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Avviso legale importante

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62000C0062

Conclusioni dell'avvocato generale Geelhoed del 24 gennaio 2002. - Marks & Spencer plc contro Commissioners of Customs & Excise. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) - Regno Unito. - Sesta direttiva sull'IVA - Normativa nazionale che riduce con effetto retroattivo un termine di decadenza per il rimborso di somme indebitamente pagate - Compatibilità con i principi di effettività e di tutela del legittimo affidamento. - Causa C-62/00.

raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-06325


Conclusioni dell avvocato generale


I - Introduzione

1. In questo procedimento pregiudiziale la Corte deve risolvere la questione se sia compatibile con il diritto comunitario la privazione con effetto retroattivo del diritto alla restituzione di somme pagate, a titolo di IVA, più di tre anni prima della data in cui è stata presentata la relativa richiesta. Nel caso di specie la questione si riferisce al periodo in cui uno Stato membro non ha correttamente trasposto nel suo ordinamento interno una disposizione di una direttiva avente effetto diretto.

II - Ambito normativo

Diritto comunitario

2. L'art. 11 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la «sesta direttiva») dispone:

«A. All'interno del paese

1. La base imponibile è costituita:

a) per le forniture di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui alle lettere b), c) e d), da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell'acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni;

(...)».

Normativa nazionale

3. Entrambe le parti nel giudizio a quo ed il giudice nazionale riconoscono che l'art. 11 A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva non era stato trasposto correttamente nell'ordinamento nazionale prima dell'11 agosto 1992, fino a quando, con effetto dal 1° agosto 1992, l'art. 10 n. 3 del Value Added Tax Act (legge sull'IVA) del 1983 (in prosieguo: l'«Atto del 1983») è stato modificato dal Finance (n. 2) Act 1992, nella seguente maniera:

«Se la cessione o la prestazione avviene per un corrispettivo non consistente o non interamente consistente in denaro, il valore della cessione o della prestazione sarà considerato quell'importo in denaro che, con l'aggiunta dell'imposta dovuta, equivale al corrispettivo».

4. L'Atto del 1983 è stato abrogato con effetto a partire dal 1° settembre 1994 e sostituito dal Value Added Tax Act (legge sull'IVA) 1994 (in prosieguo: l'«Atto del 1994»). L'art. 19, n. 3, dell'Atto del 1994 è formulato nello stesso modo dell'art. 10, n. 3, dell'Atto del 1983, così come modificato dal Finance (N. 2) Act 1992, salvo che l'art. 19, n. 3, utilizza l'espressione «IVA dovuta», mentre l'art. 10. n. 3, come modificato, utilizza l'espressione «imposta dovuta».

5. Per quanto riguarda la normativa relativa alla restituzione di somme pagate ai Commissioners a titolo di IVA non dovuta, l'art. 24 del Finance Act 1989 - per quanto pertinente nel caso di specie - stabiliva (con effetto a partire dal 1° gennaio 1990) quanto segue:

«1) Nel caso in cui taluno abbia pagato ai Commissioners, a titolo di imposta sul valore aggiunto, una somma ad essi non dovuta, questi sono tenuti alla sua restituzione.

2) I Commissioners sono tenuti alla restituzione di importi ai sensi di questo articolo soltanto se è stata presentata una richiesta a questo fine.

(...)

4) Nessuna somma può essere richiesta ai sensi dal presente articolo trascorso un periodo di 6 anni dalla data in cui è stata versata, fatto salvo quanto previsto al paragrafo 5 che segue.

5) Se una somma è stata pagata ai Commissioners per errore, una domanda di rimborso ai sensi del presente articolo può essere presentata in qualsiasi momento entro il termine di sei anni dalla data in cui il richiedente ha scoperto l'errore o avrebbe potuto scoprirlo usando l'ordinaria diligenza.

(...)

7) Fatto salvo quanto previsto in questo articolo, i Commissioners non sono tenuti a restituire la somma ad essi versata a titolo di imposta sul valore aggiunto per il fatto non era a loro dovuta.

(...)».

6. L'art. 24 del Finance Act 1989 è stato abrogato e sostituito dall'art. 80 dell'Atto del 1994, con effetto a partire dal 1° settembre 1994. La parte sostanziale dell'art. 80 è formulata allo stesso modo dell'art. 24, salvo che nell'Atto del 1994 si parla di «IVA», mentre il Finance Act 1989 parla di «imposta» e di «imposta sul valore aggiunto».

7. Il 18 luglio 1996 il Ministro delle Finanze ha dichiarato in Parlamento che il governo, dato il crescente rischio per l'erario conseguente alle richieste retroattive di restituzione di somme erroneamente percepite a titolo di imposta, aveva l'intenzione di introdurre, con effetto dal 18 luglio 1996, un termine di decadenza di tre anni per la presentazione di richieste di restituzione dell'IVA e di altre imposte indirette. La modifica legislativa proposta doveva entrare in vigore a partire dalla data della dichiarazione stessa per evitare la frustrazione dell'effetto da essa perseguito a causa del decorso del tempo necessario alla conclusione dell'iter parlamentare.

8. Il 4 dicembre 1996 la House of Commons approvava le proposte di bilancio del governo, tra cui quella presentata il 18 luglio 1996, ricompresa nel Finance Bill come art. 47.

9. Il Finance Act 1997 è entrato in vigore il 19 marzo 1997. L'art. 47, n. 1, del medesimo modificava l'art. 80 dell'Atto del 1994. L'art. 80, n. 5, veniva interamente abrogato, mentre l'art. 80, n. 4 veniva modificato come segue:

«I Commissioners, in presenza di una domanda proposta ai sensi del presente articolo, non sono tenuti a restituire alcuna somma che sia stata ad essi versata più di tre anni prima della presentazione della domanda».

10. Per quanto pertinente nel caso di specie, l'art. 47, n. 2, del Finance Act 1997 stabilisce:

«(...) il paragrafo del presente articolo si reputa entrato in vigore il 18 luglio 1996 e si applica, ai fini dei rimborsi effettuati a tale o successivamente ad essa, a tutte domande presentate ai sensi dell'art. 80 del Value Added Tax Act 1994, ivi comprese la domande presentate prima di tale data e quelle relative a pagamenti effettuati alla medesima data».

11. L'art. 47, nn. da 2 a 5, del Finance Act contiene anche un regime transitorio, in cui si prevede che il termine di tre anni non vale per una richiesta presentata dopo il 18 luglio 1996, purché questa faccia seguito ad un ricorso accolto contro una decisione dei Commissioners e purché il procedimento giurisdizionale contro la decisione contestata sia iniziato prima del 18 luglio 1996. In tal caso la richiesta viene limitata alle somme pagate nel corso di tre anni prima dell'avvio del procedimento.

III - Fatti del procedimento a quo

12. La Marks and Spencer plc (in prosieguo: la «M& S») è una nota impresa di vendita al dettaglio nel Regno Unito ed è soggetta all'imposta sul valore aggiunto (IVA).

13. I Commissioners of Customs and Excise (in prosieguo: i «Commissioners») sono responsabili dell'amministrazione e dell'esazione dell'IVA nel Regno Unito.

14. Nel periodo in esame la M& S vendeva ad acquirenti con personalità giuridica buoni acquisto ad un prezzo inferiore al valore nominale dei buoni. I buoni acquisto venivano poi venduti o ceduti a terzi che potevano convertirli restituendoli alla M& S e ricevendo in cambio prodotti equivalenti al valore nominale dei buoni. Nel dicembre 1990 la M& S ha cercato di convincere i Commissioners che essa era debitrice ai fini dell'IVA delle somme ricevute con la vendita dei buoni e non del valore nominale degli stessi. Nel gennaio 1991 tuttavia i Commissioners hanno deciso che l'IVA dovuta dalla M& S andava calcolata sul valore nominale dei buoni. La M& S ha pagato l'IVA così calcolata sino alla sentenza della Corte nella causa Argos Distributors , in cui la Corte dichiarava che l'art, 11 A, n. 1, della sesta direttiva doveva essere interpretato nel senso che quando un fornitore abbia venduto ad un acquirente, con uno sconto, un buono con la promessa di accettarlo successivamente al suo valore nominale in pagamento totale o parziale del prezzo di un bene acquistato da un cliente che non è l'acquirente del buono e che non conosce di regola prezzo reale di vendita di quest'ultimo da parte del fornitore, il corrispettivo rappresentato dal buono è la somma realmente percepita dal fornitore alla vendita del buono.

15. Da questa sentenza risultava chiaramente che i buoni acquisto della M& S erano soggetti ad un regime IVA errato. La M& S pertanto, con lettera 31 ottobre 1996, chiedeva ai Commissioners la restituzione dell'IVA pagata in eccesso, in conseguenza dell'errato regime applicato ai buoni-acquisto, per un valore di GBP 2 638 057. La richiesta di restituzione si riferiva al periodo maggio 1991 - agosto 1996, e veniva successivamente rivista ed integrata con lettere 6 e 22 novembre 1996.

16. Con lettera 11 dicembre 1996 i Commissioners si dichiaravano disposti a restituire la parte della somma richiesta non interessata dall'introduzione del termine di decadenza di tre anni. Il 15 gennaio 1997 pagavano pertanto alla M& S un importo di GBP 1 913 462 sterline.

17. Nel periodo dall'aprile 1973 all'ottore 1994 la M& S aveva pagato un eccesso di IVA anche sui «teacakes» (tipici pasticcini inglesi): invece che con tariffa zero, l'IVA era infatti stata corrisposta in base alla tariffa standard. Questo errore è stato riconosciuto dai Commissioners con lettera 30 settembre 1994. La M& S ha pertanto chiesto ai Commissioners, in data 8 febbraio 1995, la restituzione dell'IVA pagata in eccesso, per un importo di GBP 3,5 milioni. I Commissioners hanno accolto la domanda, ma, invocando l'art. 80, n. 3, dell'Atto del 1994 («unjust enrichment defense») erano disposti ad accettare soltanto il 10% dell'IVA versata in eccesso in quanto il valore restante sarebbe stato addebitato ai clienti.

18. Per quanto riguarda la restituzione dell'IVA relativa ai teacakes, i Commissioners hanno informato la M& S, con lettera 10 marzo 1997, della loro intenzione di attenersi anche in questo caso al termine di decadenza di tre anni.

19. Il 4 aprile 1997 la M& S ha ricevuto pertanto, invece del 10% dei GBP 3,5 milioni, il valore corrispondente al 10% dell'importo pagato in eccesso relativo al periodo compreso nel termine di decadenza di tre anni, ossia GBP 88 440.

20. La M& S ha quindi chiesto ai Commissioners un riesame della loro decisione di applicare il termine di decadenza di tre anni ad entrambe le sue richieste di restituzione. I Commissioners mantenevano però la loro posizione precedente.

21. Il 15 aprile 1997 la M& S presentava ricorso contro la decisione dei Commissioners dinanzi al VAT and Duties Tribunal (Commissione competente in materia di IVA), che respingeva il ricorso della M& S in data 22 aprile 1998. La M& S proponeva successivamente appello dinanzi alla High Court (Tribunale di secondo grado), la quale pure respingeva l'appello con ordinanza 21 dicembre 1998. Infine la M& S proponeva appello dinanzi alla Court of appeal.

22. Con sentenza 14 dicembre 1999, la Court of appeal respingeva l'appello concernente la richiesta di restituzione relativa ai teacakes e con riguardo ai buoni acquisto per il periodo dall'agosto 1992 all'agosto 1996.

23. Con riguardo alla domanda di restituzione dell'IVA pagata in eccesso per il periodo dal maggio 1991 al luglio 1992, la Court of appeal ha concluso che in quel periodo l'art. 11, parte A, della sesta direttiva non era stato correttamente trasposto dall'Act 1983. Per questo motivo la Court of appeal ha giudicato che la M& S, relativamente a quel periodo, può ricavare dal diritto comunitario diritti che possono essere invocati dinanzi al giudice nazionale. Secondo la Court of appeal non è tuttavia chiaro se sia compatibile con il principio di effettività dei diritti derivante dal diritto comunitario e con il principio di legittimo affidamento la modifica con effetto immediato di un termine di decadenza, comportante per gli interessati, che sulla base della normativa nazionale avevano diritto alla restituzione di somme indebitamente pagate, la privazione di tale diritto.

24. Ciò ha indotto la Court of appeal a proporre una domanda pregiudiziale.

IV - La questione pregiudiziale

25. La questione proposta con ordinanza 14 dicembre 1999, registrata nella cancelleria della Corte il 28 febbraio 2000, dalla Court of appeal (Civil Division) (England & Wales) è la seguente:

«Se, nel caso in cui uno Stato membro non abbia correttamente trasposto nel suo ordinamento interno l'articolo 11, parte A, della direttiva del Consiglio 77/388, sia compatibile con il principio dell'effettività dei diritti conferiti ad un soggetto passivo da tale articolo, ovvero con il principio della tutela del legittimo affidamento, l'applicazione di una normativa che sopprime, con effetto retroattivo, il diritto riconosciuto da norme di diritto nazionale di chiedere il rimborso di somme pagate, a titolo di IVA, più di tre anni prima della data in cui viene presentata la richiesta di restituzione».

V - Analisi

Osservazioni preliminari: la portata della questione pregiudiziale

26. Dai documenti contenuti nel fascicolo processuale risulta che la M& S ha proposto due domande, di cui la prima relativa all'IVA corrisposta in eccesso sui teacakes e la seconda relativa all'IVA pagata in eccesso sui buoni acquisti. Quest'ultima domanda si divide a sua volta in due parti: una relativa ai buoni acquisto nel periodo precedente l'agosto 1992, ossia prima dell'entrata in vigore dell'art. 10 del Finance (2) Act 1992, ed una relativa ai buoni acquisto nel periodo dall'agosto 1992 a metà ottobre 1996.

27. La questione pregiudiziale proposta verte soltanto sulla richiesta di rimborso dell'IVA pagata in eccesso sui buoni acquisto nel periodo precedente l'entrata in vigore dell'art. 10 del Finance (2) Act 1992.

28. Sembra che il giudice a quo, per quanto riguarda i diritti al rimborso della M& S, opera una distinzione tra il caso in cui la direttiva non è stata trasposta, o non correttamente, e gli altri due casi in cui essa è stata sì recepita correttamente in diritto nazionale, ma è stata poi erroneamente applicata.

29. Nel caso dei buoni acquisto ciò risulta molto chiaramente. La distinzione operata si scompone in due periodi, ossia quello precedente il luglio 1992 (quando l'art. 11, parte A, della sesta direttiva non era stato correttamente trasposto) e il periodo successivo (quando detta disposizione era sì stata trasposta in diritto nazionale, ma ancora per alcuni anni - sino alla sentenza nella causa Argos - è stata applicata erroneamente dall'amministrazione tributaria competente). Secondo il giudice del rinvio nel primo caso i singoli possono direttamente far valere in giudizio la sesta direttiva, ciò che non sarebbe invece possibile nel secondo caso, in quanto in tal caso si trattava della situazione in cui la sesta direttiva era stata recepita correttamente in diritto nazionale. In una situazione del genere i singoli non potrebbero più ricavare diritti dalla sesta direttiva. Il giudice del rinvio fonda questa conclusione sulla sentenza Becker , in cui è stato stabilito che (1) se uno Stato membro non recepisce una direttiva o non la recepisce correttamente e (2) la disposizione in questione della direttiva è incondizionata e sufficientemente precisa, gli interessati possono farla valere in giudizio dinanzi al giudice nazionale. Dato che non viene soddisfatta la «prima condizione Becker», il giudice a quo ritiene che la sesta direttiva non possa essere invocata.

30. Nell'ordinanza di rinvio non si menziona la restituzione dell'IVA pagata in eccesso sui teacakes. Benché non ne sia fatta menzione, anche per i teacakes si riscontra una problematica simile. Anche qui infatti bisogna determinare se i singoli possano far derivare diritti dal diritto comunitario nel caso in cui una direttiva sia stata di per sé correttamente recepita nella legislazione nazionale, ma questa legislazione venga applicata in contrasto con l'evidente obiettivo della direttiva.

31. La M& S e la Commissione sottolineano l'erroneità del procedimento logico - a contrario - seguito dal giudice a quo, e delle conseguenze che possono derivarne. La Commissione osserva che la trasposizione delle direttive comporta un obbligo di risultato. A supporto di questa tesi essa rinvia al testo dell'art. 249 CE, in cui è sancito con estrema chiarezza che una direttiva è vincolante con riguardo al risultato da perseguire. A questo proposito la Commissione e la M& S richiamano anche le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs nella causa Commissione/Germania , in cui questi, al paragrafo 14, afferma che non è sufficiente recepire correttamente la direttiva in diritto nazionale, ma che gli Stati membri devono far sì che questa legislazione venga applicata correttamente, vale a dire in conformità della direttiva stessa. Secondo la Commissione il ragionamento seguito dal giudice a quo comporta il rischio che uno Stato membro non adempia agli obblighi per esso derivanti da una direttiva qualora trasponga correttamente la stessa, ma la applichi poi in modo errato. Sia la Commissione che la M& S hanno chiesto un esame di questo aspetto di principio, sia nell'ambito di un obiter dictum, sia ampliando la portata della questione pregiudiziale.

32. Secondo una giurisprudenza costante in merito all'art. 234 CE , la Corte si considera tenuta a rispettare la questioni pregiudiziali sottopostele e non esce dall'ambito sostanziale delle questioni propostele. Le considerazioni che precedono l'ordinanza di rinvio, nelle sentenze della High Court e della Court of appeal, mi offrono tuttavia l'occasione di fare un'osservazione preliminare .

33. In queste sentenze sono esaminate due questioni di principio. In primo luogo, la questione di quando una direttiva possa essere considerata correttamente applicata, e in secondo luogo se i singoli possano invocare i diritti che potevano trarre da una direttiva dopo che questa è stata trasposta in una legge o in una normativa nazionale.

34. La caratteristica principale di una direttiva è che non vincola il legislatore nazionale e le autorità nazionali quanto alla forma e ai mezzi, ma quanto al risultato perseguito dal legislatore comunitario. A seconda dell'oggetto e del carattere della direttiva, talvolta si può raggiungere tale risultato mediante la semplice trasposizione della medesima nella normativa nazionale, mentre altre volte, come nel caso di specie, l'esecuzione della direttiva richiede prima una trasposizione nella normativa nazionale e successivamente l'applicazione corretta di tale legislazione. Ci sono infine direttive la cui corretta trasposizione richiede non tanto l'intervento del legislatore nazionale, quanto piuttosto quello delle autorità amministrative nazionali, come ad esempio nel caso della direttiva sui nitrati o la direttiva sulla conservazione degli habitat .

35. Tuttavia, in tutti e tre esempi sopra riportati quali casi di scuola il risultato perseguito dal legislatore comunitario è e rimane il criterio decisivo per risolvere la questione se gli Stati membri abbiano dato corretta esecuzione alla direttiva o meno.

36. Orbene, il problema vero e proprio segnalato dalla Commissione e dalla M& S è proprio l'erronea prassi di applicazione dei Commissioners. A mio giudizio è giusto che sia stata richiamata l'attenzione su questo problema. La prassi nazionale di applicazione di una direttiva recepita è certamente importante, in quanto un'applicazione erronea può portare a risultati completamente diversi da quelli perseguiti dalla direttiva. Inoltre, divergenze nell'interpretazione della direttiva hanno ripercussioni negative sull'unità e sull'uguaglianza all'interno dell'ordinamento giuridico comunitario.

37. Il risultato perseguito dalla direttiva richiede pertanto (1) una trasposizione corretta e (2) un'applicazione della relativa normativa nazionale conforme al suo obiettivo. In questo senso concordo con la Commissione sul fatto che la trasposizione di una direttiva esige più che un corretto recepimento nella legislazione nazionale: la normativa nazionale deve anche essere applicata in conformità della direttiva .

38. Si pone quindi la domanda se singoli possono continuare a far valere in giudizio i diritti per essi derivanti da una direttiva dopo che questa è stata recepita in normativa nazionale.

39. In altre parole, la questione è se in caso di un'applicazione non corretta del diritto comunitario recepito nella normativa nazionale la funzione di vigilanza spetti solo alla Commissione o se ci si debba spingere oltre e anche le autorità nazionali, e quindi anche il giudice nazionale, debbano controllare che la direttiva recepita venga applicata correttamente, vale a dire conformemente alla direttiva stessa. Altrimenti detto, la direttiva così com'è stata emanata dal legislatore comunitario resta un filo conduttore ai fini dell'interpretazione del diritto nazionale in cui essa è stata trasposta.

40. A mio avviso, la risposta a questa questione deve essere incondizionatamente positiva. Se si seguisse la tesi del giudice a quo, i cittadini comunitari perderebbero, in seguito alla trasposizione della direttiva in normativa comunitaria, i diritti che potevano derivare dalla medesima, e dunque dal diritto comunitario, prima del suo recepimento. In una giurisprudenza costante la Corte ha riconosciuto i diritti del cittadino ad un corretto recepimento nei casi di una trasposizione erronea in normativa nazionale. Sarebbe un risultato incompatibile con l'ordinamento giuridico comunitario se il cittadino potesse invocare una direttiva nei casi in cui il legislatore agisce in modo non corretto, ossia incompatibile con la direttiva, ma non quando le autorità amministrative nazionali agiscono manifestamente in contrasto con la direttiva in sede di applicazione della legislazione nazionale in cui essa è stata recepita.

41. La sentenza Becker non può nemmeno essere interpretata a contrario. Essa riguardava infatti un caso in cui lo Stato membro interessato aveva trasposto la direttiva troppo tardi e si poneva pertanto la questione se i singoli potessero in tal caso far valere in giudizio la direttiva. In tali circostanze, la Corte ha posto le due condizioni e il singolo in questo contesto doveva invocare l'obbligo direttamente applicabile. Non si può tuttavia dedurre da ciò, come fa evidentemente il giudice britannico, che se uno Stato membro abbia invece adottato i provvedimenti necessari, ma li applichi poi in modo contrario alla direttiva, un interessato non potrebbe più vantare dei diritti in forza della medesima. Anche in quel caso infatti non può parlare di corretta esecuzione della direttiva.

42. Gli obblighi che incombono agli Stati membri in forza di direttive comunitarie possono dirsi soddisfatti soltanto se sono stati realizzati o garantiti i risultati perseguiti da quella direttiva. Non può pertanto bastare il semplice recepimento da parte del legislatore nel caso della trasposizione della sesta direttiva. Anche le autorità incaricate dell'esecuzione ed il giudice nazionale hanno l'obbligo di controllare che il risultato voluto dalla direttiva venga garantito.

43. Più in particolare, dal fascicolo processuale risulta che, seppure l'art. 11, parte A, della direttiva è stato correttamente recepito con il Finance (N. 2) Act 1992, Art. 10, queste disposizioni legislative sono state interpretate ed applicate in modo tale da raggiungere un risultato incompatibile con la direttiva. Gli obblighi a cui le direttive assoggettano gli Stati membri non vigono solo per il loro potere legislativo, ma si estendono anche ai poteri esecutivo e giudiziario. Grava pertanto, in linea di massima, sulle autorità fiscali britanniche, l'obbligo di restituire quanto ricevuto in eccesso in contrasto con la direttiva e sul giudice nazionale il compito di garantire che i singoli possano esercitare i diritti loro conferiti dal diritto comunitario.

44. Dal fascicolo della causa in esame risulta senza alcun dubbio che i Commissioners sia per i teacakes sia per i buoni acquisto dopo l'agosto 1992 hanno applicato la legislazione fiscale in modo incompatibile con la direttiva. E' anche evidente che il giudice del rinvio nega alla M& S la possibilità di far valere in giudizio la direttiva contro tale erronea prassi amministrativa. Ne consegue incontestabilmente, a mio avviso, che nel caso di specie sia le autorità fiscali che il giudice competente agiscono in contrasto con il diritto comunitario, e che in questo modo il Regno Unito resta inadempiente nel suo obbligo di recepire correttamente la corrispondente parte della sesta direttiva.

Analisi della questione pregiudiziale

45. Il giudice a quo chiede una risposta alla questione se l'effetto retroattivo attribuito dal legislatore britannico alla normativa interna tesa a limitare i termini di restituzione per l'IVA pagata in eccesso sia in contrasto con i principi di effettività e di legittimo affidamento.

46. La M& S e la Commissione nelle osservazioni scritte depositate hanno affermato che i contestati provvedimenti del legislatore fiscale britannico sono effettivamente in contrasto con i detti principi. A sostegno della loro tesi, essi invocano quindi l'art. 6, n. 1, della Convenzione europea per i diritti dell'uomo (in prosieguo: la «Convenzione») e l'art. 1 del primo Protocollo di quella Convenzione.

47. Comincio con l'analizzare quali indicazioni il giudice a quo possa ricavare dal principio di effettività. Farò poi lo stesso per il principio di legittimo affidamento. Commenterò quindi brevemente gli argomenti che la M& S e la Commissione ricavano dalla Convezione e dal suo primo Protocollo.

48. Nel caso di specie è pacifico che tra il maggio 1991 e il luglio 1992 la M& S ha pagato IVA in eccesso, in forza di una normativa nazionale con cui non era stato recepito correttamente l'art. 11, parte A, della sesta direttiva.

49. A mio avviso è del pari certo che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, sussiste per la M& S un diritto al rimborso dell'IVA pagata in violazione del diritto comunitario. «Occorre ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto comunitario costituisce il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni comunitarie che vietano le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali o, a seconda dei casi, l'applicazione discriminatoria di tasse interne, nell'interpretazione loro data dalla Corte (v. sentenze 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio, Racc. pag. 3595 punto 12; 2 febbraio 1988, causa 309/85, Barra, Racc. pag. 355 punto 17, e 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punto 40). Lo Stato membro è quindi tenuto, in via di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto comunitario (sentenza 14 gennaio 1997, cause riunite da C-192/95 a C-218/95, Comateb e a., Racc. pag. I-165, punto 20)» . Nella sentenza Soupergaz, menzionata nella citazione, la Corte aveva già statuito che il diritto alla restituzione esiste anche per l'IVA pagata in contrasto con il diritto comunitario.

50. Il governo del Regno Unito, nelle sue osservazioni scritte e durante il la fase orale, ha difeso la tesi secondo cui, dato che la direttiva non contiene disposizioni applicabili a richieste di restituzione per l'IVA pagata dai contribuenti in contrasto con il diritto comunitario, l'obbligo di restituzione esistente in capo al Regno Unito può derivare solo dalla legislazione nazionale applicabile. Ai sensi della legislazione nazionale applicabile il diritto alla restituzione sorgerebbe soltanto dopo che la relativa domanda sia stata presentata entro il termine previsto dalla legge e dopo la verifica della stessa da parte dei Commissioners, in quanto organo competente. Solo previa soddisfazione di questi requisiti procedurali la M& S avrebbe un diritto alla restituzione e sorgerebbe in capo al Regno Unito il corrispondente obbligo. Ne consegue, a giudizio del governo del Regno Unito, che, al momento in cui è stata presentata al parlamento la proposta di una modifica legislativa per limitare con effetto retroattivo il termine di decadenza per le domande di restituzione, il 18 luglio 1996, la M& S aveva solo un diritto processuale, consistente nella facoltà di presentare una domanda di restituzione delle somme da essa indebitamente corrisposte a titolo di IVA ai Commissioners. Dato che la M& S a quella data non aveva ancora presentato una domanda di restituzione dell'IVA pagata in eccesso sui buoni acquisto, i Commissioners in quel momento non erano tenuti ad alcun pagamento nei suoi confronti. Il 18 luglio 1996 la M& S non aveva pertanto alcun diritto sostanziale alla restituzione del pagamento in eccesso.

51. La tesi del governo britannico, sopra menzionata, non mi sembra accettabile alla luce della citata giurisprudenza della Corte, in cui si fa sempre una distinzione tra il diritto, o la pretesa, alla restituzione di quanto corrisposto alle autorità nazionali in violazione del diritto comunitario e le disposizioni nazionali in base alle quali tale diritto deve essere esercitato. Queste disposizioni possono riguardare il procedimento da seguire, l'indicazione delle autorità incaricate della restituzione, i termini entro cui le domande devono essere presentate e la verifica delle stesse.

52. La questione posta dal giudice del rinvio non riguarda pertanto l'esistenza del diritto della M& S alla restituzione dell'IVA pagata in eccesso sui buoni acquisto, ma le condizioni a cui il legislatore nazionale ha subordinato l'esercizio del medesimo. Più specificamente, si tratta della questione se la limitazione con effetto retroattivo dei termini entro cui tali azioni possono essere esercitate sia compatibile con il principio di effettività, quale è stato sviluppato dalla giurisprudenza della Corte.

53. La giurisprudenza della Corte in merito alla compatibilità delle disposizioni nazionali che disciplinano la restituzione di imposte pagate in violazione del diritto comunitario è ricca e chiara.

54. La regola principale deducibile da tale giurisprudenza, confermata ancora di recente nella sentenza Roquette Freres , così recita:

«In mancanza di disciplina comunitaria in fatto di rimborso di tributi nazionali indebitamente riscossi, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e fissare le modalità di procedura delle azioni giudiziarie destinate a garantire la tutela dei diritti che gli amministrati traggono dall'efficacia diretta del diritto comunitario, fermo restando che dette modalità non possono essere né meno favorevoli di quelle relative alle analoghe azioni di natura nazionale né tali da rendere impossibile in pratica l'esercizio dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare (v. sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, punto 5; causa 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punti 13 e 16; 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit Italiana, Racc. pag. 1205, punti 25 e 29, e 29 giugno 1988, causa 240/87, Deville, Racc. pag. 3513, punto 12)».

55. L'ultima condizione, ossia che l'esercizio dei diritti che il giudice nazionale deve concretamente tutelare non deve essere in pratica reso impossibile, sostanzia il principio di effettività del diritto comunitario.

56. Al punto 30 delle sue conclusioni per la citata sentenza Roquette Freres l'avvocato generale Ruiz-jarabo ha fatto una disamina dei casi in cui la Corte ha riconosciuto la compatibilità con il diritto comunitario della fissazione di termini di ricorso ragionevoli, a pena di decadenza, nell'interesse della certezza del diritto che tutela al tempo stesso il contribuente e l'amministrazione. In tali casi la Corte ha valutato che detti termini non potevano essere considerati tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario, anche se, per definizione, lo spirare di detti termini comporta il rigetto, totale o parziale, dell'azione esperita.

57. Più in particolare, la Corte, nella sentenza Aprile II, ha dichiarato che l'abbreviazione del termine di decadenza per l'azione di ripetizione dell'imposta pagata in violazione del diritto comunitario di per sé non è incompatibile con il principio di effettività . Nella sentenza Dilexport la Corte ha confermato questa giurisprudenza: «il diritto comunitario non osta a che, a seguito di sentenze della Corte che dichiarano l'incompatibilità con il diritto comunitario di determinati diritti o tributi, uno Stato membro adotti disposizioni che rendono le modalità di rimborso applicabili a questi diritti e tributi meno favorevoli di quelle che sarebbero applicate in loro assenza, purché tali modificazioni non riguardino specificamente i diritti o tributi in questione e le nuove disposizioni non rendano impossibile o eccessivamente difficile il diritto al rimborso» .

58. I fatti su cui si fonda la questione pregiudiziale in esame differiscono tuttavia dalle sentenze sopra citate, in quanto il legislatore britannico ha ridotto i termini di decadenza da sei a tre anni con effetto retroattivo. In tal modo non solo vengono lesi i contribuenti che confidavano di avere ancora tempo a sufficienza, secondo il regime vigente, per esperire le loro azioni, ma persino i contribuenti che, prima della data in cui è stata annunciata la proposta di modifica legislativa (18 luglio 1996) e prima della data in cui questa è stata promulgata (17 marzo 1997), avevano presentato una domanda di restituzione dell'imposta indebitamente corrisposta.

59. I fatti a fondamento della causa in esame mostrano un'innegabile analogia con quelli relativi alla sentenza Barra . In quel caso il legislatore belga aveva limitato con efficacia retroattiva il termine entro cui poteva essere chiesta la restituzione dei diritti di iscrizione indebitamente pagati per l'ammissione alla formazione professionale a coloro che avevano intentato un'azione di ripetizione prima della pronuncia della sentenza in cui la Corte ha stabilito che tali diritti erano stati imposti indebitamente . In merito a ciò la Corte, ai punti 17-21 della citata sentenza, afferma che una disposizione legislativa di questo tenore priva puramente e semplicemente le persone che non soddisfano le condizioni da questa poste del diritto di ottenere il rimborso delle somme indebitamente pagate, rendendo così impossibile agli interessati l'esercizio dei diritti attribuiti dal diritto comunitario - in casu dall'art. 7 Trattato CE, nella versione all'epoca in vigore (divenuto, in seguito a modifica, art. 12 CE).

60. Nella sentenza Deville la Corte ha ribadito la propria sentenza nella causa Barra. Si trattava in tale causa di un'imposta speciale su autoveicoli di cui in precedenza la Corte aveva dichiarato l'incompatibilità con l'art. 95 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 90 CE). Dopo tale sentenza la relativa legislazione nazionale per la restituzione dell'imposta ingiustamente riscossa è stata modificata. A questo proposito la Corte, al punto 13 della menzionata sentenza, ha affermato che «il legislatore nazionale, dopo una pronunzia della Corte che stabilisca che una determinata normativa è incompatibile con il trattato, non può adottare alcuna norma processuale che limiti specificamente la possibilità di agire per la ripetizione di tributi indebitamente riscossi in forza della stessa normativa». In un caso del genere infatti l'esercizio dei diritti che devono essere tutelati dal giudice nazionale viene reso praticamente impossibile.

61. La ratio di questa giurisprudenza è che, attribuendo effetto retroattivo a disposizioni legislative nazionali che sottopongono a condizioni più severe l'esercizio di diritti offerti dal diritto comunitario per la ripetizione di tributi imposti in violazione di tale diritto, si rende praticamente impossibile ai contribuenti esercitare del tutto o in parte tali diritti. In tal modo i diritti ad essi riconosciuti dall'effetto diretto del diritto comunitario perdono la loro effettività.

62. A mio avviso il principio di effettività osta non solo alla limitazione con effetto retroattivo dei diritti alla restituzione per coloro che avevano già presentato una domanda di restituzione secondo la normativa precedentemente vigente, come è il caso della M& S, ma anche nei confronti delle domande che nel rispetto delle condizioni precedentemente applicabili ancora avrebbero potuto essere presentate. I diritti che gli interessati avrebbero potuto far valere utilizzando diligentemente le possibilità offerte dalla «vecchia» disciplina sono privati a priori di effettività in virtù di un regime più severo introdotto con efficacia retroattiva. Nella sentenza Barra la Corte ha esplicitamente tutelato i diritti dei singoli che non avevano ancora presentato un'azione di ripetizione di pagamenti non dovuti. Anche nel caso di specie sono presenti tutti gli elementi in favore di una simile soluzione.

63. Il procedimento logico qui seguito vale, mutatis mutandis, anche per i diritti dei singoli alla restituzione di IVA riscossa in violazione di disposizioni di diritto comunitario aventi effetto diretto, nel caso in cui tali disposizioni, pur essendo state trasposte correttamente in normativa nazionale, vengano applicate in contrasto con l'evidente fine della direttiva.

64. Il giudice a quo chiede inoltre se la limitazione con efficacia retroattiva dei termini entro cui gli interessati possono intentare azioni di ripetizione dell'indebito sia in contrasto con il principio del legittimo affidamento.

65. La M& S e la Commissione ritengono che a questa domanda vada data una risposta positiva, invocando a tal fine la sentenza Meiko-Konservenfabrik .

66. Il governo del Regno Unito oppone a questa tesi la difesa che il principio del legittimo affidamento nulla aggiungerebbe alla tutela che deriva per i singoli dai principi di effettività e di uguaglianza. Dal punto di vista del diritto comunitario, la M& S poteva fare affidamento solo sul fatto che la sua domanda sarebbe stata esaminata alla luce di quei principi in conformità del diritto nazionale. Considerando che non è in discussione che se l'azione della M& S è stata esaminata in conformità del vigente diritto britannico, la ricorrente nel giudizio principale avrebbe potuto limitarsi ad invocare i principi di effettività e di uguaglianza. Secondo il diritto britannico, prosegue il governo del Regno Unito, la M& S non poteva fare affidamento sul fatto che la sua domanda di restituzione sarebbe stata esaminata alla luce delle disposizioni legislative applicabili al momento in cui sono stati corrisposti alle autorità fiscali i pagamenti contestati. Qui il governo britannico richiama la sua tesi sopra menzionata, secondo cui in capo ai Commissioners, in qualità di autorità fiscale competente, può sorgere un obbligo di restituzione soltanto dopo che sia stata presentata la relativa domanda e il credito sia stato verificato. Secondo il diritto britannico tra il momento dell'indebito versamento dell'imposta e la decisione sulla domanda di restituzione la legislazione applicabile può essere modificata, anche con effetto retroattivo. Pertanto la M& S non potrebbe invocare il principio del legittimo affidamento. In questo contesto il governo britannico ricorda ancora nella sua difesa che l'annuncio della modifica legislativa ha avuto luogo il 18 luglio 1996, mentre la M& S ha presentato la sua domanda di restituzione solo il 31 ottobre 1996. Essa non poteva pertanto più confidare di non essere colpita dall'applicazione del nuovo termine, ridotto della metà, per la presentazione della domanda.

67. Ricordo che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, i principi generali di diritto riconosciuti nel diritto comunitario influenzano anche l'interpretazione e l'applicazione di tale diritto a livello nazionale. Ciò vale per il principio di legittimo affidamento non meno che per il principio di effettività . Bisognerà dunque prima verificare se il principio di legittimo affidamento, in quanto principio di diritto comunitario, osti alla limitazione con effetto retroattivo delle possibilità di ripetizione di pagamenti non dovuti. Si porrà successivamente la questione se e in che misura questo principio impedisca al legislatore nazionale di limitare con effetto diretto le possibilità di esercitare le azioni di ripetizione di tributi riscossi in violazione di diritto comunitario.

68. Vorrei riassumere nel modo seguente le linee principali della giurisprudenza della Corte in merito al principio di legittimo affidamento:

- in primo luogo la Corte in una serie di sentenze ha dichiarato che questo principio, che deriva dal principio di certezza del diritto, fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario . Il principio esige che le norme giuridiche siano precise e mira a garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici disciplinati dal diritto comunitario;

- in secondo luogo è certo che i singoli non possono fare affidamento sul fatto che le norme giuridiche loro applicabili restino immutate. Il legislatore comunitario conserva la facoltà di adeguare la legislazione esistente alle mutate condizioni economiche e, aggiungo io, alle mutate concezioni politiche, sociali e di gestione ;

- in terzo luogo i singoli devono poter contare sul fatto che i diritti sorti nell'ambito di un regime esistente non verranno limitati con efficacia retroattiva . Solo in casi estremamente eccezionali è possibile derogare a questa regola generale, ad esempio in caso di necessità economiche imperative legate alla gestione delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli o per motivi di interesse pubblico inderogabile .

69. Consegue da quanto sopra che, a differenza di quanto sostenuto dal governo britannico, il principio di legittimo affidamento certamente aggiunge qualcosa ai fatti su cui si basa il procedimento a quo. Questi riguardano infatti il modo in cui le autorità nazionali hanno recepito ed applicato a livello nazionale norme comunitarie da cui i singoli possono ricavare dei diritti. La tesi secondo cui ai singoli spetterebbe un diritto al rimborso delle imposte indebitamente riscosse solo dopo che essi hanno soddisfatto le disposizioni nazionali vigenti per l'esercizio di tale azione, e che pertanto il principio di legittimo affidamento nel caso di specie varrebbe soltanto come principio giuridico «nazionale», è stata da me supra già considerata incompatibile con la costante giurisprudenza della Corte.

70. Bisogna pertanto desumere che il principio di affidamento, in quanto principio di diritto comunitario, vincola anche il legislatore britannico se questi limita i termini di legge entro cui i singoli possono far valere i diritti loro conferiti dal diritto comunitario stesso.

71. Con tale principio è incompatibile l'attribuzione di efficacia retroattiva ad una limitazione del genere, a meno che non sussista una giustificazione imperativa per motivi di interesse generale. I motivi di giustificazione addotti dal governo britannico per il provvedimento da esso adottato non sono sufficienti. E' vero che nella vigenza della «vecchia» disciplina in vigore sino al 18 luglio 1996, esisteva un certo rischio per l'erario britannico; la portata di tale rischio tuttavia logicamente non poteva essere maggiore dell'ammontare dell'arricchimento senza causa dell'erario stesso grazie all'IVA imposta in violazione del diritto comunitario. Il desiderio di conservare per le casse dello Stato quanto indebitamente corrisposto dal contribuente non offre in nessun caso una giustificazione accettabile per la limitazione con effetto retroattivo dei termini per l'azione di ripetizione dell'IVA pagata indebitamente.

72. La mia conclusione è pertanto che l'attribuzione di effetto retroattivo alla modifica legislativa in esame è incompatibile con il principio di legittimo affidamento.

73. La Commissione e la M& S aggiungono poi che l'attribuzione di effetto retroattivo alla modifica legislativa controversa è in contrasto anche con l'art. 1 della Convenzione e con l'art. 1 del Primo protocollo della medesima.

74. La Commissione afferma che il diritto alla tutela giurisdizionale, sancito all'art. 6, n. 1, della Convenzione, osta alla limitazione con efficacia retroattiva dei termini di restituzione, al fine di contenere gli obblighi di restituzione delle autorità fiscali. A tale riguardo essa cita alcune sentenze della Corte europea per i diritti dell'uomo (in prosieguo: la «CEDU»), da cui risulta che questa Corte accetta talune limitazioni al diritto di accesso alla giustizia in quanto compatibili con il normale funzionamento del sistema giurisdizionale, ma che questi provvedimenti non possono limitare l'accesso dei singoli alla giustizia in modo tale da mettere in pericolo l'essenza stessa del diritto alla tutela . Termini eccessivamente brevi per la proposizione di azioni sono stati rigettati dalla CEDU, come risulta dalla sua giurisprudenza. La Commissione deduce da ciò che tale giurisprudenza osta in ogni caso alla limitazione con effetto retroattivo di termini per la presentazione di azioni giudiziarie. Ciò infatti impedisce del tutto la tutela giurisdizionale per la parte dell'azione che è caducata dall'effetto retroattivo. Comunque, continua la Commissione, una limitazione che mira a ridurre gli obblighi di restituzione delle autorità fiscali difficilmente può essere considerata tesa a perseguire un obiettivo giustificato.

75. La Commissione e la M& S invocano anche la giurisprudenza della CEDU relativa all'art. 1 del Primo protocollo della Convenzione , da cui deducono che legislazione che sopprime diritti di ripetizione di prestazioni in denaro con effetto retroattivo equivale ad un'espropriazione, in violazione di tale articolo, in quanto detti diritti di ripetizione vanno considerati come «beni» nel senso della disposizione stessa. In una delle sentenze citate (Pressos Compania Naviera v. Belgium) la CEDU avrebbe esplicitamente rigettato la tesi secondo cui la necessità di tutelare gli interessi finanziari dello Stato offrirebbe una giustificazione sufficiente per l'attribuzione di effetto retroattivo al provvedimento contestato in giudizio.

76. In merito a questi argomenti della M& S e della Commissione osservo che essi, in senso stretto, esulano dall'ambito della questione posta dal giudice a quo, che chiede alla Corte soltanto un'interpretazione più precisa dei principi di effettività e di legittimo affidamento in quanto principi di diritto comunitario. La Corte, in una giurisprudenza ormai assai ricca, ha affermato che i diritti fondamentali dell'uomo fanno parte dei principi generali del diritto comunitario e che pertanto influenzano la trasposizione e l'applicazione del diritto comunitario da parte delle autorità nazionali nell'ambito giuridico nazionale. Ciò potrebbe offrire un motivo per controllare d'ufficio se diritti fondamentali siano coinvolti dall'attribuzione di effetto retroattivo alla legislazione britannica contestata nel giudizio a quo, ed eventualmente, quali essi siano.

77. Ciononostante ritengo che, nel caso di specie, sia sufficiente dare un'interpretazione più precisa del principio di effettività e del principio di legittimo affidamento, come richiesto dal giudice a quo. Tale interpretazione porta ad un risultato che è in linea con la giurisprudenza della CEDU citata dalla M& S e dalla Commissione o che si approssima ad essa. Al massimo si potrebbero trarre da tale giurisprudenza delle conclusioni ad abundantiam. Dato che il giudice a quo non lo chiede, e dato che non ne esiste la necessità al fine della tutela dei diritti dei singoli, propongo alla Corte di non approfondire gli argomenti che la Commissione e la M& S deducono ad abundantiam dalla Convenzione e dal relativo Primo protocollo.

VI - Conclusione

78. In base alle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione della Court of appeal nei seguenti termini:

«Se uno Stato membro ha riscosso imposte in eccesso in conseguenza di una trasposizione e/o di una applicazione non corretta di disposizioni della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, che hanno effetto diretto, come l'art. 11, parte A, n. 1, la limitazione con effetto retroattivo, dei termini per l'azione di ripetizione dell'indebito è incompatibile con il principio di effettività e con il principio di tutela del legittimo affidamento».