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61999C0404

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 23 novembre 2000. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese. - Inadempimento di uno Stato - Sesta direttiva IVA - Base imponibile - Esclusione - Tasse di servizio. - Causa C-404/99.

raccolta della giurisprudenza 2001 pagina I-02667


Conclusioni dell avvocato generale


1. Il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione delle Comunità europee nei confronti della Repubblica francese in merito all'attuazione da parte di quest'ultima della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la "sesta direttiva"), porta, nuovamente, la Corte ad affrontare il problema delle prassi amministrative nazionali rispetto agli obblighi che derivano dalle direttive, seppur in modo alquanto inconsueto.

2. Infatti, mentre in genere lo Stato membro al quale la Commissione contesta di non aver trasposto correttamente una direttiva avanza, in sua difesa, con maggiore o minore convinzione, il fatto che, nonostante il legislatore nazionale non sia intervenuto a trasporre la direttiva, l'amministrazione ha adottato tutte le disposizioni necessarie, in genere attraverso circolari, per far sì che la direttiva sia in pratica applicata nell'ordinamento giuridico nazionale, ci troviamo oggi nell'ipotesi contraria.

3. Difatti, la Commissione contesta alla Repubblica francese, non l'assenza di norme legislative che garantiscano una corretta trasposizione della sesta direttiva, bensì di tollerare in modo del tutto ufficiale, a livello di prassi amministrativa, il mancato rispetto di quanto prevede, in perfetta armonia con la sesta direttiva, la legge nazionale che ne ha assicurato la trasposizione.

4. Ricordo che l'art. 2, punto 1, della sesta direttiva stabilisce che:

«Sono soggette all'imposta sul valore aggiunto:

1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale»

e che l'art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della medesima direttiva recita:

«La base imponibile è costituita:

a) per le forniture di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui alle lettere b), c) e d), da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell'acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni».

5. La Commissione riconosce che la Repubblica francese ha trasposto correttamente tali disposizioni, poiché gli artt. 266-I A e 267-I del code général des impôts prevedono, rispettivamente, quanto segue:

«La base imponibile è costituita:

a) per le cessioni di beni, le prestazioni di servizi e gli acquisti intracomunitari, da tutte le somme, valori, beni o servizi versati o da versare al fornitore o al prestatore come corrispettivo per tali operazioni, da parte dell'acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni»;

e che:

«Devono ricomprendersi nella base imponibile:

1. Le imposte, tasse, diritti e prelievi di qualsiasi natura ad eccezione dell'imposta sul valore aggiunto medesima.

2. Le spese accessorie alle cessioni di beni o prestazioni di servizi come commissioni, interessi, costi di imballaggio, di trasporto e di assicurazione richieste ai clienti».

6. Secondo la Commissione, la Repubblica francese è tuttavia venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dei citati articoli della sesta direttiva autorizzando, con una circolare amministrativa del 31 dicembre 1976, pubblicata sul Bulletin officiel de la direction générale des impôts, che ha avallato un'antica prassi, taluni soggetti passivi ad escludere dalla base imponibile dell'imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l'«IVA») le tasse di servizio richieste alla loro clientela.

7. Più precisamente, la «documentazione di base» pubblicata dalla direzione generale delle imposte, e alla quale i contribuenti possono far riferimento per informarsi con esattezza sui loro obblighi tributari, nello stesso momento in cui afferma che, «secondo una costante dottrina dell'amministrazione, le maggiorazioni di prezzo richieste a titolo di mancia ai clienti delle imprese commerciali (alberghi, ristoranti, caffè, birrerie, bar, sale da tè, parrucchieri, cliniche, stabilimenti termali, imprese di trasporti o di traslochi, case di riposo o pensionati, casinò, imprese di consegne a domicilio di prodotti di ogni genere) costituiscono un elemento del prezzo da assoggettare all'imposta sul valore aggiunto», indica che tali maggiorazioni di prezzo possono essere escluse dalla base imponibile dell'IVA quando ricorrano contemporaneamente le quattro condizioni seguenti:

1) il cliente viene preventivamente informato sull'esistenza di un prelievo avente natura di mancia e della sua percentuale rispetto al prezzo «servizio escluso»;

2) le mance vengono totalmente ripartite fra i membri del personale a contatto diretto con la clientela;

3) tale versamento è giustificato mediante la tenuta di un registro apposito firmato a margine da ciascuno dei beneficiari, o, almeno, da un rappresentante del personale;

4) dalla dichiarazione annuale dei salari rilasciata dal datore di lavoro risulta l'importo della retribuzione effettivamente ricevuta dal personale retribuito con mancia.

8. Per la Commissione, tale tolleranza mantiene, attraverso un metodo di determinazione della base imponibile non conforme alle norme stabilite dalla sesta direttiva, un regime di esenzione dall'IVA contrario al diritto comunitario, poiché sottrae all'imposta una parte di quanto viene fatturato alla clientela, e che viene quindi ricevuto come corrispettivo del servizio fornito.

9. A tal proposito, la Commissione afferma che la sua critica non riguarda ciò che essa stessa definisce "supermance", e che le autorità francesi definiscono mance libere, vale a dire somme che il cliente elargisce spontaneamente e liberamente ad uno qualsiasi dei dipendenti.

10. Essa ammette, infatti, che tali somme, contrariamente alle tasse di servizio che devono essere pagate obbligatoriamente dalla clientela, non devono essere incluse nella base imponibile, dato che possono essere assimilate agli oboli elargiti dai passanti ad un suonatore d'organetto di Barberia sistemato sulla pubblica via, riguardo ai quali la Corte si è pronunciata nella sentenza 3 marzo 1994 . In entrambi i casi si tratta, infatti, di oblazioni prettamente gratuite ed aleatorie, il cui importo è praticamente impossibile da determinare.

11. Ma, per quanto concerne le tasse di servizio, non vi è alcun motivo, secondo la Commissione, che possa giustificarne l'esclusione dalla base imponibile, dato che si tratta di somme d'importo predeterminato che vengono pagate obbligatoriamente e che non compaiono sull'elenco tassativo degli importi che non rientrano nella base imponibile, di cui all'art. 11, parte A, n. 1, della sesta direttiva.

12. Inoltre, sempre secondo la tesi della Commissione, si può contestare alla prassi in esame di violare il principio di neutralità fiscale, che ispira la totalità del sistema comunitario dell'IVA, poiché due soggetti passivi che svolgono esattamente le stesse attività possono essere tassati in modo diverso, a seconda che facciano o meno comparire distintamente sulle loro fatture somme destinate a retribuire i loro dipendenti, e tale violazione del principio di neutralità fiscale è di per sé atta a creare distorsioni di concorrenza, dato che una differente tassazione di attività svolte in condizioni identiche comporta necessariamente conseguenze sulle condizioni di concorrenza.

13. Per la Commissione, i quattro requisiti stabiliti dalla circolare amministrativa contestata affinché un prestatore possa beneficiare della esclusione delle tasse di servizio dal calcolo della base imponibile sono puramente formali, e non hanno nulla a che vedere con il criterio di fissazione della base imponibile IVA, vale a dire quello del corrispettivo realmente ricevuto dal prestatore del servizio. Il fatto di farvi riferimento introduce un elemento arbitrario nella determinazione dell'onere tributario che grava sui diversi prestatori di un medesimo settore di attività, che peraltro niente permette di differenziare.

14. Il governo francese dedica la parte più importante del suo controricorso ad una presentazione del contesto nel quale si inserisce la circolare amministrativa del 1976.

15. Esso spiega che l'origine va ricercata in una decisione ministeriale del 1923, che ammetteva che l'imposta sul fatturato, vale a dire l'imposta che, storicamente, ha preceduto l'IVA nel sistema tributario francese, non fosse applicata alle somme percepite a titolo di mance obbligatorie dagli albergatori e ristoratori, e più estensivamente dagli esercizi commerciali, purché la totalità di tali somme fosse in realtà versata ai dipendenti.

16. In seguito, una circolare del 1928 ha, a fini di controllo fiscale, subordinato il beneficio di tale tolleranza alla tenuta di un registro apposito, che documentava la percezione e la distribuzione delle dette somme.

17. Secondo il governo francese, tale tolleranza amministrativa è stata recepita da una legge del 1933, relativa alla retribuzione del personale dipendente, che ha posto il principio secondo cui le mance ricevute sotto forma di percentuale obbligatoria aggiunta al conto o in altro modo, come remunerazione del servizio, nonché tutte le somme concesse volontariamente per il servizio dai clienti al datore di lavoro o da esso centralizzate, dovevano essere versate totalmente ai dipendenti a contatto con la clientela, e a chi quest'ultima soleva elargirle.

18. Tale legge ha permesso, in un'epoca in cui non esisteva un salario minimo, di offrire una garanzia al personale retribuito principalmente con le mance.

19. Per quanto concerne la situazione attuale, il governo francese insiste sul fatto che solo gli esercizi che impiegano personale a contatto diretto con la clientela e retribuito con il servizio incluso nel prezzo corrisposto dal cliente, vale a dire principalmente i ristoranti e i parrucchieri, possono fruire di detta tolleranza e che esso si è opposto ad una sua estensione al settore della ristorazione self-service e a quello dei fast food.

20. Esso rileva, inoltre, che le norme IVA applicabili alle mance variano in funzione delle differenti modalità di percezione del servizio, vale a dire a seconda che i prezzi siano esposti «servizio compreso» o «servizio escluso», ma che i casi di applicazione del «servizio escluso» sono diventati marginali, poiché i locali che servono pasti, derrate o bevande da consumare sul posto hanno, dopo l'emanazione di un'ordinanza del 1987, l'obbligo di esporre i loro prezzi «servizio compreso».

21. Alle critiche della Commissione riguardo all'effetto anticoncorrenziale della tolleranza sancita dalla circolare amministrativa del 1976 e al carattere arbitrario dei requisiti che stabilisce, esso eccepisce che si tratta appunto solo di una tolleranza, che le imprese sono libere di applicare o no, mentre la norma resta quella stabilita dall'art. 266-I A del code général des impôts. Il governo francese aggiunge che le imprese che non possono fruirne non svolgono la loro attività alle medesime condizioni di quelle che possono farlo, e che condizioni che assicurano il versamento ai dipendenti delle somme ricevute e disciplinano restrittivamente l'esenzione consentita non possono essere definite arbitrarie.

22. Nella sua replica, la Commissione si limita a rilevare che le spiegazioni fornite dal governo francese sul contesto storico nel quale è intervenuta la tolleranza contestata sono irrilevanti per valutare la conformità di quest'ultima al regime comunitario dell'IVA.

23. Essa fa inoltre osservare che, se l'esenzione dalla tassa sul fatturato per le mance elargite ai dipendenti poteva, all'epoca della sua introduzione, essere giustificata dalla volontà di non penalizzare gli esercizi che, invece di lasciare il servizio alla discrezione della clientela, decidevano di percepirlo d'autorità per distribuirlo al loro personale, per il quale era sovente l'unica forma di retribuzione, oggi non è più lo stesso, in quanto esiste una retribuzione minima e le somme ricevute dal datore di lavoro a titolo di servizio devono obbligatoriamente essere versate ai dipendenti.

24. E' del resto alla luce di tale divario fra quello che in un dato momento poteva costituire una giustificazione dell'esenzione e il contesto normativo attuale che essa si è permessa di definire arbitrarie le quattro condizioni stabilite dalla circolare amministrativa del 1976.

25. Altrettanto insostenibile le pare la tesi secondo cui si dovrebbe tener conto del carattere limitato della deroga per valutarne la compatibilità con il regime comunitario dell'IVA.

26. Nella sua controreplica, il governo francese tenta di correggere taluni errori che la Commissione avrebbe, a suo parere, commesso nella replica. Così, sarebbe inesatto affermare che l'origine della tolleranza sia da ricercare nella volontà di non danneggiare gli esercizi che versano la totalità delle mance al loro personale.

27. In realtà, coloro che si cercava di tutelare sarebbero i dipendenti, e tale tutela sarebbe ancora attuale poiché, nonostante l'introduzione di un salario minimo, la retribuzione dei dipendenti a contatto diretto con la clientela, nel settore della ristorazione e dell'acconciatura, è ancora oggi assicurata in parte dalle mance. Sopprimere la tolleranza rischierebbe di far progredire la prassi della mancia facoltativa, che danneggerebbe i dipendenti a contatto diretto con la clientela, in particolare nei settori in cui l'esposizione dei prezzi «servizio compreso» non è obbligatoria.

28. Non sarebbe nemmeno possibile affermare, come fa la Commissione nella sua replica, che l'esposizione del prezzo «servizio compreso» è divenuta la regola.

29. Nel settore dell'acconciatura, ad esempio, un simile obbligo non esisterebbe. Di conseguenza, la distinzione tra esercizi che praticano prezzi «servizio compreso» e quelli che espongono prezzi «servizio escluso» conserverebbe la sua importanza.

30. Il governo francese ribadisce, infine, ancora una volta, il carattere limitato della prassi derogatoria contestata. Ciò è la conseguenza del carattere rigoroso dei requisiti che il prestatore deve soddisfare per fruirne ed è confermato dalle informazioni raccolte da un'inchiesta condotta dal Ministero dell'economia, delle finanze e dell'industria, in cui si rileva che, nel settore della ristorazione, solo pochi esercizi, principalmente birrerie che occupano una notevole manodopera, vi ricorrono.

Valutazione

31. Constatiamo subito che lo scambio di argomenti avvenuto durante il procedimento scritto sembra quasi un dialogo fra sordi.

32. Il governo francese non tenta, in nessun momento, di dimostrare che la detta prassi è autorizzata da una disposizione della sesta direttiva. Fa solo valere che si tratta di un'antica usanza, seppur restrittivamente inquadrata, che presenta una serie di vantaggi rispetto alla necessità di garantire un adeguato livello retributivo ai dipendenti di talune categorie di esercizi.

33. In seguito, il governo francese sottolinea che l'esclusione dalla base imponibile dell'IVA di cui possono fruire le mance non costituisce una norma che modifica l'art. 266-I del code général des impôts, bensì una semplice tolleranza amministrativa, che le imprese sono libere di applicare o meno.

34. Infine, il governo francese fa valere che il carattere assai limitato dell'esenzione dall'IVA accordata dovrebbe comportare l'applicazione di un principio de minimis.

35. Al riguardo, è opportuno ricordare, anzitutto, che, secondo l'art. 11, parte A, n. 1, sub a), della sesta direttiva, la base imponibile dell'IVA è costituita, per le forniture di beni e le prestazioni di servizi, «da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell'acquirente, del destinatario o di un terzo (...)». Inoltre, secondo una giurisprudenza costante ricordata dalla sentenza 16 ottobre 1997 , la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto a tal fine, corrispettivo che costituisce il valore soggettivo, ossia realmente percepito, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi.

36. Ebbene, la somma complessiva che compare sulla fattura presentata al cliente costituisce, in modo quanto mai evidente e nella sua integralità, il corrispettivo del servizio che gli è stato fornito dal ristoratore.

37. Tale corrispettivo, diversamente da quanto è avvenuto in talune cause trattate dalla Corte, non pone alcun problema per la determinazione del suo importo esatto, dato che, per definizione, è espresso in denaro.

38. Peraltro, il fatto che sulla fattura venga operata una ripartizione fra diversi elementi, il cui insieme costituisce la prestazione fornita, è del tutto irrilevante.

39. In Francia, è oggi vietato fatturare separatamente il coperto, ma in altri Stati membri esso compare normalmente distinto, sulle fatture dei ristoranti. Possiamo immaginare che, in tali Stati membri, si ritenga che la base imponibile della prestazione del ristoratore non comprenda la somma fatturata a titolo di coperto?

40. Ciò che il cliente di un ristorante acquista è una prestazione complessiva, alla quale concorrono sia i piatti che egli degusta sia la messa a disposizione di un tavolo nonché di utensili necessari alla degustazione e il servizio al tavolo, e la somma che paga è il corrispettivo globale di detta prestazione globale. Acquistare un piatto cucinato da un rosticciere equivale ad acquistare una merce, mentre pranzare in un ristorante significa acquistare un servizio che comprende la fornitura di una merce, ma comporta tutta una serie di altri elementi che ne sono indissociabili.

41. Se si giungesse a ritenere che la parte «tassa di servizio» che compare su un conto di ristorante non debba, rispetto alla definizione della base imponibile che si ricava dalla sesta direttiva, essere assoggettata ad IVA, non si capisce cosa potrebbe impedire ad un garagista che fatturi separatamente, come è consuetudine, il costo dei pezzi di ricambio e il costo della manodopera, quando incassa l'importo della fattura di revisione di un veicolo, di far valere il diritto di escludere dall'IVA, se non tutta la parte di manodopera della sua fattura, almeno una frazione di questa, che egli individuerebbe, e che corrisponderebbe all'intervento del suo dipendente che ha ricevuto il cliente per informarsi dei lavori che desiderava effettuare, e gli ha restituito il veicolo, una volta effettuate le operazioni di revisione.

42. Potremmo moltiplicare gli esempi all'infinito, ma non ve n'è bisogno, tanto è chiaro che il testo dell'art. 11, parte A, n. 1, sub a), della sesta direttiva stabilisce che l'insieme degli elementi fatturati al cliente da un prestatore di servizi sia considerato come il corrispettivo esatto della prestazione fornita.

43. La Commissione deduce anche, come abbiamo visto, un argomento volto a dimostrare che la prassi dell'amministrazione fiscale francese viola il principio di neutralità fiscale e introduce una distorsione di concorrenza.

44. Sono d'accordo con la Commissione nel ritenere che il principio di neutralità fiscale - che, secondo la sentenza 7 settembre 1999 , «osta infatti a che operatori economici che effettuano le stesse operazioni subiscano un trattamento differenziato in materia di riscossione dell'IVA» - venga violato dalla prassi contestata.

45. Infatti, due ristoratori che offrono esattamente la stessa prestazione, con un prezzo totale identico, ma di cui l'uno indica sulla sua fattura che percepisce una tassa di servizio, mentre l'altro non lo precisa, pur includendo un importo corrispondente nel prezzo fatturato, potranno vedersi reclamare, ai sensi della circolare amministrativa del 1976, somme diverse a titolo di IVA, poiché la base imponibile a partire dalla quale è determinato l'importo dell'imposta dovuta, accertata per l'uno sarà diversa da quella accertata per l'altro, e questo benché tanto la prestazione quanto il corrispettivo siano esattamente identici.

46. Dalla differenza a livello di onere tributario deriverà una differenza a livello di profitto ricavato dall'operazione, di modo che il principio di neutralità fiscale sarà stato raggirato e la concorrenza sarà stata falsata.

47. Esaminiamo ora la rilevanza dei mezzi di difesa invocati dal governo francese. Esso spiega che non si può affermare che un esercizio commerciale che soddisfi i quattro requisiti elencati dalla circolare amministrativa del 1976 svolga la sua attività nelle medesime condizioni di un locale che non vi si assoggetti e a cui, pertanto, viene vietato escludere le tasse di servizio dalla base imponibile.

48. Per tale motivo esso contesta la definizione di arbitrarietà attribuita dalla Commissione, nel suo ricorso, riguardo alle dette condizioni. Il termine ha effettivamente potuto turbare le autorità francesi, e sarebbe stato opportuno sostituirlo, come ammette del resto la Commissione nella sua replica, con l'espressione «privo di pertinenza». Ma la critica della Commissione mi sembra, nel merito, mettere giustamente l'accento sul fatto che la devoluzione finale delle somme percepite a titolo di tasse di servizio e il modo in cui viene effettuata sono completamente irrilevanti riguardo al problema se le dette somme debbano rientrare o meno nella base imponibile.

49. Ciò che importa, è determinare quale sia l'importo di tali somme, valori, beni o servizi percepiti o da percepire dal prestatore come corrispettivo del servizio fornito. La destinazione di tali somme è del tutto irrilevante. Ciò che costituisce la base imponibile non è l'utile del prestatore, ma, occorre ricordarlo, il suo fatturato. Quindi non ha alcuna rilevanza sapere ciò che effettivamente avviene delle somme indicate in fattura come tasse di servizio quando si tratta di stabilire la base imponibile, salvo, ben inteso, vi sia una norma contraria nella sesta direttiva, ma nessuno sostiene che, nel caso di specie, ne esista una che possa essere presa in considerazione.

50. Il modo in cui il prestatore retribuisce il personale che impiega per offrire la prestazione che egli fornisce e fattura è del tutto irrilevante ai fini della determinazione della base imponibile. Questa deve, come ha stabilito la Corte, corrispondere al valore soggettivo del corrispettivo che il prestatore ha percepito da parte del cliente. La sua determinazione non fa intervenire, a nessun titolo, il costo del servizio per il prestatore, e ancora meno la struttura di tale costo.

51. Un esempio molto concreto, tratto ancora una volta dal settore della ristorazione, aiuterà a comprendere meglio perché il principio di neutralità fiscale, sul quale poggia il regime comunitario dell'IVA, non può, in alcun modo, ammettere la prassi francese in esame.

52. Immaginiamo un ristoratore che gestisca la sua azienda commerciale con un solo dipendente. Se è il titolare che assicura il servizio al tavolo, mentre il dipendente opera in cucina, la circolare amministrativa del 1976 non offrirà alcuna possibilità di deduzione. Effettivamente, il ristoratore potrà scomporre le sue fatture e farvi comparire una tassa di servizio. Ma non potrà dedurla dalla base imponibile, in quanto, supponendo che egli si attribuisca a fine giornata gli importi fatturati a titolo di tasse di servizio, non vi sarà stata attribuzione al personale dipendente. Se, al contrario, ne fa beneficiare il suo dipendente, non potrà ugualmente dedurla, poiché il beneficiario non era a contatto diretto con la clientela.

53. Per contro, se è il titolare che opera in cucina e il dipendente assicura il servizio in sala, gli importi fatturati a titolo di tasse di servizio potranno essere dedotti dalla base imponibile, purché, ben inteso, le quattro condizioni siano rispettate.

54. Condividere il punto di vista del governo francese porterebbe ad ammettere che l'organizzazione interna dell'impresa possa produrre effetti sull'importo dell'IVA da questa dovuta, e questo è appunto quanto vogliono evitare il sistema comunitario dell'IVA e il principio di neutralità fiscale che lo ispira.

55. Segnalo infine, a titolo quasi aneddotico e sempre in merito alle dette condizioni - che secondo il governo depongono a favore dell'ammissibilità della sua prassi - che, nell'allegato 1 del suo controricorso, intitolato «Norme IVA applicabili alle mance in funzione delle varie modalità di percezione del servizio», il governo francese ci spiega che vige un sistema particolare quando la fattura presentata al cliente indica «servizio escluso». In tal caso, il servizio è lasciato alla discrezione della clientela, che può, in realtà, non elargire niente a titolo di mancia. Quando essa versa qualche cosa, l'importo del servizio è trattenuto direttamente dai dipendenti. Può allora essere oggetto di ripartizione fra i dipendenti, nella formula detta «du tronc», ove le mance sono centralizzate da un rappresentante del personale, che le distribuisce poi tra i diversi aventi diritto, ovvero può essere attribuito secondo la formula detta «à la poche», ove ciascun dipendente conserva le mance che ha incassato. In ognuno dei casi ipotizzati, l'amministrazione fiscale integra, nella base imponibile, senza alcuna eccezione - precisa il governo francese - una «entrata ricostituita» corrispondente all'importo del servizio ricevuto dai dipendenti.

56. A mio parere, questo rovina la posizione francese, che si basa appunto sul fatto che un prestatore può, in taluni casi, non includere le tasse di servizio nella base imponibile sulla quale sarà calcolata l'IVA dovuta, perchè non le conserva, bensì le versa totalmente al suo personale. Inoltre, tale regime sembra paradossale, poiché mi sarei piuttosto aspettato che il governo francese si basasse sul carattere aleatorio delle somme ricevute dai dipendenti in dette condizioni per - riferendosi alla citata sentenza Tolsma - escluderle semplicemente dalla base imponibile. Per fortuna, non è mio compito chiarire il mistero costituito dalla produzione di tale allegato.

57. Per il resto, il governo francese si limita a rilevare che, quando la prassi recepita dalla circolare amministrativa del 1976 era stata istituita, era del tutto giustificata. Infatti, a suo parere, essa ha introdotto una garanzia al personale occupato in taluni settori, che ricavava dalle mance, se non la totalità, almeno la maggior parte della sua retribuzione, e che avrebbe visto ridurre quest'ultima se il datore di lavoro avesse ridistribuito le tasse di servizio soltanto dopo averne dedotto gli importi che avrebbero dovuto sopportare a titolo di imposta sul fatturato, a causa della loro contabilizzazione nelle entrate complessive dell'esercizio commerciale.

58. La tutela del personale era e sarebbe ancora oggi fondamentale in taluni settori di attività e la Commissione si sarebbe pesantemente sbagliata affermando, nella sua replica, che quello a cui in realtà si mirava, era la posizione concorrenziale degli esercizi che distribuivano la totalità delle tasse di servizio ricevute.

59. Concedo volentieri al governo francese di essere in una posizione migliore della Commissione per chiarire gli obiettivi perseguiti dal legislatore francese prima della seconda guerra mondiale. Ma il problema non è questo. Nel 1923, le autorità francesi erano libere di stabilire tutte le esenzioni che desideravano nel sistema di tassazione del fatturato in vigore nel sistema tributario francese, come restano libere ancora oggi di adottare misure di tutela per talune categorie di dipendenti che non fruiscono di una retribuzione fissa.

60. La questione che viene posta oggi è sapere se il fine giustifica i mezzi, vale a dire se la sesta direttiva possa non essere rispettata da uno Stato membro perchè ha valide ragioni in tal senso. E, a tale questione, la risposta non può che essere negativa. Diversamente, né la preminenza né l'applicazione uniforme del diritto comunitario non sarebbero più garantite.

61. La Repubblica francese ha perfettamente il diritto di avallare la prassi delle tasse di servizio e di garantire a taluni dipendenti una partecipazione al fatturato realizzato dal loro datore di lavoro, imponendo il versamento integrale delle tasse di servizio percepite ai dipendenti, purché, e solo a condizione che, così facendo non faccia fruire gli esercizi in esame di un regime di alleggerimento dell'IVA vietato dalla sesta direttiva.

62. Quest'ultima non intende, in alcuna maniera, impedire una politica sociale protettiva. Vieta soltanto che detta politica sia perseguita con l'aiuto di taluni mezzi. Si tratta, effettivamente, di una costrizione, ma essa è insita nell'esistenza di un regime comunitario dell'IVA, il quale - come evidenziava molto correttamente la Commissione nella sua lettera di diffida - serve anche da sostegno al sistema delle risorse proprie dell'Unione europea.

63. Vi è ancora un altro punto su cui le analisi della Commissione e del governo francese divergono. E' quello delle conseguenze che ha potuto causare, per quanto concerne la prassi contestata dalla Commissione, l'evoluzione della normativa francese in materia di informazione dei consumatori sui prezzi.

64. La Commissione vede in una circolare del 1988 relativa all'esposizione del prezzo «servizio compreso» il riconoscimento che il servizio costituisce parte integrante del prezzo pagato dal destinatario del servizio, mentre il governo francese fa osservare che l'obbligo di esporre prezzi «servizio compreso» non è così comune quanto afferma la Commissione. Ma nuovamente, la controversia non mi sembra rilevante.

65. Quello che la Commissione contesta è che la circolare amministrativa del 1976 prevede un sistema di calcolo della base imponibile incompatibile con le norme della sesta direttiva, di cui il governo francese non contesta l'effettiva applicazione da parte di un certo numero di prestatori di servizi.

66. Che tali prestatori siano numerosi o no poco importa rispetto al problema se vi sia o meno violazione. Altrettanto privo di interesse è il problema se le autorità francesi, vigilando attentamente sul rispetto delle quattro condizioni stabilite dalla circolare amministrativa del 1976, riescano a limitare il numero di esercizi commerciali che possono inserirsi nella breccia da esse stesse aperta nel sistema di calcolo e percezione dell'IVA.

67. Infatti, il sistema comunitario dell'IVA, pur prevedendo tutta una serie di esenzioni, non riconosce il principio de minimis, che permetterebbe di crearne altre, come avrebbe preteso la Repubblica francese. La violazione mi sembra, pertanto, chiaramente accertata.

Conclusione

68. Alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo si debba statuire che:

«- La Repubblica francese, avendo autorizzato, a determinate condizioni, l'esclusione dalla base imponibile dell'IVA delle "tasse di servizio" reclamate da taluni soggetti passivi, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 2, punto 1, e 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme.

- La Repubblica francese è condannata alle spese».