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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE


PHILIPPE LÉGER


presentate il 17 giugno 2003 (1)

Causa C-453/00

Kühne & Heitz NV

contro

Productschap voor Pluimvee en Eieren

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal College van Beroep voor het bedrijfsleven (Paesi Bassi)]

«Carne di pollame - Restituzioni all'esportazione - Rimborso - Riclassificazione dei prodotti nella nomenclatura combinata - Decisione amministrativa - Esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni - Domanda di pagamento diretta a rimettere in discussione una decisione amministrativa divenuta definitiva - Rigetto - Autorità di cosa definitivamente giudicata - Effetti nel tempo delle sentenze pregiudiziali della Corte - Primato del diritto comunitario - Art. 10 CE»





1.        Il diritto comunitario osta a che un organo amministrativo nazionale rifiuti di accogliere una domanda di pagamento fondata sul diritto comunitario per il fatto che tale domanda è volta a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente divenuta definitiva, in seguito al rigetto del ricorso di annullamento proposto contro di essa con una decisione giurisdizionale dotata dell'autorità di cosa definitivamente giudicata, quando tale decisione definitiva è fondata su un'interpretazione del diritto comunitario che è stata respinta dalla Corte in una sentenza pregiudiziale pronunciata successivamente?

2.        Tale è, in sostanza, la questione di principio posta dal College van Beroep voor het bedrijfsleven (Paesi Bassi) nell'ambito di una controversia riguardante la classificazione tariffaria di carni di pollame nonché la determinazione dell'importo delle restituzioni all'esportazione che ne risulterebbero a vantaggio dell'esportatore.

I –    Contesto giuridico

A –    A - Normativa comunitaria

3.        Il regolamento (CEE) del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2777, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del pollame (2), ha istituito un sistema di restituzioni all'esportazione verso paesi terzi. Tale sistema è destinato a garantire allo stesso tempo la competitività del prodotti europei sul mercato mondiale, grazie a una riduzione del prezzo all'esportazione (tale prezzo generalmente elevato nella Comunità europea è ridotto al livello del prezzo praticato sul mercato mondiale), e un equo livello di vita alla popolazione agricola interessata, grazie al versamento a vantaggio degli esportatori di talune somme (o restituzioni) il cui importo corrisponde a tale differenza di prezzo.

4.        La determinazione dell'importo delle restituzioni dipende dalla classificazione tariffaria dei prodotti che vengono esportati. La lista dei prodotti per i quali è concessa una restituzione all'esportazione nonché l'importo di tale restituzione sono fissati da un regolamento della Commissione per un periodo di circa tre mesi, tenuto conto dell'evoluzione dei mercati in questione. Cinque regolamenti di questo tipo sono stati così applicati nel periodo rilevante per la causa principale (dal dicembre 1986 al dicembre 1987) (3).

B –    B - Normativa nazionale

5.        L'art. 4:6 dell'Algemene wet bestuursrecht (legge generale in materia amministrativa) (4) contiene talune disposizioni riguardanti il riesame di una decisione amministrativa. Il n. 1 di tale disposizione precisa che «quando una domanda è stata, in tutto o in parte, oggetto di una decisione di rigetto, una nuova domanda può essere proposta solo se il ricorrente adduce fatti nuovi o un mutamento delle circostanze». Il n. 2 aggiunge che «se non viene invocato alcun fatto nuovo o mutamento delle circostanze, l'organo amministrativo può (...) respingere la domanda riferendosi alla sua decisione precedente di rigetto».

6.        Inoltre, secondo l'art. 8:88, n. 1, di tale legge «il giudice può, a richiesta di parte, pronunciarsi in sede di riesame su una sentenza divenuta definitiva, tenendo conto di fatti o circostanze che:

a) si sono verificati prima della sentenza;

b) non erano noti al ricorrente, e non potevano ragionevolmente esserlo, prima della pronunzia della sentenza e

c) se il giudice ne fosse stato a conoscenza avrebbe pronunciato una sentenza diversa».

II – Fatti e causa principale

7.        Dal dicembre 1986 al dicembre 1987, la società Kühne & Heitz NV (in prosieguo: la «società Kühne & Heitz»), con sede nei Paesi Bassi, ha effettuato diverse dichiarazioni presso le autorità doganali olandesi per beneficiare delle restituzioni all'esportazione riguardanti partite di carne di pollame. Tali merci sono state dichiarate come rientranti nella sottovoce tariffaria 02.02 B II e) 3, applicabile alle «cosce e pezzi di cosce di altri volatili (salvo che di tacchino)», secondo la nomenclatura prevista dai regolamenti nn. 3176/86, 267/87, 1151/87, 2800/87 e 3205/87.

8.        In conformità della designazione tariffaria dei prodotti che compaiono in queste diverse dichiarazioni, il Productschap voor Pluimvee en Eieren (in prosieguo: il «PVV») (5) ha versato alla società Kühne & Heitz le somme che essa aveva richiesto a titolo di restituzioni all'esportazione e successivamente ha liberato la cauzione che quest'ultima aveva costituito per garantire il prefinanziamento di tali somme, vale a dire il loro pagame»nto prima della realizzazione dell'esportazione (la «prima decisione») (6).

9.        Il 1° marzo 1990, in seguito a verifiche sulla natura dei prodotti esportati, il PVV ha ordinato alla società esportatrice di rimborsare la somma di NLG 970 950,98 e di ricostituire la cauzione liberata in precedenza (in prosieguo: la «seconda decisione»). Infatti, un certo numero di dichiarazioni all'esportazione effettuate da tale società avrebbe comportato una designazione tariffaria non corretta dei prodotti in questione, il che avrebbe provocato un errore nella determinazione dell'importo delle restituzioni e il versamento a vantaggio della società di una somma superiore a quella che essa avrebbe avuto il diritto di pretendere. Poiché le cosce di pollo in questione comprendono una parte di dorso, esse avrebbero dovuto essere dichiarate come rientranti nella sottovoce tariffaria 02.02 B II ex g, denominata «altre», che sarebbe applicabile a titolo residuale alle parti di volatile non disossate che non rientrano specificamente in un'altra sottovoce (7).

10.      La società Kühne & Heitz ha presentato reclamo contro tale decisione per opporsi al rimborso di quanto asseritamente percepito in eccesso a titolo delle restituzioni all'esportazione. Con decisione 13 dicembre 1990, il PVV ha dichiarato questo reclamo infondato (la «terza decisione»).

11.      La società esportatrice ha proposto un ricorso di annullamento contro quest'ultima decisione dinanzi al College van Beroep (8). Con sentenza in data 22 novembre 1991, tale ricorso è stato respinto in ragione del fatto che potevano essere classificati nella sottovoce 02.02 B II e) 3, indicata nelle dichiarazioni controverse, solo i prodotti rientranti in senso stretto nella formulazione impiegata in allegato ai regolamenti applicabili, e cioè quelli che si limitano a «cosce o pezzi di cosce», ad esclusione di qualsiasi altro elemento. Le cosce di pollo a cui rimane attaccata una parte di dorso, non soddisfacendo a tali precise condizioni, dovrebbero rientrare nella sottovoce tariffaria residuale 02.02 B II ex g, e non in quella impiegata nelle dichiarazioni controverse.

12.      Su tale punto il College van Beroep ha ritenuto che l'interpretazione delle menzionate sottovoci tariffarie, tenuto conto della loro formulazione, non lasciava spazio ad alcun dubbio legittimo, tale da giustificare la formulazione di una questione pregiudiziale. A tale proposito, ha sottolineato che la situazione in discussione era diversa da quella che aveva esaminato in precedenza nell'ambito di una controversia riguardante l'interpretazione del regolamento (CEE) della Commissione 25 settembre 1981, n. 2787, che fissa le restituzioni all'esportazione nel settore della carne bovina(9). Infatti, il College van Beroep, ritenendo che fosse legittimo interrogarsi sul senso e sulla portata di talune sottovoci tariffarie, con riguardo alla loro formulazione, aveva allora deciso di proporre alla Corte una questione pregiudiziale (10).

13.      Con sentenza 5 ottobre 1994, Voogd Vleesimport en -export (11), la Corte ha stabilito che «una coscia [di pollo] alla quale rimanga attaccato un pezzo di dorso deve (...) essere considerata come coscia, ai sensi delle voci 02.02 B II e) 3 della precedente nomenclatura e 0207 41 51 000 della nuova, se detto pezzo di dorso non è sufficientemente grande da conferire al prodotto il suo carattere essenziale» (12). La Corte ha aggiunto che «[p]er accertare se tale sia il caso in mancanza, a quell'epoca, di norme comunitarie, spetta al giudice nazionale tener conto delle abitudini del commercio nazionale e dei metodi tradizionali di taglio» (13).

14.      Il 13 dicembre 1994 e il 3 gennaio 1995, la società Kühne & Heitz, richiamandosi a tale sentenza pregiudiziale, ha indirizzato al PVV una domanda di pagamento di talune somme corrispondenti in particolare all'importo delle restituzioni all'esportazione, intervenute dal dicembre 1986 al dicembre 1987, di cui le era stato chiesto erroneamente il rimborso, con i relativi interessi legali (in prosieguo: «primo capo di domanda»). Essa ha anche richiesto il versamento di una somma corrispondente all'importo delle restituzioni, intervenute dopo il dicembre 1987, di cui essa avrebbe avuto il diritto di beneficiare nell'ipotesi in cui i pezzi di pollame fossero stati correttamente classificati nella sottovoce tariffaria 02.02 B II e) 3, conformemente all'interpretazione della nomenclatura accolta dalla Corte nella citata sentenza Voogd Vleesimport en -export (in prosieguo: «secondo capo di domanda»).

15.      Il PVV ha respinto integralmente tale domanda con decisione 11 maggio 1995 (la «quarta decisione»). La società esportatrice ha proposto reclamo contro tale decisione dinanzi al PVV, reclamo anch'esso respinto con decisione 21 luglio 1997 (la «quinta decisione»; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

16.      Tale decisione di rigetto si fonda, per quanto riguarda il primo capo della domanda, sulla seguente motivazione. Innanzitutto, le sentenze della Corte avrebbero, in generale, validità solo per il futuro. Esse potrebbero avere efficacia diretta solo nei casi in cui un giudice nazionale non si fosse ancora pronunciato. Inoltre, la questione di sapere se ed in quale misura una decisione del College van Beroep (quale la sentenza 22 novembre 1991) possa ancora essere modificata sarebbe esclusivamente riservata al parere di tale giudice nazionale. Infine, per quanto riguarda il secondo capo della domanda, è indicato che le restituzioni di cui si tratta sono state concesse sulla base delle dichiarazioni proprie della società esportatrice e che le decisioni corrispondenti non sono state oggetto, d'altra parte, di nessun reclamo da parte di quest'ultima.

17.      La società Kühne & Heitz ha proposto un ricorso di annullamento contro tale decisione di rigetto dinanzi al College van Beroep.

18.      Per quanto riguarda il primo capo della domanda, esso sarebbe semplicemente diretto, secondo la società ricorrente, a farla beneficiare di una nuova decisione amministrativa a seguito di un riesame nel merito della situazione in questione, tenuto conto del fatto nuovo o del cambiamento di circostanze costituito dalla citata sentenza Voogd Vleesimport en -export, in conformità del meccanismo previsto all'art. 4:6, n. 1, dell'Algemene wet bestuursrecht. Non si tratterebbe di sollecitare un riesame della decisione giurisdizionale di cui si tratta. In via subordinata, la società ricorrente sostiene che il PVV e il College van Beroep avrebbero commesso, tenuto conto delle citate sentenze Ekro e Voogd Vleesimport en -export, una chiara violazione del diritto comunitario che dà diritto al risarcimento del danno che le è stato causato, risarcimento che deve consistere nella ripetizione dell'importo delle restituzioni che essa avrebbe indebitamente rimborsato. Un diritto al risarcimento è altresì invocato dalla società ricorrente a sostegno del secondo capo della sua domanda per recuperare l'importo supplementare delle restituzioni che avrebbe avuto diritto di pretendere per le esportazioni intervenute dopo il dicembre 1987.

19.      Il PVV si oppone alle richieste della società esportatrice. Per quanto riguarda il primo capo della domanda, afferma che la sentenza del College van Beroep 22 novembre 1991 ha acquistato autorità di cosa giudicata e non potrebbe, in base al diritto olandese, essere oggetto di riesame per effetto di una sentenza della Corte pronunciata successivamente e che, in ogni caso, non si potrebbe parlare di violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario ai sensi della giurisprudenza Brasserie du pêcheur e Factortame (14) e Hedley Lomas (15).

III – La questione pregiudiziale

20.      In considerazione delle tesi esposte dalle parti, il College van Beroep voor het bedrijfsleven ha deciso di sospendere la decisione e di proporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto comunitario, nel quale in particolare si deve prendere in considerazione il principio dell'affidamento comunitario di cui all'art. 10 CE, in circostanze quali quelle descritte nella motivazione della presente ordinanza, comporti che un organo amministrativo sia tenuto a rivedere una decisione che è diventata definitiva, al fine di assicurare la completa efficacia del diritto comunitario, così come quest'ultimo deve essere interpretato in base a quanto risulta dalla soluzione data ad una successiva domanda di pronuncia pregiudiziale».

21.      Tale questione è collegata al primo capo di domanda della società ricorrente. Le circostanze del caso di specie a cui si fa riferimento sono le seguenti (16). In primo luogo, tale società avrebbe esaurito i rimedi giurisdizionali di cui disponeva. In secondo luogo, il College van Beroep avrebbe adottato, nella sua sentenza 22 novembre 1991, un'interpretazione del diritto comunitario che si sarebbe dimostrata contraria a quella data dalla Corte nella citata sentenza Voogd Vleesimport en -export, pronunciata successivamente. In terzo luogo, avrebbe omesso in tale occasione di proporre alla Corte una questione pregiudiziale, ritenendo all'epoca - erroneamente, a suo giudizio - di poterne fare a meno, in considerazione della giurisprudenza della Corte esistente in materia (17). In quarto luogo, la società ricorrente avrebbe effettuato tentativi presso l'amministrazione subito dopo essere venuta a conoscenza della citata sentenza Voogd Vleesimport en -export.

22.      Ne consegue che, con tale questione, il giudice a quo cerca di stabilire se il diritto comunitario imponga il riesame ed eventualmente il ritiro di una decisione amministrativa nazionale da parte dell'organo che l'ha emessa quando tale decisione, divenuta definitiva in seguito all'esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni, si rivela contraria al diritto comunitario, come interpretato dalla Corte in occasione di una sentenza pregiudiziale, pronunciata successivamente.

23.      Dall'ordinanza di rinvio risulta che l'attenzione del College van Beroep è rivolta, in generale, alla questione di stabilire se tale riesame, o addirittura tale ritiro, di una decisione amministrativa, tradizionalmente concepito come una semplice possibilità in diritto olandese, sia suscettibile, in forza del diritto comunitario, di rivestire carattere obbligatorio (18).

24.      A tale proposito, il giudice a quo sottolinea che la decisione impugnata è suscettibile di essere annullata per il solo fatto che è fondata su un'interpretazione erronea del diritto nazionale, dal momento che, contrariamente a quanto lascerebbe supporre tale decisione, nessuna norma di diritto olandese si opporrebbe, in linea di principio, a che un organo amministrativo ritorni su una decisione che ha adottato, anche quando quest'ultima è diventata definitiva in seguito all'esaurimento dei rimedi giurisdizionali esperibili contro di essa e anche quando non esiste né un fatto nuovo né un cambiamento delle circostanze.

25.      Ciò premesso, il giudice a quo giudica che l'annullamento della decisione impugnata avrebbe senso e sarebbe utile solo qualora fosse accertato che il PVV aveva non solo il potere di rivedere la sua precedente decisione, ma anche il dovere di riesaminare se sussistesse il diritto alla restituzione e, in caso affermativo, per quale importo. Nel caso in cui il PVV fosse tenuto, in forza del diritto comunitario, a un simile obbligo di riesame, la decisione impugnata dovrebbe a maggior ragione essere annullata (19).

26.      A tale riguardo, i fatti e la causa principale indicano che la decisione impugnata si fonda sul postulato secondo cui le sentenze pregiudiziali potrebbero avere direttamente effetto solo nei casi in cui un giudice nazionale non avesse già (definitivamente) deciso. Infatti, il rispetto del principio dell'autorità di cosa giudicata osterebbe a che un'amministrazione nazionale accogliesse una nuova domanda volta a rimettere in discussione una decisione amministrativa anteriore divenuta definitiva in seguito al rigetto del ricorso giurisdizionale proposto contro la medesima.

27.      E' sulla base di tale postulato che occorre comprendere il riferimento, nella decisione impugnata, alla questione se, e in quale misura, la sentenza del College van Beroep 22 novembre 1991 è, secondo il diritto interno, ancora suscettibile di riesame. Il PVV affronta questo punto nell'ambito della causa principale, affermando che il ricorso straordinario di revocazione sarebbe escluso in quanto richiederebbe, in applicazione dell'art. 8:88 dell'Algemene wet bestuursrecht, la scoperta di un fatto che si è verificato prima della pronuncia della sentenza del College van Beroep, mentre la citata sentenza Voogd Vleesimport en -export, è stata pronunciata dalla Corte successivamente a tale data (20). Secondo il PVV, ne deriverebbe che la sentenza del College van Beroep «è passata in giudicato» e non potrebbe pertanto essere rimessa in discussione(21). In tali circostanze, non vi sarebbe alcun motivo di accogliere la nuova domanda della società esportatrice, anche se i pezzi di pollo in questione dovrebbero ormai essere classificati in modo diverso (22), conformemente alla citata sentenza Voogd Vleesimport en -export.

28.      Di conseguenza, ritengo che occorra intendere la questione pregiudiziale nel senso che essa è diretta a stabilire, in sostanza, se il diritto comunitario, in particolare l'art. 10 CE, osti a che un'amministrazione nazionale rifiuti di accogliere una domanda di pagamento fondata sul diritto comunitario per il fatto che tale domanda è volta a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente divenuta definitiva in seguito al rigetto del ricorso di annullamento che la riguarda con una decisione dotata dell'autorità di cosa definitivamente giudicata, quando tale decisione definitiva è fondata su un'interpretazione del diritto comunitario che è stata invalidata da una sentenza pregiudiziale pronunciata successivamente.

29.      Infine, per dissipare qualsiasi ambiguità sul senso e sulla portata della questione pregiudiziale, occorre ricordare che essa non riguarda l'eventuale responsabilità dello Stato membro interessato per un'asserita violazione del diritto comunitario. Quest'ultima è un'altra questione che non è stata sollevata dal giudice a quo. Del resto, come il governo olandese ha sottolineato all'udienza, il College van Beroep sarebbe incompetente a pronunziarsi su questo punto, poiché un contenzioso di tale natura sulla responsabilità rientra nella competenza esclusiva dei giudici civili.

IV – Osservazioni delle parti

30.      La società Kühne & Heitz sostiene che la seconda decisione (che ordina il rimborso delle restituzioni in questione), la quale non è stata censurata dal College, ha ignorato la giurisprudenza della Corte allora esistente (in particolare la citata sentenza Ekro) e successivamente confermata dalla citata sentenza Voogd Vleesimport en -export. In via principale, essa fa valere che il PVV sarebbe tenuto a riesaminare la seconda decisione in parola, in quanto si tratterebbe dell'unico rimedio giurisdizionale disponibile (dopo l'esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni) o almeno del più efficace per ristabilire il diritto comunitario nella sua pienezza (meno lunga e meno costosa dell'avvio di un procedimento di risarcimento del danno riguardante la responsabilità dello Stato olandese). In via subordinata, la società esportatrice sostiene che la responsabilità dello Stato membro interessato sarebbe chiamata in causa, trattandosi di una violazione caratterizzata del diritto comunitario dovuta principalmente all'operato del giudice (il College van Beroep) e accessoriamente a quello dell'amministrazione (il PVV).

31.      Il PVV afferma che l'introduzione di un obbligo di riesame delle decisioni amministrative, in particolare nelle circostanze del caso di specie, comporterebbe una situazione inaccettabile per gli organi amministrativi rispetto ai principi di certezza del diritto e di autorità di cosa giudicata. Del resto, il risultato di un eventuale riesame sarebbe nella fattispecie ampiamente teorico, giacché non sarebbe più possibile trarre pienamente le conseguenze della citata sentenza Voogd Vleesimport en -export, in mancanza di informazioni attuali sulla grandezza dei pezzi di dorso di cui si tratta.

32.      Il governo olandese, come il PVV, si oppone all'istituzione a carico degli Stati membri di un obbligo generale di riesame delle decisioni amministrative. Facendo riferimento ai principi dell'autonomia processuale e di certezza del diritto, fa valere che il carattere in linea di massima definitivo delle sentenze che hanno acquistato autorità di cosa giudicata e delle decisioni amministrative non contestate o non annullate, come segnatamente previsto in diritto olandese, è conforme ai principi di equivalenza e di effettività stabiliti dalla Corte. Inoltre, le circostanze del caso di specie non potrebbero giustificare una deroga al principio dell'intangibilità delle decisioni in questione.

33.      Secondo il governo francese, il principio della certezza del diritto e quello del rispetto dell'autorità della cosa definitivamente giudicata che ne costituisce l'espressione deve necessariamente prevalere sul principio di legalità. Tale conclusione si imporrebbe anche nelle ipotesi in cui l'atto amministrativo in discussione non fosse stato oggetto di un ricorso giurisdizionale o fosse stato oggetto di un ricorso respinto in quanto proposto fuori dai termini. Inoltre, l'istituzione in diritto comunitario di un obbligo di riesame di una decisione amministrativa definitiva equivarrebbe a rimettere in discussione il principio dell'autonomia processuale. Di conseguenza, si dovrebbe rispondere negativamente alla presente questione pregiudiziale, salvo il rispetto del principio di equivalenza a cui gli Stati membri sono soggetti nell'ambito dell'autonomia processuale.

34.      Come i governi olandese e francese, la Commissione delle Comunità europee ritiene che si imponga una risposta negativa, sia sulla base del principio di certezza del diritto, sia su quella dell'autonomia processuale, pur esprimendo una leggera preferenza in favore della prima tesi.

35.      Per quanto riguarda l'autorità di vigilanza AELS (Associazione europea di libero scambio), essa si pronuncia a favore di una risposta negativa, sulla base del principio dell'autonomia processuale.

V –    Analisi

36.      Alla stregua delle sentenze che dichiarano in via pregiudiziale l'invalidità di un atto comunitario (23), le sentenze pregiudiziali interpretative presentano, in linea di principio, un effetto retroattivo.

37.      Infatti, secondo una giurisprudenza costante, «l'interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla Corte nell'esercizio della competenza ad essa attribuita dall'art. 177 del Trattato [divenuto art. 234 CE], chiarisce e precisa (...) il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore»(24).

38.      Se una sentenza pregiudiziale ha valore puramente dichiarativo, e non costitutivo, i suoi effetti «risalgono [in linea di principio] alla data di entrata in vigore della norma interpretata» (25). In forza della giurisprudenza costante in parola, «[n]e risulta che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa se, per il resto, sono soddisfatte le condizioni che permettono di portare alla cognizione dei giudici competenti una controversia relativa all'applicazione di detta norma» (26).

39.      Un tale principio permette di evitare che il diritto comunitario subisca delle distorsioni di applicazione nel tempo, a danno della sua applicazione uniforme e della sua piena efficacia. Esso rientra necessariamente nell'ambito dell'obiettivo perseguito dal rinvio pregiudiziale che consiste nell'assicurare, grazie ad un meccanismo di cooperazione giurisdizionale, un'applicazione uniforme del diritto comunitario da parte di tutti gli Stati membri (27).

40.      E' solo a titolo eccezionale, in occasione della sentenza 8 aprile 1976, che, per la prima volta, la Corte si è riservata la possibilità (andando oltre il disposto dell'art. 234 CE) (28) di limitare il carattere retroattivo delle sue sentenze pregiudiziali interpretative, in relazione a esigenze imperative di certezza del diritto riguardanti l'insieme degli interessi in gioco, sia pubblici che privati (29).

41.      Come sottolineato successivamente dalle citate sentenze Roders e a., e Bautiaa, nonché Société française maritime, «la Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise» (30). In tali sentenze viene precisato che tale caso si è verificato «quando vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche[,] dovute in particolare all'elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base di [una] normativa ritenuta validamente vigente, e quando risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza relativa alla portata delle disposizioni comunitarie, incertezza cui avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione»(31). Solo in simili circostanze la Corte può essere indotta a «limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede» (32).

42.      Secondo una giurisprudenza costante, «[s]iffatta limitazione può (...) essere ammessa soltanto nella sentenza stessa relativa all'interpretazione richiesta» (33). Infatti, «[l]'esigenza fondamentale dell'applicazione uniforme e generale del diritto comunitario implica la competenza esclusiva della Corte di giustizia a decidere sui limiti temporali da apporre all'interpretazione da essa data» (34).

43.      Nella sentenza in esame, occorre constatare che la Corte non ha limitato la portata nel tempo della citata sentenza Voogd Vleesimport en -export. Ne consegue che tale sentenza è necessariamente dotata di effetto retroattivo, per cui può applicarsi ai rapporti giuridici nati e costituiti prima della sua pronuncia, in particolare ai rapporti giuridici stabiliti tra la società Kühne & Heitz e il PVV a proposito delle esportazioni indicate nelle dichiarazioni controverse (emesse dal dicembre 1986 al dicembre 1987).

44.      A mio parere, il PVV avrebbe dovuto trarre da tale sentenza le inevitabili conseguenze. Non avrebbe dovuto rifiutare di accogliere la domanda della società ricorrente, fondata sull'interpretazione delle regole rilevanti che la Corte ha dato in tale occasione, per il solo fatto che il principio del rispetto dell'autorità di cosa giudicata vi si opporrebbe, in quanto tale domanda tenderebbe a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente divenuta definitiva in seguito al rigetto del ricorso di annullamento che la riguarda con una decisione giurisdizionale dotata della detta autorità di cosa giudicata(35).

45.      Infatti, occorre ricordare che la Corte ha affermato con decisione che «è (...) incompatibile con le esigenze inerenti alla natura (...) del diritto comunitario qualsiasi disposizione facente parte dell'ordinamento giuridico di uno Stato membro o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto, il potere di fare, all'atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme comunitarie» (36).

46.      Tale affermazione vigorosa è fondata sui principi di diretta applicabilità (37) e del primato del diritto comunitario (38).

47.      Essa è altresì fondata sul talune disposizioni del Trattato, in particolare sull'art. 10 CE. Nella citata sentenza Factortame e a., la Corte ha ricordato che «è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall'art. 5 del Trattato CEE [divenuto art. 10 CE], garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta» (39). Tale riferimento alle disposizioni dell'art. 10 CE si ritrova, del resto, nella sentenza 19 novembre 1991, Francovich e a. (40), per fondare l'obbligo degli Stati membri di risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili. A tale proposito, la Corte ha ricordato che, in forza dell'art. 10 CE, questi ultimi «sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario » (41). Essa ha precisato che «tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario» (42).

48.      Come è noto le citate sentenze, Simmenthal e Factortame e a., riguardavano i rapporti tra il giudice nazionale e il diritto interno. E' interessante osservare che le norme nazionali messe in discussione in queste due cause erano tutt'altro che secondarie; una riguardava un valore costituzionale, l'altra era profondamente radicata nel sistema giuridico nazionale di cui si trattava.

49.      Nella citata sentenza Simmenthal era in discussione una norma italiana in forza della quale, in caso di contrasto tra una legge nazionale e una disposizione di diritto comunitario, la soluzione di tale contrasto era riservata alla Corte costituzionale (Italia), con esclusione del giudice nazionale, il cui ruolo era limitato a sollevare la questione dell'incostituzionalità di tale legge.

50.      Occorre ricordare che tale contrasto tra una legge nazionale e il diritto comunitario era stato messo in evidenza da una sentenza pregiudiziale precedente, in risposta ad una questione sollevata dallo stesso giudice a quo nell'ambito di un'azione di ripetizione dell'indebito. A tale proposito, la Corte ha sottolineato che l'effetto utile delle disposizioni dell'art. 234 CE in materia di rinvio pregiudiziale «verrebbe ridotto, se il giudice non potesse applicare, immediatamente, il diritto comunitario in modo conforme ad una pronunzia o alla giurisprudenza della Corte» (43).

51.      Sulla base dei principi di applicabilità diretta e del primato del diritto comunitario, nonché delle disposizioni degli artt. 10 CE e 234 CE, la Corte ha dichiarato che «il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» (44).

52.      Nella citata sentenza Factortame e a., era in discussione una norma tradizionale di «common law», in forza della quale i giudici britannici non avevano il potere di disporre misure cautelari volte a sospendere l'applicazione delle leggi, anche nel caso in cui la conformità di tali leggi al diritto comunitario poteva ragionevolmente essere messa in dubbio e, di conseguenza, aveva determinato un rinvio pregiudiziale interpretativo.

53.      In linea di continuità con la citata sentenza Simmenthal, la Corte ha sottolineato che l'effetto utile del sistema instaurato dall'art. 234 CE «sarebbe ridotto se il giudice nazionale che sospende il procedimento in attesa della pronuncia della Corte sulla sua questione pregiudiziale non potesse concedere provvedimenti provvisori fino al momento in cui si pronuncia in esito alla soluzione fornita dalla Corte» (45) . Analogamente, essa ha giudicato che «il giudice nazionale chiamato a dirimere una controversia vertente sul diritto comunitario, qualora ritenga che una norma di diritto nazionale sia l'unico ostacolo che gli impedisce di pronunciare provvedimenti provvisori, deve disapplicare detta norma» (46).

54.      Tale obbligo, consistente nell'accantonare ogni norma interna che costituisca un ostacolo alla piena efficacia del diritto comunitario, non grava solo sul giudice nazionale; esso riguarda anche l'amministrazione.

55.      Infatti, ancor prima della citata sentenza Simmenthal, la Corte ha dichiarato, nella sentenza 13 luglio 1972, Commissione/Italia (47) , che l'effetto del diritto comunitario, come era stato rilevato da una precedente sentenza di inadempimento «implicava per le autorità nazionali competenti il divieto di applicare una disposizione nazionale dichiarata incompatibile col Trattato e, se del caso, l'obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto comunitario» (48).

56.      In tale causa, veniva rimproverato all'amministrazione italiana di continuare a percepire un'imposta nazionale prevista da disposizioni legislative quando la Corte aveva già avuto occasione di dichiarare tale imposta illegittima nell'ambito di una precedente sentenza di inadempimento.

57.      Occorre ricordare che la Corte ha sottolineato che la tesi secondo la quale si può mettere fine ad una violazione di una norma comunitaria direttamente applicabile solo con l'adozione di misure costituzionalmente idonee ad abrogare la disposizione legislativa che istituisce l'imposta controversa «significherebbe affermare che l'efficacia della norma comunitaria è subordinata al diritto di ciascuno Stato membro e, più precisamente, che la sua applicazione è impossibile fin tanto che una legge nazionale vi si oppone» (49). Essa ha aggiunto che «il conseguimento degli scopi della Comunità esige che le norme del diritto comunitario (...) si applichino incondizionatamente, nello stesso momento e con identica efficacia nell'intero territorio della Comunità, senza che gli Stati membri possano opporvisi in qualsivoglia modo» (50). Nello stesso senso, ha indicato che «l'attribuzione alla Comunità, effettuata dagli Stati membri, dei diritti e poteri contemplati dalle disposizioni del Trattato implica (...) una limitazione definitiva dei loro poteri sovrani, sulla quale non può prevalere il richiamo a disposizioni di diritto interno di qualsivoglia natura» (51).

58.      Da tale giurisprudenza risulta che l'amministrazione è tenuta a disapplicare qualsiasi norma nazionale, anche di natura costituzionale, quando essa costituisce un ostacolo all'effettiva applicazione del diritto comunitario. La Corte ha avuto modo di ribadire in più occasioni tale obbligo dell'amministrazione e di porlo a confronto con quello che incombe al giudice nazionale(52).

59.      A tale proposito, merita particolare attenzione la citata sentenza Larsy, in quanto affronta la questione dell'applicazione da parte dell'autorità nazionale della regola dell'autorità di cosa giudicato. Tale questione è molto simile a quella qui in esame.

60.      Benché la descrizione dei fatti e della causa principale sia piuttosto lunga , è utile riferirsi ad esse per cogliere con precisione il senso e la portata della risposta della Corte su tale punto.

61.      Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia che opponeva un singolo a un'autorità belga di previdenza sociale in merito alla determinazione dei suoi diritti a una pensione di vecchiaia. Dopo aver attribuito all'interessato una pensione completa, l'autorità amministrativa ha ridotto i suoi diritti, poiché egli aveva già beneficiato di una pensione di vecchiaia concessa dalle autorità francesi. Egli ha proposto ricorso contro questa decisione amministrativa davanti al Tribunale del lavoro di Tournai (Belgio). Tale ricorso giurisdizionale è stato respinto. Tale sentenza non era definitiva, in quanto non era stata notificata.

62.      Poco tempo dopo, lo stesso giudice è stato investito di un ricorso simile dal fratello dell'interessato che si trovava in una situazione analoga. Tale giudice ha deciso di proporre alla Corte una serie di questioni pregiudiziali relative al divieto di cumulo delle prestazioni e alla loro liquidazione dalle autorità competenti degli Stati membri. In conformità della sentenza resa dalla Corte in tale occasione, il giudice a quo ha accolto il ricorso del fratello dell'interessato.

63.      Avvalendosi di tale sentenza pregiudiziale, l'interessato ha chiesto all'amministrazione competente di regolarizzare la sua situazione. Quest'ultima ha in parte accolto le sue richieste procedendo alla revisione dei suoi diritti (nel senso di una pensione completa), ma in modo parzialmente e non integralmente retroattivo (in applicazione di talune disposizioni di un regolamento comunitario in materia di previdenza sociale che non erano applicabili). L'interessato ha impugnato la sentenza dinanzi al Tribunal du travail de Tournai e ha messo in discussione la responsabilità dello Stato belga per l'asserita violazione del diritto comunitario da parte dell'amministrazione, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito.

64.      In tale contesto l'amministrazione in parola ha sostenuto che l'asserita violazione del diritto comunitario era giustificata dal fatto che una norma nazionale collegata al rispetto dell'autorità di cosa giudicata gli vietava di modificare, con effetto retroattivo, la decisione amministrativa controversa.

65.      A tale proposito, la Corte ha rilevato che la pertinenza di tale argomento era inficiata dal fatto che l'amministrazione interessata ha proceduto al riesame parzialmente retroattivo della sua decisione (53). Così stando le cose, la Corte non si è limitata ad una simile constatazione. Infatti, essa ha avuto cura di indicare che, «laddove [le] disposizioni processuali nazionali [riguardanti il rispetto dell'autorità di cosa giudicata] ostavano alla salvaguardia effettiva dei diritti che il sig. Larsy [l'interessato] traeva dall'effetto diretto del diritto comunitario, l'Inasti [l'amministrazione coinvolta] avrebbe dovuto disapplicarle» (54). La Corte ha fondato tale affermazione sul principio del primato del diritto comunitario. Essa l'ha inserita in linea di continuità con la giurisprudenza costante citata, relativa al compito del giudice nazionale e dell'amministrazione, resa in applicazione di questo stesso principio (55).

66.      A mio parere, la risposta data dalla Corte nella citata sentenza Larsy può essere integralmente trasposta alla situazione della causa principale, anche se la decisione giurisdizionale nazionale a cui si richiamava l'organo amministrativo coinvolto (nella citata causa Larsy) non era definitiva quando quest'ultimo ha adottato la decisione controversa, per cui essa era semplicemente dotata dell'autorità di cosa giudicata, e non della forza di cosa giudicata o dell'autorità della cosa definitivamente giudicata come avviene nella causa in discussione. Ritengo che tale differenza riguardante la portata di una decisione giurisdizionale non sia determinante. Il principio del primato del diritto comunitario si impone con la stessa forza all'amministrazione, sia in presenza di una decisione dotata dell'autorità di cosa giudicata o di una decisione dotata dell'autorità di cosa definitivamente giudicata (56). Tale principio del primato osta a che un'amministrazione nazionale rifiuti di accogliere una domanda di un singolo fondata sul diritto comunitario per il fatto che tale domanda sarebbe volta a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente che non sarebbe stata censurata da una decisione giurisdizionale, a prescindere dal fatto che essa sia dotata dell'autorità di cosa giudicata o dell'autorità di cosa definitivamente giudicata.

67.      Tale conclusione si impone altresì rispetto al principio dell'applicabilità diretta e delle disposizioni dell'art. 10 CE, in linea di continuità con le citate sentenze Simmenthal e Factortame e a., e parallelamente alla citata sentenza Francovich e a

68.      A mio giudizio, tale analisi non è diretta a rimettere in discussione il principio dell'autonomia processuale come enunciato e applicato a tutt'oggi dalla Corte.

69.      A tale proposito, si deve ricordare che tale principio è stato enunciato a proposito della fissazione di termini di ricorso, a pena di preclusione o decadenza, in particolare in materia di restituzione dell'indebito (57). La Corte l'ha altresì applicata, in particolare, per quanto riguarda talune condizioni di sussistenza della responsabilità dello Stato in caso di violazione del diritto comunitario (58) o a proposito del ruolo del giudice nazionale nel rilevare d'ufficio i motivi vertenti sul diritto comunitario (59).

70.      Deduco da tale giurisprudenza che il principio dell'autonomia processuale è idoneo a entrare in gioco nel contesto dell'esercizio giudiziale di un diritto fondato sul diritto comunitario e non in quello riguardante l'esistenza stessa del diritto. Del resto, occorre tener presente che estendere la portata del principio dell'autonomia processuale al di là dell'ambito attuale equivarrebbe a subordinare l'esistenza dei diritti derivanti dal diritto comunitario allo stato delle disposizioni interne dei diversi Stati membri. Tale situazione sarebbe difficilmente compatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto comunitario, riguardanti in particolare i principi di prevalenza e di applicazione uniforme. A tale proposito, si deve constatare che la Corte non ha adottato questo orientamento per affermare l'esistenza del diritto al risarcimento dei singoli che trova il suo fondamento direttamente nel diritto comunitario.

71.      Tenuto conto di tali considerazioni, ritengo che il principio di autonomia processuale non sia idoneo a entrare in gioco nell'ambito dell'eventuale riconoscimento a vantaggio dei singoli di un diritto come quello consistente nell'ottenere l'esame nel merito da parte dell'amministrazione di una domanda di pagamento fondata sul diritto comunitario, come interpretato da una sentenza pregiudiziale, anche quando tale domanda tende a rimettere in discussione una decisione amministrativa divenuta definitiva

72.      Al contrario, si deve ricordare che, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte in materia di autonomia processuale, gli Stati membri possono esigere, in nome del principio di certezza del diritto, che una domanda di pagamento fondata sul diritto comunitario, come quella di cui alla causa principale, sia presentata (dinanzi all'amministrazione competente) entro termini ragionevoli (60)(60).

73.      Da tali sviluppi risulta che la mia analisi non intende affatto rimettere in discussione il principio dell'autonomia processuale.

74.      Inoltre, sottolineo che questa stessa analisi non è diretta ad imporre agli organi amministrativi di ritirare i loro atti o agli organi giurisdizionali di riesaminare le loro decisioni dotate dell'autorità di cosa definitivamente giudicata quando tali decisioni sono fondate su un'interpretazione del diritto comunitario che è stata respinta da una sentenza pregiudiziale pronunziata successivamente. Ritengo esclusivamente che il diritto comunitario osti a che un'amministrazione nazionale rifiuti di accogliere una domanda fondata sul diritto comunitario, come interpretata dalla Corte in una sentenza pregiudiziale, per la sola ragione che tener conto di una simile domanda sarebbe contrario a una norma nazionale che riguarda il rispetto dell'autorità di cosa definitivamente giudicata. Il fatto che l'amministrazione prenda in considerazione tale domanda non implica necessariamente il ritiro della decisione amministrativa anteriore o il riesame del provvedimento giudiziario di cui si tratta. Così stando le cose, è compito degli Stati membri, se lo ritengono necessario, prevedere disposizioni in tal senso.

75.      Di conseguenza, si deve rispondere alla presente questione pregiudiziale che i principi di applicabilità diretta e del primato del diritto comunitario, nonché le disposizioni dell'art. 10 CE, ostano a che un'amministrazione nazionale rifiuti di accogliere una domanda di pagamento di un singolo fondata sul diritto comunitario, per il fatto che tale domanda è volta a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente divenuta definitiva in seguito al rigetto del ricorso di annullamento che la riguarda con una decisione dotata dell'autorità di cosa definitivamente giudicata, quando tale decisione definitiva è fondata su un'interpretazione del diritto comunitario che è stata invalidata da una sentenza pregiudiziale pronunciata successivamente.

VI – Conclusione

76.      Sulla base di tali considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale proposta dal College van Beroep voor het bedrijfsleven nel modo seguente:

«I principi dell'applicabilità diretta e del primato del diritto comunitario, nonché le disposizioni dell'art. 10 CE ostano a che un'amministrazione nazionale rifiuti di accogliere una domanda di pagamento di un singolo fondata sul diritto comunitario, per il fatto che tale domanda è volta a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente divenuta definitiva in seguito al rigetto di un ricorso di annullamento che la riguarda con una decisione dotata dell'autorità di cosa definitivamente giudicata, quando tale decisione definitiva è fondata su un'interpretazione del diritto comunitario che è stata invalidata da una sentenza pregiudiziale pronunciata successivamente».


1 – Lingua originale: il francese


2 – GU L 282, pag. 77.


3 – Regolamenti (CEE) della Commissione 17 ottobre 1986, n. 3176 (GU L 295, pag. 14); 28 gennaio 1987, n. 267 (GU L 26, pag. 33); 27 aprile 1987, n. 1151 (GU L 111, pag. 21); 18 settembre 1987, n. 2800 (GU L 268, pag. 47), e 27 ottobre 1987, n. 3205 (GU L 306, pag. 7), che fissano le restituzioni all'esportazione nel settore della carne di pollame.


4 – Legge 4 giugno 1992 (Stbl. 1992, pag. 315), modificata in più occasioni, segnatamente il 12 dicembre 2001 (Stbl. 2001, pag. 664).


5 – Tale istituzione comprende le associazioni di categoria degli allevatori di bestiame, dei produttori di carne e uova, che hanno la finalità di tutelare gli interessi delle persone che esercitano un'attività in tali settori.


6 – Per facilitare la lettura e la comprensione dei fatti e della causa principale, metterò in evidenza la cronologia delle diverse decisioni amministrative di cui si discute nel presente procedimento.


7 – Dai regolamenti nn. 3176/86, 267/87, 1151/87, 2800/87 e 3205/87, applicabili durante il periodo rilevante per i fatti della causa principale, risulta che l'importo delle restituzioni corrispondenti alla sottovoce doganale 02.02 B II ex g, è circa due o tre volte meno elevato di quello che corrisponde alla sottovoce doganale 02.02 B II e) 3, indicato nelle dichiarazioni impugnate.


8 – Tale giudice, denominato «collegio d'appello per questioni economiche», è l'unico giudice competente per le questioni di legittimità riguardanti le decisioni delle associazioni di categoria come il PVV. Pur non essendo superiore ad alcun altro giudice in tale settore, esso svolge il ruolo di giudice supremo in quanto le sue decisioni non sono suscettibili di ricorso giurisdizionale.


9 – GU L 271, pag. 44.


10 – La Corte ha risposto a tale questione pregiudiziale con sentenza 18 gennaio 1984, causa 327/82, Ekro (Racc. pag. 107).


11 – Causa C-151/93, Racc. pag. I-4915. Tale sentenza è stata pronunciata in risposta a una questione pregiudiziale posta da un giudice olandese d'appello in materia penale, a seguito di una condanna in primo grado di una società per aver fatto figurare all'atto dell'esportazione di carne di pollame verso paesi terzi, su taluni moduli d'esportazione, voci doganali ritenute inesatte al fine di ottenere delle restituzioni.


12 – Punto 20. La precedente nomenclatura a cui si fa riferimento è quella che compare in allegato ai regolamenti nn. 267/87, 1151/87 e 2800/87 (anch'essi applicabili nella causa principale).


13 – Punto 21


14 – Sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93 (Racc. pag. I-1029).


15 – Sentenza 23 maggio 1996, causa C-5/94 (Racc. pag. I-2553).


16 – V. il punto 6.4, secondo capoverso, dell'ordinanza di rinvio.


17 – V., in particolare, la citata sentenza Ekro.


18 – V. il punto 6.4, terzo capoverso, dell'ordinanza di rinvio.


19 – V. punto 6.4, secondo e terzo capoverso, dell'ordinanza di rinvio.


20 – V. punto 5, terzo capoverso, dell'ordinanza di rinvio.


21 – Idem.


22 – Idem.


23 – V. sentenza 26 aprile 1994, causa C-228/92, Roquette Frères (Racc. pag. I-1445, punto 17).


24 – Tale principio è stato stabilito dalle sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana (Racc. pag. 1205, punto 16), e cause riunite 66/79, 127/79 e 128/79, Salumi e a. (Racc. pag. 1237, punto 9) ed è stato riaffermato in più occasioni, in particolare, dalle sentenze 10 luglio 1980, causa 811/79, Ariete (Racc. pag. 2545, punto 6); causa 826/79, Mireco (Racc. pag. 2559, punto 7); 2 febbraio 1988, causa 309/85, Barra e a. (Racc. pag. 355, punto 11); causa 24/86, Blaizot e a. (Racc. pag. 379, punto 27); 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz (Racc. pag. I-1883, punto 39); 11 agosto 1995, cause riunite da C-367/93 a C-377/93, Roders e a. (Racc. pag. I-2229, punto 42); 19 ottobre 1995, causa C-137/94, Richardson (Racc. pag. I-3407, punto 31); 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punto 141); 13 febbraio 1996, cause riunite C-197/94 e C-252/94, Bautiaa e Société française maritime (Racc. pag. I-505, punto 47); 2 dicembre 1997, causa C-188/95, Fantask e a. (Racc. pag. I-6783, punto 36); 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I-4951, punto 15); 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül (Racc. pag. I-2685, punto 107); 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I-6193, punto 50), e 3 ottobre 2002, causa C-347/00, Barreira Pérez (Racc. pag. I-8191, punto 44).


25 – V., in particolare, la citata sentenza Richardson (punto 33).


26 – V. la giurisprudenza citata alla nota 24.


27 – V., in particolare, sentenze 16 gennaio 1974, causa 166/73, Rheinmühlen (Racc. pag. 33, punto 2), e 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a. (Racc. pag. 3415, punto 7). Questa esigenza di uniformità nell'applicazione del diritto comunitario è particolarmente imperativa quando sia in discussione la validità di un atto comunitario e non la sua semplice interpretazione. V., in tal senso, sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost (Racc. pag. 4199, punto 15).


28 – L'art. 231 CE prevede che, nell'ambito di un ricorso di annullamento di un atto comunitario, la Corte, ove lo reputi necessario, può indicare gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati come definitivi. Disposizioni simili non sono previste dal Trattato per quanto riguarda le sentenze pregiudiziali, di annullamento o interpretative.


29 – Causa 43/75 (Racc. pag. 455, punti 69-75).


30 – Sentenze cit., Roders e a. (punto 43), nonché Bautiaa e Société française maritime (punto 48).


31 – Idem.


32 – Dopo la citata sentenza, Defrenne, i casi in cui la Corte è stata indotta a far ricorso a una simile limitazione sono rimasti circoscritti. V., in tal senso, le sentenze 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889); 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a. (Racc. pag. I-4625); 7 novembre 1996, causa C-126/94, Cadi Surgelés e a. (Racc. pag. I-5647); 9 marzo 2000, causa C-437/97, EKW e Wein & Co (Racc. pag. I-1157), nonché le citate sentenze Blaizot e a., Bosman e Sürül. In tali casi la Corte di solito ha cura di non escludere l'effetto retroattivo delle sue sentenze pregiudiziali nei confronti sia delle parti della causa principale sia delle persone che, prima della data di pronuncia di tali sentenze, hanno intentato un'azione giudiziaria o introdotto un reclamo equivalente.


33 – V., in particolare, le citate sentenze, Denkavit italiana (punto 18); Ariete (punto 8); Mireco (punto 9); Blaizot e a. (punto 28); Legros e a. (Punto 30); Bosman (punto 142), e EKW e Wein & Co (Punto 57).


34 – Idem.


35 – Per maggiore precisione, si dovrebbe parlare dell'autorità di cosa - definitivamente - giudicata, invece che dell'autorità di cosa giudicata. Infatti, le decisioni del College van Beroep possono costituire oggetto di ricorso (salvo eventuali ricorsi straordinari per revocazione). Per quanto riguarda la distinzione tra queste due nozioni, vedi il paragrafo 96 delle mie conclusioni, presentate l'8 aprile 2003, nella causa Köbler (causa C-224/01), pendente dinanzi alla Corte.


36 – V. sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629, punto 22), e 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame e a. (Racc. pag. I-2433, punto 20).


37 – V. sentenze cit., Simmenthal (punti 14-16) e Factortame e a.(punto 18).


38 – V. sentenze cit., Simmenthal (punti 17 e 18) e Factortame e a. (punto 18).


39 – Punto 19.


40 – Cause C-6/90 e C-9/90 (Racc. pag. I-5357).


41 – V. sentenza Francovich e a., cit., (punto 36).


42 – Idem.


43 – V. sentenza Simmenthal, cit., (punto 20).


44 – Ibidem, punto 24.


45 – V. sentenza Factortame e a., cit. (punto 22).


46 – Ibidem, punto 23.


47 – Causa 48/71 (Racc. pag. 529).


48 – V. sentenza Commissione/Italia, cit. (punto 7).


49 – Ibidem, punto 6.


50 – Ibidem, punto 8.


51 – Ibidem, punto 9.


52 – V., segnatamente, sentenze 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo (Racc. pag. 1839, punto 33); 19 gennaio 1993, causa C-101/91, Commissione/Italia (Racc. pag. I-191, punto 24), e 28 giugno 2001, causa C-118/00, Larsy (Racc. pag. I-5063, punto 52).


53 – V. sentenza Larsy, cit., (punto 54).


54 – Ibidem, punto 53


55 – Ibidem, punti 51 e 52.


56 – Nelle mie conclusioni nella causa Köbler, cit., (punto 106), ho già avuto modo di indicare che, in forza del principio del primato del diritto comunitario, una norma nazionale come quella del rispetto dell'autorità della cosa definitivamente giudicata non può essere opposta a un singolo per impedire un'azione di risarcimento fondata sul diritto comunitario per la violazione di quest'ultimo da parte di un giudice supremo.


57 – V., in particolare, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989, punto 6) e causa 45/76, Comet (Racc. pag. 2043, punto 19), nonché le citate sentenze Fantask e a. (punto 52) e Edis (punto 26).


58 – V. sentenze citate, Francovich e a. (punti 42 e 43), nonché Brasserie du pêcheur e Factortame (punto 67).


59 – V. sentenze 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck (Racc. pag. I-4599, punti 12 e ss.), nonché cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel e Van Veen (Racc. pag. I-4705, punti 17 e ss.).


60 – Per quanto riguarda i termini per i ricorsi giurisdizionali, v. le sentenze citate, Rewe (punti 5 e 7); Comet (punti 17 e 18); Denkavit italiana (punto 23); Fantask e a. (punto 48), e Edis (punto 20), nonché le sentenze 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani (Racc. pag. I-4025, punto 28); 17 luglio 1997, causa C-90/94, Haahr Petroleum (Racc. pag. I-4085, punto 48), e la sentenza Roquette Frères, cit. (punti 22 e 36).