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61999C0142

Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 4 aprile 2000. - Floridienne SA e Berginvest SA contro Stato belga. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de première instance de Tournai - Belgio. - Sesta direttiva IVA - Detrazione dell'imposta pagata a monte - Impresa soggetto passivo unicamente per una parte delle sue operazioni - Detrazione prorata - Calcolo - Riscossione di dividendi di azioni e di interessi su prestiti da parte di una società holding nei confronti delle sue consociate - Interferenza nella gestione delle consociate. - Causa C-142/99.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-09567


Conclusioni dell avvocato generale


1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul calcolo delle detrazioni dell'IVA dall'imposta riscossa sui servizi di gestione e di consulenza tecnica prestati da società holding miste - ossia società che detengono azioni ed al contempo esercitano attività imponibili - alle loro consociate. I dividenti versati da queste ultime hanno l'effetto di ridurre proporzionalmente l'entità delle detrazioni? Dall'insieme delle osservazioni presentate alla Corte emerge la richiesta di chiarire il problematico dispositivo della sentenza Polysar , secondo cui occorre considerare la partecipazione in altre società come un'attività economica qualora la «società holding [...] interferisca in modo diretto o indiretto nella gestione» delle stesse.

I fatti

2. La Floridienne Sa e la Berginvest SA (in prosieguo: le «attrici») sono società holding industriali . Oltre a detenere azioni, le attrici partecipano direttamente alla gestione delle società delle quali hanno acquisito le partecipazioni fornendo alle loro consociate servizi soggetti ad imposta quali attività di management, di assistenza tecnica, di contabilità e di consulenza. Dalle informazioni non contestate fornite alla Corte dalle attrici risulta che tali servizi sono stati prestati durante il periodo pertinente anche ad ex consociate e ad alcune altre società con le quali il gruppo era in affari. Inoltre le attrici hanno anticipato denaro sotto forma di prestiti alle consociate o ad alcune di esse ma, sembra, non a società terze. Di conseguenza, le attrici percepiscono dividendi in relazione alle loro azioni ed interessi sui prestiti. Esse hanno fatto valere il diritto di dedurre dall'IVA (a valle) percepita sui servizi forniti alle loro consociate la totalità dell'IVA (a monte) pagata sul prezzo dei beni e servizi loro forniti.

3. Gli esattori dell'imposta sul valore aggiunto di Tournai e Verviers hanno emesso nei confronti delle due società due ingiunzioni di recupero dell'IVA rispettivamente per un ammontare di BEF 13 812 839 e di BEF 17 598 876. Gli esattori fanno valere che le detrazioni possono essere effettuate validamente soltanto per il prorata degli introiti derivanti dalla prestazione di servizi imponibili rispetto alla cifra d'affari complessiva dei servizi imponibili forniti dalle attrici, maggiorati dei dividendi e degli interessi. Dopo che le attrici avevano proposto ricorso per l'annullamento delle predette ingiunzioni ed il risarcimento dei danni loro causati, il Tribunal de première instance di Tournai, Belgio, (in prosieguo: «il giudice a quo») ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se i dividendi azionari e gli interessi sui prestiti debbano essere sempre esclusi dal denominatore della frazione utilizzata per il calcolo del prorata di detrazione, anche nell'ipotesi in cui la società che li percepisce ha interferito nella gestione delle imprese che pagano o attribuiscono tali dividendi e interessi, con esclusione dell'esercizio dei diritti derivanti a questa società dalla sua qualità di azionista o di socio».

4. Il giudice a quo ha descritto così l'interferenza delle ricorrenti nella gestione delle consociate:

«[E]sse esercitano altre attività per conto delle proprie consociate, quali le attività di management o di assistenza tecnica, di finanziamento e di consulenza, e interferiscono direttamente nella gestione delle società delle quali hanno acquisito le partecipazioni, dal momento che alcuni dirigenti fanno parte del consiglio di amministrazione di tali società.

Nell'ambito delle loro attività di prestazione di servizi alle proprie consociate, le attrici effettuano operazioni soggette all'imposta che danno diritto alla detrazione delle imposte applicate sui beni e sui servizi ad esse fornite (imposte a monte)».

II - Osservazioni e analisi

i) Dividendi

5. Sebbene l'accertamento dei fatti spetti esclusivamente al giudice a quo, è importante osservare in limine che i fatti descritti nella decisione di rinvio inducono a ritenere che i rapporti tra le attrici e le loro consociate siano disciplinati da atti giuridici oggettivi, quali contratti per la fornitura di servizi e la nomina dei membri del consiglio di amministrazione delle consociate.

6. Le attrici fanno valere che i dividendi e gli interessi in causa costituiscono semplicemente i frutti di un investimento e non costituiscono un'«attività economica» rientrante nel campo di applicazione dell'IVA comunitaria. Tali introiti, pertanto, non dovrebbero essere inclusi nel calcolo delle detrazioni ammesse. Il governo belga, che sostiene il contrario, si basa essenzialmente sul fatto che le attrici partecipano alla gestione delle loro consociate. Esso fa valere che tale attività trasforma gli introiti in frutti di un'attività economica estesa che in linea di principio è soggetta ad IVA ma ne è esentata in forza dell'art. 13 B, lett. d), punto 5, della sesta direttiva . Per evitare di infrangere il principio di neutralità, i dividendi devono essere compresi, quanto meno in parte, nel denominatore pertinente. All'udienza il legale delle ricorrenti ha negato che il giudice a quo avesse formulato alcuna conclusione definitiva in merito alla questione se le attrici partecipassero alla gestione delle loro consociate, oltre a fornire servizi imponibili od esercitare diritti di nomina di cui fruivano in quanto azioniste. In subordine, egli ha contestato la tesi del governo belga secondo cui la percezione di dividendi potrebbe essere considerata come remunerazione di un'attività imponibile ma esentata in forza dell'art. 13 B, lett. d), punto 5 della direttiva .

7. E' necessario analizzare le principali disposizioni pertinenti della sesta direttiva IVA .

8. Nella specie il problema principale riguarda la portata dell'espressione «attività economica». Come risulta dall'art. 4 della sesta direttiva, tale espressione definisce l'ambito di applicazione del sistema comune dell'IVA. L'art. 4, n.1, della sesta direttiva dispone che si considera «soggetto passivo» «chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività».

L'art. 4, n. 2, dispone inoltre:

«Le attività economiche di cui al paragrafo 1 sono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate. Si considera in particolare attività economica un'operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità» (il corsivo è mio).

Inoltre l'art. 4, n. 3, autorizza gli Stati membri a «considerare soggetti passivi anche chiunque effettui a titolo occasionale un'operazione relativa alle attività di cui al paragrafo 2 [...]», prima di menzionare in particolare determinate operazioni relative a fabbricati o a terreni edificabili.

9. La limitazione dell'ambito di applicazione dell'IVA alle «attività economiche» significa, per fare l'esempio più ovvio, che un singolo che eserciti un'attività commerciale o una professione in nome proprio deve tenere distinti gli affari dalle attività private. Egli non è autorizzato a dedurre l'IVA relativa ai suoi acquisti personali. Se egli utilizza beni o servizi della sua impresa per proprio uso privato, può essere tenuto a pagare l'IVA su di essi .

10. Inoltre, come si evince chiaramente dalla giurisprudenza della Corte specificamente invocata dalle attrici, la nozione di attività economica non comprende i frutti della semplice titolarità di investimenti quali azioni od obbligazioni.

11. La causa Polysar riguardava una società holding pura, la quale faceva valere che i dividendi ch'essa percepiva in qualità di azionista dovevano essere considerati, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, come ottenuti nell'esercizio di un'attività economica. Richiamandosi alla sentenza Van Tiem per quanto riguarda l'ampia sfera d'applicazione dell'IVA, la Corte ha dichiarato che «[t]uttavia, da questa giurisprudenza non risulta che il mero acquisto e la mera detenzione di quote sociali debbano essere ritenuti un'attività economica, ai sensi della sesta direttiva, che conferisca alla società interessata la qualità di soggetto passivo» . La Corte ha spiegato così quest'interpretazione della portata del principio espresso nella sentenza Van Tiem :

«[L]a semplice partecipazione finanziaria presso altre imprese non costituisce un caso di sfruttamento di un bene volto a ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità, poiché l'eventuale dividendo, frutto di tale partecipazione, discende dalla mera proprietà del bene».

12. Nella sentenza Wellcome Trust, la Corte è stata ancora più esplicita. Essa ha adottato la stessa ottica in relazione alle attività d'investimento, particolarmente proficue, di un «charitable trust» consistenti «essenzialmente nell'acquisto e nella cessione di azioni e di altri titoli allo scopo di massimizzare i dividendi o le rendite del capitale [...]» . Secondo la sentenza Harnas & Helm , «il mero acquisto e la mera detenzione di obbligazioni, che non siano strumentali ad un'altra attività d'impresa, e la riscossione degli introiti che ne derivano» non dovevano neanch'essi «essere considerati attività economiche che conferiscono al soggetto che effettua le dette operazioni la qualità di soggetto passivo» .

13. In nessuna delle predette tre cause il soggetto passivo aveva effettuato operazioni imponibili. I ricorrenti avevano chiesto di essere considerati come soggetti passivi in relazione ai loro investimenti, in modo da poter esercitare il diritto alla detrazione dell'IVA versata a monte. Di conseguenza, non si poneva alcun problema quanto al prorata di detrazione dell'IVA, giacché non era possibile effettuare alcuna detrazione.

14. Nella causa Sofitam la Corte si è occupata del calcolo del prorata deducibile. Il regime di detrazione è ovviamente centrale nel sistema comunitario dell'IVA. Esso ha l'obiettivo di garantire che l'onere economico dell'IVA sia sopportato soltanto dal consumatore. I commercianti sono autorizzati, in quanto soggetti passivi, a dedurre l'IVA pagata sui beni e servizi acquistati dall'IVA ch'essi versano alle autorità fiscali sulle loro operazioni imponibili e a traslare l'onere rimanente sui loro clienti sotto forma di prezzo fatturato. Tale sistema si riflette negli artt. 17-20 della sesta direttiva, che sono intesi ad «esonerare interamente l'imprenditore dall'IVA dovuta o pagata nell'ambito di tutte le sue attività economiche» .

15. L'art. 17, n. 1, sancisce il principio generale del «diritto a detrazione [...]». La parte pertinente dell'art. 17, n. 2, dispone che:

«Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore:

a) l'imposta sul valore aggiunto dovuto o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo [...]».

16. Di conseguenza, per poter essere deducibile, l'IVA a monte dev'essere stata pagata su «beni e servizi [...] impiegati [...] ai fini di sue operazioni soggette ad imposta» (il corsivo è mio). Tale presupposto importante e necessario svolge essenzialmente una funzione di filtro per prevenire abusi, quanto meno laddove le operazioni a monte siano facilmente rapportabili alle corrispondenti operazioni a valle.

17. La presente causa, tuttavia, verte direttamente sull'interpretazione degli artt. 17, n. 5, e 19, n. 1, della sesta direttiva. I primi due commi dell'art. 17, n. 5, dispongono quanto segue:

«Per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a detrazione di cui ai paragrafi 2 e 3, sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la detrazione è ammessa soltanto per il prorata dell'imposta sul valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni.

Detto prorata è determinato ai sensi dell'articolo 19 per il complesso delle operazioni compiute dal soggetto passivo».

L'art. 19, n. 1, dispone che:

«Il prorata di detrazione previsto dall'articolo 17, paragrafo 5, primo comma, risulta da una frazione avente:

- al numeratore l'importo totale della cifra d'affari annua, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione ai sensi dell'articolo 17, paragrafi 2 e 3,

- al denominatore l'importo totale della cifra d'affari annua, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, relativo alle operazioni che figurano al numeratore e a quelle che non danno diritto a detrazione. Gli Stati membri possono includere anche nel denominatore l'importo di sovvenzioni diverse da quelle di cui all'articolo 11 A, paragrafo 1, lettera a).

Il prorata viene determinato su base annuale, in percentuale e viene arrotondato all'unità superiore».

18. Il governo belga fa valere che le attrici dovrebbero essere autorizzate ad effettuare detrazioni prorata in base alla proporzione fra la cifra d'affari relativa alle loro operazioni soggette ad imposta e la cifra d'affari complessiva, comprendente i dividendi e gli interessi sui prestiti ch'esse ricevono dalle loro consociate. Nelle sue osservazioni scritte la Commissione ha fatto valere che la sesta direttiva non contiene alcuna norma che specifichi in che modo vadano considerati gli introiti derivanti da attività private che esulano dall'ambito di applicazione della direttiva e che pertanto gli Stati membri possono decidere liberamente le modalità di detrazione dell'IVA a monte su tali attività.

19. Nutro seri dubbi quanto all'esattezza della tesi della Commissione. Se gli Stati membri scegliessero di autorizzare la detrazione dell'IVA per quanto riguarda le attività esclusivamente private, il che in realtà nella maggior parte dei casi equivarrebbe ad un rimborso, potenzialmente potrebbero verificarsi gravi perdite in termini di gettito dell'IVA, che, va ricordato, in piccola parte concorre al finanziamento della Comunità. Ciò equivarrebbe ad esonerare il consumatore dall'onere dell'IVA, il che sarebbe contrario ad un principio essenziale del sistema . In ogni caso, nella fattispecie non si è verificata un'ipotesi del genere.

20. La prima parte della risposta all'argomento di maggior rilievo dello Stato belga ed alla questione sollevata dal giudice a quo va cercata nella sentenza Sofitam. La Sofitam, per riprendere l'espressione utilizzata dall'avvocato generale Van Gerven nelle sue conclusioni in detta causa, era una «società holding mista», come le attrici nella presente causa . Essa ricavava introiti dai dividendi di azioni e da operazioni imponibili. All'epoca la Francia sosteneva la stessa tesi fatta valere nella presente causa dal governo belga, ossia che la Sofitam doveva essere autorizzata a dedurre l'IVA solo «nei limiti della percentuale risultante dal rapporto tra l'ammontare dei suoi introiti soggetti ad IVA e l'ammontare annuale di tutti gli introiti, ivi compresi i dividendi da essa riscossi» . La causa Sofitam verteva quindi direttamente sul problema dell'interpretazione dell'art. 19, n. 1, della sesta direttiva. Tuttavia, a differenza del caso in esame, nulla indicava che la Sofitam s'ingerisse in alcun modo nella gestione delle consociate . In tali circostanze, la Corte ha dichiarato che «[n]on costituendo il corrispettivo di nessuna attività economica ai sensi della sesta direttiva, la percezione di dividendi non rientra nel campo d'applicazione dell'IVA. Conseguentemente i dividendi derivanti dal possesso di partecipazioni sono estranei al sistema dei diritti a detrazione» . La Corte ha concluso che :

«Ne discende che, onde evitare di compromettere lo scopo della perfetta neutralità assicurato dal sistema comune dell'IVA, i dividendi vanno esclusi dal calcolo del prorata di detrazione di cui agli artt. 17 e 19 della sesta direttiva».

Infine la Corte ha espressamente dichiarato che «i dividendi azionari, riscossi da un'impresa non soggetta ad IVA per tutte le sue operazioni, devono essere esclusi dal denominatore della frazione che serve per il calcolo del prorata di detrazione» .

21. A mio parere, dalla considerazioni che precedono discende che anche i dividendi in discussione nella specie devono essere esclusi, salvo che le attività di gestione delle consociate da parte delle attrici impongano un'interpretazione diversa dell'art. 19, n. 1. Nella fattispecie la questione principale è tale possibilità. Nella sentenza Polysar la Corte, dopo aver dichiarato che le partecipazioni finanziarie di una società holding pura non costituivano «attività economiche» ha precisato che «[c]iò non vale qualora la partecipazione sia accompagnata da una interferenza diretta o indiretta nella gestione delle imprese in cui si è realizzato l'acquisto di partecipazioni, fatti salvi i diritti che chi detiene le partecipazioni possiede nella sua qualità di azionista o socio» .

22. La situazione considerata al paragrafo precedente non si era presentata nella causa Polysar né in alcuna causa successiva . Nelle sentenze Wellcome Trust e Harnas & Helm, la Corte ha dichiarato, richiamandosi all'art. 13 B, lett. d), punto 5 della sesta direttiva, che «le operazioni [...] effettuate nell'ambito di un'attività commerciale di negoziazione di titoli o per realizzare un'interferenza diretta o indiretta nella gestione delle imprese in cui si è realizzato l'acquisto di partecipazioni» possono rientrare nella sfera d'applicazione dell'IVA . Nella seconda sentenza citata, la Corte ha aggiunto che tali operazioni «costituiscono il prolungamento diretto, permanente e necessario dell'attività imponibile». In entrambe le predette cause la Corte ha citato, senza commentarla, la sentenza Polysar.

23. Tuttavia, la formula impiegata, ossia il riferimento al prolungamento dell'attività imponibile, indica piuttosto che la Corte aveva in mente la propria sentenza nella causa Régie dauphinoise . La Régie esercitava principalmente l'attività di amministratore di beni. Tale attività consisteva sia nell'amministrazione, in qualità di mandatario dei proprietari, di beni immobili dati in locazione sia nell'esercizio delle funzioni di amministratore di condominio. Essa riceveva anticipi di quote dai condomini che venivano versati sul suo conto e che essa investiva per proprio conto in modi diversi presso aziende finanziarie. Risulta che la Régie divenisse tuttavia proprietaria delle somme investite e potesse trattenere i proventi degli investimenti, nonostante fosse tenuta per contratto a restituire alla fine le somme affidatele in linea capitale. Di fatto, quindi, come le attrici hanno affermato all'udienza, la remunerazione delle sue ulteriori attività d'investimento era limitata all'interesse percepito.

24. La Corte ha riconosciuto che gli investimenti effettuati dalla Régie presso aziende finanziarie potevano «considerarsi prestazioni di servizi fornite alle aziende finanziarie e consistenti in un prestito in denaro a durata determinata, debitamente remunerato con il versamento di interessi» e inoltre che «[c]ontrariamente alla percezione di dividendi da parte di una società holding, [...] gli interessi percepiti da un'impresa amministratrice di stabili come remunerazione di investimenti, effettuati per proprio conto, di fondi versati dai condomini o dai locatari non possono essere esclusi dal campo di applicazione dell'IVA, giacché il versamento di interessi non risulta dalla semplice proprietà del bene, ma costituisce il corrispettivo della disponibilità di un capitale concessa a un terzo» . La Corte tuttavia ha attentamente distinto le attività di un'impresa come la Régie dai semplici «investimenti effettuati da un amministratore di condomìni presso banche», che «non agisc[e] in qualità di soggett[o] passiv[o]» . La Corte ha quindi concluso che :

«[...] nel caso di specie, la percezione da parte di un amministratore di condomìni degli interessi prodotti dall'investimento delle somme che egli riceve dai clienti nell'ambito dell'amministrazione dei loro stabili costituisce il prolungamento diretto, permanente e necessario dell'attività imponibile, di modo che il detto amministratore, quando effettua tale investimento, agisce come un soggetto passivo».

25. A questo punto è chiaro che la Corte ha individuato due tipi di situazioni che possono rientrare nell'ambito d'applicazione della sentenza Polysar, ossia le operazioni riguardanti le azioni e la gestione attiva di beni. Tuttavia, ognuna di esse può essere giustificata in modo autonomo mediante richiamo alle disposizioni della sesta direttiva. Le operazioni relative ad azioni sono espressamente esentate [(art. 13 B, lett. d), punto 5, citato alla nota 3)], mentre l'art. 4, n. 2, comprende «lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale [...]». Nelle sue conclusioni nella causa Polysar, l'avvocato generale Van Gerven ha chiaramente distinto tra quest'ultimo tipo di attività ed il semplice investimento allorché ha rilevato che nelle cause Rompelman e Van Tiem «non si trattava solo di un investimento, vale a dire dell'acquisto di un bene [...], poiché il bene così acquistato era stato successivamente messo a disposizione di un terzo, dietro compenso (cioè mediante la locazione di un appartamento, da un lato, e la concessione di un diritto di superficie sul terreno edificabile, dall'altro» . L'avvocato generale ha poi fatto distinzione tra la mera acquisizione di una proprietà, da un lato, e la messa a disposizione di questa, dall'altro, al fine di stabilire se detta proprietà sia stata sfruttata economicamente ai fini dell'IVA . La parte delle sue conclusioni particolarmente pertinente al caso di specie è anche quella che fa maggiormente chiarezza sull'interpretazione corretta della sentenza Polysar e merita di essere citata integralmente :

«Occorre ancora risolvere la questione se l'obbligo d'imposta possa esser dedotto dalle altre attività di una holding. Il giudice a quo osserva che la Polysar esercita solo le attività connesse al possesso di azioni in società controllate. Mi sembra che attività del genere, che si compiono al fine di esercitare i diritti connessi all'azionariato, non sono "attività economiche" ai sensi della direttiva. Così, ad esempio, rientrano nell'esercizio di questi diritti la partecipazione all'assemblea generale degli azionisti della società controllata, il voto in seno a tale assemblea e la possibilità di influenzare la condotta della società mediante l'uso di questo diritto di voto, così come, eventualmente, la partecipazione alla nomina degli amministratori o dei commissari e/o alla decisione riguardante la ripartizione degli utili della società controllata. I diritti dell'azionista comportano, infine, la riscossione del dividendo eventualmente distribuito dalla società controllata o l'esercizio dei diritti di prelazione o d'opzione connessi alle azioni.

Oltre alle attività prima esaminate che una holding esercita in quanto azionista di altre società, esistono anche attività che essa stessa esercita tramite i propri organi, esattamente come qualunque altra società. Neanche queste attività, in quanto esercitate all'interno delle società (nei suoi rapporti con i propri azionisti e i propri organi sociali), possono essere considerate "attività economiche" ai sensi della sesta direttiva. Posso ricordare, in particolare, l'amministrazione della holding, l'impostazione del suo bilancio annuale, l'organizzazione della sua assemblea generale, la decisione riguardante la destinazione degli utili della holding e la distribuzione (così come l'eventuale pagamento) del dividendo.

Gli atti che la holding o le persone che agiscono in suo nome compiono in qualità di amministratori o di commissari di una società controllata non costituiscono nemmeno, secondo me, attività economiche realizzate in modo indipendente, ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva. Infatti, un amministratore, o un commissario, non agisce in nome proprio, ma vincola esclusivamente la società (controllata) della quale egli è organo; in altri termini, quando agisce nell'ambito dei suoi compiti statutari, egli non opera "in modo indipendente". A tale proposito, la sua attività va piuttosto equiparata a quella di un lavoratore dipendente per cui l'art. 4, n. 4, della sesta direttiva stabilisce espressamente che non opera "in modo indipendente"».

26. Dal passaggio sopra citato risulta che, contrariamente a quanto sostenuto nella presente causa dal governo belga, il semplice fatto che una società holding nomini i direttori od i commissari, e direi anche gli amministratori, di una controllata non modifica la natura del rapporto ai fini dell'IVA. In generale, avvalendosi dei diritti che le spettano in qualità di azionista, una holding non svolge operazioni comportanti lo «sfruttamento» di un «bene immateriale» quale le sue azioni ai sensi dell'art. 4 della sesta direttiva. Come ha rilevato l'avvocato generale Van Gerven in relazione ad una holding di questo tipo, «esistono anche attività che essa stessa esercita tramite i propri organi, esattamente come qualunque altra società. Neanche queste attività, in quanto esercitate all'interno delle società (nei suoi rapporti con i propri azionisti e i propri organi sociali), possono essere considerate "attività economiche" [...]» . L'avvocato generale tuttavia non ha affrontato la questione, implicita nel quesito posto dal giudice a quo nella presente causa, se il fatto che la società fornisca servizi di management e di altro tipo ad una consociata, anche nell'ambito di operazioni imponibili (e presumo nell'ambito di rapporti contrattuali) conduca ad una conclusione diversa. Io ritengo di no. A mio avviso, le implicazioni dei rilievi mossi dell'avvocato generale Van Gerven in merito alla situazione di un amministratore che agisca «nell'ambito dei suoi compiti statutari» valgono anche per rapporti contrattuali oggettivi come quelli in esame nella fattispecie tra società capogruppo e società controllata.

27. Le attrici sottolineano alcune anomalie che conseguirebbero al fatto di trattare i dividendi di azioni di società capogruppo come «attività economiche» qualora tali ultime società abbiano prestato servizi alle loro consociate nell'ambito di rapporti contrattuali. L'entità della detrazione varierebbe in funzione della redditività di tali rapporti. La detrazione intera sarebbe consentita qualora non esistessero utili o non fossero dichiarati dividendi. Qualora venissero dichiarati dividendi ingenti, si applicherebbe una piccola riduzione percentuale. La situazione sarebbe ancora diversa se i servizi fossero invece prestati da una società specificamente designata a tale scopo all'interno del gruppo .

28. In breve, quando la struttura societaria è debitamente rispettata, i dividendi versati da una consociata ad una società capogruppo non costituiscono il frutto di «attività economiche». La situazione prevista dalla deroga in discussione nella causa Polysar infatti non potrebbe verificarsi nel caso in cui la società capogruppo non abbia illegittimamente violato la struttura sociale delle consociate appartenenti al gruppo. Naturalmente è pur sempre possibile che ciò avvenga in casi nei quali non esiste struttura societaria, ossia quando un ente non costituito in società o un privato sfruttano direttamente un bene.

29. A tale proposito, infine, nelle sue osservazioni scritte la Commissione ha rilevato che i dividendi potrebbero essere considerati come un corrispettivo, ai sensi dell'art. 11 della sesta direttiva, per la fornitura di servizi di gestione da parte della società capogruppo alle proprie consociate. I dividendi sono pagabili allo stesso modo per tutte le azioni dello stesso tipo di una società. A mio parere, è sostanzialmente incompatibile con la struttura della holding considerare il pagamento di dividendi come un corrispettivo nel senso indicato dalla Commissione. In diritto societario generalmente si ammette che i dividendi comportino pagamenti agli azionisti di una società tratti dagli utili . In effetti, nella sentenza Sofitam la Corte ha espressamente dichiarato che «[n]on costituendo il corrispettivo di nessuna attività economica ai sensi della sesta direttiva, la percezione di dividendi non rientra nel campo d'applicazione dell'IVA» . La situazione sarebbe diversa solo se, nonostante la personalità giuridica distinta della consociata, la controllante potesse utilizzare la propria quota azionaria ed il conseguente potere d'influenza sulla gestione della consociata per ottenerne un «pagamento» aggiuntivo come corrispettivo di servizi imponibili separati ad essa forniti. Nel fascicolo non vi è alcun elemento che consenta di affermare che ciò è accaduto nel caso in esame.

30. Il punto decisivo è che la negazione del diritto di dedurre l'IVA a monte dall'IVA versata su operazioni a valle direttamente correlate sarebbe palesemente in contrasto con un principio fondamentale del sistema dell'IVA. Poiché tale sarebbe la conseguenza dell'inclusione di attività non economiche nel denominatore della frazione di cui all'art. 19, n. 1, della sesta direttiva, propongo alla Corte di respingere siffatta interpretazione della direttiva stessa.

ii) Interessi sui prestiti

31. Tale conclusione non vale necessariamente anche per quanto riguarda la percezione da parte delle attrici di interessi sui prestiti alle proprie consociate. I prestiti in questione non hanno necessariamente carattere di investimenti come nel caso delle obbligazioni nella causa Harnas & Helm . In detta causa, nel periodo considerato la Harnas & Helm deteneva azioni ed obbligazioni emesse in paesi terzi in relazione alle quali percepiva dividendi ed interessi. La Corte ha dichiarato che «[g]li introiti generati dalle obbligazioni sono diretta conseguenza della loro mera detenzione, la quale fa sorgere il diritto a percepire interessi» e che «[d]i conseguenza, gli interessi così percepiti non possono essere considerati il corrispettivo di un'operazione o di un'attività economica svolta da colui il quale detiene le dette obbligazioni, dal momento che discendono dalla mera proprietà delle stesse» . Tuttavia, dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni presentate dalle parti nella presente causa risulta che le attrici erogano finanziamenti in modo continuativo per rispondere alle esigenze di liquidità delle loro consociate, le quali spesso non si trovano in condizioni di poter ottenere finanziamenti in modo autonomo.

32. Il Belgio, sostenuto all'udienza dalla Commissione, si richiama alla sentenza Régie dauphinoise . Le attività di prestito delle attrici - che il Belgio all'udienza ha descritto come motore finanziario del gruppo - dovrebbero essere considerate come un'estensione delle attività consistenti nella prestazione di servizi di management alle proprie consociate. Tale affermazione è contraddetta dalle attrici, le quali affermano soprattutto che, concedendo prestiti, esse non fanno che reinvestire, analogamente ad un investitore privato, somme percepite in forma di dividendi. In subordine, esse affermano che, essendo le risorse impiegate per i prestiti meramente accessorie alla loro attività di azionista, l'interesse che esse percepiscono su tali prestiti non dovrebbe essere compreso nel denominatore.

33. Nella causa Harnas & Helm la società holding aveva concesso due prestiti ordinari anche a società non collegate. Nessun elemento del fascicolo induceva a ritenere che tale attività di finanziamento non fosse svolta che in modo del tutto occasionale, se non raramente. Nel caso in esame, dalla decisione di rinvio risulta chiaramente che i prestiti alle consociate costituiscono una delle attività svolte dalle attrici in modo regolare. Mi sembra quindi che le predette attività assomiglino più alle operazioni di gestione di fondi esaminate dalla Corte nella causa Régie dauphinoise che non alle attività di gestione di portafogli in discussione nella causa Wellcome Trust. E' sostanzialmente su questa base che il governo belga fa valere che detta attività andrebbe considerata come un'attività economica.

34. Tuttavia, nella causa Régie dauphinoise la Régie disponeva del denaro investito, come ha rilevato l'avvocato generale Lenz, «in base alla sua attività economica» . Nel caso di specie sembrerebbe che parte, se non la totalità, dei fondi prestati dalle attrici derivassero dai dividendi riscossi. In ciò potrebbe scorgersi un'analogia con la causa Régie dauphinoise solo qualora il giudice a quo concludesse che l'attività di finanziamento era basata in gran parte sugli introiti derivanti dall'attività imponibile di prestazione di servizi. Condivido il parere espresso dall'avvocato generale VerLoren van Themaat, secondo cui al fine di stabilire ciò che costituisce attività economica «conta [...] il genere degli atti» , e ribadirei il parere che ho espresso nelle mie conclusioni nella causa Harnas & Helm :

«Va posto l'accento sulla portata economica e commerciale delle transazioni che si ritiene costituiscano un'attività economica, anziché sulla loro classificazione finanziaria o commerciale formale (vale a dire, nel caso di specie, l'acquisto e la detenzione di obbligazioni o di azioni). A mio avviso, ne consegue che un soggetto che, come il ricorrente, effettua transazioni su obbligazioni può essere considerato un soggetto che esercita un'attività economica solo se persegue un fine imprenditoriale o commerciale; a questo proposito è necessario che il soggetto in questione fornisca ai suoi clienti dei servizi, e non sia semplicemente un fruitore di servizi».

35. Per quanto riguarda il caso in esame, ritengo, ancorché - devo confessare - con qualche esitazione, che le attività di finanziamento delle attrici non abbiano carattere economico o commerciale. Il semplice fatto che, dal punto di vista delle consociate, i prestiti siano intesi ad evitare a queste ultime di dover contrarre mutui con istituti di credito - prestiti che, come ha precisato il governo belga, sono spesso negati a causa dell'insufficienza delle garanzie che le consociate di holding industriali possono prestare autonomamente - non è sufficiente a conferire carattere commerciale all'attività delle attrici. In altri termini, sebbene sul piano finanziario l'attività di una banca in materia di prestiti non sia molto diversa da quella svolta dalle attrici nei confronti delle consociate, è diversa la natura economica delle attività sottostanti. Tale differenza può essere equiparata a quella intercorrente tra le attività che determinano la percezione di dividendi e quelle che danno origine alla percezione di un affitto, cui ho fatto riferimento nelle mie conclusioni nella causa Harnas & Helm . A mio avviso, l'attività di finanziamento della Harnas & Helm, a parte il fatto che veniva chiaramente svolta in modo occasionale, aveva comunque natura più spiccatamente economica in quanto, contrariamente alle attrici, essa concedeva prestiti a terzi.

36. La mia esitazione nel formulare la predetta conclusione deriva dalla disposizione di cui all'art. 13 B, lett. d), punto 1, della sesta direttiva, che esenta espressamente «la concessione e la negoziazione di crediti nonché la gestione di crediti da parte di chi li ha concessi». Ciò indica chiaramente, secondo me, che tale attività - se esercitata a livello professionale - dev'essere considerata alla stregua di un'«attività economica». Tuttavia, ritengo che, perché tale attività di finanziamento possa considerarsi svolta su base professionale ai fini dell'IVA, il supposto concedente dev'essere impegnato nell'attività in questione non soltanto in modo regolare - condizione che nella specie è soddisfatta - ma anche a fini commerciali, condizione che, a mio parere, nella specie non sussiste, in quanto è chiaro che le somme sono state prestate alle consociate dello stesso gruppo per consentire loro di svolgere le proprie attività commerciali nei confronti di terzi. Risulta con chiarezza, in particolare dal fatto che i prestiti vengono concessi a società dello stesso gruppo, che l'attività di finanziamento delle attrici non costituisce un'estensione delle loro attività imponibili di prestazione di servizi bensì, al contrario, un'estensione delle loro attività d'investimento non imponibili.

iii) Conclusioni generali

37. Pertanto, propongo di escludere i dividendi su azioni dal denominatore della frazione per il calcolo del prorata deducibile di cui all'art. 19, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio. Allo stesso modo, gli interessi percepiti sui prestiti concessi a società del gruppo, anche se resi disponibili in modo regolare, dovranno anch'essi essere esclusi purché, anzitutto, siano costituiti da fondi provenienti dai dividendi anziché da entrate derivanti da un'attività imponibile separata e, in secondo luogo, siano messi a disposizione soltanto delle società consociate.

38. La conseguenza della predetta conclusione, per quanto attiene all'art. 19, n. 1, della sesta direttiva, non è necessariamente che le attrici possono dedurre interamente l'IVA a monte. Qualora il giudice nazionale sia persuaso, nonostante la tesi contraria delle attrici, che una quota non irrilevante dell'IVA gravi su operazioni non imponibili correlate alla qualità di azionista ed alle attività di finanziamento delle attrici, non può sorgere alcun diritto a detrazione ai sensi dell'art. 17, n. 2, della sesta direttiva. Un soggetto passivo può detrarre solo la quota dell'imposta a monte che può effettivamente essere posta in relazione con le sue attività economiche . L'art. 22, n. 2, della sesta direttiva obbliga tutti i soggetti passivi a «tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata da consentire l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto ed i relativi controlli da parte dell'amministrazione fiscale», mentre l'art. 22, n. 4, impone ad «ogni soggetto passivo» di «presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri» e che «non dovrà superare di due mesi la scadenza di ogni periodo fiscale», la cui durata, fino ad un anno, dev'essere stabilita dagli Stati membri, ma non può essere «superior[e] ad un anno». Il soggetto passivo che intenda esercitare il diritto a detrazione in circostanze nelle quali parte dell'IVA a monte può essere posta in relazione con attività non imponibili deve precisare, a soddisfazione delle autorità fiscali, la quota di detta imposta che a suo parere va posta in relazione ad operazioni imponibili ed è quindi detraibile.

39. L'art. 19, n. 1, della sesta direttiva, per contro, non è applicabile. Tale disposizione può essere applicata solo nel caso in cui vi sia una commistione di attività imponibili ma esenti ed attività imponibili, giacché altrimenti, come nel caso di specie - in cui secondo me le attrici esercitano sia attività imponibili che attività non imponibili - non sussisterebbe alcuna differenza tra il numeratore ed il denominatore della frazione prevista da detto articolo. Pertanto, spetta in definitiva al giudice a quo stabilire in che misura la quota deducibile dell'IVA a monte reclamata dalle attrici possa di fatto essere posta in relazione, rispettivamente, con l'esercizio delle loro attività non imponibili di azionista e con quelle di finanziamento di società del gruppo, ed escludere tale quota dal diritto di detrazione fatto valere dalle attrici.

III - Conclusione

40. A mio parere, ne consegue che la Corte dovrebbe risolvere come segue la questione sottopostale dal Tribunal de première instance di Tournai:

I dividendi azionari devono sempre essere esclusi dal denominatore della frazione utilizzata per il calcolo del prorata di detrazione di cui all'art. 19, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, qualora i rapporti economici tra la società azionista e la società della quale ha acquisito la partecipazione siano disciplinati da accordi legittimamente stipulati, compresi contratti per la prestazione di servizi e la nomina da parte della società capogruppo di amministratori della consociata. Inoltre, qualora all'interno di un gruppo una società fornisca, anche in modo regolare, prestiti diretti a soddisfare le esigenze in termini di finanziamento di altre società dello stesso gruppo, tale attività non costituisce un'attività economica e gli introiti da essa derivanti vanno anch'essi esclusi dal denominatore della suddetta frazione.