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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
JACOBS
presentate il 23 ottobre 2003(1)


Causa C-90/02



Finanzamt Gummersbach
contro
Gerhard Bockemühl



«»






1.        Nel presente procedimento il Bundesfinanzhof tedesco (Corte suprema federale in materia tributaria) chiede indicazioni in merito all’interpretazione della sesta direttiva IVA (in prosieguo: la «direttiva» o la «sesta direttiva») (2) . In primo luogo, si vuole determinare se il destinatario di una prestazione di servizi, il quale sia anche debitore dell’IVA corrispondente, possa esercitare il diritto a deduzione soltanto se in possesso di una fattura redatta a norma della direttiva stessa. In caso di soluzione positiva della prima questione, ci si chiede quali siano le informazioni che devono obbligatoriamente figurare sulla fattura e, in particolare, se vadano indicati l’importo dell’IVA, l’identità e l’indirizzo del prestatore di servizi e, ancora, se una descrizione erronea dell’oggetto della prestazione imponibile possa costituire un vizio. Infine, ci si interroga sulle conseguenze giuridiche derivanti dall’impossibilità di determinare con certezza se il fatturante e il soggetto che ha materialmente eseguito la prestazione fatturata siano la medesima persona.

Fatti e contesto normativo

Il sistema comunitario dell’IVA

2.        Il principio fondante del sistema dell’IVA è enunciato cosí all’art. 2 della prima direttiva IVA  (3) :

«Il principio del sistema comune di imposta sul valore aggiunto consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione.

A ciascuna transazione, l’imposta sul valore aggiunto, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al suddetto bene o servizio, è esigibile, previa deduzione dell’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo».

3.        Il sistema prevede dunque che in una serie di operazioni concatenate ognuna di esse è gravata da un’imposta netta pari a una specifica percentuale del valore aggiunto in quella specifica fase. Alla fine della catena e cioè allo stadio finale del consumo al minuto, l’imposta esatta complessivamente corrisponderà a una specifica percentuale del prezzo finale.

4.        La sesta direttiva disciplina il sistema in maniera molto particolareggiata, pur delegando taluni aspetti agli Stati membri. Ai sensi del suo art. 2, sono soggette all’imposta sul valore aggiunto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale, con talune eccezioni, contemplate da altri articoli, che non rilevano per il caso in esame. L’art. 4, n. 1, definisce il soggetto passivo come chiunque eserciti una attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di questa. Ai sensi degli artt. 5-7, sono operazioni imponibili le cessioni di beni, le prestazioni di servizi o le importazioni.

5.        Le basi del diritto a deduzione sono enunciate all’art. 17 della sesta direttiva. Il soggetto passivo può dedurre dall’IVA di cui è debitore l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le forniture prestategli da un altro soggetto passivo, purché tali forniture siano impiegate ai fini di sue operazioni soggette ad imposta. Il diritto a deduzione nasce quando l’imposta deducibile diventa esigibile. In conformità all’art. 21, il soggetto tenuto a versare l’IVA relativa ad una operazione è generalmente il fornitore, anche se in talune circostanze – quali quelle del caso di specie – può essere il destinatario della prestazione  (4) .

6.        Chiaramente, in un sistema così congegnato è imprescindibile la presenza di un documento da cui risultino il soggetto d’imposta, il pagamento dell’imposta stessa e il diritto a deduzione. Si tratta di aspetti disciplinati in particolare dagli artt. 18 e 22.

7.        Un altro elemento da tenere presente è che l’IVA, ancorché sia ampiamente armonizzata a livello comunitario e costituisca uno dei pilastri delle risorse proprie della Comunità, resta, dal punto di vista nazionale, un’imposta nazionale soggetta ad aliquote diverse nei diversi Stati membri. Nei casi in cui vengano poste in essere operazioni internazionali all’interno della Comunità è dunque essenziale determinare qual è il luogo della prestazione. Per la maggior parte delle prestazioni, di cui fa parte anche quella oggetto del presente procedimento, questo aspetto è disciplinato dall’art. 9 della direttiva anche se, come si vedrà, in questo caso la norma menzionata è rilevante essenzialmente solo in quanto può contribuire indirettamente a determinare quale sia il soggetto tenuto a corrispondere l’imposta.

Esame particolareggiato della normativa comunitaria rilevante

8.        Le principali regole comunitarie applicabili al caso di specie sono gli artt. 9, 17, 18, 21 e 22 della sesta direttiva. La versione applicabile ai fatti oggetto del procedimento principale è quella in vigore nel 1995. Dobbiamo pertanto esaminare il testo quale modificato, in particolare, dalle direttive del Consiglio 91/680/CEE  (5) e 92/111/CEE  (6) . Per quanto riguarda gli artt. 17, n. 2, 18, n. 1, 21, n. 1, e 22, n. 3, il testo rilevante è in effetti quello contenuto – cosa che contribuisce a produrre una certa confusione – negli artt. 28 septies, 28 octies e 28 novies del Titolo XVI bis relativo al «Regime transitorio di tassazione degli scambi tra Stati membri».

Luogo di prestazione di un servizio

9.        Nel Titolo VI della direttiva, relativo al luogo delle operazioni imponibili, l’art. 9 riguarda le prestazioni di servizi. Ai sensi dell’art. 9, n. 1, in linea di massima, il luogo di prestazione di un servizio è il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della sua attività economica o un centro di attività stabile o, in mancanza di ciò, il suo domicilio o la sua residenza stabile. Tuttavia, ai sensi dell’art. 9, n. 2:

«a)il luogo delle prestazioni di servizi relative a un bene immobile (...) è quello dove il bene è situato;

(...)

e)il luogo delle seguenti prestazioni di servizi, rese a destinatari stabiliti fuori della Comunità o a soggetti passivi stabiliti nella Comunità, ma fuori del paese del prestatore, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o ha costituito un centro di attività stabile per il quale si è avuta la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o di tale centro d’attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale:

(...)

–messa a disposizione di personale;

(...)».

Debitori dell’imposta verso l’Erario

10.      L’art. 21 dispone quanto segue:

«L’imposta sul valore aggiunto è dovuta:

1.in regime interno:

a)dai soggetti passivi che eseguono una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, diversa dalle prestazioni di servizi di cui alla lettera b).

Quando la cessione dei beni o la prestazione di servizi imponibile è effettuata da un soggetto passivo non residente all’interno del paese, gli Stati membri possono prendere disposizioni intese a stabilire che l’imposta sia dovuta da una persona diversa. A tale scopo possono in particolare essere designati un rappresentante fiscale o il destinatario della cessione dei beni o della prestazione di servizi.

(...)

b) dal destinatario di un servizio di cui all’articolo 9, paragrafo 2, lettera e) (...); tuttavia, gli Stati membri possono prevedere che il prestatore sia tenuto in solido a pagare l’imposta;

c) da chiunque indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in un altro documento che ne fa le veci;

(...)».

Fatture

11.      Nel disciplinare gli obblighi dei soggetti tenuti a versare l’imposta, l’art. 22, n. 3, dispone, in particolare, quanto segue.

«a) Ogni soggetto passivo deve emettere fattura, o altro documento equivalente, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che effettua per conto di un altro soggetto passivo o di un ente che non è soggetto passivo.(...) Il soggetto passivo deve conservare copia di tutti i documenti rilasciati.

b ) La fattura deve indicare distintamente il prezzo al netto dell’imposta e l’imposta corrispondente per ogni aliquota diversa nonché, se del caso, l’esenzione.

(...) ( (7) )

c) Gli Stati membri stabiliscono i criteri secondo i quali un documento può essere considerato equivalente ad una fattura».

12.      Va menzionato il fatto che, successivamente all’epoca dei fatti di causa, la direttiva 2001/115/CE  (8) ha modificato l’art. 22, n. 3, lett. b), per includervi un elenco lungo e tassativo delle indicazioni che devono figurare nella fattura, abrogando l’art. 22, n. 3, lett. c). Il nuovo testo specifica che:

«Salve le disposizioni speciali previste dalla presente direttiva, nelle fatture emesse a norma della lettera a), primo, secondo e terzo comma sono obbligatorie ai fini dell’imposta sul valore aggiunto soltanto le indicazioni seguenti».

13.      Tra le varie indicazioni, l’elenco menziona anche:

«il numero di identificazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (...) sotto il quale il soggetto passivo ha effettuato la cessione di beni o la prestazione di servizi»,

«nome e indirizzo completo del soggetto passivo e del suo cliente»,

«(...) entità e natura dei servizi resi»,

«importo dell’imposta da pagare, tranne in caso di applicazione di un regime specifico per il quale la presente direttiva escluda tale indicazione»

«in caso di esenzione o quando il cliente è debitore dell’imposta, il riferimento alla opportuna disposizione della presente direttiva, alla disposizione nazionale corrispondente o ad altre informazioni che indichino che la cessione è esonerata o soggetta alla procedura di “reverse charge”».

14.      L’art. 22, n. 8, della sesta direttiva dispone quanto segue:

«Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire, subordinatamente al rispetto del principio della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».

15.      Successivamente all’epoca dei fatti, la direttiva 2001/115 ha aggiunto all’art. 22, n. 8, un secondo comma cosí formulato: «Gli Stati membri non possono avvalersi della facoltà di cui al primo comma per imporre obblighi supplementari rispetto a quelli previsti al paragrafo 3».

Diritto a deduzione

16.      L’art. 17, relativo a «origine e portata del diritto a deduzione», dispone quanto segue:

«1.     Il diritto a deduzione nasce quando l’imposta deducibile diventa esigibile.

2.        Nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore:

a) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno forniti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo debitore dell’imposta all’interno del paese  (9) ;

(...)».

17.      L’art. 18, n. 1, della direttiva, che precisa le modalità di esercizio del diritto a deduzione, è cosí formulato:

«Per poter esercitare il diritto a deduzione, il soggetto passivo deve:

a)per la deduzione di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), essere in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3;

(...)

d)quando è tenuto al pagamento dell’imposta quale acquirente o destinatario, in caso d’applicazione dell’articolo 21, paragrafo 1, assolvere le formalità fissate da ogni Stato membro;

(...)».

La normativa nazionale applicabile

18.      La Germania ha esercitato la facoltà di cui al secondo comma dell’art. 21, n. 1, lett. a), della sesta direttiva. Ai sensi dell’art. 18 della Umsatzsteuergesetz (legge tedesca relativa all’imposta sulla cifra d’affari) 1993, nel testo in vigore nel 1995, il Ministro federale delle Finanze poteva decidere, a garanzia del versamento dell’imposta, che fosse il destinatario del bene o servizio fornito da un imprenditore stabilito all’estero il soggetto tenuto a versare l’imposta sul valore aggiunto per la specifica operazione imponibile. La normativa di attuazione poteva in particolare prevedere talune altre condizioni, relative in particolare alle modalità di calcolo e di assolvimento dell’imposta dovuta.

19.      Gli artt. 51 e segg. della Umsatzsteuer- Durchführungsverordnung (Normativa di attuazione della legge relativa all’imposta sulla cifra di affari) 1993 (in prosieguo: l’«UStDV 1993») introducevano così un sistema di trattenute.

20.      Ai sensi dell’art. 51 dell’UStDV, il destinatario dell’opera o di altro servizio fornito da un imprenditore stabilito all’estero doveva trattenere l’IVA relativa e versarla all’ufficio imposte competente, anche qualora non fosse assolutamente certo che l’imprenditore fosse realmente stabilito all’estero.

21.      L’art. 52 contemplava alcune deroghe all’obbligo testé menzionato. L’art. 52, n. 2, enunciava la cosiddetta «Nullregelung», un meccanismo in base al quale il destinatario del servizio non era obbligato a trattenere e versare l’imposta nel caso in cui l’imprenditore non rilasciasse una fattura con indicazione separata dell’imposta e nel caso in cui l’indicazione separata avrebbe consentito al destinatario di operare una deduzione integrale anticipata dell’IVA. Nei casi menzionati, a quanto pare, il destinatario era tenuto soltanto a pagare integralmente l’imposta a valle anziché anticipare l’imposta sulle prestazioni per poi dedurla in seguito.

22.      Ad ogni modo, a seguito di obiezioni da parte della Commissione che non riteneva questo sistema di trattenuta d’imposta pienamente conforme al diritto comunitario, il detto sistema veniva abrogato dal 1° gennaio 2002.

Il procedimento principale e le questioni sottoposte alla Corte

23.      Il sig. Gerhard Bockemühl gestisce un’impresa edile che opera in Germania, in particolare, nel settore delle sovrastrutture, per la costruzione di ponti e gallerie. Nel 1995 lavoravano per lui alcuni operai della ditta Jaylink Bau Ltd. Building Contractors. Tale impresa aveva un indirizzo nei Paesi Bassi. Il giudice richiedente osserva che effettivamente una società «offshore» denominata Jaylink Building Contractors risulta iscritta nel registro delle imprese inglesi con sede presso uno studio contabile nel quartiere di Mayfair, in Londra.

24.      Il lavoro eseguito dagli operai veniva fatturato dalla ditta Jaylink Bau Ltd. Building Contractors. Sulle fatture comparivano una partita IVA inglese e un conto corrente bancario tedesco, ma l’importo dell’IVA non veniva indicato. Le fatture contenevano soltanto la menzione «Nullregelung, Paragraf 52 UStDV, as agreed» («pattuita esenzione ex art. 52 dell’UStDV»). Inizialmente, veniva riportato l’indirizzo in Mayfair prima menzionato, mentre in seguito le fatture indicavano un altro indirizzo in Londra.

25.      A seguito di una ispezione della contabilità aziendale il Finanzamt (Ufficio delle imposte di) Gummersbach chiamava il sig. Bockemühl a rispondere del pagamento dell’IVA sulle prestazioni di servizi che gli erano state fornite. Il Finanzamt osservava che sulle fatture non compariva l’importo corrispondente all’imposta e che inoltre il nome e l’indirizzo della ditta che aveva emesso le fatture non erano corretti, di modo che risultava impossibile accertare che l’impresa fatturante coincidesse realmente con l’impresa fornitrice dei servizi. Secondo il Finanzamt il vero prestatore di servizi era una terza impresa sconosciuta, stabilita al di fuori del territorio tedesco. Inoltre, i servizi forniti non erano indicati in maniera appropriata (ci si riferiva, anziché alla fornitura di manodopera, all’opera edificata). Se ne concludeva che il sig. Bockemühl, destinatario dei servizi, era tenuto a pagare l’IVA, pari a 17 219,17 marchi tedeschi (DEM), sulle dette operazioni imponibili.

26.      Dopo un’opposizione rimasta infruttuosa, il sig. Bockemühl presentava ricorso dinanzi al Finanzgericht (Giudice tributario) competente, che accoglieva il ricorso dichiarando che «non sussisteva alcun ragionevole dubbio sul fatto che l’impresa fatturante e l’impresa esecutrice delle prestazioni fossero il medesimo soggetto». Il Finanzamt impugnava la sentenza per cassazione dinanzi al Bundesfinanzhof, giudice del rinvio.

27.      Il Finanzamt sosteneva che, nel dubbio, il sig. Bockemühl avrebbe dovuto trattenere l’IVA sulle prestazioni di servizi ricevute. Per di più, anche se le fatture avessero indicato distintamente l’IVA, egli non avrebbe avuto diritto alla deduzione in quanto il fatturante – o piuttosto il fornitore – dei servizi non era identificabile con chiarezza. Di conseguenza, l’art. 52, n. 2, dell’UStDV non era applicabile e il ricorrente doveva assolvere l’IVA in qualità di destinatario del servizio.

28.      Il Bundesfinanzhof ha rilevato che, secondo la propria costante giurisprudenza, la fattura va emessa anche quando sia applicabile la procedura di cui all’art. 52, n. 2. Inoltre, la detta fattura deve essere emessa dal fornitore, il quale deve descrivere il servizio reso in modo tale da consentire un inquadramento appropriato dell’operazione imponibile e da agevolare gli accertamenti.

29.      Il Bundesfinanzhof ha comunque espresso qualche perplessità in merito all’interpretazione delle prescrizioni della direttiva relative alla fatturazione, nel caso in esame. Per questo motivo esso ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le questioni che seguono:

«1)Se il destinatario di prestazioni di servizi, il quale secondo l’art. 21, n.1, della direttiva 77/388/CEE è debitore d’imposta e come tale è tenuto a versarla, debba essere in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’art. 22, n. 3, della direttiva 77/388/CEE per poter esercitare il diritto alla deduzione dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’art. 18, n. 1, lett. a), della direttiva 77/388/CEE.

2)In caso di soluzione positiva della prima questione, ci si domanda quali dati debbano comparire sulla fattura e se abbia qualche conseguenza negativa l’avere indicato come oggetto della prestazione, anziché l’offerta di personale, l’opera edificata grazie al personale messo a disposizione.

3)Quali conseguenze giuridiche comporti l’impossibilità di stabilire con certezza se sia il fatturante ad avere eseguito la prestazione fatturata».

30.      Hanno presentato osservazioni scritte il governo tedesco e la Commissione. Il Finanzamt, il sig. Bockemühl, il governo tedesco e la Commissione hanno inoltre risposto per iscritto al quesito formulato dalla Corte sul se gli Stati membri possano, ai sensi degli artt. 18, n. 1, lett. d), e 22, n. 3, lett. c), della direttiva derogare a quanto prescritto dagli artt. 18, n. 1, lett. a), e 22, n. 3, lett. b), della medesima. Il Finanzamt, il sig. Bockemühl e la Commissione hanno svolto difese orali nel corso dell’udienza.

Valutazione

Osservazioni preliminari

31.      In primo luogo, gli artt. 51 e segg. della UStDV sono all’evidenza disposizioni di attuazione della direttiva.

32.      Il Bundesfinanzhof riconosce peraltro che le dette disposizioni nazionali non erano pienamente conformi alla normativa comunitaria e sono state perciò abrogate. Non di meno, il giudice del rinvio ritiene che ai fatti oggetto del procedimento principale si applichino la regola della responsabilità del destinatario del servizio e il sistema della «Nullregelung» ex art. 52, n. 2, della UStDV e quindi che sia il destinatario dei servizi il soggetto tenuto a versare l’IVA ai sensi dell’art. 21 della direttiva e colui che può invocare il diritto di esenzione previsto dalla direttiva stessa.

33.      Va sottolineato che le questioni sollevate vertono sull’interpretazione della direttiva, e non sulla compatibilità con la stessa degli artt. 51 e segg. della UStDV.

34.      Per giurisprudenza consolidata, ad ogni modo, in un’area disciplinata da una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il suo diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima  (10) . Spetta dunque al giudice del rinvio determinare fino a che punto le disposizioni nazionali in questione possano essere interpretate in modo coerente con la direttiva e siano pertanto applicabili nel caso di specie.

35.      In secondo luogo, prima di analizzare le questioni sollevate, può essere utile elaborare un piccolo schema del modo in cui le disposizioni della direttiva sopra indicate interagiscono e si applicano alle circostanze del caso di specie.

36.      In quest’ottica, qualche dubbio sembra sussistere sulla qualificazione dei servizi forniti come servizi edili o come offerta di personale. Tuttavia, emerge dall’ordinanza di rinvio che questa incertezza può essere ignorata, quanto meno ai fini della prima e della terza questione, nonché di parte della seconda. Infatti, qualora si tratti di servizi edili, il luogo della prestazione è quello in cui si trova il bene immobile interessato, ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. a); qualora si tratti di un’offerta di personale, il luogo della prestazione è quello della sede del destinatario, conformemente all’art. 9, n. 2, lett. e). In entrambi i casi il paese è la Germania. Se si applica l’art. 9, n. 2, lett. e), il destinatario è tenuto a pagare l’IVA ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. b); se la prestazione invece rientra nell’ambito dell’art. 9, n. 2, lett. a), è facoltà degli Stati membri ritenere il destinatario obbligato ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. a). Si può desumere dall’ordinanza di rinvio che la Germania ha optato per la detta soluzione, di modo che in entrambi i casi il soggetto tenuto a corrispondere l’IVA è il sig. Bockemühl.

37.      Il sig. Bockemühl intende inoltre dedurre l’imposta, sulla base dell’art. 17, n. 2, lett. a). In diverse versioni linguistiche della direttiva in vigore all’epoca dei fatti, il diritto a deduzione ex art. 17, n. 2, lett. a), parrebbe confinato ai casi in cui il fornitore è soggetto passivo ai fini dell’IVA nel territorio del paese in cui il diritto a deduzione viene invocato  (11) . Tuttavia, è chiaro che si tratta solo di un errore materiale di stesura, rettificato dalla direttiva 95/7 in linea con la versione originale tedesca, che menzionava semplicemente l’imposta dovuta o versata all’interno del paese. Anche prima della rettifica, per di più, non sembra che la mancata coincidenza delle diverse versioni linguistiche venisse considerata un ostacolo all’esercizio del diritto a deduzione nei casi in cui il fornitore era stabilito in uno Stato membro diverso da quello del destinatario obbligato al pagamento dell’imposta  (12) . Condivido pertanto la tesi – mai contestata nel corso del procedimento – secondo cui l’art. 17, n. 2, lett. a), è la base giuridica appropriata per la deduzione nelle circostanze di specie.

38.      Il destinatario della prestazione che intenda avvalersi del diritto a deduzione ex art. 17, n. 2, lett. a), deve, ai sensi dell’art. 18, n. 1, lett. a), essere in possesso di una fattura redatta conformemente all’art. 22, n. 3, vale a dire emessa dal fornitore con l’osservanza di taluni requisiti di contenuto. Se il destinatario è egli stesso soggetto passivo d’imposta ai sensi dell’art. 21, n. 1, egli deve conformarsi alle formalità previste dagli Stati membri per l’esercizio del diritto a deduzione, secondo quanto prescrive l’art. 18, n. 1, lett. d).

39.      In sintesi, l’art. 9, n. 2, definisce il luogo della prestazione (nel caso di specie, la Germania) e, muovendo da questo presupposto, l’art. 21, n. 1, stabilisce qual è il soggetto tenuto a pagare l’imposta (in questo caso, il destinatario). L’art. 17, n. 2, determina il diritto a deduzione del destinatario mentre l’art. 18, n. 1, definisce le regole che sovrintendono all’esercizio di tale diritto. Le dette regole fanno riferimento al possesso di una fattura conforme all’art. 22, n. 3, e, in casi come quello di cui trattasi, all’osservanza delle formalità fissate dagli Stati membri.

40.      In terzo luogo, va ricordato che, quando un soggetto passivo ha pagato l’IVA (imposta a monte) sui beni o servizi che si è procurato per produrre a sua volta beni o servizi imponibili, il sistema IVA impone che, in assenza di specifiche disposizioni contrarie, egli possa dedurre l’importo pagato dall’IVA (imposta a valle) di cui è debitore verso le autorità fiscali in relazione ai beni e servizi che produce, purché possa dimostrare di avere pagato l’imposta a monte e abbia rispettato ogni formalità che sia stata legittimamente stabilita.

Prima questione

41.      Con la prima questione il Bundesfinanzhof chiede se il destinatario di una prestazione di servizi il quale sia tenuto a corrispondere l’IVA sui detti servizi in conformità all’art. 21, n. 1, della direttiva e al quale sia stata addebitata, possa esercitare il proprio diritto a deduzione ex art. 18, n. 1, lett. a), soltanto se sia in possesso di una fattura redatta conformemente all’art. 22, n. 3.

42.      Ritengo sia proprio cosí.

43.      Secondo quanto prevede l’art. 17, n. 2, lett. a), della direttiva, un soggetto imponibile ha diritto di dedurre dall’imposta che egli deve versare l’IVA pagata sui beni e servizi fornitigli da un altro soggetto passivo, a condizione che tali beni e servizi siano impiegati ai fini di sue operazioni imponibili. L’art. 18, n. 1, lett. a), prevede in maniera chiara ed esplicita che: «Per poter esercitare il diritto a deduzione, il soggetto passivo deve (...) per la deduzione di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettera a) (...) essere in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3». Questa formulazione non lascia spazio ad alcun dubbio.

44.      Il giudice del rinvio riconosce in effetti che la lettera della disposizione è piuttosto chiara. Esso suggerisce tuttavia che, quando il soggetto tenuto a pagare l’imposta è il destinatario dei beni o servizi, la fattura riveste una rilevanza diversa rispetto a quando il soggetto tenuto al pagamento è il fornitore.

45.      Non sono d’accordo. Mentre è importante, nell’interpretare la lettera della direttiva, non perdere di vista lo scopo della norma specifica e la sua collocazione nel sistema generale dell’IVA, un siffatto approccio non porta, a mio avviso, nel caso in esame, a un risultato diverso da quello risultante dalla semplice applicazione letterale dell’art. 18, n. 1, lett. a).

46.      Se il diritto alla deduzione dell’IVA esiste, chi lo invoca deve dimostrare di avere pagato l’imposta. Nell’ambito del sistema comunitario dell’IVA, la fattura è un mezzo fondamentale – probabilmente il più chiaro che ci sia – per fornire tale prova. Si tratta del «biglietto di entrata» al diritto a deduzione  (13) . Per questo motivo ogni soggetto passivo titolare del diritto alla deduzione dell’IVA deve procurarsi e conservare meticolosamente la documentazione necessaria per evitare di vedersi respingere, in quanto infondata, la domanda di deduzione. La corretta emissione e conservazione delle fatture ha un’importanza cruciale anche ai fini degli accertamenti fiscali cui l’amministrazione tributaria competente procede per garantire l’osservanza della normativa IVA rilevante.

47.      Il fatto che, come nel caso di specie, il soggetto titolare del diritto alla deduzione dell’IVA a monte coincida con il soggetto passivo tenuto a versare l’imposta alle autorità competenti è irrilevante ai fini di questa analisi. Restano valide le medesime considerazioni. Inoltre, come osserva il governo tedesco, l’obbligo di pagare l’IVA e il diritto a dedurre l’imposta a monte sono questioni distinte, rette da norme distinte. Se in taluni casi il soggetto tenuto al pagamento dell’imposta è il destinatario anziché il fornitore, ciò non ha alcuna conseguenza sull’esigenza di disporre di una fattura per poter esercitare il diritto alla deduzione.

48.      L’approccio testé descritto è coerente con altre disposizioni della direttiva. Ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. a), quando la cessione dei beni è effettuata da un soggetto passivo residente in un altro Stato membro, l’imposta è dovuta dal destinatario purché, in particolare, sia in possesso di una «fattura rilasciata dal soggetto passivo non residente all’interno del paese» che risulti «conforme all’articolo 22, paragrafo 3». Inoltre, conformemente all’art. 22, n. 3, lett. a), la fattura va emessa anche nel caso di fornitura di beni o servizi esenti ex art. 28 quater, sub A. A mio avviso, non si può negare che la condizione posta dall’art. 22, n. 3, lett. a), secondo cui «ogni soggetto passivo deve emettere fattura, o altro documento equivalente, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che effettua (...)», sia di generale applicazione.

49.      Ne discende che il destinatario di una prestazione di servizi che sia anche il soggetto passivo tenuto a versare l’IVA sui detti servizi può esercitare il diritto a deduzione previsto dall’art. 18, n. 1, lett. a), della sesta direttiva solo qualora sia in possesso di una fattura redatta in conformità all’art. 22, n. 3.

Seconda questione

50.      Con la seconda questione, il Bundesfinanzhof chiede quali siano le indicazioni obbligatorie che devono figurare su di una fattura. Nella motivazione, esso spiega di essere particolarmente interessato alla questione se una fattura debba indicare (i) l’ammontare dell’imposta e (ii) il nome e l’indirizzo del fornitore. Esso chiede inoltre chiarimenti sul problema (iii) se l’operazione imponibile debba essere descritta in maniera precisa e, in particolare, se il riferimento al risultato del lavoro svolto dal personale messo a disposizione, piuttosto che alla vera e propria offerta di personale (nei casi in cui sia quest’ultimo l’effettivo servizio fornito) possa invalidare la fattura ai fini dell’IVA.

51.      Può essere utile riflettere distintamente sull’importo dell’imposta e sugli altri due aspetti, in quanto il primo elemento è espressamente menzionato all’art. 23, n. 3, lett. b), mentre gli altri due non lo sono.

Importo dell’imposta

52.      A norma dell’art. 22, n. 3, lett. b), della sesta direttiva, sulla fattura devono comparire chiaramente «il prezzo al netto dell’imposta e l’imposta corrispondente per ogni aliquota diversa nonché, se del caso, l’esenzione».

53.      Il Bundesfinanzhof si chiede nondimeno se tale indicazione esplicita sia necessaria anche in circostanze quali quelle del caso di specie, in cui è il destinatario e non il fornitore ad essere direttamente soggetto all’autorità tributaria. La Commissione e il governo tedesco, nel medesimo ordine di idee, sostengono che l’art. 22, n. 3, lett. b), va interpretato in questi casi nel senso che è sufficiente che la fattura menzioni esplicitamente che il destinatario della prestazione è tenuto al pagamento dell’imposta o faccia riferimento alle norme che giustificano il detto obbligo. La Commissione suggerisce in proposito che un’operazione di «autofatturazione»  (14) vada trattata, ai fini dell’art. 22, n. 3, lett. b), analogamente a un’esenzione.

54.      Sono d’accordo, quanto meno per quanto riguarda il risultato.

55.      Quando un soggetto imponibile stabilito in uno Stato membro fornisce una prestazione imponibile in favore di un soggetto imponibile stabilito in un altro Stato membro ed è quest’ultimo il soggetto obbligato a corrispondere l’IVA sull’operazione, è evidente che l’indicazione precisa sulla fattura dell’importo al netto dell’IVA è indispensabile per il buon funzionamento di tutto il meccanismo. Nella versione della direttiva applicabile all’epoca dei fatti, la fattura doveva essere emessa dal fornitore  (15) .

56.      Imporre che sia lo stesso fornitore a indicare anche l’importo dell’imposta dovuta pone almeno due problemi.

57.      In primo luogo, ciò equivarrebbe in linea di massima a rendere il fornitore soggetto passivo dell’imposta a norma dell’art. 21, n. 1, lett. c) – il che porterebbe ad una doppia riscossione dell’imposta o semplicemente a negare il meccanismo dell’autofatturazione. Non era certamente questo lo scopo dell’art. 21, n. 1, lett. c), che costituisce sostanzialmente una salvaguardia contro la frode o la mancata riscossione  (16) ; comunque la disposizione è chiara e non prevede alcuna eccezione.

58.      In secondo luogo, a un livello più pratico, ciò equivarrebbe a imporre al fornitore una conoscenza perfetta della normativa IVA di ciascuno degli Stati membri in cui effettua prestazioni di servizi. Si tratta di un compito praticamente impossibile, che ad ogni modo può essere svolto infinitamente meglio dal destinatario che è soggetto passivo d’imposta nel proprio paese; a parte ogni altra considerazione, il rischio di errore e di conseguenti e complicate rettifiche ne risulta fortemente ridotto.

59.      La manifesta incoerenza e la scarsa praticabilità di questo aspetto della normativa possono essere ascritti in larga misura al fatto che la detta normativa non è stata scritta tenendo conto delle operazioni internazionali di autofatturazione. Prima del 1993 il sistema IVA operava in maniera sostanzialmente autonoma all’interno di ciascuno Stato membro e le cessioni internazionali di beni erano in linea di massima esenti (con deduzione dell’IVA a monte) nello Stato membro di origine e assoggettate all’IVA al momento dell’importazione nello Stato membro di destinazione. La maggior parte delle norme relative alle prestazioni di servizi che rilevano nel caso in esame figuravano già nella versione del 1977 della direttiva, mentre l’art. 22, in particolare, si direbbe concepito per disciplinare le operazioni domestiche piuttosto che quelle internazionali. Si intitola infatti «Obblighi nel regime interno» a differenza dell’art. 23, che riguarda gli «Obblighi all’importazione». Prima del 1993, comunque, si applicava alle importazioni «nell’interno del paese», mentre ora riguarda le importazioni «nella Comunità»  (17) . Il riferimento all’art. 22, n. 3, contenuto nell’art. 18, n. 1, lett. a), parrebbe concepito, in origine, in quest’ottica. Queste considerazioni depongono a favore di un’interpretazione più liberale.

60.      In ogni caso è ovvio – ed è stato accettato da tutte le parti in udienza – che un’applicazione letterale delle diverse disposizioni pertinenti della direttiva non sarebbe possibile nel caso di specie, a meno di non giungere a qualche risultato assurdo – ad esempio, come ho già sottolineato, alla doppia riscossione dell’imposta o all’annullamento del meccanismo di autofatturazione. Talune disposizioni vanno interpretate in maniera meno restrittiva. Spetta alla Corte determinare di quali disposizioni si tratti e quale ne sia l’interpretazione appropriata.

61.      Per quanto riguarda l’art. 22, n. 3, lett. b), una cosa è chiara: il termine «nonché» non può essere interpretato letteralmente quando sia in gioco una sola prestazione. Una prestazione può essere imponibile o esente, non può avere entrambe le qualificazioni. Quando una prestazione è composta di vari elementi, alcuni dei quali sono imponibili (magari ad un’aliquota diversa) ed altri sono esenti, questi devono essere indicati distintamente ed ogni singolo elemento deve figurare all’interno di una sola categoria. Peraltro, molte fatture hanno per oggetto singole prestazioni. In questo caso, e nel caso delle singole voci di una fattura complessa, è impossibile dichiarare l’importo dell’IVA «nonché» l’esenzione. L’art. 22, n. 3, lett. b), va dunque letto – in ogni caso – come se recitasse: «il prezzo al netto dell’imposta unitamente all’imposta corrispondente per ogni aliquota diversa o, se del caso, l’esenzione».

62.      La Commissione è favorevole a questa interpretazione e, nel caso di specie, va anche oltre e suggerisce che un’autofatturazione andrebbe assimilata a un’esenzione ai fini testé illustrati. La proposta, è stato chiarito, si fonda – e non è un caso – sulla formulazione dell’art. 22, n. 3, lett. b), che entrerà in vigore il 1° gennaio 2004  (18) .

63.      Mentre appare evidente che la nuova versione è molto più di una chiarificazione di quella originaria, questa proposta non appare sprovvista di logica nemmeno per l’attuale versione. Dal punto di vista del fornitore, un’operazione di autofatturazione è molto simile, ai fini dell’obbligo di pagare l’IVA e del diritto alla deduzione, a un’esportazione esente a norma dell’art. 15 della sesta direttiva, con deduzione o rimborso dell’IVA a monte ex art. 17, n. 3, lett. b) – e dal punto di vista del cliente è paragonabile a un’importazione imponibile ai sensi dell’art. 2, n. 2, con la deduzione prevista all’art. 17, n. 2, lett. b). Sono pertanto favorevole a un’interpretazione dell’art. 22, n. 3, lett. b), nel senso che, per ogni elemento fatturato, il fornitore deve specificare il prezzo al netto dell’imposta e, a seconda dei casi, l’importo dell’imposta pertinente o l’esenzione o l’applicazione del meccanismo di autofatturazione.

64.     È vero che un risultato non molto dissimile può essere ottenuto grazie a un’interpretazione meno restrittiva dell’art. 18, n. 1, della direttiva, considerando l’art. 18, n. 1, lett. d) (applicabile nel caso in cui il destinatario è tenuto a pagare l’imposta ai sensi dell’art. 21, n. 1), come un’eccezione piuttosto che come un complemento della regola generale posta dall’art. 18, n. 1, lett. a), che impone il possesso di una fattura conforme all’art. 22, n. 3, lett. b), nei casi in cui il diritto di deduzione si fonda sull’art. 17, n. 2, lett. a). In questo caso spetterebbe a ciascuno Stato membro definire quali indicazioni siano obbligatorie e la menzione dell’importo dell’imposta non dovrebbe necessariamente figurare tra queste.

65.      Quest’interpretazione non mi vede però molto favorevole. L’IVA è una materia in cui un certo grado di armonizzazione a livello comunitario è indispensabile. Molti particolari possono invero essere delegati agli Stati membri, ma non sembrerebbe logico prevedere una regola comunitaria per la deduzione dell’imposta dovuta o assolta «all’interno del paese» (19) e regole nazionali per le operazioni di natura essenzialmente internazionale. Inoltre, sottrarre interamente le operazioni di autofatturazione all’ambito di applicazione dell’art. 18, n. 1, lett. a), equivarrebbe addirittura a eludere la norma comunitaria che prevede l’obbligo di emettere una fattura. Come ha spiegato la Commissione in udienza in merito all’art. 22, n. 3, lett. c), l’art. 18, n. 1, lett. d), riguarda più il «come» che il «se» tali menzioni debbano essere definite.

66.      Sono pertanto convinto che, nella versione applicabile all’epoca dei fatti, l’art. 22, n. 3, lett. b), imponeva al fornitore di indicare, per ogni voce della fattura, il prezzo al netto dell’imposta e, a seconda dei casi, l’importo dell’imposta da applicare o l’esenzione o l’applicazione del meccanismo di autofatturazione e che l’omissione di una di tali indicazioni comportava il rischio che la fattura non venisse accettata come giustificativo del diritto di deduzione del destinatario.

Nome e indirizzo del fornitore – identificazione dell’operazione imponibile

67.      La versione applicabile dell’art. 22, n. 3, lett. b), non impone esplicitamente, comunque, alcuna indicazione supplementare eccezion fatta, in circostanze particolari che non ricorrono nel caso di specie, la partita IVA del fornitore e del destinatario e taluni particolari riguardanti i nuovi mezzi di trasporto.

68.      L’elenco delle indicazioni obbligatorie non è peraltro tassativo. Gli Stati membri possono imporre che in fattura figurino altri elementi. In conformità all’art. 22, n. 8, «gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire (...) altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi» purché sia garantita la parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri e non siano imposte formalità connesse con il passaggio di una frontiera. Nel memorandum illustrativo della proposta di sesta direttiva elaborata dalla Commissione  (20) si dichiarava che non si riteneva necessaria – all’epoca – l’armonizzazione delle molte e particolareggiate norme nazionali che disciplinavano l’emissione delle fatture, e nel primo «considerando» del preambolo della direttiva 2001/115 si osserva che «le attuali regole per la fatturazione, previste dall’articolo 22, paragrafo 3, (...) sono relativamente poco numerose e lasciano in tal modo agli Stati membri il compito di determinare le condizioni essenziali».

69.      Viceversa, attualmente, la direttiva 2001/115 armonizza completamente le indicazioni che ogni fattura dovrà contenere ai fini dell’IVA a partire dal 1° gennaio 2004. L’elenco delle indicazioni obbligatorie ex art. 22, n. 3, lett. b), è stato notevolmente ampliato e comprende, tra l’altro, «nome e indirizzo completo del soggetto passivo e del suo cliente» e «entità e natura dei servizi resi». Inoltre, soltanto queste indicazioni potranno essere richieste. Gli Stati membri dunque, attualmente, non possono più imporre altre indicazioni ai fini dell’IVA (21) .

70.      Da quanto detto emerge che né il nome e l’indirizzo del fornitore, né l’indicazione distinta dell’operazione imponibile figuravano tra le menzioni obbligatorie che una fattura doveva contenere secondo la versione della direttiva applicabile all’epoca dei fatti. Gli Stati membri avevano la facoltà di imporre l’una e/o l’altra indicazione. La loro discrezionalità in proposito era mitigata soltanto da talune limitazioni riguardanti la libertà degli scambi, mentre ogni altra ulteriore indicazione obbligatoria doveva ovviamente, a tutela della certezza del diritto, essere istituita con le necessarie formalità prima di essere applicata al singolo caso.

71.      Lo scopo di particolari come quelli in esame e il loro contributo al corretto funzionamento del sistema dell’IVA, in particolare nell’assicurare la corretta riscossione dell’imposta e la prevenzione dell’evasione, sono manifesti e confermati – se ve ne fosse bisogno – dal fatto che essi sono stati esplicitamente contemplati nell’elenco delle indicazioni obbligatorie a seguito degli emendamenti introdotti dalla direttiva 2001/115  (22) .

72.      L’esplicita indicazione obbligatoria del nome e dell’indirizzo del fornitore, e invero anche del destinatario, anche se la fattura contiene già il suo numero di partita IVA, può avere una certa utilità. Essa fornisce un ulteriore elemento di chiarezza e, nel caso per esempio di una partita IVA illeggibile, può aiutare a risolvere gli eventuali dubbi in merito all’identità dei soggetti passivi.

73.      L’indicazione dell’operazione imponibile è ovviamente molto importante per determinare quali siano le disposizioni applicabili. È evidente che, se viene menzionata, l’operazione imponibile va descritta correttamente facendo riferimento alle categorie della direttiva, dal momento che una diversa qualificazione può comportare l’applicazione di disposizioni diverse della direttiva o magari anche di aliquote d’imposta diverse. Le definizioni che sono inadeguate a questo proposito rischiano di arrecare pregiudizio all’applicazione della direttiva e di creare distorsioni nella concorrenza.

74.      Nel caso in esame, la fattura menzionava le opere edificate mentre le autorità tributarie ritengono che andasse menzionata l’offerta del personale impiegato per edificarle. Se una descrizione dei servizi resi è inesatta e dunque rischia di provocare un’applicazione erronea dell’IVA, penso che la fattura possa legittimamente essere considerata invalida ai fini dell’IVA conformemente alle norme adottate a tal fine da uno Stato membro. Tuttavia, nel caso del sig. Bockemühl, sembra che le autorità tributarie agiscano principalmente sulla base di timori circa la possibile elusione delle normative nazionali in materia di lavoro e previdenza sociale. Questi timori, ovviamente molto importanti, sono estranei alla disciplina dell’IVA e non dovrebbero, a mio avviso, essere considerati rilevanti ai fini della decisione del presente procedimento.

75.      Sono convinto non di meno che la versione rilevante della sesta direttiva autorizza gli Stati membri a imporre ai fornitori di indicare il loro nome e indirizzo e di descrivere con cura la natura della prestazione fornita, su ogni fattura utilizzata ai fini dell’IVA, e pertanto a negare al destinatario il diritto di deduzione qualora le dette indicazioni manchino o siano materialmente errate.

76.      Nella sentenza Jeunehomme  (23) la Corte ha dichiarato che «per quel che riguarda l’esercizio del diritto di detrazione (...) la direttiva si limita a prescrivere una fattura che contenga determinate indicazioni. Gli Stati membri hanno la facoltà di prescrivere ulteriori indicazioni per garantire l’esatta riscossione dell’imposta sul valore aggiunto, nonché il suo controllo da parte dell’amministrazione tributaria»  (24) .

77.      Essa ha peraltro formulato anche il seguente avvertimento: «La prescrizione, per l’esercizio del diritto di detrazione, di altre indicazioni in fattura oltre a quelle enumerate dall’art. 22, n. 3, lett. b), della direttiva deve tuttavia limitarsi a quanto necessario per garantire la riscossione dell’imposta sul valore aggiunto e il suo controllo da parte degli uffici tributari. Inoltre, siffatte indicazioni non devono, per il loro numero e per la loro tecnicità, rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di detrazione»  (25) . A mio avviso, particolari fondamentali quali il nome e l’indirizzo del fornitore e la (appropriata) indicazione dell’operazione imponibile non sostanziano una tale difficoltà.

Terza questione

78.      La terza questione verte sulle conseguenze giuridiche della difficoltà di stabilire se il soggetto che ha emesso la fattura e il soggetto che ha fornito il servizio imponibile siano la stessa persona; emerge dall’ordinanza di rinvio che il giudice nazionale mira a determinare in particolare se l’onere della prova ricada sulle autorità tributarie o sul richiedente.

79.      Anche se la direttiva non esamina espressamente la questione della prova della titolarità del diritto a deduzione da parte del soggetto imponibile, concordo con la Germania e con la Commissione sul fatto che la risposta vada ricercata ancora una volta nell’art. 22, n. 8.

80.      A norma del detto articolo gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi. L’indicazione corretta del fornitore è sicuramente un elemento utile in questo contesto. Ne consegue che, stando così la direttiva, gli Stati membri possono certamente, nei casi dubbi o qualora sospettino una frode, richiedere una prova del fatto che il soggetto fatturante e il soggetto fornitore del servizio siano la stessa e medesima persona  (26) . In assenza di disposizioni comunitarie, anche le norme di procedura in materia probatoria sono di competenza degli Stati membri.

81.      Tuttavia, come la Corte ha giudicato nella sentenza Jeunehomme  (27) , gli obblighi imposti al soggetto imponibile che intenda avvalersi del diritto di deduzione non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tale diritto. Sono convinto che questo dev’essere vero, indipendentemente dal fatto che si tratti di obblighi di natura sostanziale o procedurale. Compete dunque al giudice nazionale applicare le proprie regole in materia probatoria in accordo con l’esigenza testé menzionata.

Conclusioni

82.      Ritengo pertanto che le questioni sollevate dal Bundesfinanzhof vadano risolte dichiarando che:

1)Il destinatario di una prestazione di servizi che sia anche il soggetto passivo dell’IVA sui detti servizi e, come tale, sia tenuto a versarla, può esercitare il diritto a deduzione previsto dall’art. 18, n. 1, lett. a), della sesta direttiva del Consiglio 77/388 solo qualora sia in possesso di una fattura redatta in conformità all’art. 22, n. 3.

2)Nella versione della direttiva applicabile anteriormente al 1° gennaio 2004, l’art. 22, n. 3, lett. b), impone al fornitore di indicare, per ogni voce della fattura, il prezzo al netto dell’imposta e, a seconda dei casi, l’importo dell’imposta da applicare o l’esenzione o l’applicazione del meccanismo di autofatturazione; l’omissione di una di tali indicazioni comporta il rischio che la fattura non venga accettata come giustificativo del diritto di deduzione del destinatario. L’art. 22, n. 8, autorizza gli Stati membri a imporre ai fornitori di indicare il loro nome e indirizzo e di descrivere con cura la natura della prestazione fornita su ogni fattura utilizzata ai fini dell’IVA, e pertanto a negare al destinatario il diritto di deduzione qualora le dette indicazioni manchino o siano materialmente errate.

3)Spetta agli Stati membri determinare le conseguenze giuridiche della difficoltà di stabilire se il soggetto che ha emesso la fattura e il soggetto che ha fornito il servizio imponibile siano la stessa persona, purché ciò non si risolva nel rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di deduzione.


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1).


3 – Prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967, 67/227/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU 1967, n. 71, pag. 1301).


4 – Quest’ultimo meccanismo è noto anche come «reverse charge» o «tax shift» (autofatturazione).


5 – Direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376, pag. 1).


6 – Direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, che modifica la direttiva 77/388/CEE in materia di imposta sul valore aggiunto e che prevede misure di semplificazione (GU L 384, pag. 47).


7 – Per talune prestazioni che non rilevano per il presente procedimento l’art. 22, n. 3, lett. b), prescrive talune ulteriori indicazioni, e in particolare la partita IVA delle due parti del negozio.


8 – Direttiva del Consiglio 20 dicembre 2001, che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare, modernizzare e armonizzare le modalità di fatturazione previste in materia di imposta sul valore aggiunto (GU L 15, pag. 24). Gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure di attuazione della direttiva 2001/115 entro e non oltre il 1° gennaio 2004.


9 – Nella versione applicabile all’epoca dei fatti, l’inciso «all’interno del paese» o un suo equivalente, introdotto dalla direttiva 91/680, appariva riferito all’obbligo del fornitore in diverse versioni linguistiche, ivi comprese l’inglese, la francese, l’italiana e la spagnola. Nella versione tedesca, invece, tale inciso si riferiva al luogo in cui l’imposta risultava dovuta o assolta, e nella versione olandese si riferiva al luogo della prestazione. La direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, 95/7/CE, che modifica la direttiva 77/388/CEE e introduce nuove misure di semplificazione in materia di imposta sul valore aggiunto - Campo di applicazione delle esenzioni e relative modalità pratiche di applicazione, GU L 102, pag. 18, entrata in vigore il 1° gennaio 1996, ha in seguito allineato tutte le versioni linguistiche a quella tedesca. Di conseguenza la versione italiana dell’art. 17, n. 2, lett. a), è attualmente cosí formulata: «l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta all’interno del paese per i beni che gli sono o saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo» (il corsivo è mio).


10 – V., in particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I-4135, punto 8), e 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325, punto 26).


11 – V. nota 9.


12 – V., ad esempio, B.G.M. Terra e J. Kajus, A guide to the European VAT Directives, IBFD, Amsterdam, 1993, Vol. 2, cap. XI.4.


13 – Cosí l’ha definita l’avvocato generale Slynn nelle cause riunite C-123/87 e C-330/87, Jeunehomme (Racc. 1988, pag. 4517, in particolare pag. 4534).


14 – V. nota 4.


15 – Nella versione modificata dalla direttiva 2001/115 (cit. in nota 8), l’art. 22, n. 3, lett. b), non impone più che il fornitore emetta una fattura, bensí stabilisce che «ogni soggetto passivo assicura che sia emessa, da lui stesso, dal suo cliente o, in suo nome e per suo conto, da un terzo una fattura».


16 – V. sentenze 13 dicembre 1989, causa 342/87, Genius Holding (Racc. pag. 4227), 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth (Racc. pag. I-6973) e, in particolare, 15 ottobre 2002, causa C-427/98, Commissione/Germania (Racc. pag. I-8315, punto 41).


17 – V. la definizione di «importazione» all’art. 7 della direttiva, nelle diverse versioni applicabili.


18 – V. supra, paragrafo 13.


19 – E, conformemente agli artt. 17, n. 2, lett. b), e 18, n. 1, lett. b), relativa alle importazioni.


20 – .Bollettino delle Comunità europee, supplemento n. 11/73, pag. 21; l’attuale art. 22 corrispondeva all’art. 23 nella proposta originaria.


21 – V. anche il secondo comma dell’art. 22, n. 8, aggiunto dalla direttiva 2001/115 (cit. al precedente paragrafo 15).


22 – Il fatto che finora non lo fossero potrebbe dipendere semplicemente dalla supposizione che ogni fattura commerciale debba necessariamente specificare il fornitore e la prestazione fornita per avere una qualche utilità pratica nei normali scambi commerciali.


23 – Cit. in nota 13.


24 – Ivi, punto 16 della sentenza.


25 – Ivi, punto 17 della sentenza.


26 – V. anche sentenza 5 dicembre 1996, causa C-85/95, Reisdorf (Racc. pag. I-6257, punto 29). Va tuttavia notato che, dal 1° gennaio 2004, è espressamente previsto che la fattura potrà essere emessa da un soggetto diverso da quello che ha fornito il servizio (v. supra, nota 15).


27 – Cit. al paragrafo 77.