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Avviso legale importante

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62000C0016

Conclusioni dell'avvocato generale Stix-Hackl del 6marzo2001. - Cibo Participations SA contro Directeur régional des impôts du Nord-Pas-de-Calais. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal administratif de Lille - Francia. - Sesta direttiva IVA - Attività economica - Interferenza di una holding nella gestione delle controllate - Detrazione dell'IVA che grava sui servizi acquistati dalla holding nell'ambito di un'assunzione di partecipazione in una controllata - Riscossione di dividendi da parte della holding. - Causa C-16/00.

raccolta della giurisprudenza 2001 pagina I-06663


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1. Nella presente causa il Tribunal administratif di Lille chiede alla Corte di giustizia in che misura una società holding, nell'ambito della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la «sesta direttiva») - sia autorizzata a dedurre i costi sopportati per l'acquisto di partecipazioni societarie.

II - I fatti e il procedimento nella causa principale

2. L'attrice nella causa principale, la società per azioni Cibo Participations (in prosieguo: la «Cibo»), è una società holding, costituita dal suo azionista di maggioranza, la Compagnie d'Importation des laines (in prosieguo: la «CIL»), il cui scopo sarebbe stato quello di creare un gruppo nel settore del commercio della lana, al suo interno coerente e complementare, tramite l'acquisto di corrispondenti partecipazioni societarie.

3. La causa principale, dinanzi al giudice di rinvio, si fonda su un avviso di pagamento di imposta sul valore aggiunto indirizzato a Cibo, derivante dal fatto che l'Amministrazione fiscale non riconosce una deduzione che l'attrice ha effettuato per il periodo dal 2 novembre 1993 al 31 dicembre 1994, relativamente a diverse prestazioni di servizi ad essa fatturate da soggetti terzi in occasione dell'acquisto di partecipazioni, come per verifiche contabili di società, per la negoziazione del prezzo d'acquisto, per l'organizzazione dell'assunzione del controllo di società, o ancora per l'assistenza in materia giuridica e tributaria e per l'acquisizione di partecipazioni di capitale. La Cibo otterrebbe per le proprie prestazioni una percentuale forfettaria dello 0,5% del volume d'affari delle società controllate.

4. L'Amministrazione fiscale francese afferma che Cibo ricaverebbe la maggior parte del proprio volume d'affari dall'incasso di dividendi (nell'anno 1993 il 99,32 % delle entrate complessive, nel 1994 il 92,07 %), mentre la remunerazione delle sue prestazioni di servizi alle società controllate costituirebbe il resto. La holding non realizzerebbe nessun fatturato da attività economiche svolte in nome proprio.

5. Con pronuncia del 6 gennaio 2000 il Tribunal administratif di Lille ha deciso di proporre in via pregiudiziale alla Corte di giustizia le tre questioni seguenti, concernenti le condizioni per effettuare una deduzione d'imposta in conformità con la sesta direttiva:

1) Quale sia il criterio da seguire per la definizione dell'interferenza. Se esso possa essere costituito in particolare dall'esistenza di prestazioni retribuite, o dall'animazione di un gruppo da parte di una holding, oppure dalla gestione di fatto, che esclude qualsiasi indipendenza della controllata, ovvero da qualsiasi altro elemento.

2) In caso d'interferenza, se la percezione di dividendi esuli dall'ambito di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto per un motivo diverso dall'attività economica, in quanto non costituisce il corrispettivo di un'operazione di fornitura di beni o di prestazione di servizi,

ovvero, tenuto conto del fatto che le spese vengono sostenute per l'acquisto di azioni avente come oggetto diretto la partecipazione ad attività economiche, se la percezione di dividendi rientri nell'ambito dell'imposta sul valore aggiunto e, in tal caso, se essa sia esentata dall'art. 13, parte B, lett. d), punto 1, della sesta direttiva o soggetta ad imposta.

3) Nel caso in cui la percezione di dividendi esuli dall'ambito di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, quali ne siano le conseguenze sulla questione dei diritti a detrazione:

- se sia assolutamente escluso il diritto a detrazione dell'imposta relativa alle spese sostenute per l'acquisto di azioni, dato che non concorrono ad alcuna operazione soggetta ad imposta,

- oppure se la detrazione debba essere ammessa trattandosi di spese generali.

III - Contesto normativo

6. Secondo l'art. 2, n. 1, della sesta direttiva, sono soggette all'imposta sul valore aggiunto «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale».

Ai sensi dell'art. 4, n. 1, è soggetto passivo «chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al n. 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività». Secondo il n. 2 sono considerate «attività economiche» tutte le attività di produttore, commerciante o prestatore di servizi e «anche una operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità».

L'art. 13, parte B, della sesta direttiva dispone che determinate attività sono da considerare esenti dall'imposta sul valore aggiunto, fra cui, ai sensi della lett. d), n. 5, «le operazioni, compresa la negoziazione, eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni, altri titoli, ad esclusione dei titoli rappresentativi di merci, dei diritti o titoli di cui all'art. 5, n. 3».

L'art. 17 disciplina l'origine e la portata del diritto a deduzione. Secondo l'art. 17, n. 2, il soggetto passivo è autorizzato ad operare una deduzione soltanto con riferimento alle spese per «i beni e i servizi impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta» e precisamente fino a concorrenza dell'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per beni o prestazioni di servizi a lui forniti o resi da un altro soggetto passivo.

L'art. 17 n. 5, stabilisce come si deve procedere per dedurre l'imposta in relazione a beni e a prestazioni di servizi i quali vengano utilizzati sia per operazioni che danno diritto a deduzione, che per operazioni per cui tale diritto non è previsto. In merito, il primo comma stabilisce: «Per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a deduzione di cui ai paragrafi 2 e 3, sia per operazioni che non conferiscono tale diritto, la deduzione è ammessa soltanto per il prorata dell'imposta sul valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni». In forza del secondo comma, questo prorata «è determinato ai sensi dell'art. 19 per il complesso delle operazioni compiute dal soggetto passivo».

L'art. 19 contiene le disposizioni per il calcolo del prorata della deduzione d'imposta. Il prorata si ricava, a norma dell'art. 19, n. 1, da una frazione, ove al numeratore figura l'importo totale delle operazioni che danno diritto alla deduzione e al denominatore la somma tra l'ammontare del numeratore e delle operazioni che non danno diritto alla deduzione. L'imposta sul valore aggiunto è ogni volta da scomputare.

L'art. 19, n. 2, prevede, in deroga al n. 1, che di certe operazioni non si tenga conto, come ad esempio quelle di cui all'art. 13, parte B, lett. d), quando si tratta di operazioni accessorie.

IV - Sulla prima questione pregiudiziale

7. Con la prima questione pregiudiziale il giudice di rinvio chiede quali sono gli elementi che caratterizzano l«interferenza» da parte di una holding nella gestione di una propria società controllata.

Argomenti delle parti

8. La Cibo sostiene, con riferimento agli artt. 4 e 13 della sesta direttiva, che dette disposizioni chiaramente distinguerebbero tra attività intese come «attività economiche» e attività che non rientrano in tale ambito e che tale distinzione sarebbe determinante per la questione del diritto a deduzione.

Inoltre la Cibo richiama una serie di sentenze della Corte di giustizia, nelle quali la medesima si è pronunciata in ordine alla questione della qualificazione delle holdings . Da detta giurisprudenza risulterebbe chiaramente che una holding di regola non esercita alcuna attività economica e conseguentemente non è soggetto passivo, salvo che non interferisca nella gestione delle sue società controllate. Finora tuttavia la Corte non avrebbe definito il concetto di «interferenza». Secondo la Cibo in proposito dovrebbe essere esclusa, come criterio, la nozione di «gestione di fatto». Questa troverebbe applicazione nel diritto francese con riferimento al soggetto che di fatto assuma la direzione di un'impresa e non nei confronti di colui al quale tale compito spetti solamente di diritto.

Anche quando la gestione di fatto presenta praticamente tutti i caratteri di una «interferenza», essa costituirebbe solo l'ultima fase di detta «interferenza», tanto che potrebbe portare alla perdita, da parte della società controllata, della propria personalità giuridica. Secondo la Cibo un investitore potrebbe trovarsi, a seconda dell'obiettivo e dell'ampiezza dell'acquisto di partecipazioni, in diverse situazioni.

Le due seguenti forme di partecipazione, costituenti una «interferenza», coinciderebbero con la nozione di «animazione di un gruppo» citata nella questione pregiudiziale, che troverebbe applicazione nel diritto tributario francese come criterio in materia di imposta di solidarietà sul patrimonio (ISF) :

- La prima forma concernerebbe il caso in cui la partecipazione ammonti praticamente all'intero capitale e l'azionista prenda parte attivamente alla direzione dell'impresa, interferendo così nella gestione. Qui l'azionista sarebbe il più delle volte indotto a fornire alle società controllate diverse prestazioni retribuite.

- La seconda forma corrisponderebbe al caso della più ampia partecipazione, ossia quando l'azionista possegga completamente la società controllata e «interferisca» nella direzione dell'impresa come amministratore di fatto.

In entrambi questi casi l'acquisto di partecipazioni costituirebbe una attività economica compresa nell'ambito di applicazione della sesta direttiva, poiché la società holding avrebbe la possibilità, di fatto o di diritto, di interferire nella gestione della società controllata, in misura superiore a quanto consentito sulla base dei diritti ordinari di azionista.

9. Il Governo francese in primo luogo osserva che, a suo avviso, dall'interpretazione a contrario della giurisprudenza costante della Corte di giustizia si evince che l'acquisto, la detenzione e la cessione di partecipazioni, così come la percezione di dividendi, ricadono sotto l'art. 4, n. 2, della sesta direttiva quando tali attività sono accompagnate da interferenze dirette o indirette nella gestione delle società nelle quali si hanno le partecipazioni. Con «interferenza» sarebbe da intendersi un'influenza determinante nella gestione dell'impresa. Un'influenza sufficiente a configurare un'«interferenza» potrebbe essere individuata laddove la società holding di fatto o di diritto detenga, nell'impresa in questione, la maggioranza dei voti. Una tale influenza potrebbe inoltre essere dedotta, sulla base di diversi criteri, dalle relazioni giuridiche, finanziarie, amministrative e societarie tra la società controllante e le società controllate, come per esempio il controllo delle decisioni, la somiglianza degli scopi sociali, la nomina del personale dirigente e la fornitura di prestazioni di servizi retribuiti.

10. La Commissione rinvia alla causa Floridienne SA , ancora pendente al momento in cui ha presentato le proprie osservazioni scritte, ed alle conclusioni presentate nella detta causa, il 4 aprile 2000, dall'Avvocato Generale Fennelly, il quale non ha definito la «nozione di interferenza» in sé, ma ha verificato se la holding svolgeva o no essa stessa attività economica.

A parere della Commissione la risposta alla questione in esame non dovrebbe essere data ricorrendo a una specifica nozione di «interferenza» estranea alla sesta direttiva - motivo per cui prende posizione in ordine a questo argomento solo in subordine - ma sulla base della valutazione delle attività in questione alla luce del combinato disposto degli artt. 4 e 2 della sesta direttiva.

Quanto ad una definizione dell'«interferenza», la Commissione osserva innanzitutto, con riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia, che nella causa Polysar si trattava di una holding pura, mentre nel presente caso la società in questione sarebbe una holding mista che, oltre alla gestione delle proprie quote, fornirebbe alle società controllate altre prestazioni a titolo oneroso. Per rispondere alla questione in esame sarebbe quindi necessario determinare esattamente da quale momento la holding non agisce più come mera detentrice di partecipazioni, ma esercita una attività economica. In ordine alle attività che configurano semplice esercizio dei diritti di azionista e che non possono costituire alcuna «interferenza» nella gestione, la Commissione rinvia alle attività elencate dell'Avvocato Generale Van Gerven al paragrafo 6 delle sue conclusioni nella causa Polysar .

In merito alla problematica su cosa potrebbe rientrare nella nozione di «interferenza», la Commissione osserva come nella sentenza Wellcome Trust la detenzione di una partecipazione di maggioranza pare essere stata un criterio decisivo per individuare un'«interferenza». A tale interpretazione si opporrebbe però la sentenza Polysar, dove si trattava di una società controllata al 100%.

La Commissione conclude affermando che è molto difficile armonizzare la nozione di «interferenza» con l'esercizio di attività economica ai sensi della sesta direttiva. Il vero problema da risolvere nelle holdings miste sarebbe quello di stabilire a che tipo di attività una spesa debba riferirsi. Una volta identificate le attività escluse dal campo di applicazione della sesta direttiva, si dovrebbe solo distinguere, per quelle in esso rientranti, fra operazioni esonerate e operazioni tassate nell'ambito del prorata.

Valutazione

11. Dal punto 19 della sentenza Floridienne si evince che deve essere considerata « un'attività economica ai sensi dell'art. 4, n. 2, della sesta direttiva siffatta interferenza nella gestione delle consociate, in quanto essa implica il compimento di operazioni soggette all'IVA ai sensi dell'art. 2 di tale direttiva, quali la prestazione di servizi amministrativi, di contabilità ed informatici» da parte della holding in favore delle sue società controllate.

Per la questione dell'assoggettamento di una holding può dunque essere determinante il solo fatto che essa eserciti attività rientranti nell'art. 2 oppure attività economiche previste nell'art. 4, n. 2, della sesta direttiva.

12. Conseguentemente una holding pura, la cui attività si limita all'acquisto e alla detenzione di quote di società, nonché all'esercizio dei relativi diritti di azionista, non può essere assoggettata all'imposta sul valore aggiunto, in forza della sesta direttiva, a causa di una qualsivoglia influenza sulla società controllata. L'assoggettamento di una holding all'imposta non può dunque dipendere né dal fatto che la holding medesima animi il gruppo o ne influenzi la conduzione, né dal fatto che abbia una influenza determinante sulla conduzione dell'impresa.

13. Si deve dunque concordare con la Cibo e con la Commissione quando ritengono che, per la questione del diritto a deduzione, sia decisiva la distinzione tra attività economiche ai sensi dell'art. 4, n. 2 della sesta direttiva e quelle che non sono attività economiche in tal senso. Il diritto a deduzione spetta infatti solo ad un soggetto passivo e questa qualità dipende a sua volta, in forza dell'art. 4, n. 1, dall'esercizio di attività economiche ai sensi dell'art. 4, n. 2.

14. Occorre quindi innanzitutto verificare se la Cibo eserciti attività economiche che la rendono soggetto passivo e le conferiscono, inoltre, a certe condizioni, il diritto alla deduzione.

15. Come giustamente nota la Commissione, la Corte di giustizia si è occupata di tale questione nella causa Floridienne.

Al punto 17 di tale sentenza è innanzitutto ricordato che, secondo costante giurisprudenza della Corte, una holding, il cui unico scopo è acquistare partecipazioni in altre imprese, senza «interferire» direttamente o indirettamente nella gestione di queste società - impregiudicati i propri diritti di azionista o di socia -, non è assoggettata all'imposta sul valore aggiunto e non ha diritto alla deduzione in forza dell'art. 17 della sesta direttiva. Ciò si evince dal fatto che la mera detenzione di partecipazioni finanziarie in altre imprese non costituisce attività economica ai sensi della sesta direttiva .

Diversamente avviene, come è stabilito al punto 18 di tale sentenza, con riferimento alla sentenza Polysar, quando la partecipazione «sia accompagnata da un'interferenza diretta o indiretta nella gestione delle imprese in cui si è realizzato l'acquisto di partecipazioni, fatti salvi i diritti che chi detiene le partecipazioni possiede nella sua qualità di azionista o socio».

Le forme di «interferenza» nella gestione di società controllate, citate al punto 19 della sentenza Floridienne, contengono esempi di attività nel senso dell'art. 2 della sesta direttiva. Teoricamente sono infatti da considerare «interferenze» tutte le attività economiche ai sensi dell'art. 4, n. 2, della sesta direttiva, in quanto implichino lo svolgimento di attività soggette all'imposta sul valore aggiunto secondo l'art. 2 della sesta direttiva.

16. Di conseguenza, quando una holding non solo possiede partecipazioni, ma fornisce anche prestazioni di servizi a titolo oneroso alle società controllate - e si tratta quindi per definizione di una holding mista - nell'ambito di queste operazioni economiche è assoggettata all'imposta sul valore aggiunto, poiché tali attività, contrariamente alla mera acquisizione e alla mera detenzione di partecipazioni , devono essere qualificate come attività economiche ai sensi della sesta direttiva.

17. Infine bisogna segnalare che non può essere compito della Corte quello di citare in modo esaustivo tutte le immaginabili attività (economiche) che in linea di principio possano ricadere nell'ambito dell'art. 2 o 4, n. 2, della sesta direttiva. E', al contrario, compito del giudice nazionale verificare se i criteri fissati dalla Corte possano trovare applicazione nelle concrete fattispecie della lite davanti ad esso pendente.

18. La prima questione pregiudiziale va pertanto risolta nel senso che nei rapporti tra una holding e una società controllata si configura una «interferenza» quando la holding, oltre all'esercizio dei diritti che le spettano quale azionista, esercita per la propria società controllata anche attività economiche ai sensi dell'art. 4, n. 2, della sesta direttiva, il che include lo svolgimento di attività soggette ad imposta sul valore aggiunto, in forza dell'art. 2 della sesta direttiva.

V - Sulla seconda questione pregiudiziale

19. Con la seconda questione pregiudiziale il giudice a quo chiede se la percezione di dividendi ricade nell'ambito di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto e se tale percezione in questo caso è esentata dall'imposta in forza dell'art. 13, parte B, lett. d), n. 1 della sesta direttiva.

Argomenti delle parti

20. In ordine a tale questione la Cibo ritiene che la percezione di dividendi non possa mai ricadere nel campo di applicazione della sesta direttiva, poiché, indipendentemente dall'esistenza di una «interferenza», non dovrebbe essere considerata come una controprestazione per una attività economica, ma soltanto come una conseguenza della mera detenzione di partecipazioni.

21. Il Governo francese afferma invece sostanzialmente che i dividendi, in caso di «interferenza», ricadono nel campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto perché costituiscono il risultato dell'attività economica di acquisto e di detenzione di partecipazioni. I dividendi, in linea di principio assoggettati all'imposta sul valore aggiunto, sarebbero tuttavia esentati in forza dell'art. 13, parte B, lett. d), n. 5 della sesta direttiva.

22. La Commissione espone essenzialmente che, in mancanza di un sufficiente legame diretto tra le attività della holding e la percezione di dividendi, non sarebbe possibile considerare i dividendi come corrispettivo di attività economiche. Non si tratterebbe quindi di remunerazione di prestazioni di servizi che la holding fornisce alle sue società controllate e che sono assoggettati all'imposta in forza dell'art. 2 della sesta direttiva.

Valutazione

23. Come giustamente la Cibo e la Commissione osservano, la percezione di dividendi da parte di una holding che «interferisce» nella gestione delle società controllate, secondo la giurisprudenza della Corte, potrebbe ricadere nell'ambito di applicazione della sesta direttiva solo qualora i dividendi possano essere considerati come corrispettivo di attività economiche, fatto che presuppone un legame diretto tra l'attività svolta e il controvalore ottenuto .

24. La Corte ha già dichiarato nella causa Sofitam che i dividendi non sono il corrispettivo di un'attività economica, che non ricadono perciò nell'ambito di applicazione della sesta direttiva e che i dividendi derivanti da partecipazioni sono quindi estranei al sistema dei diritti a deduzione.

25. Ad avviso del Governo francese, per il quale, se l'acquisto di partecipazioni fosse un'attività economica nel senso dell'art. 4, n. 2, della sesta direttiva, ciò dipenderebbe da un legame diretto tra questa attività e la percezione di dividendi, sarebbe sufficiente rinviare alla sentenza Floridienne.

26. In tale sentenza la Corte ha infatti stabilito che - in considerazione del fatto che l'importo dei dividendi, a causa di determinate caratteristiche, in parte dipende da un'alea e che il diritto a percepire dividendi è solamente in funzione di una partecipazione - «non sussiste tra il dividendo e una prestazione di servizi, anche se fornita da un azionista che percepisce tale dividendo, un nesso diretto necessario perché esso possa costituire il corrispettivo dei detti servizi» .

27. Pertanto la seconda questione pregiudiziale deve essere risolta nel senso che l'incasso di dividendi, che una società controllata versa alla holding, resta escluso dall'ambito di applicazione della sesta direttiva poiché i dividendi non rappresentano un compenso per operazioni di prestazioni di beni o di servizi. Di conseguenza non possono nemmeno essere esonerati dalla tassazione in forza dell'art. 13 parte B, lett. d), n. 1 della sesta direttiva.

VI - Sulla terza questione pregiudiziale

28. La terza questione pregiudiziale concerne le conseguenze per il diritto a deduzione, nel caso in cui la percezione di dividendi resti esclusa dal campo di applicazione della sesta direttiva. Il giudice nazionale formula qui due ipotesi alternative: la prima prevede l'esclusione della deduzione per l'imposta che colpisce i costi per l'acquisto di azioni, la seconda l'ammissibilità della deduzione a titolo di «spese generali».

Argomenti delle parti

29. La Cibo rinvia innanzitutto alla giurisprudenza della Corte dalla quale risulterebbe che la percezione di dividendi non darebbe diritto alla deduzione dell'imposta, ma al tempo stesso non lo farebbe nemmeno perdere. Una holding che «interferisca» nella gestione/direzione delle proprie società controllate eserciterebbe un'attività economica ed avrebbe perciò diritto alla deduzione d'imposta, e ciò in misura del prorata applicabile alle attività tassabili e non tassabili. Richiamando la sentenza nella causa BLP Group , Cibo sostiene che la deduzione d'imposta, a parte il caso delle operazioni esenti, sarebbe possibile e che, nell'ipotesi di acquisto di beni nell'ambito di attività economiche, i costi per tali acquisti ricadrebbero nelle «spese generali». Questi sarebbero poi traslati sui prezzi di vendita. L'acquisto di società controllate costituirebbe, per le imprese che «interferiscono» nella gestione/direzione delle società controllate, il primo passo di una eventuale futura fusione delle imprese di un gruppo e sarebbe perciò un'attività economica. L'imposta su questi costi di acquisto sarebbe quindi deducibile.

30. Secondo il governo francese, considerata la risposta che, a suo avviso, dovrebbe essere data alla seconda questione pregiudiziale, non sarebbe necessario rispondere alla terza. I costi per l'acquisto di partecipazioni in una società controllata, sopportati da un'impresa che «interferisce» nella gestione/direzione di tale società controllata, dovrebbero essere messi in rapporto con l'attività generale dell'impresa. Dall'art. 17, n. 5 e dall'art. 19, n. 1, della sesta direttiva risulterebbe che i dividendi che non danno diritto a deduzione potrebbero figurare solamente al denominatore del prorata. Poiché i dividendi sarebbero legati direttamente, costantemente e in modo imprescindibile all'attività economica dell'impresa, non si sarebbe nemmeno in presenza di operazioni accessorie ai sensi dell'art. 19, n. 2, della sesta direttiva, di cui potrebbe non tenersi conto .

31. La Commissione ritiene, da parte sua, che, in ordine ai costi per l'acquisto di azioni, e quindi a costi che non attengono ad alcuna operazione imponibile, la deduzione d'imposta sia esclusa. Poiché l'art. 17 della sesta direttiva non contiene alcuna regolamentazione delle operazioni, derivanti da un'attività economica, escluse dall'ambito di applicazione della direttiva, competerebbe agli Stati membri determinare il metodo secondo il quale la deduzione sia da escludere. Infine la Commissione rileva che la nozione di «spese generali» è estranea alla sesta direttiva. L'aspetto decisivo sarebbe piuttosto quello di determinare se i costi si riferiscano ad attività dell'impresa imponibili, esenti o non imponibili. Nel caso della Cibo non sarebbe però evidente che i costi per l'acquisto della partecipazione si ritrovino nelle prestazioni che la Cibo fornisce alle sue società controllate.

Valutazione

32. In ordine alla deduzione d'imposta relativa ai costi derivanti dall'acquisto di azioni, occorre innanzitutto rilevare che la questione posta dal giudice di rinvio vale solo per il caso in cui la percezione di dividendi non rientri nel campo di applicazione della sesta direttiva. Si tratta quindi di operazioni non imponibili ai sensi della sesta direttiva.

33. Secondo l'art. 17, n. 2, della sesta direttiva un soggetto passivo può operare una deduzione nella misura in cui «beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta» . L'art. 17, n. 2, stabilisce quindi le condizioni alla quali l'imposta può essere dedotta. L'esclusione della deduzione d'imposta discendere da una interpretazione a contrario. Dall'art. 17, n. 2, consegue quindi a contrario che per le operazioni non indicate nella richiamata disposizione, vale a dire le operazioni esenti e quelle non imponibili, non sussiste alcun diritto alla deduzione.

34. Ciò manifesterebbe anche l'intenzione del legislatore comunitario di mantenere nella sesta direttiva l'esclusione delle operazioni non imponibili dal diritto a deduzione, esclusione prevista nell'art. 11, n. 2 della seconda direttiva del Consiglio 11 aprile 1997, 67/228/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relativa alle imposte sulla cifra d'affari - Struttura e modalità d'applicazione del sistema comune d'imposta sul valore aggiunto .

35. L'esclusione delle operazioni non imponibili dal diritto a deduzione corrisponde infine ai principi fondamentali del sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto. Conformemente a tali principi, il campo di applicazione del diritto a deduzione deve corrispondere nella misura più ampia possibile all'ambito delle attività commerciali dell'impresa . L'esclusione del diritto a deduzione per le operazioni non imponibili appare perciò sistematicamente corretta.

36. Secondo costante giurisprudenza della Corte, il diritto alla deduzione dell'imposta sorge infatti solo quando sussiste un legame diretto e immediato con le operazioni imponibili .

Nella causa Midland, che riguardava anch'essa spese per prestazioni di servizi in relazione all'acquisto di una partecipazione aziendale, la Corte ha dichiarato che il diritto alla deduzione dell'imposta presuppone che «le spese compiute per acquistare questi ultimi (beni o servizi) debbano aver fatto parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni assoggettate all'imposta» .

37. I costi sopportati dalla Cibo per l'acquisto di azioni, tuttavia, stante la mancanza di un legame diretto e immediato con operazioni imponibili, fanno «parte delle spese generali del soggetto passivo» e «in quanto tali, sono elementi costitutivi del prezzo dei prodotti di un'impresa» .

38. La situazione giuridica si presenta tuttavia diversa quando la Cibo, sulla base di circostanze oggettive, può provare che le sue spese rientrano fra gli elementi di costo di una operazione che dà diritto alla deduzione .

39. Pertanto, la terza questione pregiudiziale deve essere risolta nel senso che la percezione di dividendi resta esclusa dall'ambito di applicazione della sesta direttiva e che il diritto a deduzione con riferimento ai costi per l'acquisto di azioni, in mancanza di un diretto e immediato legame con operazioni imponibili, è escluso, salvo che il soggetto passivo provi, sulla base di circostanze oggettive, che tali spese rientrano fra gli elementi di costo di una operazione che dà diritto alla deduzione.

VII - Conclusione

40. In ragione delle riflessioni sin qui svolte, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali nel seguente modo:

«1. Nei rapporti tra una holding e una società controllata si configura una "interferenza" quando la holding, oltre all'esercizio dei diritti che le spettano quale azionista, esercita per la propria società controllata anche attività economiche ai sensi dell'art. 4, n. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari - sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme - il che include lo svolgimento di attività soggette ad imposta sul valore aggiunto, in forza dell'art. 2 della sesta direttiva.

2. L'incasso di dividendi, che una società controllata versa alla holding, resta escluso dall'ambito di applicazione della sesta direttiva poiché i dividendi non rappresentano un compenso per operazioni di prestazioni di beni o di servizi. Di conseguenza non possono nemmeno essere esonerati dalla tassazione in forza dell'art. 13, parte B, lett. d), n. 1, della sesta direttiva.

3. Se la percezione di dividendi non rientra nell'ambito di applicazione della sesta direttiva, il diritto a deduzione con riferimento ai costi per l'acquisto di azioni, in mancanza di un diretto e immediato legame con operazioni imponibili, è escluso, salvo che il soggetto passivo provi, sulla base di circostanze oggettive, che tali spese rientrano fra gli elementi di costo di una operazione che dà diritto alla deduzione».