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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L.A. GEELHOED
presentate il 24 ottobre 2002(1)


Causa C-17/01



Finanzamt Sulingen
contro
Walter Sudholtz


(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof)

«Validità degli artt. 2 e 3 della decisione del Consiglio 28 febbraio 2000, 2000/186/CE, che autorizza la Repubblica federale di Germania ad applicare misure di deroga agli articoli 6 e 17 della sesta direttiva 77/388/CEE in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme – Limitazione al 50% del diritto a deduzione dell'IVA per i veicoli non utilizzati esclusivamente a fini professionali – Autorizzazione con efficacia retroattiva di una misura fiscale nazionale»






I – Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof (Corte tributaria federale) riguarda la validità degli artt. 2 e 3 della decisione del Consiglio 28 febbraio 2000, 2000/186/CE  (2) (in prosieguo: la «decisione 2000/186»), che autorizza la Repubblica federale di Germania ad applicare misure di deroga agli artt. 6 e 17 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1997, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme  (3) (in prosieguo: la «sesta direttiva»). Il giudice nazionale desidera sapere se la decisione 2000/186 sia compatibile con la sesta direttiva e con i principi generali del diritto comunitario.

II – Contesto giuridico

A – Il diritto comunitario

2.        L’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva 77/388 recita:

«Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore:

a)l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo».

3.        L’art. 27 della sesta direttiva dispone quanto segue:

«1.     Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a mantenere o introdurre misure particolari di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali. Le misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta non devono influire, se non in misura trascurabile, sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale.

2.       Lo Stato membro che desidera introdurre misure di cui al paragrafo 1 ne riferisce alla Commissione fornendole tutti i dati atti alla valutazione.

3.       La Commissione ne informa gli altri Stati membri entro un mese.

4.       La decisione del Consiglio sarà ritenuta acquisita se, entro due mesi dall’informazione di cui al paragrafo 3, né la Commissione né uno Stato membro hanno chiesto che il caso sia esaminato dal Consiglio.

5.       Gli Stati membri che il 1° gennaio 1977 applicano misure particolari del tipo di quelle di cui al paragrafo 1 possono mantenerle purché le notifichino alla Commissione anteriormente al 1° gennaio 1978 e purché tali misure siano conformi, se si tratta di misure destinate a semplificare la riscossione dell’imposta, al criterio definito al paragrafo 1».

4.        L’art. 2 della decisione 2000/186/CE prevede quanto segue:

«In deroga alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 2 della direttiva 77/388/CEE, modificato dall’articolo 28 septies di detta direttiva, nonché alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera a) della stessa direttiva, la Repubblica federale di Germania è autorizzata a limitare al 50% il diritto a deduzione dell’imposta sul valore aggiunto che grava su tutte le spese relative ai veicoli che non sono utilizzati esclusivamente a fini professionali e a non assimilare a prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso l’uso per esigenze private di un veicolo destinato all’azienda del soggetto passivo.

Le disposizioni del primo comma non si applicano quando il veicolo costituisce capitale circolante del soggetto passivo o quando tale veicolo viene usato per il 5% al massimo a fini privati».

5.        L’art. 3 della decisione 2000/186 stabilisce quanto segue:

«La presente decisione si applica a decorrere dal 1° aprile 1999. Essa cessa di essere applicabile alla data di entrata un vigore della direttiva relativa alle spese che non danno diritto a deduzione dell’IVA oppure cessa di produrre effetti al più tardi il 31 dicembre 2002».

B – Il diritto nazionale

6.        L’art. 15, n. 1, dell’Umsatzsteuergesetz (in prosieguo: l’«UStG») recita:

«L’imprenditore può dedurre i seguenti importi a titolo di imposta versata a monte:

1.       le imposte dichiarate separatamente in fatture ai sensi dell’art. 14 per forniture o altre prestazioni che sono state effettuate da altri imprenditori a beneficio della sua impresa».

7.        L’art. 15, n. 1, lett. b), dell’UStG stabilisce quanto segue:

«Gli importi delle imposte versate a monte, per l’acquisizione o la fabbricazione, l’importazione, l’acquisto in un paese della Comunità, la locazione o la gestione di autoveicoli ai sensi dell’art. 1, lett. b), n. 2, che vengono destinati anche ad usi privati dell’imprenditore o per altri fini estranei all’impresa, possono essere dedotti fino ad un massimo del 50%».

Per veicoli ai sensi dell’art. 1, lett. b), n. 2, dell’UStG si intendono le automobili, le navi e gli aeromobili.

8.        L’art. 27, terzo comma, dell’UStG prevede quanto segue:

«Gli artt. 15, n. 1, lett. b), e 15, lett. a), n. 3, sub 2, dell’UStG si applicano per la prima volta alle autovetture acquisite, fabbricate, importate, comprate in un paese comunitario o prese in affitto successivamente al 31 marzo 1999».

III – Fatti e procedimento

A – Il procedimento principale

9.        Il sig. Sudholz gestisce un’impresa di pittura. Nell’aprile 1999 ha acquistato un’autovettura al prezzo di DM 55 086,21 maggiorato dell’importo di DM 8 813,79, corrispondente al 16% a titolo di imposta sulla cifra d’affari. Egli ha destinato l’autovettura alla sua impresa e l’ha utilizzata al 70% per fini professionali e al 30% per altri fini.

10.      Nella sua dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto per l’aprile 1999, il sig. Sudholz ha dichiarato l’intera imposta sulla cifra d’affari relativa all’acquisto dell’autovettura come imposta a monte. A suo parere, la nuova formulazione dell’art. 15, n. 1, lett. b), dell’UStG, in vigore dal 1° aprile 1999, secondo cui è deducibile solo il 50% dell’imposta a monte, è incompatibile con il diritto comunitario.

11.      Nella liquidazione corrispondente alla dichiarazione per l’aprile 1999, il Finanzamt Sulingen (in prosieguo: il «FA») ha ritenuto deducibile solo il 50% dell’imposta pagata a monte, a norma di quanto stabilito dall’art. 15, n. 1, lett. b), dell’UStG.

12.      Il sig. Sudholz ha proposto reclamo contro la decisione del FA. Quest’ultima ha respinto il reclamo e il sig. Sudholz ha proposto ricorso dinanzi al Finanzgericht (in prosieguo: il «FG»), che lo ha dichiarato fondato. Il FG ha ritenuto che il sig. Sudholz potesse far valere la norma, a lui più favorevole, contenuta nell’art. 17 della sesta direttiva e che le limitazioni del diritto a deduzione dell’imposta versata a monte fossero incompatibili con il diritto comunitario allorché, come nella fattispecie, limitazioni di tale tipo non erano previste prima dell’entrata in vigore della sesta direttiva e, alla data della sentenza del Finanzgericht, non era stata neppure concessa un’autorizzazione ad introdurre norme di questo tipo ai sensi dell’art. 27, n. 1, della sesta direttiva.

13.      Nel ricorso per «Revision»dinanzi al Bundesfinanzhof il FA fa presente che con la decisione 2000/186 la Repubblica federale di Germania è stata autorizzata, ai sensi dell’art. 27 della sesta direttiva, a limitare al 50% la deduzione dell’IVA che grava sull’insieme delle spese relative agli autoveicoli che non vengono utilizzati esclusivamente per fini professionali, purché l’autoveicolo non costituisca attivo circolante del soggetto passivo d’imposta né venga utilizzato fino ad un massimo del 5% per fini privati.

14.      Dinanzi al Bundesfinanzhof, il FA chiede l’annullamento della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso. Il sig. Sudholz chiede la conferma della sentenza.

B – Osservazioni del Bundesfinanzhof

15.      Nell’ordinanza di rinvio, il giudice nazionale dichiara che nel caso di specie ricorrono le condizioni di cui al combinato disposto dell’art. 15, n. 1, lett. b), e dell’art. 27, n. 3, dell’UStG. In primo luogo è pacifico che il sig. Sudholz ha utilizzato il veicolo di cui trattasi adibendolo per il 70% ad usi professionali. Poiché il veicolo è stato acquistato dopo il 31 marzo 1999, la deduzione dell’IVA versata a monte per l’acquisto è limitata al 50%. Il giudice nazionale, tuttavia, dubita se debba essere applicato l’art. 15, n. 1, lett. b), dell’UStG, o se il sig. Sudholz possa far valere l’art. 17, n. 2, della sesta direttiva per giustificare un diritto a deduzione integrale, avendo destinato completamente il veicolo a fini professionali.

16.      Secondo il giudice nazionale, il governo tedesco, ai sensi delle norme vigenti della direttiva, era competente a limitare la deduzione dell’IVA solo se validamente autorizzato a tal fine dal Consiglio. A suo parere, l’art. 27 della sesta direttiva esige un’autorizzazione che dev’essere rilasciata prima dell’adozione di una normativa nazionale sulla limitazione del diritto a deduzione dell’IVA. Il Consiglio ha autorizzato la Germania ad adottare la misura in questione solo il 28 febbraio 2000, mentre la Steuerentlastungsgesetz 1999/2000/2002  (4) (che ha introdotto l’art. 15, n. 1, dell’UStG) risale al 24 marzo 1999.

17.      Sussistono dubbi anche riguardo al procedimento preliminare alla decisione, poiché la richiesta di autorizzazione non è stata pubblicata dal governo tedesco. Inoltre, la decisione andrebbe oltre quanto richiesto, dato che il Consiglio basa la decisione anche sulla considerazione che questo tipo di misura consentirà una maggiore semplificazione «del regime fiscale relativo all’uso dei veicoli a fini privati». Per tale motivo il giudice nazionale dubita della compatibilità della decisione 2000/186 con il diritto comunitario.

18.      In secondo luogo, il giudice nazionale si chiede se la retroattività della decisione (l’art. 3, n. 1, della decisione 2000/186 stabilisce che essa si applica a decorrere dal 1° aprile 1999) sia compatibile con il diritto comunitario. Il giudice nazionale rammenta a tal fine che il principio della certezza del diritto si oppone in generale a che una decisione comunitaria possa avere effetti retroattivi. Egli ritiene che nel caso di specie tale principio non possa essere derogato, in quanto la decisione 2000/186 non chiarisce la necessità dell’efficacia retroattiva.

19.      Infine, il giudice nazionale solleva la questione se la decisione 2000/186 soddisfi, sotto il profilo del contenuto i requisiti di cui all’art. 27, n. 1. In altri termini, la decisione è necessaria e adeguata per il conseguimento del fine specifico da essa perseguito e pregiudica il meno possibile gli obiettivi e i principi della sesta direttiva?

20.      A questo proposito egli rinvia alla motivazione dell’art. 2 della decisione 2000/186. Detto articolo prevede la limitazione del diritto del soggetto passivo di dedurre l’IVA in quanto è difficile controllare la ripartizione dei costi tra la parte professionale e quella privata delle spese per questo tipo di beni, per cui sussistono rischi di frode o abuso. Inoltre, tale misura consentirebbe una maggiore semplificazione del regime fiscale relativo all’uso dei veicoli a fini privati (quinto ‘considerando’). Il sesto ‘considerando’ stabilisce che la limitazione non deve essere applicata alle spese relative ai veicoli che costituiscono capitale circolante del soggetto passivo e non si applica nemmeno quando un veicolo sia utilizzato per il 5% al massimo a fini privati. Dal settimo ‘considerando’ discende che in tal modo è garantito che la deroga al principio del diritto a deduzione integrale dell’imposta versata a monte da un soggetto passivo nel quadro della sua attività soggetta a imposta non superi quanto necessario per lottare contro i rischi di frode o abuso.

21.      Il giudice nazionale dichiara che la misura di cui all’art. 2 della decisione 2000/186 ha come conseguenza che un soggetto passivo d’imposta non può dedurre l’IVA per le spese relative ai veicoli che non vengono utilizzati esclusivamente per scopi professionali neanche qualora possa dimostrare effettivamente che destina o ha destinato il bene in una proporzione superiore al 50% per scopi professionali. Tale conclusione appare al giudice nazionale incompatibile con il principio di proporzionalità. Egli rileva che la Commissione, nella sua proposta al Consiglio, ha esplicitamente previsto la possibilità per il soggetto passivo di dimostrare che il veicolo di cui trattasi è utilizzato a fini professionali in misura superiore al 50%.

C – Questioni pregiudiziali

22.      In considerazione di quanto precede, il Bundesfinanzhof, con ordinanza 30 novembre 2000, pervenuta alla cancelleria della Corte di giustizia il 15 gennaio 2001, ha proposto le seguenti questioni pregiudiziali:

«a)Se l’art. 2 della decisione del Consiglio 28 febbraio 2000, 2000/186/CE, che autorizza la Repubblica federale di Germania ad applicare misure di deroga agli artt. 6 e 17 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari, sia invalido, poiché il procedimento preliminare all’adozione della decisione non soddisfa i requisiti di cui all’art. 27 della direttiva 77/388/CEE.

b)Se sia valido l’art. 3, primo comma, della decisione 2000/186/CE, in base al quale la decisione si applica retroattivamente a decorrere dal 1° aprile 1999.

c)Se l’art. 2 della decisione 2000/186/CE soddisfi i requisiti sostanziali posti per un’autorizzazione di questo tipo o debba essere messa in dubbio la validità di tale disposizione».

D – Il procedimento dinanzi alla Corte

23.      Hanno presentato osservazioni scritte, ai sensi dell’art. 20 del protocollo allegato allo Statuto della Corte di giustizia, i governi tedesco e dei Paesi Bassi, il Consiglio e la Commissione. Il governo dei Paesi Bassi, nelle sue osservazioni scritte, ha esaminato soltanto le prime due questioni. Nell’udienza dinanzi alla Corte del 10 luglio 2002, il governo tedesco, il Consiglio e la Commissione hanno svolto oralmente le loro osservazioni.

IV – Argomenti

A – Sulla prima questione pregiudiziale

24.      Secondo gli intervenienti, la prima questione pregiudiziale riguarda in particolare l’interpretazione della nozione «autorizzare» di cui all’art. 27, n. 1, della sesta direttiva. Essi ritengono che tale espressione non implichi che l’autorizzazione del Consiglio deve precedere l’adozione di una misura nazionale in deroga alla sesta direttiva. Ai sensi dell’art. 27, n. 1, l’autorizzazione potrebbe essere concessa sia preventivamente che successivamente.

25.      Il governo tedesco sostiene che secondo la precedente versione dell’art. 27, ovvero l’art. 13 della seconda direttiva IVA, gli Stati membri non potevano adottare misure di deroga prima che fosse trascorso il periodo entro cui gli altri Stati membri potevano proporre opposizione e, in caso di opposizione, prima che il Consiglio avesse emesso una decisione favorevole. Un siffatto divieto di adottare una misura nazionale di deroga prima della relativa autorizzazione non è previsto nell’art. 27. Il governo tedesco afferma che l’art. 27, n. 2, impone agli Stati membri solo l’obbligo di informare la Commissione prima di introdurre una determinata misura nazionale di deroga. Nel caso in esame, il governo tedesco ha informato la Commissione riguardo alla misura in questione l’11 dicembre 1998. Con lettera 19 febbraio 1999, ha integrato dette informazioni. Con lettera 23 agosto 1999, ha ribadito ancora una volta il contenuto delle lettere precedenti. Il governo tedesco afferma che non può essergli imputata la circostanza che la Commissione abbia ritardato il procedimento fino a dopo il 1° aprile 1999.

26.      La Commissione deduce dall’art. 27, n. 2, della sesta direttiva che il procedimento di autorizzazione deve precedere l’introduzione di misure nazionali in deroga alla direttiva. Essa sostiene che non già la data in cui il Consiglio ha adottato la decisione pone un problema di compatibilità con il diritto comunitario, bensì la data in cui la Germania ha introdotto la normativa di cui all’art. 15 dell’UStG. Pertanto, sarebbe la misura tedesca, e non già la decisione 2000/186, ad essere eventualmente in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 27.

27.      Tutti gli intervenienti ritengono che il diritto comunitario, e in particolare l’art. 27, non richieda la pubblicazione da parte di uno Stato membro di una richiesta di autorizzazione. Gli altri Stati membri vengono infatti informati delle misure che uno Stato intende introdurre in deroga alla sesta direttiva ai sensi dell’art. 27, n. 3. Il governo tedesco e la Commissione si richiamano alle conclusioni nella causa Skripalle  (5) , in cui l’avvocato generale rileva che dalla sentenza BP Soupergaz  (6) emerge implicitamente che, nell’ambito del diritto comunitario, l’art. 27 non impone alcun obbligo di pubblicazione.

28.      Per quanto riguarda la tesi secondo cui la decisione andrebbe oltre quanto richiesto dalla Germania, il Consiglio ritiene che la richiesta del governo tedesco mirasse altresì alla semplificazione del sistema fiscale. Il governo tedesco ha infatti spiegato che nel caso della deduzione IVA è difficile controllare esattamente quale parte delle spese per i veicoli sia da attribuire ai fini professionali e quale parte ai fini privati. Inoltre, il numero di casi in cui devono essere effettuati i controlli è enorme. Il Consiglio osserva altresì che, ai sensi dell’art. 250 CE, esso può adottare una decisione che deroghi alla proposta della Commissione purché le modifiche non vadano oltre la portata della proposta originaria.

B – Sulla seconda questione pregiudiziale

29.      Il governo tedesco parte dal presupposto che i dubbi sollevati dal giudice nazionale in merito all’efficacia retroattiva della decisione 2000/186 riguardo alla validità della misura adottata siano infondati. A suo parere, una misura nazionale può ottenere l’approvazione anche successivamente. Esso afferma inoltre che una decisione del Consiglio ai sensi dell’art. 27 non può violare il legittimo affidamento degli interessati, dal momento che questo tipo di decisione riguarda soltanto lo Stato membro e le istituzioni comunitarie. Inoltre, i soggetti passivi avrebbero potuto informarsi della modifica del regime delle deduzioni fiscali giacché era stato pubblicato un progetto di legge in materia.

30.      Secondo il governo dei Paesi Bassi non è esclusa di per sé l’attribuzione di efficacia retroattiva ad un’autorizzazione concessa ai sensi dell’art. 27, purché sia soddisfatta una serie di condizioni che la Corte ha elaborato nella propria giurisprudenza. Una di tali condizioni è il requisito della necessità, in altri termini in via eccezionale si può derogare alla regola secondo cui il principio della certezza del diritto in generale osta a che l’efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data anteriore alla sua pubblicazione qualora lo esiga lo scopo da raggiungere e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato  (7) . A parere del governo dei Paesi Bassi, nel caso di specie il requisito della necessità sarebbe stato soddisfatto, in quanto l’interesse generale, ovvero la lotta contro le frodi o l’evasione fiscale, può giustificare la retroattività di un atto comunitario. Esso aggiunge che la prevenzione e la lotta contro le frodi o l’evasione fiscale richiedono per lo più un’azione celere sotto forma di misura nazionale all’interno degli Stati membri. L’attribuzione di efficacia retroattiva a tali misure può essere necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo di interesse generale. Per questo motivo, a parere di tale governo, il Consiglio poteva conferire efficacia retroattiva all’autorizzazione contenuta nella decisione.

31.      La Commissione dubita che fosse necessario attribuire efficacia retroattiva all’autorizzazione per raggiungere l’obiettivo perseguito. Il fatto che sia difficile controllare esattamente la ripartizione tra l’uso a fini professionali e quello a fini privati dei veicoli ha costituito un problema sin dall’introduzione del sistema dell’IVA. Per questo motivo, il problema dell’accertamento del diritto alla deduzione dell’IVA non giustificherebbe l’attribuzione di efficacia retroattiva all’autorizzazione. Per quanto riguarda la tutela del legittimo affidamento degli interessati, la Commissione afferma che ai sensi dell’art. 17 della sesta direttiva, il diritto alla deduzione sorge nel momento in cui l’imposta che può essere dedotta diventa esigibile. Poiché il diritto alla deduzione sorge al momento della consegna delle merci e della prestazione dei servizi, il sig. Sudholz nel caso di specie poteva contare su un diritto alla deduzione integrale dell’imposta versata a monte per l’acquisto di veicoli. È vero che l’art. 27 della direttiva prevede la possibilità di limitare il diritto a deduzione, ma non è possibile far dipendere i diritti degli interessati da una futura decisione in conseguenza di una richiesta di applicazione del suddetto articolo. La Commissione ritiene pertanto che la decisione 2000/186 violi il legittimo affidamento del sig. Sudholz.

32.      Secondo il Consiglio, l’art. 3 della decisione 2000/186 è valido e la decisione ha pertanto efficacia retroattiva a decorrere dalla data indicata all’art. 3. Il Consiglio rileva che il governo tedesco ha presentato la richiesta di autorizzazione l’11 dicembre 1998 e che essa è pervenuta alla Commissione l’8 gennaio 1999. Il fatto che la decisione sia stata approvata solo successivamente è da imputare al ritardo registrato dal procedimento dinanzi alla Commissione. Al pari del governo tedesco, il Consiglio rammenta che una decisione ai sensi dell’art. 27 non può di per sé imporre obblighi ai privati, poiché essa è indirizzata allo Stato membro. È compito dello Stato membro di vigilare affinché la misura di cui all’art. 27 non violi il legittimo affidamento degli interessati.

C – Sulla terza questione pregiudiziale

33.      Il governo tedesco sostiene che la limitazione del diritto di deduzione al 50% non vale in tutti i casi, in particolare non si applica se un veicolo viene utilizzato per il 5% al massimo per scopi privati. Esso riconosce che, nel caso in cui un veicolo sia utilizzato per l’80% a fini professionali, il soggetto passivo può dedurre l’IVA al massimo per il 50% e in tal modo risulta economicamente svantaggiato. D’altro canto, il soggetto passivo si giova del pari della deduzione al 50%, laddove un veicolo venga utilizzato in misura dal 10% al 49% a fini professionali. Tali effetti sarebbero tipici di parametri e limiti stabiliti forfettariamente.

34.      Secondo la Commissione, l’art. 2 della decisione 2000/186 è contrario al principio di proporzionalità  (8) . Essa, nella sua proposta di decisione del Consiglio  (9) 13 dicembre 1999, su richiesta del governo tedesco, ha proposto che la limitazione forfettaria del diritto alla deduzione al 50% non fosse applicabile qualora il soggetto passivo potesse dimostrare che l’uso del veicolo a fini professionali era superiore al 50% dell’uso complessivo. La Commissione sottolinea che, ai sensi dell’art. 27, n. 1, le misure destinate a semplificare la riscossione dell’imposta non devono influire, se non in misura trascurabile, sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale.

35.      Il Consiglio ritiene che l’art. 2 della decisione non sia contrario al principio di proporzionalità. A tale proposito, esso rinvia alla proposta della Commissione di modifica della sesta direttiva intesa a limitare al 50% il diritto di deduzione dell’IVA per le spese relative ai veicoli che non vengono utilizzati esclusivamente per scopi professionali. La misura del governo tedesco mira anche a limitare forfettariamente al 50% il diritto alla deduzione. Dalla proposta risulta che la limitazione forfettaria ai fini della lotta contro le frodi e le evasioni fiscali è conforme al principio di proporzionalità.

V – Analisi

A – Sulla prima questione pregiudiziale

36.      La prima questione riguarda requisiti di forma. Con tale domanda il giudice nazionale desidera sapere se l’art. 2 della decisione 2000/186/CE sia invalido in quanto il procedimento ad essa preliminare non è conforme all’art. 27 della sesta direttiva. Si tratta di tre aspetti: la nozione di «autorizzazione» di cui all’art. 27, n. 1, della direttiva; il fatto che la richiesta di autorizzazione da parte della Repubblica federale di Germania non sia stata pubblicata e la questione se l’autorizzazione potesse superare quanto richiesto.

37.      L’art. 17, n. 2, della sesta direttiva prevede, quale regola generale, il diritto alla deduzione integrale dell’IVA, con due possibili eccezioni. La prima eccezione riguarda la legislazione esistente, la cosiddetta regola dello standstill di cui all’art. 17, n. 6, della direttiva. In base a detta disposizione, gli Stati membri potevano mantenere le deroghe esistenti al principio della deduzione integrale dell’IVA fino al momento dell’adozione delle misure previste in tale articolo. Questa eccezione non riguarda il caso in esame. La seconda eccezione concerne la nuova legislazione. Ai sensi dell’art. 27, n. 1, della direttiva, si possono introdurre particolari misure di deroga alle disposizioni della direttiva se la nuova misura mira a semplificare la riscossione dell’imposta o ad evitare frodi o evasioni fiscali. A tal fine, lo Stato membro deve essere autorizzato dal Consiglio. Il procedimento da seguire a tal fine è indicato nell’art. 27, nn. 2-4. Uno Stato membro che desideri introdurre misure per uno dei motivi indicati al n. 1 ne informa la Commissione fornendole tutti i dati atti alla valutazione (n. 2). La Commissione a sua volta ne informa gli altri Stati membri (n. 3). Successivamente può essere concessa l’autorizzazione, o mediante una decisione esplicita del Consiglio o, decorso un certo periodo di tempo, attraverso un’autorizzazione tacita (n. 4).

38.      Il primo punto sollevato dal giudice nazionale riguarda la questione se l’autorizzazione debba precedere l’introduzione della misura nazionale di cui trattasi. La versione tedesca della sesta direttiva utilizza il termine «ermächtigen» e non «genehmigen». Nella decisione 2000/186 vengono impiegati entrambi i termini. L’uso di «ermächtigen» in tedesco indica che l’autorizzazione deve essere concessa preventivamente, mentre l’uso del termine «genehmigen» indica che essa può essere rilasciata anche successivamente. Nella maggior parte delle versioni linguistiche il termine «autorizzare» viene inteso in quest’ultimo senso. La versione francese della direttiva usa ad esempio «autoriser» e non «habiliter». Anche la versione inglese e la versione italiana, ad esempio, usano rispettivamente «to authorize» e «autorizzare».

39.      Come ha osservato anche il Consiglio, l’adozione di misure fiscali nazionali rientra nella competenza esclusiva dello Stato membro interessato. Lo Stato deve comunque garantire che tali misure siano conformi al diritto comunitario. L’art. 27 della sesta direttiva non riguarda un’autorizzazione all’adozione di misure in materia di IVA, bensì un’autorizzazione ad adottare misure in deroga alle disposizioni della direttiva. Come risulta dal paragrafo precedente, dalla terminologia utilizzata all’art. 27 nella maggior parte delle versioni linguistiche non si può dedurre che tale autorizzazione debba di per sé essere preventiva. Tuttavia, dall’art. 27, n. 2, emerge che uno Stato membro che desideri introdurre una misura in deroga deve informarne la Commissione e fornirle tutti i dati atti alla valutazione. Ne consegue che l’inizio del procedimento di autorizzazione precede in ogni caso l’effettiva introduzione della misura nazionale di deroga. Rimane tuttavia irrisolta la questione se l’autorizzazione possa essere concessa anche successivamente all’introduzione della misura nazionale in deroga alla direttiva, o in altri termini, la questione se detta misura nazionale possa essere già introdotta in attesa dell’esito del procedimento di autorizzazione. La direttiva non lo vieta espressamente. Se si partisse dal presupposto che un’autorizzazione può essere concessa anche successivamente, la soluzione sarebbe affermativa. Osservo tuttavia che uno Stato membro il quale introduca la misura prevista già nelle more del procedimento di autorizzazione, lo fa a proprio rischio. In questa fase, infatti, non vi è ancora alcuna autorizzazione, cosicché la misura introdotta è contraria al diritto comunitario e non vi è neppure la certezza che questa eventuale violazione possa essere sanata da un’autorizzazione dotata di efficacia retroattiva. L’introduzione prematura, da parte di uno Stato membro, di una misura derogatoria nell’ordinamento nazionale può quindi determinare una violazione del diritto comunitario; ciò tuttavia non ha di per sé alcuna influenza di per sé sulla validità della decisione di autorizzazione.

40.      Il secondo aspetto formale riguarda il fatto che la Repubblica federale di Germania non ha pubblicato la richiesta di autorizzazione all’adozione di misure di deroga. Come è stato giustamente osservato da vari intervenienti, tale obbligo di pubblicazione non può essere dedotto dal testo dell’art. 27 della sesta direttiva. Essi si richiamano alle conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nella causa Skripalle  (10) . Detta causa verteva, tra l’altro, sulla questione se la mancata pubblicazione della decisione di autorizzazione potesse inficiarne la validità o l’efficacia. La Corte non ha affrontato la questione. L’avvocato generale Fennelly concludeva tuttavia che per tali decisioni ai sensi dell’art. 191, n. 3, del Trattato CE (divenuto art. 254 CE), non esiste obbligo di pubblicazione e che neanche l’art. 27 della sesta direttiva prevede esplicitamente alcun obbligo di pubblicare un’autorizzazione concessa in base ad esso. L’avvocato generale ha inoltre osservato che, a suo parere, la mancata pubblicazione di una decisione di autorizzazione del Consiglio non avrebbe ridotto la certezza del diritto o l’efficacia di rimedi amministrativi o giurisdizionali di cui dispone il soggetto passivo che subisce gli effetti negativi.

41.      Nel caso di specie non si tratta della pubblicazione della decisione di autorizzazione. Quest’ultima, conformemente alla prassi in vigore da anni, viene pubblicata nella Gazzetta ufficiale. Si tratta invece della pubblicazione della richiesta di detta autorizzazione. Ritengo tuttavia che il ragionamento seguito dall’avvocato generale Fennelly possa essere applicato per analogia al caso di specie. Se dall’art. 27 della sesta direttiva non si può dedurre alcun obbligo di pubblicazione delle decisioni da adottare ai sensi dello stesso articolo, ciò vale anche per le richieste degli Stati membri di adottare le decisioni di cui trattasi. Detto articolo dispone solo che la Commissione dev’essere informata dell’intenzione e che essa a sua volta informa gli altri Stati membri. Nel caso in esame, ciò è avvenuto rispettivamente l’8 gennaio 1999 e l’11 ottobre 1999. Gli altri Stati membri devono essere informati in quanto possono chiedere che il Consiglio esamini la richiesta. Un obbligo di pubblicazione delle richieste di autorizzazione, peraltro, avrebbe senso soltanto se fossa riconosciuta ad una cerchia di soggetti più ampia di quella attualmente interessata la possibilità di influire sul risultato della procedura.

42.      L’ultimo aspetto della prima questione è se la decisione di autorizzazione 2000/186/CE potesse andare oltre quanto richiesto. La Repubblica federale di Germania avrebbe basato la propria richiesta solo sui motivi che riguardano la prevenzione delle frodi o dell’evasione fiscale e non avrebbe addotto l’auspicabilità della semplificazione fiscale.

43.      Lo scopo della notificazione e della trasmissione dei dati rilevanti per la valutazione di cui all’art. 27, n. 2, della sesta direttiva è consentire alla Commissione, ed eventualmente al Consiglio, di verificare se il regime derogatorio non esuli dagli obiettivi di cui all’art. 27, n. 1, della direttiva  (11) . Ai sensi dell’art. 27, n. 1, della direttiva devono essere mantenute chiaramente distinte, da un lato, le misure che mirano alla semplificazione fiscale e, dall’altro, le misure che riguardano la prevenzione delle frodi e dell’evasione fiscale. Dalla giurisprudenza emerge che qualora la richiesta di autorizzazione si basi sul secondo motivo, l’autorizzazione concessa non può andare oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo  (12) . Lo Stato membro non può quindi invocare il primo motivo in seguito, dopo che l’autorizzazione è stata concessa, in altri termini, non può ampliare il fondamento dell’autorizzazione concessa. Ciò tuttavia non esclude che lo Stato membro in questione ampli la propria richiesta durante il procedimento di autorizzazione, basandola anche sull’altro motivo di cui all’art. 27, n. 1. Sembra che ciò sia accaduto nel caso di specie. Una diversa impostazione implicherebbe che lo Stato membro interessato debba prima ritirare la propria richiesta, per poi presentarne una nuova. Ciò sarebbe poco funzionale. Ne consegue quindi che se l’autorizzazione viene chiesta e concessa per entrambi i motivi, devono essere soddisfatte le condizioni relative ad entrambi i motivi. La Germania (nel corso del procedimento di autorizzazione) ha addotto entrambi i motivi. Di conseguenza, la misura deve essere giustificata per entrambi i motivi e deve soddisfare le condizioni collaterali previste per essi. Ciò significa che la misura deve essere proporzionata se viene adottata ai fini della lotta contro le frodi e che, qualora sia intesa anche a semplificare la normativa nazionale, può incidere solo in misura trascurabile sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale.

44.      La Commissione ha inoltre osservato che le istituzioni comunitarie possono esaminare la richiesta, anche se il governo interessato non ne ha fatto in proposito domanda, alla luce del criterio della semplificazione. Essa basa questa affermazione sul tenore dell’art. 27 della sesta direttiva, che rientra nel capitolo della direttiva relativo alle misure di semplificazione. Non condivido questo parere. Spetta allo Stato membro stabilire i motivi che intende addurre per ottenere un’autorizzazione ad adottare una misura derogatoria. Ciò vale a fortiori laddove la direttiva tenga chiaramente distinti i due motivi che giustificano le misure di deroga e le relative condizioni. Il Consiglio o la Commissione non possono usurpare tale potere discrezionale dello Stato membro. Pertanto, una richiesta di autorizzazione di uno Stato membro non può essere integrata così dalle due istituzioni. Nel caso di specie esse non hanno comunque agito in tal modo, giacché durante il corso del procedimento la Germania ha addotto entrambi i motivi.

45.      In considerazione di quanto precede, concludo che durante il procedimento preliminare all’autorizzazione non si sono verificate irregolarità atte ad inficiare la validità della decisione 2000/186.

B – Sulla seconda questione pregiudiziale

46.      La questione riguarda l’efficacia retroattiva dell’art. 3 della decisione. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che solo in casi eccezionali si può attribuire efficacia retroattiva alle decisioni comunitarie, ovvero qualora lo esiga lo scopo da raggiungere e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato  (13) . Tali requisiti costituiscono un’elaborazione dei principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento.

47.      In primo luogo si deve osservare che i soggetti passivi traggono diritti dall’art. 17 della sesta direttiva  (14) , che il diritto alla deduzione è un elemento fondamentale del sistema dell’IVA  (15) , e che detto diritto sorge nel momento in cui l’imposta che può essere dedotta diventa esigibile  (16) . Sono ammesse deroghe soltanto nei casi in cui la direttiva le prevede espressamente e purché restino nell’ambito dei presupposti sostanziali e procedurali stabiliti dalla direttiva  (17) . Sebbene un soggetto passivo non possa quindi fare affidamento sul fatto che la regola base - il diritto alla deduzione integrale dell’IVA - non sarà mai modificata o limitata, egli può però fare affidamento sul fatto che, qualora venga introdotta una misura nazionale straordinaria di deroga a tale norma di base, detta deroga soddisferà ai requisiti all’uopo fissati all’art. 27 della direttiva e che, in particolare, essa sarà basata su un’autorizzazione. Nel momento in cui il sig. Sudholz ha acquistato il veicolo e lo ha destinato alla sua impresa – aprile 1999 –, la Germania aveva sì introdotto la normativa nazionale che limita la deduzione, ma detta deroga non si basava sulla necessaria autorizzazione di cui all’art. 27 della direttiva. Poiché a quella data la Germania non era autorizzata ad introdurre né ad applicare una siffatta misura speciale, il sig. Sudholz poteva continuare ad invocare la normativa per lui più favorevole di cui all’art. 17 della direttiva.

48.      La questione è quindi se tale diritto alla deduzione potesse essere soppresso nei suoi confronti anche successivamente. Dalla giurisprudenza della Corte discende che il principio del legittimo affidamento osta alla soppressione o alla limitazione di un diritto alla deduzione che il soggetto passivo può far valere in forza della sesta direttiva.

49.      Nelle mie conclusioni nella causa C-62/00, Marks & Spencer  (18) , ho riassunto così gli orientamenti della giurisprudenza della Corte relativa al principio del legittimo affidamento:

«–in primo luogo la Corte in una serie di sentenze ha dichiarato che questo principio, che deriva dal principio di certezza del diritto, fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario. Il principio esige che le norme giuridiche siano precise e mira a garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici disciplinati dal diritto comunitario;

–in secondo luogo è certo che i singoli non possono fare affidamento sul fatto che le norme giuridiche loro applicabili restino immutate. Il legislatore comunitario conserva la facoltà di adeguare la legislazione esistente alle mutate condizioni economiche e, aggiungo io, alle mutate concezioni politiche, sociali e di gestione;

–in terzo luogo i singoli devono poter contare sul fatto che i diritti sorti nell’ambito di un regime esistente non verranno limitati con efficacia retroattiva. Solo in casi estremamente eccezionali è possibile derogare a questa regola generale, ad esempio in caso di necessità economiche imperative legate alla gestione delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli o per motivi di interesse pubblico inderogabile».

50.      Osservo inoltre che, per quanto riguarda il requisito della necessità, il Consiglio nella decisione non ha fornito alcuna indicazione riguardo ai motivi per cui occorreva attribuire efficacia retroattiva al suo provvedimento. La sola considerazione che l’autorizzazione richiesta mira a evitare le frodi e l’abuso non è sufficiente. Questo è infatti uno dei motivi per autorizzare uno Stato ad adottare misure in deroga alla direttiva. Di per sé esso non costituisce un motivo per attribuire efficacia retroattiva. Come ha giustamente osservato la Commissione, il problema dell’accertamento del diritto a deduzione sui veicoli usati per fini in parte privati e in parte professionali esiste sin dall’introduzione della direttiva. Già da questa sola circostanza si può desumere che non sussiste alcuna esigenza impellente di autorizzare uno Stato membro ad introdurre una disciplina speciale con efficacia retroattiva.

51.      Non considerato valido l’argomento addotto dal governo tedesco e dal Consiglio, secondo cui alla decisione andava attribuita efficacia retroattiva in quanto la Commissione avrebbe ritardato l’esame della richiesta di autorizzazione. Ammesso che la Commissione sia incorsa in una negligenza di carattere procedurale, quest’ultima non potrebbe in nessun caso costituire un motivo per privare, con efficacia retroattiva, i soggetti passivi dei diritti loro conferiti dal diritto comunitario. Infatti, essi non hanno alcuna influenza sullo svolgimento della procedura di autorizzazione.

52.      Il governo tedesco ha inoltre dichiarato che il sig. Sudholz non potrebbe trarre alcun diritto dall’art. 27 della sesta direttiva. Esso deduce due argomenti in proposito: una decisione di autorizzazione ai sensi dell’art. 27 avrebbe carattere esclusivamente declaratorio, inoltre, l’articolo in questione riguarderebbe solo le relazioni fra gli Stati membri e la Comunità.

53.      Secondo il governo tedesco, la possibilità di un’autorizzazione tacita per effetto della scadenza del termine di cui all’art. 27 indica che la decisione di autorizzazione ha carattere puramente declaratorio. In tale situazione, il procedimento si conclude senza una decisione del Consiglio che il soggetto passivo potrebbe eventualmente far valere. Ritento tuttavia, come ha sostenuto anche la Commissione all’udienza, che tale autorizzazione, tacita o meno, abbia natura costitutiva. In mancanza di tale autorizzazione, lo Stato membro non può introdurre alcuna misura in deroga alla direttiva. È quindi pacifico che l’autorizzazione è atta a modificare il diritto, giacché in sua mancanza lo Stato membro deve attenersi all’art. 17 della direttiva.

54.      Anche il secondo argomento è infondato. È vero che il procedimento di autorizzazione disciplinato dall’art. 27 si svolge tra la Commissione e gli Stati membri, ma i risultati del procedimento possono incidere notevolmente sui diritti che i singoli possono far valere in forza dell’art. 17 della sesta direttiva. La natura di tali diritti comporta, come ho rilevato al paragrafo 47, che essi possono essere modificati o limitati esclusivamente in forza di una decisione del Consiglio adottata ai sensi dell’art. 27 della direttiva. Per tale motivo il sig. Sudholz ha interesse a che detta decisione sia stata adottata legittimamente e sia conforme, sotto il profilo del contenuto, al diritto comunitario.

55.      Sulla base di quanto precede, concludo che, attribuendo efficacia retroattiva alla decisione 2000/186 sono stati violati i principi comunitari della certezza del diritto e del legittimo affidamento e che pertanto l’art. 3 della decisione è invalido nella misura in cui prevede un’efficacia retroattiva a decorrere dal 1° aprile 1999.

C – Sulla terza questione pregiudiziale

56.      Con quest’ultima questione il giudice nazionale desidera sapere se l’art. 2 della decisione risponda, sotto il profilo del contenuto, ai requisiti previsti per le misure derogatorie. Poiché l’autorizzazione è basata sia sul primo che sul secondo dei motivi indicati all’art. 27, n. 1, della direttiva, l’esame va svolto separatamente per ciascuno di essi.

57.      La Corte interpreta restrittivamente le ipotesi di applicazione dell’art. 27 della sesta direttiva alla luce del principio di proporzionalità.

58.      Nella sentenza Commissione/Belgio  (19) , la Corte si è richiamata al principio di proporzionalità statuendo che può derogarsi alla base imponibile prevista nella direttiva solo nei limiti di quanto strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato, vale a dire evitare frodi o evasioni. Tale giurisprudenza è stata confermata successivamente nelle sentenze Skripalle  (20) e Ampafrance e Sanofi  (21) . In quest’ultima sentenza, pronunciata dopo che era stata concessa l’autorizzazione qui controversa, la Corte precisa che il rischio di frodi o di evasioni fiscali non sussiste quando da dati oggettivamente verificabili possa emergere che le spese sono state sostenute a fini strettamente professionali. È vero che la Corte in determinate circostanze considera lecita una misura derogatoria che presenta elementi forfettari, ma siffatta misura va considerata sproporzionata qualora escluda talune spese dal diritto alla deduzione dell’IVA senza che il soggetto passivo abbia la possibilità di dimostrare che nel caso specifico non sussisteva frode o evasione fiscale.

59.      La causa Ampafrance e Sanofi riguardava un’esclusione totale del diritto alla deduzione dell’IVA, mentre nel caso di specie si tratta di una limitazione forfettaria di tale diritto. Poiché, tuttavia, in entrambi i casi il diritto alla deduzione viene limitato quantitativamente – in toto o in considerevole percentuale –, il principio di proporzionalità impone che in entrambe le situazioni il soggetto passivo deve poter dimostrare che nel suo caso non sussiste frode né abuso.

60.      La giurisprudenza citata supra riguarda le misure derogatorie intese a evitare frodi o l’uso improprio. A mio avviso, l’esame ivi effettuato alla luce del principio di proporzionalità si applica anche per le misure nazionali derogatorie che mirano alla semplificazione fiscale. Infatti, l’obiettivo, in linea di principio legittimo, della semplificazione della riscossione dell’IVA deve essere valutato contrapponendolo alle limitazioni dei diritti dei soggetti passivi da ciò derivanti. Ciò risulta anche dal testo dell’art. 27, n. 1, ultima frase, della sesta direttiva. La regola della neutralità ivi prevista va considerata come un’applicazione particolare del principio di proporzionalità.

61.      Qualora l’autorizzazione concessa nella fattispecie venisse valutata alla luce di quanto precede, risulterebbe che essa – nell’ipotesi in cui sia intesa a combattere le frodi – non consente al soggetto passivo di fornire la controprova e quindi contravviene al principio di proporzionalità. La mancanza di tale possibilità implica che in tutti i casi in cui il soggetto passivo utilizza un veicolo a fini professionali in misura – di gran lunga – superiore al 50%, detta misura incide in maniera non trascurabile sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale. In tal modo, l’autorizzazione controversa – nell’ipotesi che miri a semplificare la riscossione dell’imposta – non tiene neppure conto del criterio di cui all’ultima frase dell’art. 27, n. 1, della sesta direttiva.

62.      A tale proposito, ritengo che l’autorizzazione concessa con l’art. 2 della decisione 2000/186 sia invalida in quanto prevede una limitazione sproporzionata e contraria all’art. 27, n. 1, dei diritti che i soggetti passivi possono far valere in forza dell’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva.

63.      Ad abundantiam, aggiungo che la proposta della Commissione per una decisione del Consiglio diretta ad autorizzare una misura derogatoria aveva ben previsto la possibilità per i soggetti passivi di dimostrare che i veicoli acquistati sarebbero stati utilizzati a fini professionali per oltre il 50%. Con ciò tale proposta sarebbe stata rispondente al criterio supra enunciato. Il Consiglio ha però modificato in senso restrittivo la proposta della Commissione proprio su questo punto, introducendo la disposizione secondo cui ormai sussiste il diritto alla deduzione dell’IVA solo per i veicoli di cui trattasi utilizzati a fini privati per meno del 5%  (22) .

64.      Il Consiglio e il governo tedesco hanno inoltre sostenuto che il principio di base – diritto alla deduzione integrale dell’IVA – attraverso la cosiddetta regola dello standstill di cui all’art. 17, n. 6, della sesta direttiva e la possibilità di adottare misure nazionali in deroga, in forza dell’art. 27, rappresenta l’eccezione, piuttosto che la norma. Essi sembrano con ciò affermare che la Germania, attraverso l’applicazione al caso di specie dell’art. 27, doveva essere allineata sulla stessa posizione degli altri Stati membri. Inoltre, essi invocano la proposta della Commissione di modifica della sesta direttiva stessa, nella quale era prevista una deduzione forfettaria per le autovetture utilizzate in parte per fini professionali e in parte per fini privati. Richiamandosi alla detta proposta, il Regno Unito sarebbe stato autorizzato a limitare al 50% la deduzione forfettaria dell’IVA su tali autovetture.

65.      Questi argomenti confondono il ruolo e la posizione del legislatore comunitario con quello dell’esecutivo comunitario. Entro i limiti fissati dal diritto comunitario, il legislatore comunitario può adattare la normativa comunitaria derivata in base alle proprie scelte discrezionali politiche e di gestione. Ciò vale anche per l’IVA, che è oggetto della sesta direttiva. L’esecutivo comunitario, che è chiamato ad applicare la legislazione comunitaria esistente, è invece tenuto a rispettare le norme contenute in tale normativa. È ovvio che, quando si tratta dei diritti e doveri dei soggetti passivi, sotto il profilo della certezza del diritto occorre attenersi rigorosamente al principio di legalità. Pertanto, una misura che limiti in modo sproporzionato i diritti dei soggetti passivi e sia inoltre contraria alla lettera dell’art. 27 della sesta direttiva, e quindi alla legislazione comunitaria in vigore, non può essere giustificata invocando una normativa che sarà eventualmente adottata.

66.      Ritengo che il richiamo all’autorizzazione concessa al Regno Unito, qualunque possa esserne il contenuto preciso, non sia pertinente, dal momento che, a mio parere, è stato accertato che l’art. 2 della decisione 2000/186, che la Corte è chiamata a valutare, contrasta con il diritto comunitario applicabile.

67.      Dalla soluzione da me proposta per la terza questione deriva che la decisione è invalida nel suo complesso. Pertanto, a rigor di logica, non sarebbe più necessario risolvere la seconda questione. Qualora la Corte non dovesse accogliere la mia conclusione in merito alla terza questione, dalla soluzione proposta per la seconda questione discende che l’art. 3 della decisione è comunque invalido in quanto attribuisce alla decisione efficacia retroattiva a decorrere dal 1° aprile 1999.

VI – Conclusione

68.      In considerazione di quanto procede, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni sottopostele dal Bundesfinanzhof:

Prima questione: il procedimento preliminare all’adozione della decisione del Consiglio 28 febbraio 2000, 2000/186/CEE, che autorizza la Repubblica federale di Germania ad applicare misure di deroga agli articoli 6 e 17 della sesta direttiva 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, soddisfa alle condizioni richieste dall’art. 27 della direttiva 77/388/CEE.

Seconda questione: l’art. 2 della decisione 2000/186/CE è invalido.

Terza questione: l’art. 3 della decisione 2000/186/CE è invalido nella misura in cui attribuisce alla decisione efficacia retroattiva a decorrere dal 1° aprile 1999.


1 – Lingua originale: l'olandese.


2 – GU L 59, pag. 12.


3 – GU L 145, pag. 1, modificata da ultimo dalla direttiva 2001/4/CE (GU L 22, pag. 17).


4 – BGBI. I 1999, 402.


5 – Conclusioni dell’avvocato generale Fennelly, causa C-63/96, Skripalle, decisa con sentenza 29 maggio 1997 (Racc. pag. I-2847).


6 – Sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz (Racc. pag. I-1833).


7 – Il governo olandese si richiama, tra l’altro, alla sentenza 11 luglio 1991, causa C-368/89, Crispoltoni (Racc. pag. 3695).


8 – A tale proposito, la Commissione si richiama alla sentenza 19 settembre 2000, cause riunite C-177/99 e C-181/99, Ampafrance e Sanofi (Racc. pag. I-7013, punto 62).


9 – COM(1999) 690 def.


10 – Citata alla nota 5.


11 – Sentenza 6 luglio 1995, C-62/93, BP Sopurgaz, citata alla nota 6, punto 23.


12 – Sentenza 29 maggio 1997, causa C-63/96, Skripalle, citata alla nota 5.


13 – V., ad esempio, sentenze 25 gennaio 1979, causa 98/78, Racke (Racc. pag. 69); 25 gennaio 1979, causa 99/78, Decke (Racc. pag. 101), e 9 gennaio 1990, causa C-337/88, SAFA (Racc. pag. I-1).


14 – Sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, citata alla nota 6.


15 – V., ad esempio, sentenza 19 settembre 2000, cause riunite C-177/99 e C-181/99, Ampafrance e Sanofi, citata alla nota 8.


16 – V., ad esempio, sentenza 8 giugno 2000, causa C-400/98, Breitsohl (Racc. pag. I-4321).


17 – Sentenze 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, citata alla nota 6, punto 22, e 13 febbraio 1985, causa 5/84, Direct Cosmetics (Racc. pag. 617, punto 24).


18 – Sentenza 11 giugno 2002 (Racc. pag. I-6325).


19 – Sentenza 10 aprile 1984, causa 324/82, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1861, punto 24).


20 – Sentenza 29 maggio 1997, causa C-63/96, Skripalle, citata alla nota 5.


21 – Sentenza 18 settembre 2000, cause riunite C-177/99 e C-181/99, Ampafrance e Sanofi, citata alla nota 8.


22 – V. settimo ‘considerando’ della decisione 2000/186. In una nota si rinvia alla sentenza Skripalle. In proposito, il Consiglio sembra ritenere che la misura tedesca sia conforme al principio di proporzionalità.