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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L.A. GEELHOED
presentate il 18 settembre 2003(1)


Causa C-308/01



Gil Insurance Ltd
UK Consumer Electronics Ltd
Consumer Electronics Insurance Co. Ltd
Direct Vision Rentals Ltd
Homecare Insurance Ltd
Pinnacle Insurance plc
contro
Commissioners of Customs & Excise


(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal VAT and Duties Tribunal di Londra)

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – VAT and Duties Tribunal di Londra – Interpretazione degli artt. 27 e 33 della direttiva 77/388/CEE – Interpretazione dell'art. 87 CE – Introduzione di imposta sui premi assicurativi – Obbligo di chiedere l'autorizzazione preventiva del Consiglio»






I – Introduzione

1.        Nel presente procedimento il VAT and Duties Tribunal ha sottoposto cinque questioni pregiudiziali. Le prime due riguardano la sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto; base imponibile uniforme, come successivamente modificata (in prosieguo: la «sesta direttiva»)  (2) . Segnatamente, esse vertono sull’interpretazione degli artt. 27 e 33 di questa direttiva.

2.        Le ultime tre questioni si fondano sull’assunto che un’aliquota selettiva più elevata, che colpisca esclusivamente talune attività economiche ben definite, possa causare distorsioni nei rapporti di concorrenza, cui si applicano gli artt. 87 CE e 88 CE. Tali questioni riguardano segnatamente il contenuto del criterio dell’incidenza sul commercio tra Stati membri, descritto all’art. 87, n. 1, CE (questioni 3 e 4) e le ripercussioni della mancata comunicazione dell’aiuto in esame alla Commissione (questione 5).

3.        Il contesto da cui hanno tratto origine le ultime tre questioni offre lo spunto per un’analisi approfondita della portata degli artt. 87 e 88 CE in quanto leges speciales, volte a prevenire e ad eliminare distorsioni nei rapporti di concorrenza nel mercato comune ove queste derivino da aiuti di Stato. Infatti, qualora i provvedimenti fiscali selettivi su cui verte il procedimento principale non possano essere qualificati come aiuti di Stato, le distorsioni da essi derivanti potrebbero essere eliminate soltanto applicando gli artt. 96 CE e 97 CE – raramente utilizzati – che costituiscono la lex generalis rispetto agli artt. 87 CE e 88 CE.

4.        Questa problematica, riconosciuta anche dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, attribuisce alla presente causa un rilievo giuridico molto maggiore di quanto le questioni poste potrebbero a prima vista far presumere.

II – Ambito normativo

A – Diritto nazionale

5.        L’art. 31 e la sezione 2 dell’allegato 9 del Value Added Tax Act 1994 prevedono che nel Regno Unito la prestazione di servizi assicurativi e di servizi connessi è esentata dall’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»), conformemente all’art. 13 della sesta direttiva.

6.        Il Finance Act 1994 ha introdotto l’imposta sul premio assicurativo, che colpisce il ricevimento dei premi assicurativi da parte dell’assicuratore. Originariamente era prevista un’aliquota base del 2,5%. Il Finance Act 1997 ha elevato l’aliquota base dal 2,5% al 4% e ha introdotto una nuova e superiore aliquota del 17,5%.

7.        L’aliquota base si applica nella generalità dei casi. L’aliquota più elevata, che al momento dell’introduzione coincideva con l’aliquota base IVA nel Regno Unito, si applica attualmente solo ai premi assicurativi relativi ad elettrodomestici, autovetture e viaggi.

8.        Per quanto riguarda i viaggi, l’aliquota più elevata vigeva soltanto per assicurazioni di viaggio stipulate tramite un’agenzia, mentre alle assicurazioni stipulate direttamente con l’assicuratore si applicava l’aliquota base. Nella causa R/Commissioners of Customs and Excise, ex parte Lunn Poly Limited and another (1999) STC 350, la Court of Appeal of England and Wales ha dichiarato che le aliquote differenziate relative alle assicurazioni di viaggio costituivano un aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE.

9.        In conseguenza di questa sentenza, che ha confermato a questo riguardo la precedente pronuncia della Divisional Court, i Commissioners of Customs and Excise, in una Business Brief 24 aprile 1998, hanno comunicato di rinunciare alla riscossione della quota di imposta che sarebbe stata ancora esigibile ove si fosse applicata con efficacia retroattiva l’aliquota più elevata alle assicurazioni per i viaggi vendute applicando ancora l’aliquota base. Dal 1° agosto 1998 tutte le assicurazioni per i viaggi sono assoggettate all’aliquota più elevata.

10.      Per quanto riguarda gli elettrodomestici, l’aliquota più elevata si applica solo quando l’assicuratore è in relazione con il fornitore dell’elettrodomestico, quando l’assicurazione è stata stipulata tramite il fornitore, o quando quest’ultimo riceve una commissione dall’assicuratore. Analoghe assicurazioni vendute tramite mediatori assicurativi o direttamente dalle compagnie di assicurazioni sono soggette all’aliquota base.

11.      Per giustificare l’introduzione dell’aliquota più elevata è stato addotto lo scopo di evitare un «value-shifting». Le autorità del Regno Unito ritenevano che i fornitori di elettrodomestici, manipolando i prezzi di questi apparecchi e delle relative assicurazioni, potessero trarre vantaggio dall’esenzione dall’IVA vigente per i premi assicurativi.

B – Diritto comunitario

12.      L’art. 13 B della sesta direttiva così recita:

«Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni sottoelencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:

a)le operazioni di assicurazione e di riassicurazione, comprese le prestazioni di servizi relative a dette operazioni, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione;

(...)».

13.      L’art. 27 della sesta direttiva stabilisce che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a mantenere o introdurre misure particolari di deroga alla direttiva medesima, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali. Le misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta non devono influire, se non in misura trascurabile, sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale

14.      Infine l’art. 33, n. 1, della sesta direttiva dispone che, fatte salve le altre disposizioni comunitarie, e segnatamente quelle riguardanti il criterio generale per la detenzione, il commercio e il controllo dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni di questa direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d’ affari, sempre che siffatte imposte, diritti e tasse nel commercio tra gli Stati membri non introducano formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

III – Fatti e procedimento

La controversia dinanzi al giudice nazionale

15.      Le ricorrenti nel procedimento principale sono tutte imprese con sede nel Regno Unito, e prestano servizi di assicurazione e servizi ad essi connessi riguardanti gli elettrodomestici. Talune delle ricorrenti sono compagnie di assicurazione (la Consumer Electronics Company Ltd, facente parte del gruppo Thorn, la Homecare Ltd e la Pinnacle Insurance Plc), mentre altre si occupano della locazione e della vendita al dettaglio di elettrodomestici ed operano come intermediari assicurativi soggetti ad imposta (la Gil Insurance Ltd, la UK Consumer Electronics Ltd e la Direct Vision Rentals Ltd, tutte facenti parte del gruppo Granada).

16.      Resistenti nel procedimento principale sono i Commissioners of Customs and Excise, organi responsabili dell’amministrazione, della riscossione e del rimborso dell’imposta sui premi assicurativi (in prosieguo: «IPA») e dell’imposta sul valore aggiunto nel Regno Unito.

17.      Le ricorrenti hanno pagato l’aliquota più elevata dell’IPA sulle assicurazioni stipulate insieme alla vendita o alla locazione di elettrodomestici. Dopo la sentenza della Court of Appeal nella causa Lunn Poly, citata al precedente paragrafo 8, le ricorrenti hanno chiesto ai Commissioners of Customs and Excise il rimborso delle somme pagate. Tali domande di rimborso sono state respinte e le ricorrenti hanno proposto impugnazione dinanzi al VAT and Duties Tribunal.

18.      Dinanzi al Tribunal le ricorrenti hanno affermato di avere diritto al rimborso delle somme pagate a titolo di IPA ad aliquota più elevata per le seguenti ragioni:

–l’aliquota più elevata costituisce un provvedimento speciale di deroga alle disposizioni della sesta direttiva, tale da richiedere la previa autorizzazione a norma dell’art. 27, autorizzazione che non era stata chiesta o ottenuta;

–l’aliquota più elevata può essere qualificata come un’imposta sulla cifra d’affari del tipo non consentito dall’art. 33 della sesta direttiva;

–la differenza tra l’aliquota più elevata e l’aliquota base costituisce un aiuto statale ai sensi dell’art. 87 CE, di cui la Commissione europea non era stata informata, come invece richiede l’art. 88, n. 3, CE.

19.      Nel procedimento principale i Commissioners of Customs and Excise hanno contestato tali affermazioni. Pur ammettendo di non aver chiesto o ottenuto un’autorizzazione per una misura di deroga, a norma dell’art. 27 della sesta direttiva, e di non aver informato la Commissione europea del proposito di introdurre l’aliquota più elevata dell’imposta sul premio assicurativo, come richiesto dall’art. 88, n. 3, CE, essi hanno riconosciuto che, in caso di violazione della sesta direttiva, le ricorrenti avrebbero avuto diritto al rimborso dell’intera imposta pagata, sostenendo tuttavia che, se la differenza tra l’aliquota base e l’aliquota più elevata dell’IPA costituisse un aiuto statale illegittimo, il rimborso della differenza non costituirebbe la forma appropriata di risarcimento.

20.      Posto a confronto con queste affermazioni, il VAT and Duties Tribunal ha sottoposto alla Corte cinque questioni pregiudiziali.

Questioni pregiudiziali

1)Se l’art. 27 della sesta direttiva del Consiglio debba essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui non vi sia stata evasione o elusione fiscale, fosse necessaria l’autorizzazione del Consiglio prima di introdurre un’aliquota più elevata dell’imposta sui premi assicurativi, aliquota che era intesa a vanificare l’esenzione a favore dei servizi assicurativi prevista dall’art. 13 della direttiva, era identica all’aliquota base dell’imposta sul valore aggiunto, era applicata nello stesso modo in cui si applica l’imposta sul valore aggiunto ed era intesa ad essere parte di un tutto inseparabile insieme all’imposta sul valore aggiunto.

2)Se l’art. 33 della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che vieta agli Stati membri di introdurre un’imposta sui premi assicurativi che sia calcolata con riferimento ai servizi prestati, sia proporzionale al prezzo di questi ultimi, sia sopportata dal consumatore nella fase finale di vendita, venga trasferita al consumatore finale nella maniera tipica dell’imposta sul valore aggiunto, sicché l’onere dell’imposta grava sul consumatore finale, si applichi in tutto il territorio del Regno Unito e, tuttavia, non si applichi in modo generale a tutte le transazioni relative ai beni e ai servizi.

3)Se l’art. 87, n. 1, CE vada interpretato nel senso che si deve ritenere che un aiuto incida sugli scambi tra Stati membri solo nel caso in cui abbia o sia idoneo ad avere un effetto apprezzabile sul commercio tra Stati membri. Nel caso in cui tale questione venga risolta positivamente, quali siano i criteri per determinare se un provvedimento abbia o meno un effetto del genere.

4)Se l’art. 87, n. 1, CE vada interpretato nel senso che si deve ritenere che un aiuto incida sugli scambi tra Stati membri nel caso in cui, a causa di tale aiuto, 1) un commerciante attivo in uno Stato membro riduca i quantitativi dei prodotti che importa da altri Stati membri o 2) molti dei contratti di locazione di elettrodomestici conclusi da un commerciante in uno Stato membro vengano sciolti e tale commerciante venda i detti elettrodomestici in un altro Stato membro o 3) compagnie di assicurazioni che, in uno Stato membro, prestano servizi assicurativi tramite i venditori degli elettrodomestici sono rese meno competitive di società che vendono le assicurazioni direttamente, alcune delle quali sono associate di società in altri Stati membri.

5)Nell’ipotesi in cui, alla luce della soluzione delle questioni 3) e 4), l’aliquota più elevata dell’imposta sul premio assicurativo costituisca un aiuto statale ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, se l’art. 88 CE debba essere interpretato nel senso che, ove la Commissione non venga informata di alcun proposito di concessione di siffatto aiuto, i provvedimenti legislativi che introducono il detto aiuto dovrebbero essere disapplicati e qualsiasi imposta pagata ai sensi di tali provvedimenti andrebbe rimborsata.

Procedimento dinanzi alla Corte

21.      Tali questioni sono state presentate con ordinanza 24 luglio 2001, registrata nella cancelleria della Corte il 6 agosto 2001. Le ricorrenti nel procedimento principale, il governo del Regno Unito e la Commissione hanno depositato osservazioni scritte, che hanno illustrato oralmente all’udienza del 19 giugno 2002, nel corso della quale anche il governo olandese ha presentato le sue argomentazioni.

IV – Prima e seconda questione pregiudiziale

22.      Le prime due questioni sono state sollevate in relazione all’introduzione dell’IPA. Questa imposta è stata introdotta nel 1994, ed aveva inizialmente un’aliquota del 2,5%. Nel 1997 l’aliquota è stata elevata al 4% e nel 1999 al 5%. Nel 1997 è stata introdotta anche un’aliquota più elevata per l’IPA, pari al 17,5%, successivamente rimasta invariata. L’aliquota più elevata si applica per contrastare il «value shifting», una forma di evasione fiscale.

23.      Prima di esaminare le questioni, traccio un breve quadro del contesto in cui esse sono state sollevate.

24.      Per procurarsi elettrodomestici relativamente cari, come apparecchi audiovisivi, lavastoviglie e simili, i consumatori possono scegliere tra la locazione o l’acquisto. Nel Regno Unito molti consumatori inizialmente optavano per la locazione; nel corso degli anni questa preferenza si è ribaltata a favore dell’acquisto degli apparecchi  (3) . Questo mutamento di tendenza dipende anche dall’aumento del benessere e dal miglioramento della qualità dei prodotti. Illustrativi in merito sono gli sviluppi del mercato degli apparecchi televisivi. Quando questi hanno fatto la loro comparsa sul mercato del Regno Unito, agli inizi degli anni sessanta, erano relativamente cari in relazione al reddito disponibile, oltre ad essere tecnicamente delicati e a richiedere perciò regolarmente delle riparazioni. I consumatori accordavano pertanto una chiara preferenza al noleggio. Successivamente il prezzo di questi apparecchi è relativamente diminuito, mentre anche la loro affidabilità tecnica migliorava drasticamente. Per questo motivo, e grazie allo sviluppo del c.d. credito al consumatore come strumento per favorire le vendite, i consumatori gradualmente hanno preferito l’acquisto di questi apparecchi. Sviluppi analoghi si riscontrano nel comportamento dei consumatori anche per altri elettrodomestici.

25.      Il mercato, inizialmente dominato dalla locazione, aveva alcune caratteristiche peculiari. Ai contratti di locazione era di norma connesso un obbligo di manutenzione per il locatario e un corrispondente obbligo di servizio per il fornitore-locatore. Di entrambi gli obblighi si teneva conto nel prezzo di affitto. Siffatta costruzione presentava per il locatore il vantaggio che gli apparecchi, nel periodo di locazione, restavano in buono stato, cosa che facilitava una nuova locazione alla scadenza del primo contratto. Il vantaggio per il consumatore consisteva nella garanzia di godimento dell’apparecchio noleggiato.

26.      Successivamente i fornitori hanno adottato una costruzione analoga per la vendita di elettrodomestici, offrendo per essi dei contratti di servizio. In questo modo offrivano ai clienti una certa garanzia di uso. Siffatti contratti accessori dei contratti di compravendita implicavano un obbligo per i fornitori di riparare eventuali difetti degli apparecchi venduti, a fronte di pagamento di un importo fisso o annuo da parte del cliente.

27.      La prestazione di servizi in forza di siffatti contratti di servizio era considerata soggetta ad IVA, e ad essa si applicava l’aliquota base del 17,5%. Il fatto che, a norma dell’art. 13 B, lett. a), della sesta direttiva, le assicurazioni sono esentate da IVA ha spinto taluni grossi fornitori ad attribuire a siffatti contratti il carattere di un contratto di assicurazione, né l’introduzione dell’IPA molto più bassa nel 1994 è riuscita a ribaltare questa tendenza. I fornitori istituivano una propria compagnia di assicurazioni oppure fungevano da intermediari per una siffatta società, ricevendo una commissione per ogni contratto di assicurazione stipulato.

28.      Anche le ricorrenti nel procedimento principale hanno cominciato ad offrire contratti di servizio impostati come contratti assicurativi. Per esempio la Granada – uno dei maggiori fornitori di elettrodomestici nel Regno Unito – ha fondato la ditta GIL per poter offrire con il suo tramite contratti assicurativi ai suoi locatari e ai suoi acquirenti. In caso di noleggio un siffatto contratto era addirittura obbligatorio. Se negli apparecchi si manifestavano in seguito i difetti così previamente assicurati, la GIL aveva a disposizione per le necessarie riparazioni il servizio di manutenzione della Granada, che forniva la manodopera e i pezzi di ricambio necessari.

29.      Nel 1994 la maggior parte delle assicurazioni contro i difetti meccanici degli elettrodomestici – una quota compresa tra l’85 e il 90% – è stata venduta tramite il fornitore degli apparecchi stessi (le c.d. assicurazioni collegate). Solo una piccola parte delle assicurazioni è stata venduta al consumatore direttamente dagli assicuratori.

30.      Da un rapporto risalente allo stesso anno emergeva che la vendita di queste garanzie prolungate (contratti di servizio e di assicurazione) raggiungeva una somma pari a GBP 400 milioni all’anno, la maggior parte dei quali riguardava contratti di assicurazione.

31.      I Commissioners of Customs and Excise hanno constatato che questa forma di evasione fiscale sottraeva alle autorità proventi di IVA. Il legislatore fiscale britannico ha pertanto introdotto un’aliquota più elevata per l’IPA, pari al 17,5%, applicabile soltanto ai cosiddetti contratti assicurativi collegati, ossia ove esista una qualche stabile relazione tra l’assicuratore e il fornitore degli apparecchi di cui trattasi.

32.      L’introduzione di questa aliquota più elevata ha avuto ripercussioni significative sul comportamento di mercato delle parti interessate. La maggior parte dei fornitori ha ricominciato ad offrire normali contratti di manutenzione per gli elettrodomestici venduti. Nei limiti in cui non erano ancora stipulati contratti assicurativi, i c.d. contratti diretti hanno visto aumentare notevolmente la loro quota di mercato. Gli assicuratori collegati ai fornitori hanno posto fine alle loro relazioni stabili. Anche le ricorrenti nel procedimento principale si sono viste obbligate a modificare in questo senso il loro comportamento di mercato.

Argomenti delle parti

33.      Le osservazioni avanzate dalle parti nel procedimento principale, da un lato, e dal governo britannico e dalla Commissione, dall’altro, in merito alle prime due questioni vertono su due aspetti. In primo luogo sul carattere dell’IPA (più elevata) come imposta indiretta e in secondo luogo sulle conseguenze che ne derivano per l’interpretazione e l’applicazione degli artt. 27 e 33 della sesta direttiva.

34.      Gli argomenti delle ricorrenti nel procedimento principale possono riassumersi come segue:

–le prime due questioni riguarderebbero soltanto l’aliquota più elevata di IPA e non l’aliquota base. L’aliquota più elevata di IPA è stata introdotta per le assicurazioni direttamente collegate a forniture di beni soggette ad IVA ed era intesa a prevenire l’elusione della medesima. Dato che siffatto obiettivo non ha avuto alcun ruolo nell’introduzione dell’aliquota di base, le prime due questioni non si riferirebbero a quest’ultima;

–dato che l’aliquota più elevata dell’imposta sul premio assicurativo e l’IVA sui contratti di servizio collegati alla fornitura di elettrodomestici costituiscono insieme un tutto inseparabile e dato che entrambe le imposte possono essere scambiate tra loro, l’aliquota più elevata di IPA deve essere considerata come un’imposta sulla cifra di affari, vietata a norma dell’art. 33 della sesta direttiva;

–l’aliquota più elevata dell’imposta sul premio assicurativo, nel contesto particolare in cui si applica, avrebbe virtualmente tutte le caratteristiche dell’imposta sul valore aggiunto: l’imposta sarebbe proporzionale al prezzo di beni e di servizi e sarebbe sopportata in definitiva dal consumatore. La caratteristica che l’IVA viene riscossa in ogni fase del processo produttivo e distributivo ed è calcolata previa detrazione del valore aggiunto sarebbe nel caso meno rilevante in quanto la catena, senza aver riguardo alle riassicurazioni, avrebbe un solo anello, ossia la transazione tra l’assicuratore e l’assicurato. Sebbene l’IVA trovi applicazione generale per le transazioni riguardanti beni e servizi e l’aliquota più elevata di IPA si applichi soltanto a talune transazioni economiche, la complementarietà tra IVA e aliquota più elevata di IPA si traduce in un’imposta generale che colpisce tutte le transazioni relative agli elettrodomestici, a cui si applica anche l’IVA;

–l’obiettivo dell’art. 33 è quello di prevenire l’introduzione di imposte e tasse che, gravando sul libero scambio di beni e servizi in modo analogo ad un’imposta sulla cifra d’affari, mettono in pericolo l’efficacia del sistema comunitario di IVA. Il fatto che l’effetto della disposizione – l’art. 13 B, lett. a) – della sesta direttiva, che esclude da IVA le assicurazioni, venga vanificato basta a mostrare la distorsione del sistema comunitario di IVA;

–per l’introduzione dell’aliquota più elevata di IPA, un provvedimento che sarebbe volto a prevenire un’elusione dell’IVA, la sesta direttiva prevede la procedura di autorizzazione contemplata dall’art. 27. Considerato che il governo del Regno Unito non ha chiesto siffatta autorizzazione e pertanto non può averla ottenuta, l’introduzione dell’aliquota più elevata di IPA si pone in contrasto con l’art. 27 della sesta direttiva.

35.      Il governo del Regno Unito e la Commissione assumono una posizione identica, a prescindere da alcune sfumature:

–l’IPA, sia l’aliquota di base sia l’aliquota più elevata, non può considerarsi come imposta sulla cifra d’affari che potrebbe porsi in contrasto con l’art. 33 della sesta direttiva;

–l’IPA non possiede infatti talune caratteristiche essenziali, precisate dalla giurisprudenza della Corte. Questa imposta non si applica generalmente alle transazioni riguardanti beni e servizi, né viene riscossa in ogni fase del processo produttivo e distributivo. Essa colpisce soltanto i contratti di assicurazione e viene riscossa soltanto una volta;

–l’art. 33 della sesta direttiva consente esplicitamente agli Stati membri di introdurre o di mantenere imposte sui contratti assicurativi, sempre che queste non abbiano il carattere di un’imposta sulla cifra di affari. Siffatto carattere non sussiste nel caso in esame;

–se l’IPA non è un’imposta sulla cifra d’affari, la sua imposizione non è contraria all’esenzione dall’IVA per le assicurazioni, prevista dall’art. 13 B della sesta direttiva. Ne consegue che non è richiesta per la medesima una previa autorizzazione, ai sensi dell’art. 27, n. 1, di siffatta direttiva, disposizione che si applica esclusivamente all’imposizione di IVA;

–la tesi delle ricorrenti nel procedimento principale, secondo cui la prima questione riguarderebbe solo l’aliquota più elevata di IPA, non può essere accolta. Non si può affermare che per una stessa imposta un’aliquota sia in contrasto con la direttiva e un’altra aliquota non lo sia.

Valutazione

36.      Come il governo del Regno Unito e la Commissione, preferisco risolvere prima la seconda questione, la cui soluzione incide su quella della prima questione.

Art. 33 sesta direttiva: il carattere giuridico dell’IPA

37.      Per cominciare osservo che non posso condividere la tesi delle ricorrenti, secondo cui le questioni riguarderebbero soltanto l’aliquota più elevata dell’IPA.

38.      Sebbene di per sé si possa affermare che le questioni nel procedimento principale siano state sollevate soprattutto con riguardo all’aliquota più elevata, e sebbene il governo britannico e le ricorrenti concordino sulla circostanza che siffatta aliquota più elevata mirasse specificamente a contrastare l’evasione dell’IVA relativamente a contratti di servizio – impostati come contratti assicurativi – accessori a contratti di locazione e di vendita di elettrodomestici, l’imposta in esame è caratterizzata da due aliquote diverse. Ne consegue che, ove si esamini l’IPA alla luce dell’art. 33 della sesta direttiva, siffatta imposta deve essere esaminata nella sua totalità, in tutte le sue caratteristiche. In quest’ottica sono ipotizzabili solo due conclusioni: o l’imposta sul premio assicurativo è un’IVA dissimulata, e pertanto in contrasto con la sesta direttiva, oppure non ha le caratteristiche dell’IVA ed è quindi legittima. Entrambe le conclusioni valgono sia per l’aliquota base sia per quella più elevata.

39.      La questione se l’IPA vada considerata come imposta sulla cifra di affari deve essere risolta alla luce dell’obiettivo dell’art. 33 della sesta direttiva.

40.      In merito la Corte ha ripetutamente dichiarato che siffatto articolo si propone d’impedire che il funzionamento del sistema comune dell’ IVA sia leso dall’introduzione di imposte, diritti e tasse che gravino sulla circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello che caratterizza l’IVA  (4) . Ciò avviene senz’altro ove siffatti provvedimenti fiscali presentino le caratteristiche essenziali dell’IVA  (5) . L’art. 33 lascia pertanto esplicitamente liberi gli Stati membri di istituire determinati tributi – come le imposte sui contratti assicurativi, esplicitamente menzionate in questa disposizione – a condizione che essi non presentino le caratteristiche essenziali dell’IVA  (6) .

41.      Le caratteristiche essenziali dell’IVA possono riassumersi come segue: un’imposta che trova applicazione generale per le transazioni relative a beni e servizi, riscossa in ogni fase del processo produttivo e distributivo, rigorosamente proporzionale al prezzo dei beni e servizi su cui grava e calcolata sul valore aggiunto, previa detrazione di quella che è stata versata all’atto della precedente operazione.

42.      Con riguardo all’IPA è accertato che essa è proporzionale al prezzo dei servizi colpiti e che grava sul consumatore finale. Essa non si applica tuttavia genericamente alle transazioni relative a beni e servizi, ma soltanto ad un servizio specifico, vale a dire la prestazione di assicurazioni. Argomenti fondati sull’applicabilità di questa imposta all’intero territorio del Regno Unito o alla rilevanza economica del settore assicurativo nulla tolgono alla constatazione che l’IPA non è un’imposta generica sui consumi. Già solo per questo motivo si può stabilire che essa non è un’imposta sul valore aggiunto, a norma dell’art. 33 della sesta direttiva.

43.      All’IPA mancano anche talune altre caratteristiche proprie del sistema dell’IVA. Essa, ad esempio, non viene riscossa in ogni fase del processo produttivo e distributivo, come avviene per l’IVA, né grava sul valore aggiunto; l’IPA colpisce infatti solo una volta il premio assicurativo, al momento della stipulazione del contratto di assicurazione. Logicamente non può sussistere neppure alcun diritto a detrazione.

44.      Le ricorrenti nel procedimento principale hanno cercato di sostenere che l’IPA debba comunque essere assimilata all’IVA in quanto, se quest’ultima colpisse le assicurazioni, anch’essa potrebbe essere riscossa soltanto ad un certo livello della catena, ossia al momento della stipulazione del servizio assicurativo. Questo argomento non può essere accolto, in quanto confonde le caratteristiche giuridiche dell’IVA – che prevedono un’imposta sul valore aggiunto ad ogni livello della catena di produzione – con le caratteristiche di una determinata catena, che nel caso di specie presenta un solo anello. A mio avviso giustamente la Commissione fa rilevare che la tesi delle ricorrenti implica che tutte le imposte sulle assicurazioni gravanti su un solo stadio dovrebbero allora essere considerate come imposte sul valore aggiunto.

45.      Considerato che l’IPA come sistema non possiede le caratteristiche di un’imposta sul valore aggiunto, questa imposta sulle assicurazioni – come tale espressamente consentita dall’art. 33 della sesta direttiva – non osta in generale all’applicazione del regime dell’IVA. L’art. 33 non rappresenta pertanto un ostacolo all’applicazione dell’IPA.

L’applicabilità dell’art. 27 della sesta direttiva

46.      Con la prima questione il giudice del rinvio intende accertare se, al fine di introdurre l’aliquota più elevata di IPA, avrebbe dovuto essere seguita la procedura prevista dall’art. 27.

47.      L’art. 27 prevede la possibilità per gli Stati membri di introdurre, previa autorizzazione del Consiglio, misure di deroga alla direttiva allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali. Le ricorrenti affermano che l’aliquota più elevata di IPA costituisce una siffatta misura di deroga alla direttiva, e segnatamente al suo art. 13 B, in quanto, per talune prestazioni di servizi assicurativi, ossia per quelle a cui si applica l’aliquota più elevata, avrebbe l’effetto di annullare l’esenzione dall’IVA ivi prevista per i contratti assicurativi.

48.      Già dalla risoluzione della seconda questione consegue che non condivido siffatta tesi. Se l’IPA (o la sua aliquota più elevata) non è un’imposta sul valore aggiunto, la sua imposizione non è in contrasto con l’esenzione dall’IVA per i servizi assicurativi. Essa pertanto non deve essere considerata come una misura di deroga.

49.      Ad abundantiam osservo che, sebbene i servizi di assicurazione siano esenti da IVA, essi non sono sottratti ad altre imposte indirette. Gli Stati membri sono liberi di introdurre le loro imposte indirette per i servizi assicurativi. Questo, come rilevato nella precedente questione, è espressamente previsto dall’art. 33 della sesta direttiva. Ciò non è loro consentito soltanto ove si tratti di un’imposta sul valore aggiunto. La libertà loro conferita di assoggettare ad imposte i contratti di assicurazione implica che gli Stati membri hanno anche la facoltà di applicare aliquote differenziate per siffatte imposte, ovviamente nei limiti in cui ciò non si ponga in contrasto con le disposizioni del Trattato CE sulla libera circolazione o costituisca un aiuto di Stato vietato. Non cambia nulla al riguardo la circostanza che, nel caso di specie, l’aliquota più elevata dell’IPA coincida con l’aliquota dell’IVA. In altri termini, non vedo alcun motivo per cui il Regno Unito non potrebbe introdurre una differenziazione al fine di abolire una distorsione prodottasi nel suo mercato interno.

50.      Le ricorrenti hanno anche fatto riferimento alle sentenze Belgio I (7) e II  (8) . I fatti posti a fondamento di queste cause sono tuttavia molto diversi da quelli della causa in esame. Nella prima causa, il Belgio calcolava l’IVA considerando come base imponibile il prezzo di listino delle autovetture nuove invece che il prezzo realmente convenuto. La Corte ha dichiarato un siffatto metodo in contrasto con la sesta direttiva. Il legislatore belga ha successivamente modificato la normativa, adottando peraltro una normativa complementare volta a disciplinare il regime fiscale in modo tale da farlo rimanere, in realtà, tale come era in precedenza. Siffatto obiettivo veniva realizzato osservando un determinato meccanismo di correzione. Nelle note esplicative alla normativa si riconosceva esplicitamente che si trattava di un provvedimento correttivo, conseguente alla sentenza della Corte, e che esisteva un rapporto indissolubile tra l’imposizione dell’IVA e quella dell’imposta di immatricolazione. Nella sentenza Belgio II la Corte ha quindi dichiarato che l’imposta di immatricolazione e l’imposizione di IVA erano strettamente interdipendenti. Nel caso di specie il regime fiscale dell’IPA è del tutto indipendente da quello dell’IVA. Nulla cambia a questa constastazione il fatto che l’aliquota più elevata sia stata introdotta per contrastare talune forme di elusione fiscale.

V – Questioni relative all’aiuto di Stato

Osservazioni preliminari

51.      Nelle osservazioni scritte, sia il governo del Regno Unito sia la Commissione hanno ribadito di dubitare che i fatti posti a fondamento del procedimento principale sostanzino un caso di aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 87, paragrafo 1, CE.

52.      Un esame approfondito dell’ordinanza di rinvio, e segnatamente degli argomenti ricavati dal giudice del rinvio dalla sentenza della Court of Appeal nella causa R/Commissioners of Customs and Excise, ex parte Lunn Poly Limited, cit. al paragrafo 8 delle presenti conclusioni, mi convince che siffatto dubbio rende necessaria un’ulteriore analisi.

53.      Ove infatti emergesse che i fatti in esame giustificano la conclusione che non sussiste alcun aiuto di Stato, le questioni sollevate nella presente causa assumerebbero un carattere piuttosto ipotetico, per cui occorrerebbe chiedersi se esse siano allora ricevibili.

54.      In prosieguo approfondirò per cominciare astrattamente il rapporto reciproco tra gli artt. 96 CE e 97 CE, da un lato, e gli artt. 87 CE e 88 CE, dall’altro, che hanno in comune l’obiettivo di eliminare possibili distorsioni nel mercato comune. Mi spinge a farlo una tesi della Commissione, da essa presentata prima delle sue osservazioni relative alla quinta questione.

55.      Secondo la Commissione esisterebbero due tipi di aiuti:

–l’«aiuto classico», consistente in un vantaggio specifico o in una specifica deroga fiscale. Il rimedio classicamente previsto in termini di «annullamento del vantaggio» è la restituzione dell’aiuto concesso, aumentato degli interessi, richiesta al beneficiario dallo Stato membro interessato. Un’alternativa, benché non molto ovvia per motivi di budget, è la generalizzazione dell’aiuto;

–il «secondo» tipo di aiuto, con cui viene imposto un onere fiscale particolare ad una parte di un settore. L’annullamento di quest’ultimo avviene tramite abolizione dell’onere fiscale particolare. A questo riguardo potrebbe optarsi per il rimborso all’impresa interessata dell’onere fiscale corrisposto, al fine di ripristinare la sua competitività con altre imprese non soggette all’onere medesimo. Questa è la soluzione proposta dalle ricorrenti. Si potrebbe tuttavia anche scegliere di generalizzare l’onere specifico e pertanto di chiederne il pagamento a tutti i beneficiari.

56.      La Commissione aggiunge che esistono due opzioni con riguardo al secondo tipo di «aiuto». La Corte può negare in linea di principio per tutti i casi la possibilità dell’ultima soluzione, come avrebbe fatto nella sentenza Banks  (9) . È anche possibile lasciare aperta una siffatta soluzione, un approccio che sarebbe la conseguenza logica della prima parte della sentenza Ferring  (10) .

57.      Come spiegherò in prosieguo, la Commissione a mio avviso presume troppo facilmente che i casi che essa stessa qualifica come «il secondo tipo di aiuti» siano sempre aiuti di Stato, ai sensi dell’art. 87 CE. Così facendo si conferisce all’art. 87 CE una portata materiale più ampia di quanto permetta la sistematica del trattato.

In merito alle distorsioni

58.      Nelle negoziazioni precedenti l’adozione del Trattato CEE, la nozione economica di «distorsione» è stata lungamente discussa, come emerge dalla cosiddetta Relazione Spaak, di cui la Commissione ha allegato un estratto alle sue osservazioni scritte.

59.      Nel merito, le discussioni su questa nozione erano imperniate sulle potenziali ripercussioni che la formazione di un mercato comune avrebbe avuto sulle economie nazionali e sulla politica economica nazionale.

60.      Con l’abolizione dei confini interni gli Stati membri avrebbero perso anche una parte degli strumenti a loro disposizione con cui sino a quel momento potevano porre rimedio a squilibri nei rapporti economici transfrontalieri.

61.      Siffatti squilibri potevano sussistere a livelli differenti tra le diverse economie. A livello macroeconomico, le c.d. distorsioni globali si manifestano ad esempio in un livello eccessivo del costo della manodopera e dei prezzi, che si traduce in un deficit strutturale sul conto corrente della bilancia dei pagamenti e in un aumento della disoccupazione. Se invece avviene il contrario, si produce un notevole eccesso sul conto corrente, con una conseguente tensione del mercato del lavoro e la minaccia di inflazione.

62.      Per porre rimedio a siffatte distorsioni globali gli Stati membri in un mercato comune devono avvalersi in linea di principio dei loro strumenti di politica macroeconomica e, sino all’attuazione dell’UEM, di loro strumenti di politica monetaria. I relativi poteri comunitari avevano soprattutto il carattere di un – modesto – coordinamento ed erano previsti dagli artt. 103-109 del Trattato CEE. Attualmente siffatti poteri sono stati in gran parte sostituiti, per quanto riguarda la politica economica (finanziaria), dagli artt. 99 CE e 104 CE, e, per quanto riguarda la politica monetaria uniformata all’interno dell’UEM, dagli artt. 105-111 CE.

63.      L’abolizione dei confini economici interni ha avuto anche la conseguenza che a livello medioeconomico, soprattutto di settore, potessero prodursi taluni squilibri, per lo più riconducibili a disparità nella normativa (o nei sistemi giuridici). Ad esempio, un regime fiscale che nel paese A grava in modo relativamente pesante sul fattore lavoro e nel paese B grava, invece, in proporzione, maggiormente sul fattore capitale potrà avere ripercussioni significative sui rapporti della concorrenza all’interno del mercato comune. Siffatte distorsioni generiche – che in linea di principio possono derivare da tutti gli interventi pubblici che colpiscono il comportamento di mercato delle imprese – alla lunga possono turbare gravemente i processi di allocazione sul mercato comune (il «funzionamento del mercato comune»). È anche in quest’ottica che all’art. 100 dell’originario Trattato CEE è prevista la possibilità di armonizzare le normative. Non è stato solo l’uso dello strumento di armonizzazione a causare un’innegabile convergenza delle normative socio-economiche, economiche e fiscali nell’ambito del mercato comune. Vi sono alla base anche iniziative autonome dei legislatori nazionali. Questa convergenza «spontanea» si riscontra soprattutto nel settore delle imposte dirette, in cui la Comunità ha potuto attivare la sua competenza solo con difficoltà.

64.      Infine tra le economie nazionali e all’interno delle medesime possono ancora rilevarsi squilibri a livello subsettoriale: le c.d. distorsioni specifiche. Queste derivano da interventi statali specifici, che pongono oneri particolari a carico di determinate produzioni o imprese, oppure che prevedono per esse talune agevolazioni. Per quanto riguarda gli oneri particolari, si tratta spesso di interventi statali noti alle scienze politiche moderne come le c.d. imposizioni fiscali specifiche, volte a influenzare il comportamento, sempre più frequenti nella politica ambientale e in quella di assetto territoriale. Esse costituiscono in un certo senso l’immagine speculare di agevolazioni o aiuti specifici, volti ad influenzare il comportamento degli operatori del mercato tramite incentivi invece che tramite misure di scoraggiamento.

65.      Per le distorsioni specifiche, l’originale Trattato CEE prevedeva due strumenti. Con riguardo alle distorsioni specifiche conseguenti a provvedimenti pubblici «di imposizione» (fermo restando che il termine va qui inteso in senso più lato rispetto ad un’imposizione finanziaria, in quanto anche specifici requisiti ambientali possono essere molto «onerosi») si applicava il meccanismo previsto dagli artt. 101 e 102 del Trattato CEE (attualmente divenuti artt. 96 CE e 97 CE). Per distorsioni derivanti da «provvedimenti di aiuto», ossia per quelle riconducibili allo strumento politico specifico dell’«aiuto di Stato», gli artt. 92, 93 e 94 del Trattato CEE (attualmente divenuti artt. 87 CE, 88 CE e 89 CE) conferivano alla Comunità un potere particolare, caratterizzato da una facoltà normativa più incisiva, da un meccanismo di controllo molto più pesante e da facoltà di esecuzione e di controllo per la Commissione formulate in termini molto ampi.

66.      Le notevoli differenze tra il meccanismo previsto dagli artt. 96 CE e 97 CE, da un lato, e quello previsto dagli artt. 87-89 CE, dall’altro, determinano una prassi di applicazione diametralmente opposta. Le prime disposizioni non sono state mai applicate, o lo sono state solo in misura molto ridotta, mentre le seconde costituiscono la base di una prassi molto diffusa e di una giurisprudenza della Corte che ancora oggi continua a svilupparsi e a perfezionarsi.

67.      Ciò non toglie, tuttavia, che dal punto di vista della storia e della sistematica del Trattato gli artt. 87-89 CE, grazie al carattere particolare dello strumento di intervento – ossia i provvedimenti di aiuto – siano qualificati come leges speciales rispetto alle leges generales di cui agli artt. 96 CE e 97 CE. Ciò consiglierebbe una certa prudenza nel qualificare subito come aiuto una differenza negli oneri derivante dall’imposizione di un onere specifico ad una determinata attività economica a livello subsettoriale.

Onere specifico o aiuto di Stato?

68.      Le distorsioni specifiche sono di norma conseguenza di una deroga ad un regime generale, limitata ratione materiae o personae. Siffatta deroga ha il carattere o di un onere particolare o di un’agevolazione particolare, esprimibile in denaro, posta direttamente o indirettamente a carico dello Stato.

69.      Di norma siffatti provvedimenti particolari tendono ad influenzare in un certo modo il comportamento degli operatori di mercato. Ne consegue che le distorsioni che ne derivano non devono necessariamente essere valutate negativamente.

70.      Un onere selettivo imposto sulle automobili senza catalizzatore determina una distorsione nei rapporti di concorrenza sul relativo mercato, volta a influenzare negativamente la produzione e il commercio di queste automobili. Una siffatta distorsione può trovare la sua giustificazione in obiettivi di politica ambientale. Per contro, anche un provvedimento di aiuto specifico, ad esempio a favore di determinati investimenti nelle regioni più svantaggiate, provoca una distorsione a svantaggio di regioni più ricche. Questa specifica distorsione è giustificata da obiettivi di politica regionale-economica ben consolidati.

71.      Dal testo degli artt. 87 CE e 96 CE emerge che le distorsioni specifiche sul mercato comune non sono inammissibili in quanto tali. L’art. 96 CE conferisce implicitamente alla Commissione un certo margine di discrezionalità per decidere se intervenire o meno avverso una distorsione specifica: «e provoca, per tal motivo, una distorsione che deve essere eliminata». I nn. 2 e 3 dell’art. 87 CE prevedono una serie di deroghe obbligatorie o discrezionali alla norma generale di divieto, contenuta nel n. 1 dell’articolo stesso.

72.      La grossa differenza nelle ripercussioni giuridiche che il Trattato CE prevede per le distorsioni derivanti da oneri particolari e quelle derivanti da provvedimenti di aiuto, costringe ad una precisa delimitazione dei due tipi.

73.      A questo fine occorre sempre ricercare un punto di riferimento nella «fonte» specifica della distorsione: si tratta di un onere o di un aiuto? La base concettuale secondo cui una distorsione determinata da un onere specifico possa essere considerata come un aiuto, per gli operatori economici che continuano a rientrare nell’ambito di applicazione della norma generica, è inesatta in linea di principio, per motivi sia giuridico-economici che politici.

74.      Per motivi giuridici in quanto un regime generale, non costituente un aiuto, solo perché introduce un’ulteriore selezione ratione materiae o ratione personae, diverrebbe comunque un aiuto, di cui si avvantaggiano gli operatori di mercato che continuano a rientrare nell’ambito del regime generico. In questo modo da un lato si estende la portata materiale del divieto di aiuto ben oltre i limiti perseguiti dagli autori del Trattato, dall’altro si riduce il campo di applicazione degli artt. 96 e 97 CE.

75.      Anche dal punto di vista economico la riqualificazione di un provvedimento nazionale, generico per sua natura e portata, come aiuto, avrebbe conseguenze inopportune, in quanto potrebbe determinare che il livello degli oneri per gli operatori del mercato rientranti nel regime generico debba essere riportato ex tunc al livello gravante sugli operatori colpiti dal regime specifico. Siffatto mutamento generico del livello degli oneri per un grosso gruppo di operatori di mercato o per categorie settoriali descritte genericamente può essere inopportuno dal punto di vista economico. Inoltre, un siffatto adattamento per un provvedimento generico erroneamente qualificato come aiuto provocherà quasi inevitabilmente nuove distorsioni generiche sul mercato comune. Così si cade dalla padella nella brace.

76.      Dal punto di vista politico questo scambio di etichette può avere la conseguenza di limitare le possibilità esistenti per gli Stati membri di mantenere l’imposizione selettiva come strumento politico, anche ove siffatto mantenimento fosse del tutto giustificato e non avrebbe mai potuto provocare l’applicazione degli artt. 96 e 97 CE. Per tornare all’esempio dato al paragrafo 70: qualora l’imposizione selettiva sulle automobili inquinanti ivi citata costituisse un aiuto per la produzione e il commercio di automobili più ecologiche, con la conseguenza che l’imposta – inferiore – gravante su queste ultime dovesse essere portata al livello delle automobili più inquinanti, si toglierebbe allo Stato membro uno strumento politico ad esso necessario per un obiettivo politico generalmente accettato. Le conseguenze di questo risultato opposto sono potenzialmente ancora più gravi, in quanto, qualificando come aiuto l’aliquota generica inferiore citata in questo esempio, lo Stato membro interessato perderebbe competenze ad esso spettanti in virtù del Trattato.

77.      Questa interpretazione porta a concludere che una distorsione specifica derivante da un onere particolare non deve mai essere considerata come un aiuto a favore degli operatori rientranti nel regime generico. Da questa conclusione derivano altre due conseguenze più specifiche: qualora la relativa distorsione dovesse essere abolita nell’interesse del mercato comune, la Comunità dovrà eliminare la fonte di quella distorsione – l’onere particolare; a tal fine essa deve avvalersi delle competenze conferitele dagli artt. 96 CE e 97 CE e non può utilizzare le facoltà che le spettano a norma degli artt. 87 CE e 88 CE.

I fatti del procedimento principale

78.      L’applicazione del ragionamento sopra esposto ai fatti del procedimento principale, come riportati ai paragrafi 24-32, porta alla seguente conclusione.

79.      L’introduzione dell’IPA nel 1994, ad un’aliquota di applicazione generale del 2,5%, successivamente aumentata al 4 e al 5%, va qualificata come un provvedimento (fiscale) generico, gravante in linea di principio su tutti i contratti di assicurazione.

80.      Sulla fornitura di altri beni e servizi grava l’IVA generale, con un’aliquota del 17,5%. La differenza nel tasso di imposizione tra l’IPA e IVA rendeva attraente presentare la fornitura di determinati servizi come prestazione coperta da un contratto assicurativo.

81.      Sul mercato degli elettrodomestici, ciò ha avuto la conseguenza che i fornitori hanno cominciato a presentare i contratti di manutenzione accessori ai loro contratti di locazione e di vendita come contratti assicurativi, stipulati con compagnie di assicurazione ad essi collegate.

82.      Ciò aveva ripercussioni di duplice natura. In primo luogo i normali contratti di manutenzione sono quasi del tutto scomparsi, con l’ulteriore conseguenza che l’erario britannico ha perso l’IVA su essi gravante. In secondo luogo, in questo settore del mercato delle assicurazioni i c.d. contratti assicurativi diretti – in cui il consumatore assicurato stipula direttamente un contratto con un assicuratore – sono stati in maggioranza sostituiti dai contratti collegati, in cui il fornitore dell’elettrodomestico funge da intermediario.

83.      Siffatto slittamento nei rapporti di concorrenza deve attribuirsi direttamente alla disparità tra il livello dell’aliquota dell’IPA e quello del’IVA, di cui potevano avvalersi i fornitori che prestavano servizi accessori alla prestazione principale, presentando questi servizi come contratti di assicurazione.

84.      L’aliquota più elevata di IPA va considerata come un provvedimento fiscale specifico, strettamente limitato ratione materiae a determinati tipi di contratti assicurativi. Per portata ed effetto essa può qualificarsi come un’imposizione disciplinante, comportante un disincentivo specifico per la stipulazione di siffatti contratti. Sui rapporti di mercato l’aliquota ha sortito l’effetto desiderato: i classici contratti di servizio, soggetti ad IVA, hanno fatto la loro ricomparsa, mentre sul mercato dei contratti di assicurazione accessori – nel frattempo ridotto – è nuovamente aumentata la quota delle c.d. assicurazioni dirette.

85.      Questo intervento, come risulta dalla soluzione che ho proposto per le prime due questioni, non era contrario alla sesta direttiva. Per contro, fintantoché il Consiglio non adotta, su proposta della Commissione, provvedimenti a norma degli artt. 96 CE o 97 CE, esso dev’essere considerato legittimo. L’inerzia della Commissione indica che l’eventuale distorsione nel commercio tra gli Stati, derivante da questo specifico provvedimento fiscale, non viene considerata tanto grave da richiedere l’adozione di misure per contrastarla.

86.      Da quanto sopra esposto deriva che questo specifico provvedimento fiscale non può costituire in nessun caso un aiuto, con la relativa possibile conseguenza che il governo britannico debba abolire ex tunc questo specifico provvedimento, adottato legittimamente e giustificato quanto al suo scopo.

87.      Da quanto precede consegue anche che l’eventuale rimedio previsto dagli artt. 96 CE e 97 CE deve colpire la causa della distorsione specifica, ossia il provvedimento fiscale specifico stesso, e non l’aliquota base IPA generica, di cui l’aliquota più elevata costituisce una deroga specifica.

88.      Ciò mi porta a concludere che, nel contesto dei fatti posti a fondamento del procedimento principale, debba escludersi l’applicabilità degli artt. 87 CE e 88 CE. Pertanto le questioni 3, 4 e 5 del VAT and Duties Tribunal si fondano su un’interpretazione manifestamente inesatta del diritto comunitario.

89.      Considerato quanto sopra, non occorre risolvere le questioni 3, 4 e 5.

VI – Conclusione

90.      Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere come segue le questioni proposte dal VAT and Duties Tribunal:

«–la questione 2: l’art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto; base imponibile uniforme, non osta all’introduzione di un’imposta sui premi assicurativi che sia calcolata con riferimento ai servizi prestati, sia proporzionale al prezzo di questi ultimi, sia sopportata dal consumatore nella fase finale di vendita, venga trasferita al consumatore finale nella maniera tipica dell’imposta sul valore aggiunto, sicché l’onere dell’imposta grava sul consumatore finale, si applichi in tutto il territorio del Regno Unito e, tuttavia, non si applichi in modo generico a tutte le transazioni relative ai beni e ai servizi;

–la questione 1: per l’introduzione di un aliquota più elevata sui premi assicurativi, compatibile con l’art. 33 della sesta direttiva, non è richiesta autorizzazione preventiva del Consiglio, a norma dell’art. 27 della citata direttiva;

–le questioni 3, 4 e 5: non occorre risolvere tali questioni, in quanto non si può ammettere che un provvedimento fiscale specifico, che introduce un’aliquota fiscale più elevata limitata ratione materiae, costituisca un aiuto ai sensi degli artt. 87 CE e 88 CE».


1 – Lingua originale: l'olandese.


2 – GU L 145, pag. 1.


3 – Dall’ordinanza di rinvio emerge che nel 1968 il 67,5% degli apparecchi televisivi nel Regno Unito veniva noleggiato, mentre nel 1998 lo era solo l’8,1% dei medesimi. La relativa percentuale per i videoregistratori era del 69,6% nel 1979, ma solo del 4,4% nel 1998.


4 – V. sentenza 27 novembre 1985, causa 295/84, Rousseau Wilmot (Racc. pag. 3759).


5 – V. sentenza 31 marzo 1992, causa C-200/90, Dansk Denkavit e Poulsen Trading (Racc. pag. I-2217).


6 – V., anche, sentenze 17 settembre 1997, causa C-130/96, Solisnor-Estaleiros Navais (Racc. pag. I-5053), e 9 marzo 2000, causa C-437/97, EWK e Wein & Co. (Racc. pag. I-1157).


7 – Sentenza 10 aprile 1984, causa 324/82, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1861).


8 – Sentenza 4 febbraio 1988, causa 391/85, Commissione/Belgio (Racc. pag. 579).


9 – Sentenza 20 settembre 2001, causa C-390/98, Banks (Racc.pag. I-6117).


10 – Sentenza 22 novembre 2001, causa C-53/00, Ferring (Racc. pag. I-9067).