).

(6) - Corsivo aggiunto.

(7) - Sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80 (Racc. pag. 3045).

(8) - Cfr. anche la sentenza 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke (Racc. pag. I-4871, punti 26-32).

(9) - Cfr., ad esempio, l'ordinanza 16 maggio 1994, causa C-428/93, Monin Automobiles (Racc. pag. I-1707), e sentenza 16 gennaio 1997, causa C-134/95, USSL n. 47 di Biella (Racc. pag. I-195).

(10) - Sentenza 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia (Racc. pag. 273, punto 18); sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI (Racc. pag. I-4695 , punto 20).

(11) - Sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust PLC (Racc. pag. 5483, punto 16); sentenza ICI, citata, punto 21.

(12) - Sentenza 25 luglio 1991, causa C-288/89, Gouda (Racc. pag. I-4007); sentenza 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svensson (Racc. pag. I-3955).

(13) - Sentenza Commissione/Francia, citata, punto 26.

(14) - Sentenza Commissione/Francia, citata, punto 25.

(15) - Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro nella causa ICI, citata, paragrafo 23.

(16) - Sentenza 16 marzo 1999, causa C-222/97, Trummer-Mayer (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 21).

(17) - Sentenze 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati (Racc. pag. 2595); 24 giugno 1986, causa 157/85, Brugnoni e Ruffinengo (Racc. pag. 2013); 3 febbraio 1993, causa C-148/91, Veronica Omroep Organisatie (Racc. pag. I-487); 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir (Racc. pag. I-1897).