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61999C0267

Conclusioni dell'avvocato generale Tizzano del 29 marzo 2001. - Christiane Adam, in Urbing contro Administration de l'enregistrement et des domaines. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal d'arrondissement de Lussemburgo - Granducato del Lussemburgo. - Sesta direttiva IVA - Nozione di libera professione - Amministratore di condomini. - Causa C-267/99.

raccolta della giurisprudenza 2001 pagina I-07467


Conclusioni dell avvocato generale


1. Con decisione del 15 luglio 1999 il Tribunal d'arrondissement di Lussemburgo (in prosieguo: il «Tribunale») ha sottoposto alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la «sesta direttiva»). In particolare, il Tribunale chiede alla Corte di pronunciarsi sulla nozione di libera professione di cui all'allegato F, punto 2, della sesta direttiva, segnatamente al fine di stabilire se in essa rientri l'attività degli amministratori di condomini e se quindi a quest'attività possa applicarsi l'aliquota IVA ridotta prevista dalla normativa lussemburghese per le libere professioni.

Quadro normativo di riferimento

Normativa comunitaria

2. Per quanto attiene alla normativa comunitaria, rileva ai presenti fini, come si è accennato, la sesta direttiva. Nell'ambito di questa occorre poi distinguere, per le ragioni che chiaramente emergeranno in seguito:

- da un lato, la disciplina relativa alla riduzione delle aliquote IVA, che è alla base della legislazione lussemburghese sulle aliquote applicabili ai liberi professionisti;

- dall'altro, la disciplina relativa alle esenzioni IVA, nella quale figura il riferimento alle libere professioni, che forma oggetto del presente rinvio pregiudiziale.

La disciplina relativa alla riduzione delle aliquote IVA di cui agli artt. 12, nn. 3 e 4, e 28, n. 2, lett. e), della sesta direttiva

3. L'art. 12, n. 4, della sesta direttiva prevedeva originariamente la facoltà per gli Stati membri di sottoporre talune forniture di beni e prestazioni di servizi ad aliquote IVA ridotte. Agli Stati membri era imposto il solo vincolo di fissare l'aliquota «in misura tale che l'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto risultante dall'applicazione di questa aliquota [consentisse] normalmente di dedurre la totalità dell'imposta sul valore aggiunto la cui deduzione [era] autorizzata a norma delle disposizioni dell'articolo 17».

4. Tale disciplina è stata in seguito parzialmente modificata dalla direttiva 92/77/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica la direttiva 77/388/CEE (in prosieguo: la «direttiva 92/77») . L'art. 12, n. 3, lett. a), della sesta direttiva - quale appunto modificato dall'art. 1, n. 1, della direttiva 92/77 - prevede ora che gli «Stati membri possono anche applicare una o due aliquote ridotte. Le aliquote ridotte non possono essere inferiori al 5% e sono applicate soltanto alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie di cui all'allegato H» (tra le quali, per quanto qui interessa, non figurano le prestazioni dei liberi professionisti). L'art. 28 (recante «Disposizioni transitorie»), n. 2, della sesta direttiva - quale modificato dall'art. 1, n. 4, della direttiva 92/77 - stabilisce inoltre che gli «Stati membri che al 1° gennaio 1991 applicavano un'aliquota ridotta alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi diverse da quelle di cui all'allegato H, possono applicare l'aliquota ridotta o una delle due aliquote ridotte prescritte all'articolo 12, paragrafo 3 a tali forniture o prestazioni, purché tale aliquota non sia inferiore al 12%».

La disciplina relativa alle esenzioni IVA di cui all'art. 28, n. 3, lett. b), della sesta direttiva

5. L'art. 28, n. 3, lett. b), della sesta direttiva dispone che gli Stati membri possono «continuare ad esentare le operazioni elencate nell'allegato F alle condizioni esistenti nello Stato membro interessato». Fra tali operazioni, il punto 2 dell'allegato F include:

«Prestazioni di servizi degli autori, artisti, interpreti artistici, avvocati ed altri membri di libere professioni diverse dalle professioni mediche e paramediche, purché non si tratti delle prestazioni di cui all'allegato B della seconda direttiva del Consiglio dell'11 aprile 1967» (il corsivo è mio).

Disciplina lussemburghese sulle aliquote IVA

6. Il legislatore lussemburghese ha scelto di non fare applicazione dell'art. 28, n. 3, lett. b), della sesta direttiva per esentare dall'IVA le operazioni di cui ho appena detto. Esso si è invece avvalso della facoltà di fissare delle aliquote ridotte, come consentito dagli artt. 12, nn. 3 e 4, e 28, n. 2, lett. e), della sesta direttiva.

7. Secondo quanto infatti risulta dalla decisione di rinvio, l'art. 40, n. 4, lett. b), della legge del Granducato di Lussemburgo 12 febbraio 1979 in materia di IVA prevedeva che alle attività rientranti nell'esercizio di una libera professione si applicasse un'aliquota ridotta del 6% (in luogo della normale aliquota del 15%), nei limiti ed alle condizioni stabiliti con regolamento granducale.

8. Nella decisione di rinvio viene altresì precisato che l'art. 4 del regolamento granducale 7 marzo 1980 - relativo ai limiti ed ai presupposti d'applicazione dell'aliquota ridotta ai sensi del predetto art. 40 della legge 12 febbraio 1979 - ha incluso nella nozione di libera professione le attività di procuratore, avvocato, notaio, usciere, amministratore di beni, ingegnere, architetto, geometra, collaudatore, tecnico, chimico, inventore, perito, esperto contabile, veterinario, giornalista, foto-reporter, interprete, traduttore ed altre attività analoghe.

9. L'art. 40 della legge sull'IVA è stato successivamente modificato dall'art. 8 della legge di bilancio 20 dicembre 1991, che ha fissato - a partire dal 1993 - un'aliquota intermedia del 12% per le attività rientranti nell'esercizio di una libera professione; con riferimento a tali attività, un nuovo regolamento granducale del 21 dicembre 1991 ha riprodotto l'elenco non esaustivo di cui al citato regolamento 7 marzo 1980. Secondo le informazioni fornite dalla Commissione, tale modifica dell'aliquota andrebbe ricollegata all'adozione in sede comunitaria della direttiva 92/77, di cui si è detto poc'anzi.

L'attività di amministratore di condominio nel Granducato di Lussemburgo

10. Com'è sempre precisato nella decisione di rinvio, ai sensi della legge 16 maggio 1975 sullo statuto del condominio degli immobili, i comproprietari di un immobile o di un gruppo di immobili sono obbligatoriamente raggruppati in un condominio dotato di personalità giuridica.

11. Secondo le disposizioni del regolamento granducale 13 giugno 1975, che stabilisce le misure di esecuzione della legge sulla comproprietà, l'amministratore del condominio viene nominato dall'assemblea generale dei condomini e le relative funzioni possono essere svolte da qualsiasi persona fisica o giuridica. L'amministratore dà esecuzione alle disposizioni del regolamento di condominio ed alle delibere dell'assemblea generale; amministra l'immobile; provvede alla sua conservazione e manutenzione; in caso di urgenza, dispone di propria iniziativa l'esecuzione di tutti i lavori necessari per la salvaguardia dell'immobile stesso; rappresenta di norma, previa autorizzazione dell'assemblea, il condominio negli atti civili ed in giudizio.

Fatti e quesiti pregiudiziali

12. La sig.ra Cristiane Adam svolge l'attività di amministratore di condominio a Lussemburgo. Nelle dichiarazioni IVA relative a tale attività per gli esercizi 1991-1994 ella ha applicato l'aliquota prevista dalla normativa lussemburghese per le libere professioni, tra le quali, a suo giudizio, dev'essere annoverata l'attività di cui trattasi.

13. Tale non è stato però il giudizio dell'Administration de l'enregistrement et des domaines (Amministrazione lussemburghese competente in materia di IVA), che ha emesso degli appositi bollettini di rettifica per imporre il pagamento della normale aliquota del 15%. A nulla sono valsi i reclami presentati dalla sig.ra Adam contro tali bollettini, perché il direttore di detta Amministrazione li ha respinti con decisioni dell'11 e del 15 novembre 1996.

14. La sig.ra Adam ha allora impugnato le decisioni dell'Amministrazione innanzi al Tribunal d'arrondissement di Lussemburgo facendo valere che la sua attività aveva natura di libera professione e che tale qualificazione implicava, ai sensi della normativa fiscale lussemburghese, l'applicazione di un'aliquota IVA ridotta del 6% per gli anni 1991-1992 e di un'aliquota intermedia del 12% per gli anni 1993-1994, in luogo della normale aliquota del 15%.

15. Nell'esaminare la questione, il giudice adito ha anzitutto osservato che la normativa lussemburghese in materia di IVA, pur indicando un elenco di attività rientranti nella nozione di libera professione, non fornisce una definizione di tale nozione. Constatato tuttavia che detta normativa recepisce le direttive comunitarie sull'IVA, il Tribunale ne ha dedotto che la «legislazione lussemburghese relativa all'imposta applicabile alle libere professioni dev'essere interpretata conformemente alle disposizioni comunitarie relative all'IVA».

16. Più in particolare, esso ha osservato che ai sensi della sesta direttiva la «normale» aliquota IVA è stabilita da ciascuno Stato membro; che l'art. 12 della sesta direttiva permette agli Stati membri di stabilire aliquote ridotte o maggiorate per determinate prestazioni, ed infine che le disposizioni transitorie dell'art. 28, n. 3, della direttiva permettono agli Stati membri di continuare ad esonerare dall'IVA determinate prestazioni elencate all'allegato F, tra le quali appunto quelle dei «membri di libere professioni».

17. Traendo spunto proprio da quest'ultimo riferimento, il Tribunale ha quindi ritenuto di sottoporre alla Corte di giustizia, ex art. 234 CE, le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la nozione di libera professione di cui all'allegato F, punto 2, della sesta direttiva del Consiglio, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari, costituisca una nozione autonoma di diritto comunitario.

In caso di soluzione affermativa della prima questione:

2) Se la nozione di libera professione riguardi l'attività di amministratore di condomini».

Posizioni delle parti

18. Oltre alle parti nella causa principale, hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte il governo danese e la Commissione. Le loro conclusioni possono essere sintetizzate come segue.

19. Sia l'Administration de l'enregistrement et des domaines che la Commissione hanno sottolineato che la disposizione comunitaria di cui viene chiesta l'interpretazione non è applicabile nella specie, dato che la legislazione nazionale in causa riguarda la riduzione delle aliquote IVA per le libere professioni, di cui agli artt. 12, nn. 3 e 4, e 28, n. 2, lett. e), della sesta direttiva, e non le esenzioni dall'IVA, di cui all'art. 28, n. 3, lett. b), e all'allegato F della direttiva stessa, evocato nel primo quesito. Mentre l'Amministrazione lussemburghese deduce da tale rilievo l'incompetenza della Corte a pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali sottopostele (e solo in via subordinata suggerisce una risposta negativa per entrambe), la Commissione propone di rispondere ugualmente ai quesiti del giudice di rinvio, sia pure al solo fine di precisare che l'individuazione delle operazioni sottoposte ad un'aliquota ridotta rientra nella competenza degli Stati membri, con la sola riserva che sia rispettato il principio di neutralità dell'IVA.

20. Da parte sua, la sig.ra Adam difende la competenza della Corte, sul presupposto che la normativa in materia di IVA è «eminentemente comunitaria». Quanto al merito della questione, ella ribadisce che l'attività di amministratore di condominio dev'essere qualificata come una libera professione.

21. Il governo danese, infine, senza affrontare la questione della competenza della Corte, propone di rispondere alla prima questione nel senso che la nozione di libera professione di cui all'allegato F, punto 2, della sesta direttiva costituisce una nozione di diritto comunitario, la quale, tuttavia, deve essere definita alla luce del diritto nazionale degli Stati membri. Di conseguenza, quel governo non ritiene necessario rispondere alla seconda questione, anche se ritiene, a titolo sussidiario, che essa vada risolta in senso positivo.

Analisi giuridica

Sulla competenza della Corte

22. Come emerge anche dal dibattito svoltosi tra le parti, mi pare che nella presente causa si ponga in via assolutamente preliminare la questione della sussistenza delle condizioni per un rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 CE. Occorre cioè anzitutto valutare se la disposizione comunitaria (l'allegato F, punto 2, della sesta direttiva) di cui viene chiesta l'interpretazione rilevi o meno per la soluzione della controversia principale e se quindi l'intervento della Corte, come esige l'art. 234 CE, sia necessario per la decisione del giudice a quo.

23. Sul punto, com'è noto, è giurisprudenza costante della Corte che, in linea di principio, «spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte» .

24. E' anche noto, peraltro, che la Corte si riserva un margine di apprezzamento delle valutazioni operate dai giudici nazionali, fino ad escludere, all'occorrenza, la ricevibilità del rinvio. In particolare, essa ha in più occasioni «ritenuto di non poter statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale qualora appaia in modo manifesto che l'interpretazione di una norma comunitaria o il giudizio sulla sua validità chiesti da tale giudice non hanno alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica». Sicché, «[l]addove risulti che la questione posta non è manifestamente pertinente per la soluzione [della] controversia, la Corte deve dichiarare il non luogo a provvedere» . Per questo motivo, tra l'altro, la Corte ha escluso la propria competenza nel caso in cui «sia manifesto che il diritto comunitario non può essere applicato, né direttamente né indirettamente, alle circostanze del caso di specie» .

25. Ora, che nel caso in esame la disposizione comunitaria di cui viene chiesta l'interpretazione non sia applicabile nel giudizio principale, come appunto sostengono l'Amministrazione convenuta e la Commissione, mi pare difficilmente contestabile, né del resto lo contestano le altre parti. In effetti, come si è visto più sopra, la normativa lussemburghese in causa riguarda la fissazione di un'aliquota IVA ridotta per le libere professioni; essa non si occupa affatto delle esenzioni IVA ai sensi dell'art. 28, n. 3, lett. b), e dell'allegato F, punto 2, della sesta direttiva.

26. Di ciò sembra del resto ben consapevole lo stesso giudice nazionale, il quale nella decisione di rinvio ha correttamente tenuto distinta la disciplina relativa alle aliquote ridotte (che nella specie funge da presupposto per la normativa lussemburghese in causa) da quella relativa all'esenzione IVA. Come si è detto, però, il Tribunale attribuisce decisivo rilievo al fatto «che la legislazione in materia di imposta sul valore aggiunto recepisce le relative direttive comunitarie». In particolare sembrerebbe determinante il fatto che la disciplina comunitaria sulle esenzioni IVA, pur non essendo applicabile nella specie, faccia riferimento alla nozione di libere professioni al pari della normativa nazionale rilevante nel giudizio principale; e che, seppure del tutto indipendenti fra loro, entrambe le norme attengano alla materia dell'IVA. Da qui nasce, secondo il Tribunale, la necessità di interpretare la «legislazione lussemburghese relativa all'imposta applicabile all'attività delle libere professioni (...) conformemente alle disposizioni comunitarie relative all'IVA».

27. Pur apprezzando la preoccupazione del giudice lussemburghese di ancorare comunque la propria decisione al diritto comunitario e alle relative nozioni, devo dire che il collegamento tra la questione discussa nel giudizio principale e la norma comunitaria di cui si chiede l'interpretazione mi pare assai forzato e comunque troppo labile per inferirne la pertinenza delle questioni pregiudiziali e quindi la competenza della Corte a pronunciarsi su di esse.

28. Anzitutto, devo ribadire ancora una volta che, per quanto inserita nella stessa direttiva, la disposizione comunitaria di cui si chiede l'interpretazione è del tutto distinta da quelle rilevanti ai fini del giudizio nazionale. In secondo luogo, se è vero che gli artt. 12, nn. 3 e 4, e 28, n. 2, lett. e), della sesta direttiva consentono agli Stati membri l'applicazione di aliquote ridotte a determinate attività, è anche vero che la decisione di avvalersi di tale facoltà rientra nella competenza degli Stati membri e che comunque per la definizione di quelle attività essi non sono affatto tenuti a riferirsi all'elenco di cui all'allegato F della sesta direttiva, relativo all'esenzione dall'IVA. Non vi è dunque, per quanto qui interessa, alcuna possibilità di stabilire un collegamento interpretativo tra le disposizioni nazionali sulle attività sottoposte ad un'aliquota ridotta e quelle della sesta direttiva relative alle operazioni esentabili. Né, evidentemente, il collegamento può essere fondato sulla generica - e, direi, quasi fortuita - circostanza che la disposizione nazionale e quella comunitaria vertono entrambe in materia di IVA.

29. Dato quanto fin qui chiarito, mi sembra che nella specie non si possa neppure ipotizzare, come forse si potrebbe fare leggendo fra le righe della decisione di rinvio, una sorta di rinvio indiretto alla normativa comunitaria (nella specie, l'allegato F della sesta direttiva) da parte delle disposizioni nazionali in causa. Intendo dire, cioè, che nel caso in esame non si può invocare la nota giurisprudenza Dzozi , secondo la quale «[n]on risulta dal dettato dell'art. 177 né dalle finalità del procedimento istituito da questo articolo che gli autori del Trattato abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su di una norma comunitaria nel caso specifico in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvia al contenuto della norma in parola per determinare le norme da applicare ad una situazione puramente interna a detto Stato» .

30. Infatti, anche a voler prescindere in questa sede dalle perplessità che potrebbe suscitare questa giurisprudenza , mi pare da escludere che essa possa essere invocata rispetto a situazioni come quella in esame. Ciò risulta chiaramente se si prende a riferimento la sentenza Kleinwort/Benson , nella quale la Corte ha declinato la propria competenza ad interpretare una norma della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in quanto si trattava nella specie di «permettere al giudice di rinvio di statuire sull'applicazione, non di tale Convenzione, ma del diritto nazionale dello Stato contraente al quale tale giudice appartiene» . Tale conclusione, oltre che sul carattere non vincolante dell'interpretazione richiesta alla Corte, si fondava in particolare sul fatto che le disposizioni della Convenzione in causa erano state prese a modello e solo parzialmente riprodotte nell'ordinamento dello Stato interessato, ma non erano state oggetto di «un rinvio diretto e incondizionato al diritto comunitario» e quindi rese applicabili in quanto tali in detto ordinamento, foss'anche al di fuori del campo di applicazione della Convenzione stessa .

31. Ma a conclusioni non diverse inducono anche le successive sentenze Leur-Bloem e Giloy , nelle quali la Corte ha invece affermato la propria competenza. Nella prima essa ha precisato di essere «competente, ai sensi dell'art. 177 del Trattato, ad interpretare il diritto comunitario qualora quest'ultimo non disciplini direttamente la situazione di cui è causa, ma il legislatore nazionale abbia deciso, all'atto della trasposizione in diritto nazionale delle disposizioni di una direttiva, di applicare lo stesso trattamento alle situazioni puramente interne e a quelle disciplinate dalla direttiva, di modo che ha modellato la sua normativa nazionale sul diritto comunitario» . In questo caso, in effetti, la competenza della Corte si afferma in quanto il legislatore nazionale, chiamato a trasporre nel diritto interno una determinata normativa comunitaria, ha intenzionalmente e pienamente esteso la disciplina comunitaria a situazioni puramente interne.

32. Nella sentenza Giloy, la Corte ha invece precisato che «quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che essa apporta ad una situazione interna, a quelle adottate nel diritto comunitario, al fine di assicurare una procedura unica in situazioni analoghe, esiste un interesse comunitario certo a che, per evitare future divergenze di interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal diritto comunitario ricevano un'interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate» . Più in particolare, la Corte ha affermato la propria competenza nel caso in cui «le disposizioni controverse del diritto nazionale si applicano indistintamente - e talvolta anche contemporaneamente - a situazioni che rientrano, da un lato, nell'ambito d'applicazione del diritto nazionale e, dall'altro, in quello del diritto comunitario», con la conseguenza che «il diritto nazionale richiede che le disposizioni nazionali di cui trattasi siano sempre applicate in conformità» alle pertinenti norme comunitarie. In questo caso la competenza della Corte deriva dunque dal fatto che il diritto nazionale richiede di applicare per determinate situazioni interne la disciplina prescritta da norme comunitarie.

33. Tutt'altra è la situazione nella presente causa. Come si è visto, infatti:

- la disposizione lussemburghese sull'applicazione di un'aliquota ridotta alle attività rientranti nell'esercizio di una libera professione è stata adottata autonomamente dalle autorità di detto paese, e non per recepire nell'ordinamento interno una specifica disposizione comunitaria. Per definire le attività sottoposte ad un'aliquota ridotta, dette autorità non erano affatto tenute a fare riferimento a disposizioni comunitarie, quali quelle di cui all'art. 28, n. 3, ed all'allegato F della sesta direttiva;

- per individuare le prestazioni sottoposte ad un'aliquota ridotta, la normativa lussemburghese non ha rinviato, né direttamente né indirettamente, alla normativa comunitaria, che non è stata pertanto resa applicabile nell'ordinamento nazionale. Né, d'altra parte, nel definire le prestazioni sottoposte ad un'aliquota ridotta, il legislatore lussemburghese ha preso a modello la disposizione della sesta direttiva sull'esenzione IVA;

- la semplice circostanza che il riferimento alle libere professioni figuri sia nell'elenco relativo alle attività esentate dall'IVA di cui all'allegato F della sesta direttiva sia in quello relativo alle attività sottoposte ad un'aliquota ridotta di cui all'art. 40 della legge lussemburghese non vuol certo dire che quest'ultima abbia inteso riprodurre, neppure parzialmente, la formulazione di una norma comunitaria.

34. Mi pare in definitiva che, nella situazione ora illustrata, un'eventuale pronuncia della Corte rischierebbe di risultare meramente ipotetica o astratta, in quanto del tutto avulsa dal contesto fattuale e normativo del giudizio principale. La definizione della nozione di libera professione di cui all'allegato F della sesta direttiva deve invece avvenire, conformemente a consolidati principi interpretativi, alla luce del contenuto e delle finalità della norma in cui quella nozione si inserisce; essa non può essere automaticamente trasposta nel diritto nazionale ed utilizzata per definire un'analoga nozione presente in una norma di diverso contenuto e finalità .

35. Alla luce di quanto precede, ritengo quindi di poter concludere nel senso che le questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunal d'arrondissement di Lussemburgo non sono rilevanti per la soluzione della controversia principale e che pertanto non sussistono le condizioni di cui all'art 234 CE perché la Corte si pronunci sull'interpretazione della nozione di libere professioni di cui all'allegato F, punto 2, della sesta direttiva.

Sul merito delle questioni

36. Qualora peraltro la Corte ritenesse di dover affermare la propria competenza a pronunciarsi sui quesiti proposti dal Tribunal d'arrondissement di Lussemburgo, credo che la risposta a tali quesiti si ritrovi proprio nelle argomentazioni che ho svolto in precedenza e che portano alle medesime conclusioni suggerite dalla Commissione. In altri termini, ritengo si debba rispondere al giudice del rinvio che l'art 28, n. 3, e l'allegato F della sesta direttiva riguardano le operazioni suscettibili di essere esonerate dall'IVA e non quelle, come le operazioni oggetto del giudizio principale, sottoposte ad un'aliquota IVA ridotta; e che pertanto la definizione di queste ultime, inclusa la nozione di «libere professioni», è questione che nella specie non rileva per il diritto comunitario, ma rientra nella competenza degli Stati membri.

Conclusioni

37. Sulla base delle considerazioni che precedono, vi propongo pertanto di dichiarare che la Corte non è competente a pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunal d'arrondissement di Lussemburgo. In ogni caso, l'art 28, n. 3, e l'allegato F della sesta direttiva riguardano le operazioni suscettibili di essere esonerate dall'IVA e non quelle, come le operazioni oggetto del giudizio principale, sottoposte ad un'aliquota IVA ridotta; pertanto la definizione di queste ultime, inclusa la nozione di «libere professioni», è questione che nella specie non rileva per il diritto comunitario, ma rientra nella competenza degli Stati membri.