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61999C0136

Conclusioni dell'avvocato generale Saggio del 13 aprile 2000. - Ministre du Budget e Ministre de l'Economie et des Finances contro Société Monte Dei Paschi Di Siena. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Conseil d'Etat - Francia. - Imposta sulla cifra d'affari - Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto - Rimborso dell'imposta ai soggetti passivi non residenti all'interno del paese - Artt. 17 della sesta direttiva 77/388/CEE nonché 2 e 5 dell'ottava direttiva 79/1072/CEE. - Causa C-136/99.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-06109


Conclusioni dell avvocato generale


1 Il ricorso pregiudiziale oggi in discussione riguarda il diritto al rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dall'art. 17 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (1), di un'impresa che non è stabilita nello Stato in cui ha pagato e chiesto il rimborso dell'IVA e che domanda il rimborso con riguardo a spese collegate ad operazioni realizzate nello Stato di residenza e soggette solo in parte ad ulteriore imposta sul valore aggiunto.

I fatti e i quesiti pregiudiziali

2 La società Monte dei Paschi di Siena, parte convenuta nel procedimento a quo, è un istituto bancario e finanziario italiano che non ha aperto in Francia alcuna sede o succursale, ma ivi dispone solo di un ufficio di rappresentanza. Essa presentava, rispettivamente il 6 dicembre 1988 e il 27 marzo 1990, presso il Ministero del Bilancio e il Ministero dell'Economia, delle Finanze e dell'Industria francesi due domande di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto per gli anni 1988 e 1989. Le due domande venivano rigettate sulla base della considerazione che la società richiedente aveva realizzato tali spese per svolgere operazioni bancarie e finanziarie in Italia e che tali operazioni non erano soggette ad imposta sul valore aggiunto nel paese di stabilimento e non dovevano quindi titolo al rimborso dell'IVA per i servizi ricevuti e per i beni acquisiti in una fase precedente alla realizzazione delle medesime.

La società italiana impugnava le due decisioni davanti al Tribunal administratif di Parigi, il quale rigettava i suoi ricorsi con sentenza del 24 novembre 1992. La stessa società ricorreva avanti la Cour administrative d'appel di Parigi, la quale accoglieva l'impugnativa con sentenza del 30 gennaio 1996, accordandole un rimborso parziale con riguardo alle spese collegate alle operazioni, svolte appunto in Italia, soggette a tassazione.

Il Ministro del Bilancio nonché il Ministro dell'Economia, delle Finanze e dell'Industria impugnavano la sentenza della Cour d'appel.

3 Il Conseil d'État nel quadro di tale litigio, sollevava le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se gli artt. 2 e 5 dell'ottava direttiva (...) abbiano o no l'effetto di attribuire ai soggetti passivi stabiliti in uno Stato membro della Comunità, in cui essi sono tassati solo su una parte del loro giro d'affari, il diritto al rimborso parziale dell'imposta versata in un altro Stato membro con riguardo a beni o servizi da essi utilizzati per la realizzazione di operazioni nello Stato in cui sono stabiliti, talune delle quali non assoggettate ad imposta.

2) In caso di soluzione affermativa, quali siano i criteri per determinare la quota rimborsabile dell'imposta indicati da tali disposizioni, in particolare, se tale quota debba essere determinata secondo le norme applicabili nello Stato in cui il soggetto passivo è stabilito ovvero secondo quelle vigenti nello Stato tenuto al rimborso».

Nel merito

4 Le disposizioni comunitarie che vengono in considerazione nel caso di specie sono l'art. 17, nn. 2 e 3, lett. a), della direttiva 77/388 e gli artt. 2 e 5, primo comma, della direttiva 79/1072/CEE.

5 L'art. 17 della sesta direttiva riconosce il diritto alla deduzione dell'IVA anche ai soggetti passivi stabiliti all'estero (2), cioè in uno Stato diverso da quello in cui essi sarebbero soggetti all'imposta e quindi alla deduzione della medesima. Tale articolo prevede al secondo paragrafo che, «nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore: a) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo». Dispone, inoltre, al terzo paragrafo, che gli Stati accordino questo diritto a deduzione o il corrispettivo diritto al rimborso (ovviamente nel caso di avvenuta riscossione dell'imposta) anche se i beni e i servizi siano utilizzati: per «operazioni relative alle attività economiche (...) effettuate all'estero, che darebbero diritto a deduzione se fossero effettuate all'interno del paese».

L'art. 2 dell'ottava direttiva che contiene le regole indicative delle modalità di applicazione del rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dall'appena citato art. 17, impone agli Stati membri di rimborsare «ad ogni soggetto passivo non residente all'interno del paese, ma residente in un altro Stato membro (...), l'imposta sul valore aggiunto applicata a servizi che gli sono resi o beni immobili che gli sono ceduti all'interno del paese da altri soggetti passivi, o applicata all'importazione di beni nel paese, nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all'art. 17, paragrafo 3, lettere a) e b) della direttiva 77/388/CEE o delle prestazioni di servizi di cui all'articolo 1, lettera b)», cioè per ulteriori operazioni di carattere economico. L'art. 5, primo comma, stabilisce inoltre che tale diritto di rimborso «è determinato conformemente all'articolo 17 (...), quale si applica nello Stato membro del rimborso».

6 Quanto alla normativa nazionale, il giudice remittente e il governo francese fanno presente che il Code général des Impôts riconosce il diritto alla deduzione dell'IVA per le operazioni svolte dalle imprese, nel caso in cui essa abbia gravato sugli «elementi del prezzo di un'operazione soggetta ad imposta» (art. 271). Lo stesso Codice estende tale diritto anche ai soggetti passivi stabiliti all'estero (art. 242-OM) e ciò con riguardo in particolare ai beni o servizi acquisiti o importati in Francia ed utilizzati per operazioni realizzate all'estero, nel caso in cui queste «darebbero diritto a deduzione se il luogo di imposizione (dell'IVA) fosse situato in Francia» (3).

7 Tutte le parti che hanno presentato osservazioni sono d'accordo circa l'interpretazione, senza dubbio ovvia, dell'art. 17, n. 3, lett. a), e delle relative disposizioni di applicazione dell'ottava direttiva (in particolare degli artt. 2 e 5) nel senso che esso riconosce alle imprese stabilite in uno Stato membro diverso da quello del rimborso il diritto, appunto, al rimborso, anche nel caso in cui le operazioni finali realizzate dal soggetto passivo nello Stato di stabilimento diano solo in parte diritto a deduzione, cioè siano solo in parte soggette ad ulteriore imposta dando quindi vita al diritto al rimborso parziale dell'imposta precedentemente riscossa.

8 Le parti fanno riferimento alla sentenza Debouche del 1996 (4), nella quale la Corte, interpretando, tra l'altro, le citate disposizioni della sesta e dell'ottava direttiva, ha dichiarato che i soggetti passivi stranieri hanno diritto al rimborso in uno Stato diverso da quello di residenza nel caso in cui essi non beneficino di un'esenzione per le operazioni svolte nello Stato di stabilimento e collegate all'acquisizione di beni o servizi per i quali è stata pagata l'IVA e nel caso in cui le medesime spese siano esentate nello Stato del rimborso.

Le considerazioni della Corte al riguardo sono essenzialmente due: la prima è che dall'art. 17, n. 2, risulta che un soggetto passivo, che beneficia di un'esenzione per un'operazione a valle a prescindere dal luogo in cui essa è realizzata, non ha diritto alla deduzione dell'imposta pagata a monte (5); la seconda è che le modalità di applicazione del diritto al rimborso, quali si ritrovano indicate nell'ottava direttiva, non devono essere tali - e ciò ai sensi del quinto `considerando' della stessa fonte - da discriminare i soggetti passivi «a seconda dello Stato membro in cui risiedono». Tali norme debbono dunque essere applicate indistintamente a tutte le imprese, siano esse stabilite nel territorio nazionale o in un altro Stato membro, con la conseguenza che un soggetto non residente non può chiedere il rimborso con riguardo ad una spesa non considerata esente da IVA nemmeno se effettuata dai soggetti passivi residenti.

La conclusione della sentenza è estremamente chiara sul punto: perché si costituisca il diritto al rimborso dell'IVA devono sussistere due requisiti, cioè l'operazione finale deve essere soggetta a tassazione nello Stato di stabilimento e l'imposta di cui si chiede il rimborso deve essere deducibile anche per i soggetti residenti nello Stato in cui è presentata la relativa domanda.

9 Considerata la fonte del diritto al rimborso, che viene riconosciuto espressamente ai soggetti non residenti dalla sesta direttiva, nonché la portata del medesimo, che, ai sensi dell'art. 17, copre tutte le operazioni intermedie per le quali non vi è possibilità di far ricadere l'IVA sulla fase ulteriore di produzione o commercio e quindi sul prezzo finale del prodotto - e ciò a prescindere dallo Stato membro in cui le stesse sono realizzate -, è di tutta evidenza che il diritto al rimborso non può venir meno nel caso in cui, come nella specie, le operazioni svolte dal soggetto passivo nello Stato di residenza diano solo in parte diritto a deduzione dell'IVA pagata per gli acquisti o per le prestazioni ricevute a monte in un altro Stato membro.

10 Nella causa oggi in discussione, il problema, dunque, è piuttosto quello di stabilire quali siano le regole applicabili per definire la percentuale d'IVA riscossa che deve essere rimborsata, problema, questo, che costituisce l'oggetto del secondo quesito pregiudiziale.

11 Il governo francese ritiene che l'art. 5 dell'ottava direttiva, il quale prevede che il diritto al rimborso dell'imposta è quello che «si applica nello Stato membro del rimborso», comporti l'applicazione della legge di tale Stato ai fini della determinazione, in un caso come quello di specie, della percentuale dell'IVA rimborsabile.

Una tale interpretazione non è condivisibile. Essa comporta che possano non essere rimborsate tutte le imposte deducibili, in quanto riscosse per spese collegate ad operazioni successive che, secondo la legge dello Stato di stabilimento, danno titolo a deduzione. L'interpretazione delle disposizioni dell'ottava direttiva, proposta dal governo francese, avrebbe dunque l'effetto di restringere la portata del diritto espressamente attribuito alle imprese dall'art. 17, n. 3, lett. a), della sesta direttiva. Tuttavia, come è stato dichiarato dalla stessa Corte nella già citata sentenza Debouche, l'ottava direttiva - e dunque il suo art. 5 - contiene norme di applicazione della sesta e non può essere intesa come un atto di modifica di quest'ultima. Essa, pertanto, non può incidere sull'esercizio dei diritti riconosciuti nella direttiva precedente. Si aggiunga che lo stesso art. 5 stabilisce, expressis verbis, che, ai fini dell'ottava direttiva, «il diritto al rimborso dell'imposta è determinato conformemente all'articolo 17 della direttiva 77/388/CEE». Non vi è dubbio pertanto che la deducibilità dell'imposta deve essere valutata secondo le disposizioni dello Stato in cui si compie l'operazione successiva, collegata alle spese effettuate nello Stato del rimborso.

12 Qual è dunque, nel caso di specie, l'ambito di applicazione della legge francese, cioè della legge dello Stato del rimborso? Condivido su tale punto la posizione della Commissione, secondo la quale una volta stabilita, in base alle pertinenti norme dello Stato di stabilimento, la percentuale delle operazioni che danno diritto a deduzione, lo Stato membro in cui si chiede il rimborso potrà, con riguardo a tale percentuale rimborsabile, sottrarre le spese che, secondo la propria legislazione interna, non danno titolo a rimborso. Questa interpretazione è coerente non solo rispetto a quella, cui si è già accennato in precedenza, prospettata dalla Corte nella sentenza Debouche, ma anche rispetto al contenuto della sesta direttiva, la quale stabilisce, all'art. 17, n. 3, lett. a), che l'IVA è rimborsabile nella misura in cui i beni e i servizi, riguardo ai quali si chiede la deduzione, siano stati utilizzati per operazioni «che darebbero diritto a deduzione se fossero effettuate all'interno del paese» e non, quindi, per operazioni per le quali un tale diritto è escluso.

Questa conclusione trova conferma nella seconda direttiva 67/228/CEE del Consiglio, dell'11 aprile 1967, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari - Struttura e modalità d'applicazione del sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (6), la quale, all'art. 11, n. 3, dispone che, «in caso di deduzione parziale (...), l'ammontare della deduzione stessa è determinato, in via provvisoria, secondo criteri stabiliti da ciascuno Stato membro e regolarizzato dopo la fine dell'anno allorché sarà stato calcolato il prorata dell'anno in cui l'acquisto è stato effettuato». Si consideri altresì che al punto 21 dell'allegato A della seconda direttiva è espressamente contemplata, con riguardo all'applicazione dell'art. 11, n. 2, secondo comma, relativo sempre al diritto a deduzione, la facoltà degli Stati membri di «limitare il diritto alla deduzione alle sole operazioni relative a beni la cui cessione all'interno del paese è imponibile».

Le direttive successive in materia di armonizzazione dell'IVA non sembrano aver modificato la portata di queste disposizioni ed è quindi alla luce di tali principi che devono essere interpretati gli artt. 2 e 5 dell'ottava direttiva. Infatti, si legge nei `considerando' di questa fonte che «occorre evitare che un soggetto passivo residente all'interno di uno Stato membro sia gravato in via definitiva dell'imposta che gli è stata fatturata in un altro Stato membro per cessioni di beni o prestazioni di servizi» (secondo `considerando') e che le regole comunitarie sull'armonizzazione in materia di rimborsi non devono «far sì che i soggetti passivi siano sottoposti ad un trattamento diverso a seconda dello Stato membro in cui risiedono» (quinto `considerando').

Sulla base di queste considerazioni si deve ritenere che la determinazione della percentuale per cui è causa deve essere effettuata sulla base di quella parte delle operazioni che danno diritto a deduzione nello Stato di residenza; nell'ambito di tale percentuale non sono comunque rimborsate le spese esentate secondo le disposizioni dello Stato membro in cui si chiede il rimborso, le quali devono comunque essere indistintamente applicate a tutti i soggetti passivi residenti nel territorio comunitario.

13 Nelle osservazioni orali il governo francese ha dichiarato che il rigetto delle domande di rimborso presentate dalla società Monte dei Paschi di Siena è da imputare alla difficoltà pratica di calcolare la percentuale di deduzione. Tale percentuale, che risulta dal rapporto tra il fatturato totale annuale, IVA esclusa, riguardante le operazioni deducibili, e il fatturato totale annuale, IVA esclusa, riguardante le operazioni che non danno diritto a deduzione, avrebbe dovuto essere calcolata sulla base di dati che non erano disponibili all'epoca dei fatti, quali, appunto, il fatturato del soggetto passivo, l'importo delle singole operazioni e la natura delle stesse ai fini della valutazione del diritto alla deduzione o ai fini della valutazione dell'eventuale esonero. La difficoltà di disporre dei suddetti elementi da assumere come base del calcolo renderebbe indispensabile, e quindi legittimerebbe, il ricorso alle disposizioni interne.

Al riguardo la società convenuta nel giudizio a quo contesta la carenza dei dati e fa valere di aver prodotto, a sostegno delle sue domande nonché del ricorso presentato davanti alla Cour administrative d'appel, tutte le dichiarazioni annuali sul reddito dell'impresa, con copie certificate conformi dall'ufficio IVA di Siena, di aver prodotto altresì gli elementi contabili relativi alle operazioni per le quali si richiedeva il rimborso, in particolare le attestazioni del presidente e del collegio dei commissari contabili della banca. Anche la Commissione ha contestato le osservazioni del governo francese, facendo presente che il soggetto passivo che domanda un rimborso sarebbe tenuto a fornire tutti gli elementi relativi alle operazioni realizzate, con riguardo alla loro natura e all'importo dell'IVA; lo stesso soggetto passivo dovrebbe poi indicare la percentuale delle operazioni per le quali l'IVA è deducibile, sulla base ovviamente della legge dello Stato di residenza, fornendo tutti gli elementi di prova necessari. In caso di difficoltà nel calcolo della percentuale, le autorità dello Stato del rimborso possono rivolgersi alle corrispondenti autorità dello Stato di stabilimento e chiedere tutte le informazioni utili.

Anche su tale punto la tesi della Commissione mi sembra condivisibile. La soluzione indicata dal governo francese, basata sulla difficoltà nell'acquisizione degli elementi necessari per il calcolo dell'IVA rimborsabile, avrebbe come effetto il non riconoscimento del diritto al rimborso dell'IVA riscossa su beni e servizi in tutti i casi in cui questi siano utilizzati per operazioni imponibili. E' corretto invece ritenere che ricada sul soggetto passivo l'onere di fornire gli elementi necessari. Questi, infatti, ai termini dell'art. 3 dell'ottava direttiva, è tenuto ad allegare alla domanda di rimborso «gli originali delle fatture e dei documenti di importazione» e deve altresì «comprovare, mediante attestazione rilasciata dall'amministrazione dello Stato in cui è residente, che egli è assoggettato all'imposta sul valore aggiunto». Nulla esclude poi, come rileva la Commissione, che in caso di difficoltà nel reperimento di dati normativi e fattuali le autorità nazionali possano rivolgersi alle corrispondenti autorità dello Stato di residenza.

Conclusioni

14 Sulla base di tutte queste considerazioni suggerisco alla Corte di rispondere come segue ai quesiti pregiudiziali proposti dal Conseil d'État:

«Gli artt. 2 e 5 dell'ottava direttiva del Consiglio, del 6 dicembre 1979, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Modalità per il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all'interno del paese, devono essere interpretati nel senso che:

- il soggetto passivo che realizza nello Stato membro di residenza operazioni che sono in parte soggette ad esonero ha titolo al rimborso dell'IVA per le spese affrontate in uno Stato diverso da quello di residenza, e ciò solo con riguardo alla percentuale di spese deducibili in quanto non utilizzate per realizzare operazioni esentate secondo la legislazione dello Stato di residenza;

- la determinazione di tale percentuale deve essere effettuata sulla base del prorata delle operazioni che danno diritto a deduzione nello Stato di residenza; nell'ambito di tale percentuale non sono comunque rimborsate le spese esentate secondo le disposizioni dello Stato membro in cui si chiede il rimborso».

(1) - GU L 145, pag. 1.

(2) - Ai sensi dell'art. 4 della sesta direttiva «[s]i considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche (...), indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività».

(3) - L'art. 271 du Code général des Impôts prevede che: «La taxe sur la valeur ajoutée qui a grevé les éléments du prix d'une opération imposable est déductible de la taxe sur la valeur ajoutée applicable à cette opération. Le droit à déduction prend naissance lorsque la taxe déductible devient exigible chez le redevable». L'art. 242-OM dispone, inoltre, che «les assujettis établis à l'étranger peuvent obtenir le remboursement de la taxe sur la valeur ajoutée qui leur a été régulièrement facturée si, au cours du trimestre civil ou de l'année civile auquel se rapporte la demande de remboursement, ils n'ont pas eu en France le siège de leur activité ou un établissement stable ou, à défaut, leur domicile ou leur résidence habituelle et n'y ont pas réalisé durant la même période de livraisons de biens ou de prestations de services entrant dans le champ d'application de la taxe sur la valeur ajoutée au sens des artt. 256, 256 A à 258 B, 259 à 259 C du Code général des impôts». Infine, ai sensi dell'art. 242-ON «est remboursée aux assujettis établis dans un État membre de la Communauté européenne la taxe sur la valeur ajoutée qui a grevé les services qui leur ont été rendus et les biens meubles qu'ils ont acquis ou importés en France au cours de l'année ou du trimestre prévus à l'art. 242-OM dans la mesure où ces biens et services sont utilisés pour la réalisation ou pour les besoins d'opérations dont le lieu d'imposition se situe à l'étranger mais qui ouvriraient droit à déduction si ce lieu d'imposition était en France».

(4) - Sentenza 26 settembre 1996, causa C-302/93 (Racc. pag. I-4495).

(5) - Nella sentenza Debouche la Corte rinvia alla sua pronuncia del 6 aprile 1995, causa C-4/94, BLP Group (Racc. pag. I-983, punto 28).

(6) - GU 1967 n. 71, pag. 1303.