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Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
ANTONIO TIZZANO
presentate il 25 marzo 2004(1)


Causa C-315/02



Anneliese Lenz
contro
Finanzlandesdirektion für Tirol


[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Austria)]

«Artt. 56 e 58 CE – Libera circolazione dei capitali – Normativa nazionale che disciplina l'imposizione fiscale sui redditi da capitale»






1.        Con ordinanza del 27 agosto 2002, il Verwaltungsgerichtshof ha sottoposto alla Corte tre quesiti pregiudiziali relativi all'interpretazione degli artt. 73 B e 73 D del Trattato CE (divenuti rispettivamente artt. 56 CE e 58 CE). Con tali quesiti il giudice austriaco ci interroga nuovamente sulla compatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che disciplina in maniera differente l'imposizione fiscale sui redditi da capitale a seconda che questi siano prodotti da società nazionali o straniere.

2.        Di tale questione la Corte era già stata investita con rinvio pregiudiziale del Berufungssenat V der Finanzlandesdirektion für Wien, Niederösterreich und Burgenland nella causa Schmid C-516/99, nella quale però essa si era dichiarata incompetente in quanto l’organo remittente difettava della qualità di giurisdizione  (2) .

I – Quadro giuridico

Normativa comunitaria

3.        Le norme comunitarie che rilevano ai presenti fini sono gli artt. 73 B e 73 D del Trattato CE. Il primo dispone, al n. 1, che «sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi». Il secondo precisa tuttavia che:

«1.     Le disposizioni dell'articolo 73 B non pregiudicano il diritto degli Stati membri:

a)       di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;

b)       di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

2.      (...)

3. Le misure e le procedure di cui ai paragrafi 1 e 2 non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all'articolo 73 B».

Normativa nazionale

4.        Il sistema tributario austriaco prevede che la tassazione dei redditi delle società di capitali nazionali avvenga a due diversi livelli: a livello di società, mediante l'applicazione di un'imposta sugli utili da queste prodotti ad un tasso fisso del 34%; e a livello dell'azionariato, attraverso la tassazione dei dividendi e degli altri benefici distribuiti dalle società (c.d. redditi da capitale).

5.        Con riferimento alla tassazione degli azionisti, che qui più direttamente interessa, la disciplina applicabile differisce a seconda che si tratti di redditi da capitale nazionali o stranieri, avendo presente che «i redditi da capitali sono considerati nazionali quando l'erogatore di tali redditi possieda la propria residenza, la propria direzione o la propria sede sul territorio nazionale ovvero quando costituisca una filiale sul territorio nazionale di un istituto di credito (...)» (art. 93, n. 2, dell’Einkommensteuergesetz 1988; legge del 1988 relativa all'imposta sul reddito, in prosieguo: «EStG»)  (3) .

a)       La tassazione dei redditi da capitale nazionali

6.        Per tali redditi la normativa austriaca consente ai contribuenti di scegliere tra due opzioni: l'applicazione di una speciale imposta a carattere liberatorio ad un tasso fisso del 25% (in prosieguo anche: l'«imposta liberatoria»); ovvero l'applicazione dell'ordinaria imposta sui redditi con riduzione del 50% dell'aliquota fiscale (in prosieguo anche: l'«aliquota dimezzata»).

7.        Nel primo caso, il contribuente dovrà pagare un'imposta pari al 25% dei redditi da capitale, i quali, in virtù del c.d. carattere liberatorio dell'imposta, non saranno più soggetti all'ordinaria imposta sui redditi. I redditi da capitale non concorreranno quindi a determinare il reddito imponibile ai fini dell'applicazione di quest'ultima imposta; e ciò con la presumibile conseguenza di ridurre l'aliquota fiscale applicabile, il cui valore varia in funzione del livello dei redditi. L'imposta a carattere liberatorio è riscossa, in linea di principio, mediante ritenuta fiscale alla fonte (i.e. presso le società); in alcuni casi in cui non può procedersi a detta ritenuta è tuttavia previsto che l'imposta sia riscossa «mediante versamento in autotassazione all'ente erogatore dei dividendi di un importo pari alla ritenuta sui redditi di capitale» (art. 97 EStG)  (4) .

8.        Qualora il contribuente decida di non avvalersi della speciale imposta a carattere liberatorio, si applicherà invece l'ordinaria imposta sui redditi con riduzione del 50% dell'aliquota fiscale. In tal caso, i redditi da capitale concorreranno a determinare il reddito complessivo imponibile, con presumibile aumento dell'aliquota applicabile; in compenso, però, i redditi da capitale beneficeranno della riduzione del «50% dell'aliquota fiscale media applicabile al reddito complessivo» (art. 37 EStG)  (5) .

b)       La tassazione dei redditi da capitale stranieri

9.        La disciplina appena descritta si applica, come si è detto, ai soli redditi da capitale nazionali, mentre i redditi derivanti dalla partecipazione a società straniere sono soggetti all'ordinaria imposta sui redditi. Ciò significa che essi concorrono a determinare il reddito complessivo imponibile, con presumibile aumento dell'aliquota applicabile, e sono regolarmente sottoposti all'imposta sui redditi senza beneficiare di alcuna riduzione. Non solo, dunque, a tali redditi non si applica la speciale imposizione a tasso fisso del 25% con effetto liberatorio, ma essi non beneficiano neppure della riduzione del 50% dell'aliquota applicabile.

10.      Va infine ricordato che il sistema sopra descritto è stato modificato con una legge entrata in vigore il 1˚ aprile 2002, successiva ai fatti di causa e non applicabile nel caso di specie.

II – Fatti e procedura

11.      La sig.ra Lenz è una cittadina tedesca che risiede in Austria dove, a partire dal 1994, versa le tasse.

12.      Nel 1996 il reddito della sig.ra Lenz è derivato interamente da dividendi maturati da società aventi sede in Germania.

13.      Per quell'anno l'amministrazione fiscale austriaca ha pertanto calcolato l'imposta sui redditi da essa dovuta in base all'ordinaria aliquota sul reddito personale, senza applicare la speciale imposta liberatoria o l'aliquota dimezzata, previste dagli artt. 37 e 97 EStG.

14.      Contro tale determinazione la sig.ra Lenz ha proposto reclamo alla Finanzlandesdirektion für Tirol, sostenendo in particolare che la mancata applicazione dell'imposta liberatoria e dell'aliquota dimezzata ai redditi derivanti dalla partecipazione a società di altri Stati membri sarebbe contraria alla libera circolazione dei capitali garantita dall'art. 73 B del Trattato CE. Poiché detto reclamo è stato respinto, essa ha quindi presentato ricorso dinanzi al Verwaltungsgerichtshof. Questo, nutrendo dubbi sulla compatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni fiscali nazionali, ha sottoposto alla Corte i seguenti quesiti pregiudiziali:

«1)     Se l'art. 73 B, n. 1, in combinato disposto con l'art. 73 D, n. 1, lett. a) e b), e n. 3 del Trattato CE [divenuti art. 56, n. 1, in combinato disposto con l'art. 58, n. 1, lett. a) e b), e n. 3 CE], osti ad una normativa come quella prevista all'art. 97, nn. 1 e 4, dell'EStG 1988 in combinato disposto con l'art. 37, nn. 1 e 4, dell'EstG 1988, secondo cui il contribuente, per i dividendi di azioni nazionali può scegliere tra una tassazione di questi ultimi con un'aliquota forfettaria e definitiva del 25% e una tassazione con un'aliquota pari alla metà dell'aliquota media applicabile al suo reddito complessivo, mentre i dividendi esteri vengono tassati sempre con l'aliquota normale sul reddito personale.

2)       Se per la soluzione della questione sub 1) sia rilevante l'entità dell'imposizione che grava sul reddito della società di capitale alla quale si partecipa, società avente la propria sede e la propria direzione in un altro Stato membro o in uno Stato terzo.

3)       In caso di soluzione affermativa della questione sub 1), se la situazione descritta dall'art. 73 B, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 56, n. 1, CE), si possa verificare nel caso in cui l'imposta sulle persone giuridiche corrisposta nel loro Stato di stabilimento dalle società di capitali aventi la propria sede e la propria direzione in un altro Stato membro o in uno Stato terzo venga compensata in percentuale con l'imposta sul reddito personale dovuta in Austria dal titolare dei dividendi».

15.      Nel procedimento così instauratosi hanno presentato osservazioni scritte la ricorrente nel giudizio principale, i governi di Austria, Danimarca, Francia e Regno Unito, nonché la Commissione. La ricorrente nel giudizio principale, l'Austria, il Regno Unito e la Commissione sono altresì intervenuti nell'udienza tenutasi il 29 gennaio 2004.

16.      Nell'istruzione della causa la Corte ha posto una domanda al governo austriaco per avere precisazioni in merito alla legislazione fiscale in vigore nel 1996.

III – Analisi giuridica

Sui primi due quesiti

17.      Con i primi due quesiti, che conviene trattare contestualmente, il Verwaltungsgerichtshof chiede se sia compatibile con le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione dei capitali una normativa che consente ai soli titolari di redditi da capitale nazionali di scegliere tra una speciale imposta a carattere liberatorio e l'ordinaria imposta sui redditi con riduzione dell'aliquota del 50%, mentre prevede che ai redditi da capitale stranieri si applichi necessariamente l'ordinaria imposta sui redditi senza riduzioni di aliquota. Esso vuole inoltre sapere se la soluzione di detto quesito dipenda dal livello dell’imposizione che grava, negli altri Stati membri o in paesi terzi, sulle società che producono quei redditi.

18.      Come ho già anticipato, una questione analoga è già stata sottoposta alla Corte nella causa Schmid, dove però non si arrivò ad una decisione di merito perché l’organo allora remittente (il Berufungssenat) non possedeva la qualità di giurisdizione ai sensi dell’art. 234 CE. Per l’irricevibilità del rinvio pregiudiziale mi ero espresso anch’io nelle conclusioni presentate il 29 gennaio 2002 per tale causa  (6) ; in quella sede, però, avevo anche esaminato, in via sussidiaria, il merito della questione che viene ora, in sostanza, riproposta dal Verwaltungsgerichtshof. A quelle conclusioni quindi mi riferirò ampiamente nel prosieguo.

19.      Come nella causa Schmid, per risolvere il quesito sopra sintetizzato si dovrà anzitutto stabilire se una disciplina del tipo di quella in esame possa determinare una restrizione ai movimenti di capitali ai sensi dell'art. 73 B del Trattato CE, per poi valutare, in caso affermativo, se detta disciplina possa essere giustificata ai sensi dell'art. 73 D.

i)       Sul carattere restrittivo della disciplina in esame

20.      Per il primo aspetto, devo anzitutto ricordare che «costituiscono (...) restrizioni ai movimenti dei capitali, ai sensi [dell'art. 73 B del Trattato CE], misure imposte da uno Stato membro atte a dissuadere i suoi residenti dal (...) compiere investimenti in altri Stati membri»  (7) . Al riguardo, la Corte ha in particolare precisato che «il fatto di subordinare la concessione di un vantaggio fiscale in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche in possesso di azioni, come l'esenzione dei dividendi, alla condizione che i dividendi provengano da società stabilite nel territorio nazionale costituisce una restrizione ai movimenti di capitali»  (8) .

21.      Ciò in quanto una siffatta disciplina:

– da un lato, «ha l'effetto di dissuadere i cittadini (...) residenti [nello Stato membro interessato] dall'investire i loro capitali nelle società aventi sede in un altro Stato membro»;

– dall'altro, «produce anche un effetto restrittivo nei riguardi delle società stabilite in altri Stati membri, in quanto costituisce, nei loro confronti, un ostacolo alla raccolta di capitali [nello Stato membro interessato] nei limiti in cui i dividendi da esse versati ai residenti [di detto Stato] sono trattati in maniera meno favorevole, sul piano fiscale, rispetto ai dividendi distribuiti da una società stabilita [in quello stesso Stato], con la conseguenza di rendere meno attraenti, per gli investitori residenti [nello Stato membro in questione], le loro azioni o quote di capitale sociale rispetto a quelle di società aventi sede in [detto] Stato membro» 9  –Sentenza Verkooijen, punti 34 e 35..

22.      Come ho già sostenuto nella causa Schmid, se si accoglie tale nozione di «restrizione ai movimenti di capitali» ai sensi dell'art. 73 B, non si può negare l’esistenza di una siffatta restrizione in presenza di una disciplina, come quella in esame, che per i redditi da capitale nazionali consente di scegliere tra l'imposta a carattere liberatorio al tasso fisso del 25% e l'ordinaria imposta sui redditi con aliquota ridotta del 50%, mentre per i redditi da capitale stranieri prescrive l'applicazione dell'ordinaria imposta sui redditi senza riduzioni di aliquota. Non vi sono dubbi, infatti, che una siffatta normativa riservi un trattamento di favore ai redditi da capitale nazionali, scoraggiando gli investitori nazionali dall'acquisire partecipazioni in società di altri Stati membri e determinando per queste ultime un ostacolo alla raccolta di capitali nello Stato membro interessato.

23.      Come nella causa Schmid ritengo pertanto che, riservando un trattamento fiscale di favore ai redditi da capitale nazionali rispetto a quelli stranieri, la disciplina in esame comporti una restrizione ai movimenti di capitali in principio vietata dall'art. 73 B del Trattato CE.

ii)     Sulla possibile giustificazione della disciplina in esame in base all'art. 73 D

24.      Tale conclusione, tuttavia, non comporta necessariamente l’incompatibilità di una siffatta disciplina con le norme sulla libera circolazione di capitali.

25.      Ricordo nuovamente infatti che, ai sensi dell'art. 73 D, n. 1, del Trattato CE, «[l]e disposizioni dell'articolo 73 B non pregiudicano il diritto degli Stati membri (...) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda (...) il luogo di collocamento del loro capitale», né il diritto «di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali»  (10) .

26.      Per rispondere ai primi due quesiti pregiudiziali formulati dal Verwaltungsgerichtshof si dovrà ancora valutare, dunque, se la disciplina in esame possa essere giustificata in base all'art. 73 D, n. 1, del Trattato CE.

27.      Al riguardo, devo anzitutto ricordare che tale disposizione, in quanto autorizza una deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali  (11) , dev'essere interpretata restrittivamente e comunque non può giustificare disposizioni e misure nazionali che costituiscano «un mezzo di discriminazione arbitraria» o «una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali (...) di cui all'articolo 73 B» (art. 73 D, n. 3, del Trattato CE).

28.      Ne discende che le restrizioni derivanti da una disciplina del tipo di quella in esame possono essere ammesse in forza dell'art. 73 D, n. 1, solo qualora le differenze di trattamento tra i redditi da capitale nazionali e quelli stranieri siano oggettivamente giustificate dalla differenza delle situazioni o da motivi imperativi di interesse generale  (12) .

29.      Ricordo, del resto, che, con riferimento alle misure volte ad impedire violazioni della normativa fiscale nazionale, la Corte ha già avuto modo di chiarire che «[a]ffinché un provvedimento possa rientrare nelle previsioni dell'art. 73 D del Trattato, deve rispettare il principio di proporzionalità, nel senso che deve essere idoneo a garantire la realizzazione dell'obiettivo che esso persegue e che non [deve andare] al di là di quanto è necessario per conseguirlo»  (13) . In definitiva, il provvedimento deve essere «necessari[o] alla tutela degli scopi perseguiti», nel senso che questi non possono essere realizzati «con provvedimenti meno restrittivi della libera circolazione dei capitali»  (14) .

30.      Per stabilire se le restrizioni ai movimenti dei capitali derivanti dalla disciplina fiscale in questione possano essere ammesse in forza dell'art. 73 D, n. 1, del Trattato CE, si deve quindi anzitutto valutare se, come sostengono i governi intervenuti, le differenze di trattamento tra i redditi da capitale nazionali e quelli stranieri siano oggettivamente giustificate e non comportino quindi discriminazioni arbitrarie o restrizioni dissimulate alla libera circolazione dei capitali.

31.      A tal riguardo, il Regno Unito afferma che i vantaggi fiscali previsti dalla normativa in esame sono limitati ai dividendi delle società nazionali in quanto l'amministrazione austriaca riscuote l'imposta ad essi relativa direttamente presso le società che li distribuiscono. Poiché tale modalità di riscossione non sarebbe possibile nel caso di redditi da capitale prodotti da società stabilite in altri Stati membri, sarebbe tecnicamente impossibile estendere detti vantaggi a queste ultime.

32.      In proposito, ricordo anzitutto che soltanto l'imposta a carattere liberatorio viene riscossa presso la società che distribuisce gli utili, la quale procede, in qualità di sostituto d'imposta, ad una ritenuta alla fonte. Solo per tale forma di imposizione quindi sussisterebbe l’impedimento tecnico alla riscossione che, secondo il Regno Unito, porrebbe i redditi da capitale stranieri in una situazione oggettivamente differente rispetto a quelli nazionali, giustificando così un loro trattamento differenziato.

33.      Fatta questa precisazione, ricordo che già nella causa Schmid avevo giudicato detta argomentazione poco convincente. Infatti, se è vero che per applicare in Austria la ritenuta alla fonte è necessaria la presenza di un sostituto d'imposta in quel paese, non è ugualmente vero che l'imposta a carattere liberatorio presupponga necessariamente una ritenuta alla fonte. Ritengo in effetti che, per riscuotere un'imposta del tipo di quella in esame (caratterizzata da un'aliquota fissa del 25% e dall'effetto liberatorio), potrebbero essere previste modalità tecniche diverse e tali da poter essere applicate senza problemi anche ai redditi prodotti da società straniere.

34.      Come sottolineato anche nella presente causa dalla Commissione, un esempio in tal senso è offerto dalla stessa normativa austriaca sopra descritta, secondo la quale, in determinati casi in cui non può procedersi alla ritenuta alla fonte, l'imposta a carattere liberatorio potrebbe essere riscossa «mediante versamento in autotassazione all'ente erogatore dei dividendi di un importo pari alla ritenuta sui redditi di capitale»  (15) . Per i redditi provenienti da società straniere potrebbe dunque prevedersi una simile forma di «versamento in autotassazione» all'amministrazione finanziaria, che consenta di applicare anche a tali redditi l'imposta a carattere liberatorio e di eliminare così le constatate restrizioni ai movimenti di capitali.

35.      Per quanto riguarda poi la riduzione del 50% dell'aliquota in caso di assoggettamento dei redditi da capitale nazionali all'ordinaria imposta sui redditi, tutti i governi intervenuti sostengono che tale riduzione s'impone per garantire la coerenza del sistema fiscale nazionale e che tale finalità, ai sensi delle sentenze Bachmann e Commissione/Belgio  (16) , può «giustificare una normativa tale da restringere le libertà fondamentali»  (17) . La disciplina in esame sarebbe in particolare giustificata dal fatto che gli utili prodotti dalle società stabilite in Austria sono già sottoposti in quel paese ad un'imposta a tasso fisso del 34% e sarebbe dunque incongruo tassare nuovamente gli stessi utili al momento della loro distribuzione agli azionisti, assoggettandoli integralmente all'imposta sui redditi.

36.      Di diverso avviso sono invece la ricorrente nel giudizio principale e la Commissione, le quali considerano ingiustificato il diverso trattamento dei dividendi a seconda che siano maturati da società nazionali o straniere. Esse sottolineano in particolare che la disciplina in esame non può essere giustificata dall'invocata esigenza di garantire la coerenza del regime fiscale nazionale onde evitare una forma di doppia imposizione (in senso economico), dato che l'imposta sulle società e quelle sui redditi da capitale interessano soggetti differenti.

37.      Come ho già osservato nella causa Schmid, anche a me sembra che non possa qui invocarsi l'esigenza richiamata dalle sentenze Bachmann e Commissione/Belgio. Ricordo, infatti, che in quei casi «esisteva, trattandosi di un solo e stesso contribuente, un legame diretto tra la concessione di un vantaggio fiscale e la compensazione di tale vantaggio con un prelievo fiscale, effettuati nell'ambito di una stessa imposta. Si trattava, in concreto, del legame tra la deducibilità dei contributi e la tassazione delle somme dovute dagli assicuratori in esecuzione dei contratti d'assicurazione contro la vecchiaia e il decesso, legame che occorreva preservare per salvaguardare la coerenza del regime fiscale controverso»  (18) . Nel caso in esame non sussiste invece un legame diretto tra l'imposta sulle società e quella sui redditi da capitale, dato che, come nel caso Verkooijen, «[s]i tratta di due imposte distinte che gravano su contribuenti distinti» (le società e gli azionisti)  (19) .

38.      Conformemente a quanto stabilito nella sentenza Verkooijen, non ritengo dunque che le restrizioni ai movimenti di capitali derivanti dalla disciplina in esame possano essere giustificate dall'esigenza di garantire la coerenza del regime fiscale nazionale.

39.      In casi come quello di specie, inoltre, ritengo che, diversamente da quanto osservato dal governo danese in merito al secondo quesito, l’esigenza di coerenza del sistema fiscale non possa essere invocata neppure quando il reddito delle società che hanno sede in un altro Stato membro venga in tale Stato assoggettato ad una fiscalità poco elevata.

40.      Come ha giustamente osservato la Commissione, sarebbe infatti ingiustificato escludere per i soli redditi da capitale stranieri l’applicazione dell’imposta liberatoria e dell’aliquota dimezzata in considerazione del livello dell’imposizione sulle società. Tale esclusione presupporrebbe, infatti, l’esistenza di un legame diretto tra l’imposta sulle società e l’imposta sugli azionisti che, come si è detto, nel sistema fiscale austriaco non sussiste; non sarebbe quindi coerente creare un nesso di questo tipo soltanto per la tassazione dei redditi prodotti da società straniere.

41.      Ma escludere le suddette agevolazioni in considerazione della minore imposizione delle società straniere sarebbe ingiustificato anche perché in tal modo si finirebbe col far scontare agli azionisti un eventuale vantaggio impositivo riconosciuto a dette società, vantaggio di cui essi potrebbero beneficiare soltanto in modo indiretto ed eventuale, cioè solo nel caso che la minore imposizione si traducesse in maggiori utili distribuiti.

42.      Ma soprattutto, così facendo, si scoraggerebbero i privati dal collocare i loro capitali in società che pur godono in altri Stati membri di migliori condizioni di mercato e sono pertanto in grado di garantire una maggiore remunerazione degli investimenti. Ciò perché i vantaggi derivanti dalle differenze nell’imposizione diretta delle imprese verrebbero neutralizzati da un trattamento fiscale penalizzante, che priverebbe in definitiva di contenuto la stessa libertà dei privati di far circolare i loro capitali all’interno della Comunità  (20) .

43.      Per giustificare la normativa austriaca in esame, infine, il governo francese sostiene che, se l'imposizione a carattere liberatorio o la riduzione dell'aliquota fossero estese ai dividendi distribuiti da società stabilite in altri Stati membri, l'amministrazione fiscale del paese di residenza dell'azionista non potrebbe controllare in maniera efficace gli utili prodotti da dette società. La disciplina in esame potrebbe quindi essere giustificata ai sensi dell'art. 73 D, n. 1, lett. b), del Trattato CE, secondo cui le disposizioni dell'articolo 73 B non pregiudicano il diritto degli Stati membri «di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali».

44.      A mio avviso, però, tale argomentazione non può essere accolta. Come ho già sottolineato nella causa Schmid, è infatti evidente che la disciplina in esame non garantisce in alcun modo l'efficacia dei controlli fiscali, dato che il trattamento meno favorevole riservato ai redditi da capitale stranieri non consente affatto di controllare che questi siano regolarmente dichiarati al fisco austriaco al fine del loro assoggettamento all'ordinaria imposta sui redditi.

45.      Da quanto precede risulta pertanto che gli elementi invocati dai governi intervenuti non possono giustificare, ai sensi dell'art. 73 D, n. 1, del Trattato CE, le restrizioni ai movimenti di capitali derivanti dalla disciplina fiscale in esame.

46.      Si deve dunque concludere che l'art. 73 B, n. 1, del Trattato CE, in combinato disposto con l'art. 73 D, n. 1, del Trattato CE, osta ad una disciplina del tipo di quella in esame, che consente ai soli titolari di redditi da capitale nazionali di scegliere tra la speciale imposta a carattere liberatorio e l'ordinaria imposta sui redditi con riduzione dell'aliquota del 50%, mentre prevede che ai redditi da capitale stranieri si applichi necessariamente l'ordinaria imposta sui redditi senza riduzioni di aliquota.

47.      La mancata concessione ai titolari di redditi da capitale stranieri della indicata facoltà di scegliere tra le due diverse forme di imposizione non può essere giustificata dal fatto che il reddito delle società che hanno sede in un altro Stato membro venga assoggettato in tale Stato ad una fiscalità poco elevata.

Sul terzo quesito

48.      Con il terzo quesito, il giudice del rinvio chiede se l'art. 73 B, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 56, n. 1, CE) osti ad una normativa fiscale nazionale che consente al contribuente, che percepisce dividendi da società straniere, di dedurre in percentuale dall'imposta nazionale sui redditi delle persone fisiche l'imposta sui redditi delle persone giuridiche versata all’estero dalla società cui partecipa.

49.      La ricorrente nel giudizio principale e la Commissione hanno contestato la ricevibilità di tale quesito. Si tratterebbe infatti di una questione puramente ipotetica, in quanto di fatto una deduzione di questo tipo non è contemplata nell’ordinamento austriaco.

50.      In ogni caso, osserva la ricorrente nel giudizio principale, ove pure fosse contemplata, detta deduzione non eliminerebbe la discriminazione a danno di chi percepisce dividendi da società estere in quanto, almeno in determinate circostanze, tali redditi continuerebbero ad essere tassati più pesantemente rispetto ai redditi da capitale nazionali.

51.      Secondo la Commissione, invece, nell’indicata eventualità il diritto comunitario non si opporrebbe alla deduzione di cui parla il giudice del rinvio, a condizione che essa si applichi in maniera identica ai dividendi nazionali e a quelli stranieri.

52.      Secondo i governi austriaco e danese, invece, la suddetta deduzione, anche se applicata soltanto ai redditi da capitale stranieri, sarebbe compatibile con gli artt. 73 B e 73 D del Trattato CE. Un eventuale trattamento fiscale di sfavore a danno di tali redditi sarebbe, infatti, giustificato dall’esigenza di garantire la coerenza del sistema fiscale nazionale e di evitare distorsioni della concorrenza a vantaggio di quegli Stati che adottano imposte modeste nei confronti delle società aventi sede sul loro territorio.

53.      Da parte mia, ricordo anzitutto che secondo una giurisprudenza ben nota «la ratio del rinvio pregiudiziale, e quindi della competenza della Corte, non consiste nell'esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche (…), bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia»  (21) .

54.      Ricordo altresì che, proprio per preservare tale funzione del rinvio pregiudiziale, la Corte si riserva un margine di apprezzamento in merito alle valutazioni operate dai giudici nazionali sulla necessità e rilevanza delle questioni ad essa sottoposte, fino ad escludere, all'occorrenza, la ricevibilità del rinvio  (22) .

55.      Ciò premesso, rilevo che le disposizioni richiamate nell’ordinanza di rinvio non prevedono la possibilità di dedurre in Austria l’imposta sulle società versata in un altro Stato membro o in paesi terzi. Né l’ordinanza permette di verificare se detta deduzione possa risultare in via interpretativa da altre disposizioni.

56.      D’altra parte, invitato dalla Corte a fornire chiarimenti sul punto, lo stesso governo austriaco ha confermato che la legislazione fiscale in vigore al momento dei fatti della controversia principale non permetteva di ricostruire, neppure attraverso una interpretazione estensiva della legge, una deduzione quale quella indicata dal giudice del rinvio.

57.      Ora, se – come ha precisato lo stesso governo austriaco – una siffatta deduzione non può essere legittimamente desunta dalla legislazione nazionale, hanno allora ragione la ricorrente nel giudizio principale e la Commissione nel sostenere che il terzo quesito solleva una questione puramente ipotetica.

58.      Se la ricostruzione del governo austriaco è corretta, infatti, una risposta della Corte su detto quesito rappresenterebbe un parere consultivo sulle modalità che uno Stato membro può in astratto seguire per eliminare le restrizioni alla libera circolazione di capitali determinate dalla propria normativa fiscale. Ma la Corte risolverebbe per l’appunto un problema soltanto ipotetico, privo di qualsiasi relazione con l’oggetto della causa principale.

59.      Ritengo dunque che la Corte non sia competente a pronunciarsi sul terzo quesito pregiudiziale formulato dal Verwaltungsgerichtshof.

60.      Tuttavia, per l’ipotesi in cui la Corte, considerati la complessità delle disposizioni fiscali in esame e i dubbi formulati dal giudice austriaco, ritenesse comunque opportuno rispondere al quesito, tale risposta dovrebbe essere a mio avviso negativa.

61.      Ritengo infatti che una normativa fiscale nazionale che consenta al contribuente, che percepisce dividendi da società straniere, di dedurre in percentuale dall'imposta nazionale sui redditi delle persone fisiche l'imposta sui redditi delle persone giuridiche versata all’estero dalla società cui partecipa, determini una restrizione ai movimenti di capitali in principio vietata dall’art. 73 B del Trattato CE, se detta normativa comporta un trattamento fiscale di favore per i redditi da capitale nazionali. Spetta però al giudice nazionale verificare se, nel caso di specie, l’applicazione di tale forma di deduzione penalizza i redditi da capitale stranieri.

62.      Aggiungo inoltre che, a differenza di quanto sostengono i governi austriaco e danese, l’eventuale disparità di trattamento non potrebbe essere giustificata né dall’esigenza di coerenza del sistema fiscale né da quella di evitare distorsioni della concorrenza a favore degli Stati che prevedono una minore imposizione delle società. E ciò per le ragioni che ho già illustrato ai paragrafi 39-42.

IV – Conclusioni

63.      Alla luce delle considerazioni che precedono propongo pertanto alla Corte di rispondere ai quesiti pregiudiziali formulati dal Verwaltungsgerichtshof nei seguenti termini:

«1)     L'art. 73 B, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 56, n. 1, CE), in combinato disposto con l'art. 73 D, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 58, n. 1, CE), osta ad una disciplina del tipo di quella prevista dagli artt. 37 e 97 EStG 1988 (BGBl. 1988/400) nel testo pubblicato in BGBl. 1996/797, la quale consente ai soli titolari di redditi da capitale nazionali di scegliere tra la speciale imposta a carattere liberatorio e l'ordinaria imposta sui redditi con riduzione dell'aliquota del 50%, mentre prevede che ai redditi da capitale stranieri si applichi necessariamente l'ordinaria imposta sui redditi senza riduzioni di aliquota.

2)       La mancata concessione ai titolari di redditi da capitale stranieri della indicata facoltà di scegliere tra le due diverse forme di imposizione non può essere giustificata dal fatto che il reddito delle società che hanno sede in un altro Stato membro venga assoggettato in tale Stato ad una fiscalità poco elevata.

3)       La Corte di giustizia delle Comunità europee non è competente a risolvere il terzo quesito sottopostole dal Verwaltungsgerichtshof con ordinanza 27 agosto 2002».


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – Sentenza 30 maggio 2002, causa C-516/99, Schmid (Racc. pag. I-4573).


3 – BGBl. 1988/400 nella versione risultante dal BGBl. 1996/201.


4 – Nella versione risultante dal BGBl. 1996/797.


5 – Nella versione risultante dal BGBl. 1996/797.


6 – Conclusioni 29 gennaio 2002, causa C-516/99, Schmid (Racc. pag. I-4573, in particolare pag. I-4575).


7 – Sentenza 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-7587, punto 18); nello stesso senso sentenze 14 novembre 1995, Svensson e Gustavsson, causa C-484/93 (Racc. pag. I-3955, punto 10); 16 marzo 1999, causa C–222/97, Trummer e Mayer (Racc. pag. I-1661, punto 26); 14 ottobre 1999, causa C-439/97, Sandoz (Racc. pag. I-7041, punto 19).


8 – Sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I-4071, punto 36).


9 – Sentenza Verkooijen, punti 34 e 35.


10 – Art. 73 D, n. 1, lett. a) e b).


11 – Sentenza 14 marzo 2000, causa C-54/99, Église de scientologie (Racc. pag. I-1335 punto 17).


12 – In questo senso mi sembra che vada letta la sentenza Verkooijen, che con riferimento all'art. 73 D, n. 1, lett. a), ha ribadito, conformemente alla precedente giurisprudenza della Corte, che «sin da prima dell'entrata in vigore [di quella disposizione], disposizioni fiscali nazionali del tipo di quelle considerate da tale articolo, in quanto operavano talune distinzioni, in particolare fondate sulla residenza dei contribuenti, potevano essere compatibili con il diritto comunitario qualora si applicassero a situazioni non obiettivamente comparabili (v., in particolare, sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225) o potessero essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, ed in particolare in base alla coerenza del regime fiscale (sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, e causa C-300/90, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-305)» (punto 43).


13 – Sentenza 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-7587, punto 41).


14 – Sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94, Sanz de Lera e a. (Racc. pag. I-4821, punto 23).


15 – Art. 97, n. 2, EStG.


16 – Sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, e causa C-300/90, Commissione/Belgio, cit. in nota 12.


17 – Sentenza Verkooijen, punto 56.


18 – Sentenza Verkooijen, punto 57; il corsivo è mio.


19 – Sentenza Verkooijen, punto 58.


20 – Sull’impossibilità di giustificare un trattamento fiscale sfavorevole in contrasto con una libertà fondamentale per l’esistenza di altri vantaggi fiscali v. sentenza Verkooijen, punto 61. V. anche, per quanto riguarda l'art. 43 CE, sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia (Racc. pag. 273, punto 21); 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher (Racc. pag. I-3089, punto 53); e soprattutto, con riferimento all’art. 49 CE, 26 ottobre 1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehrs (Racc. pag. I-7447, punti 43-45).


21 – V., tra tante, sentenze 15 giugno 1995, cause riunite da C-422/93 a C-424/93, Zabala Erasun e a. (Racc. pag. I-1567, punto 29), e 12 marzo 1998, causa C-314/96, Djabali (Racc. pag. I-1149, punti 17-20).


22 – In particolare, la Corte ha in più occasioni «ritenuto di non poter statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale qualora appaia in modo manifesto che l'interpretazione di una norma comunitaria o il giudizio sulla sua validità chiesti da tale giudice non hanno alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa principale, [oppure] qualora il problema sia di natura ipotetica» (sentenza 13 luglio 2000, causa C-36/99, Idéal tourisme, Racc. pag. I-6049, punto 20). V. anche sentenze 16 luglio 1992, cause C-343/90, Lourenço Dias (Racc. pag. I-4673, punti 17 e 18); C-83/91, Meilicke (Racc. pag. I-4871, punto 25); 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punto 61); e 9 marzo 2000, causa C-437/97, EKW e Wein & Co. (Racc. pag. I-1157, punto 52).