CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
PHILIPPE LÉGER
presentate l'11 marzo 2004(1)
Causa C-321/02Finanzamt RendsburgcontroDetlev Harbs
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof (Germania)]
«Sesta direttiva IVA – Art. 25 – Regime comune forfettario dei produttori agricoli – Affitto da parte di un produttore agricolo di parte dei beni della sua azienda – Applicazione del regime generale ai proventi dell'affitto»
1.
Nella presente causa, il Bundesfinanzhof (Germania) chiede alla Corte di giustizia di precisare la sfera di applicazione dell’art. 25
della sesta direttiva 77/388/CEE
(2)
, concernente il regime comune forfettario per i produttori agricoli. Detta domanda trae origine da una controversia tra un’amministrazione
fiscale nazionale ed un produttore agricolo che ha dato in affitto i beni della sua azienda destinati alla produzione del
latte. Si tratta di determinare se il canone di affitto possa essere sottoposto al regime comune forfettario di cui all’art. 25
della sesta direttiva o al regime generale in materia di imposta sul valore aggiunto
(3)
, ovvero se esso debba essere completamente esentato.
I – Contesto normativo
2.
Nella sesta direttiva il legislatore comunitario, stabilendo una base imponibile uniforme dell’IVA per tutta la Comunità europea,
ha inteso armonizzare la sfera di applicazione di detta imposta in tutti gli Stati membri. Ha inoltre dato una definizione
molto ampia alla sfera di applicazione di tale imposta. In tal senso, l’imposta dev’essere applicata a tutte le cessioni di
beni e prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso da un operatore economico agente in modo indipendente nell’ambito
di un’attività economica
(4)
. Tra tali attività economiche figurano altresì le attività agricole
(5)
.
3.
L’IVA è stata concepita come un tributo gravante sul consumo finale dei consumatori. Deve quindi essere neutra per gli operatori
economici. Tuttavia, essa viene applicata da ogni operatore che interviene nel circuito di produzione e di distribuzione o
di prestazione di servizi. In pratica, ciò significa che ogni operatore applica l’IVA al prezzo dei suoi prodotti e servizi
e, a scadenze periodiche, versa all’Erario l’imposta in tal modo riscossa previa deduzione dell’IVA pagata per gli acquisti
di prodotti e servizi necessari per la propria attività economica. L’attuazione di un tale sistema richiede, dunque, da parte
dei soggetti passivi la tenuta di una contabilità sufficientemente particolareggiata da consentire sia l’applicazione dell’IVA
sia i relativi controlli da parte dell’Amministrazione Finanziaria
(6)
.
4.
La tenuta di tale contabilità si è rivelata molto difficile per taluni operatori economici come le piccole imprese e la maggior
parte degli agricoltori. Nella sesta direttiva il legislatore comunitario ha dunque voluto armonizzare i regimi particolari
che gli Stati membri avevano istituito a favore di dette categorie professionali
(7)
. Così, l’art. 24 della sesta direttiva prevede la facoltà per gli Stati membri di sottoporre le piccole imprese ad un regime
semplificato fondato su un sistema di franchigie.
5.
A norma dell’art. 25 della sesta direttiva, il legislatore comunitario ha parimenti previsto la facoltà per gli Stati membri
di applicare ai produttori agricoli, per i quali l’assoggettamento al regime normale dell’IVA o, eventualmente, al regime
semplificato di cui all’art. 24 della stessa direttiva creasse difficoltà, un regime comune forfettario inteso a compensare
l’onere dell’IVA pagata a monte sui loro acquisti di beni e servizi. Questi produttori agricoli vengono definiti «agricoltori
forfettari»
(8)
.
6.
L’art. 25 della sesta direttiva assoggetta il suddetto regime comune forfettario alle seguenti regole. Gli Stati membri fissano,
secondo le modalità di calcolo determinate dalla predetta direttiva, le percentuali forfettarie di compensazione. Tali percentuali
non devono avere l’effetto di procurare all’insieme degli agricoltori forfettari rimborsi superiori agli oneri dell’IVA sostenuti
a monte
(9)
.
7.
Ai sensi dell’art. 25, n. 5, della sesta direttiva, tali percentuali sono applicate al prezzo, al netto d’imposta, dei prodotti
e delle prestazioni di servizi agricoli che gli agricoltori forfettari hanno venduto a soggetti passivi diversi dagli agricoltori
forfettari. Questa compensazione esclude ogni altra forma di deduzione.
8.
La compensazione forfettaria viene corrisposta agli agricoltori forfettari sia dall’acquirente o dal destinatario soggetto
passivo, sia dall’Amministrazione. Nel primo caso, l’agricoltore forfettario fattura all’acquirente o al destinatario soggetto
passivo la percentuale forfettaria di compensazione fissata dallo Stato e trattiene per conto proprio l’IVA in tal modo incassata.
Nel secondo, l’Amministrazione versa al detto agricoltore forfettario l’importo della compensazione forfettaria risultante
dall’applicazione di tale percentuale agli incassi dal medesimo effettuati.
9.
Conformemente all’art. 25, n. 8, della sesta direttiva, qualora l’agricoltore forfettario ceda i suoi prodotti o fornisca
i suoi servizi ad acquirenti o a destinatari non soggetti all’IVA oppure ad altri agricoltori forfettari, si ritiene che la
compensazione dell’onere dell’IVA pagata a monte sia stata effettuata dall’acquirente o dal destinatario.
10.
Ai sensi dell’art. 25, n. 2, quinto trattino, della sesta direttiva, sono considerate «prestazioni di servizi agricoli» le
«prestazioni di servizi elencate nell’allegato B effettuate da un produttore agricolo con la manodopera di cui dispone e/o
con la normale attrezzatura della propria azienda agricola».
11.
Nell’allegato B della sesta direttiva contenente l’elenco delle prestazioni di servizi agricole, precisa che «vanno considerate
come prestazioni di servizi agricole le prestazioni di servizi che normalmente contribuiscono alla realizzazione della produzione
agricola ed in particolare (…), la locazione, a fini agricoli, di mezzi normalmente usati nell’azienda agricola».
12.
Nella legislazione tedesca, il meccanismo di compensazione forfettaria di cui all’art. 25 della sesta direttiva è stato attuato
per mezzo dell’art. 24 de l’Umsatzsteuergesetz 1991
(10)
. In forza di tale articolo, l’imposta applicata dai produttori agricoli ai loro prodotti e servizi, fissata all’8%, compensa
l’IVA versata a monte in modo che essi non debbano pagare l’eccedenza.
II – Fatti
13.
Il sig. Detlev Harbs è un produttore agricolo che ha dato in affitto al figlio, a decorrere dal 15 novembre 1992 e fino al
30 giugno 2005, il complesso dei beni della propria azienda destinati alla produzione del latte, ossia 31,2 ha di terreno,
una stalla per mucche, 65 mucche ed una quota latte di oltre 300 000 kg. Il canone di affitto veniva determinato nell’importo
annuo, rispettivamente, di DM 9 360 e DM 10 200 per il terreno e la stalla nonché nell’importo annuo, rispettivamente, di
DM 6 000 e DM 32 136,70 per le mucche e la quota latte. Successivamente alla conclusione del contratto, il sig. Harbs proseguiva
l’attività con la parte restante della sua azienda agricola, costituita da 61,4 ha di terreno, da edifici, da un allevamento
taurino di circa 60 capi per l’ingrasso e da un allevamento di 120 bovini.
14.
Il sig. Harbs riteneva che il canone di affitto fosse sottoposto in toto al regime comune forfettario previsto dall’art. 24
dell’UStG. Il Finanzamt Rendsburg (Germania) rilevava, invece, che, se è pur vero che l’affitto del terreno e della stalla
è esentato dall’imposta in virtù della normativa tedesca, per contro, le somme percepite per la messa a disposizione delle
mucche e della quota latte sono assoggettate al regime ordinario dell’IVA. L’Ufficio emanava nei confronti del sig. Harbs
un avviso di pagamento di DM 361 corrispondenti all’IVA dovuta per l’anno 1992.
15.
Il Finanzgericht (Germania) accoglieva il ricorso del sig. Harbs, sulla base del rilievo che il corrispettivo tratto dall’affitto
de quo rientra nella sfera di applicazione dell’art. 24 dell’UstG. Il Finanzamt Rendsburg proponeva ricorso per cassazione
dinanzi al Bundesfinanzhof.
III – Questione pregiudiziale
16.
Come premessa all’argomentazione contenuta nella propria decisione di rinvio, il Bundesfinanzhof ritiene che, malgrado l’affitto
controverso, il sig. Harbs abbia mantenuto la qualità di produttore agricolo ai sensi dell’art. 25 della sesta direttiva,
avendo proseguito la gestione di quella parte della sua proprietà, relativamente cospicua, che non era stata concessa in affitto.
17.
Per quanto concerne il regime IVA applicabile, il Bundesfinanzhof ritiene, da un lato, che l’applicazione a tale produttore
agricolo di due regimi diversi, ossia il regime comune forfettario per l’attività in proprio e il regime normale per l’affitto
di cui trattasi, possa apparire contraria all’obiettivo di semplificazione sotteso all’art. 25 della sesta direttiva.
18.
Dall’altro, il Bundesfinanzhof solleva dubbi in ordine alla questione se tale affitto possa essere considerato quale prestazione
di servizi agricoli ex art. 25 della sesta direttiva. Nell’ipotesi in cui tale affitto non rientrasse nel regime comune forfettario,
il detto giudice si chiede inoltre se, con riguardo allo spirito e alla finalità dell’art. 25 della sesta direttiva, il reddito
corrispondente a tale affitto non debba essere interamente esentato in modo che, al pari dei proventi della cessione di una
macchina agricola usata, non costituisca oggetto di tassazione né nell’ambito del regime comune forfettario né in quello del
regime generale.
19.
Il Bundesfinanzhof ha perciò deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente domanda pregiudiziale:
«Se il proprietario di un’azienda agricola,
–che ceda parte della propria azienda (quella afferente all’allevamento del bestiame da latte), e che dia in affitto ad altro
agricoltore i beni economici a tal fine necessari, e
–che, anche successivamente all’affitto, prosegua un’“attività agricola” in misura non trascurabile,
possa fare rientrare i proventi dell’affitto – al pari della restante parte del proprio fatturato – nel regime comune forfettario
dei produttori agricoli di cui all’art. 25 [della sesta direttiva], ovvero se la parte del fatturato relativa all’affitto
debba essere assoggettata al regime generale in materia di imposta sulla cifra di affari».
IV – Analisi
20.
Con la menzionata questione pregiudiziale, il Bundesfinanzhof chiede, in sostanza, se l’art. 25 della sesta direttiva debba
essere interpretato nel senso che un produttore agricolo, che abbia ceduto in affitto parte dei beni della propria azienda
e che continui l’attività di agricoltore con la parte restante di essa, attività soggetta al regime comune forfettario contemplato
dal detto articolo, possa fare rientrare i proventi dell’affitto in tale regime comune forfettario ovvero se tali proventi
debbano essere assoggettati al regime generale in materia di IVA.
21.
Dalla motivazione contenuta nella decisione di rinvio si evince che con tale domanda pregiudiziale, il Bundesfinanzhof ha
inteso sottoporre alla Corte due quesiti distinti. Il primo attiene al punto se i proventi dell’affitto in discussione debbano
rientrare o meno nel regime comune forfettario dei produttori agricoli. Il secondo è diretto ad accertare se, in caso di risposta
negativa alla prima questione, i proventi di tale affitto debbano essere soggetti al regime generale dell’IVA ovvero se possono
essere esentati in toto. Nel prosieguo esaminerò le due questioni in successione.
A –
Sull’applicazione del regime comune forfettario
22.
Al pari del governo tedesco e della Commissione europea, e dunque contrariamente al convenuto nella causa principale, ritengo
che i proventi dell’affitto controverso non possano rientrare nella sfera di applicazione del regime comune forfettario di
cui all’art. 25 della sesta direttiva. A mio avviso, tale conclusione discende abbastanza logicamente da un’analisi dei criteri
abitualmente utilizzati dalla Corte nell’interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario, vale a dire, il tenore
letterale delle disposizioni pertinenti, l’economia del regime comune forfettario e, infine, gli obiettivi che hanno presieduto
all’adozione di tale regime
(11)
.
1. Il testo delle disposizioni pertinenti
23.
Si è visto che in base all’art. 25 della sesta direttiva il regime comune forfettario dei produttori agricoli si applica soltanto
agli agricoltori che svolgono un’attività di produzione agricola e di prestazione di servizi agricoli.
24.
Al fine di garantire l’uniforme applicazione di tale regime in tutta la Comunità, il legislatore ha provveduto a definire
l’ambito della nozione di «prestazioni di servizi agricoli». A norma dell’art. 25, n. 2, quinto trattino, della sesta direttiva,
si tratta delle «prestazioni di servizi elencate nell’allegato B eseguite da un produttore agricolo con la manodopera di cui
dispone e/o con la normale attrezzatura della propria azienda agricola».
25.
Da tale definizione emerge con sufficiente chiarezza che le prestazioni contemplate sono quelle che l’agricoltore forfettario
è in grado di compiere con la manodopera e le attrezzature di cui dispone, di regola, per lo sfruttamento del proprio fondo
agricolo. Ne consegue che il riferimento, contenuto nell’allegato B, quinto trattino, della sesta direttiva, alla «locazione,
a fini agricoli, di mezzi normalmente usati nelle aziende agricole», dev’essere inteso, alla luce della definizione contenuta
nell’art. 25, n. 2, quinto trattino della direttiva stessa, nel senso che esso indica la locazione da parte di un agricoltore
forfettario dei mezzi dal medesimo usati abitualmente per lo sfruttamento del proprio fondo agricolo.
26.
Ciò implica che, nonostante il contratto di locazione, la parte ceduta in locazione possa ancora essere considerata come facente
parte dei beni normalmente impiegati dall’agricoltore forfettario per lo sfruttamento del proprio fondo agricolo. Il rispetto
di tale requisito dipende, secondo me, da due criteri che vanno presi in considerazione congiuntamente: il primo attiene alla
durata della locazione, il secondo all’oggetto di essa. Così, occorre anzitutto che la durata del contratto di locazione sia
sufficientemente breve perché il ovvero i locatari non diventino gli utilizzatori esclusivi dei beni di cui trattasi. Tale
requisito non sarebbe soddisfatto qualora, ad esempio, durante tutto il periodo della mietitura, un agricoltore forfettario
concedesse in locazione la sua mietitrebbiatrice e non la utilizzasse per conto proprio. Occorre, poi, che i beni dati in
locazione non eccedano i bisogni dell’agricoltore forfettario afferenti alla propria azienda. Tale condizione non ricorrerebbe
qualora quest’ultimo concedesse in locazione varie mietitrebbiatrici e le utilizzasse alternativamente per conto proprio sebbene,
per lo sfruttamento del suo fondo, una sola sarebbe necessaria.
27.
Ne consegue, a mio parere, che la nozione di «prestazioni di servizi agricoli», di cui all’art. 25 della sesta direttiva,
non comprende un contratto quale il contratto di affitto stipulato nella specie, vale a dire un accordo sulla base del quale
un agricoltore forfettario conferisce ad un altro agricoltore il godimento, per diversi anni, di parte dei beni della propria
azienda affinché quest’ultimo ne percepisca egli stesso i frutti. Infatti, cedendo in affitto ad un altro produttore, per
un periodo di 12 anni e mezzo, tutti i beni della propria azienda agricola destinati alla produzione del latte, vale a dire
gli edifici, i prati, la mandria di mucche e la quota latte, il convenuto nella causa principale, ha ceduto a quest’altro
produttore, per tutta la durata dell’affitto, l’uso esclusivo di ognuno di questi beni, nonché la possibilità di raccoglierne
i frutti. Un siffatto accordo non può dunque essere assimilato ad una prestazione resa da un agricoltore con la normale attrezzatura
della propria azienda in quanto, ad esempio, egli, per dodici anni e mezzo, non potrà più utilizzare nessuno di detti beni
per l’esercizio della propria attività agricola. In altre parole, dall’entrata in vigore del detto contratto in poi, tutti
questi beni hanno cessato di far parte dei beni normalmente impiegati per lo sfruttamento del proprio fondo agricolo.
28.
Tale analisi del tenore delle disposizioni dell’art. 25 e dell’allegato B della sesta direttiva è confortata dal fatto che,
in talune versioni linguistiche
(12)
, tale direttiva faccia espressamente riferimento alle nozioni di «affitto» e di «locazione» nell’ambito delle disposizioni
relative alle fattispecie di esenzione dall’IVA di cui all’art. 13, sub B, lett. b), e, sub C, lett. a)
(13)
. Come osservato dall’avvocato generale Jacobs al paragrafo 76 delle sue conclusioni nella causa «Goed Wonen»
(14)
, nelle versioni danese, tedesca, francese, italiana, olandese e svedese, questi due termini designano nel diritto interno
degli accordi il cui contenuto è differente nel senso che la locazione ha per oggetto di attribuire al locatario il diritto
di utilizzare l’altrui proprietà mentre l’affitto mira ad attribuire all’affittuario altresì il diritto di godere dei frutti
prodotti dall’immobile. Certo, come ha evidenziato la Corte, le nozioni di «affitto» e di «locazione» di cui all’art. 13 della
sesta direttiva non devono essere interpretate in base al significato che assumono nel diritto interno. Esse devono costituire
delle nozioni autonome di diritto comunitario al fine di garantire il carattere uniforme della base imponibile dell’IVA
(15)
. Tuttavia, la circostanza che nelle menzionate versioni linguistiche, l’elenco delle prestazioni di servizi agricoli che
possono essere effettuate da un agricoltore forfettario, menzioni solamente «la locazione, a fini agricoli, di mezzi normalmente
usati nelle aziende agricole», con esclusione di ogni riferimento all’affitto, legittima comunque la conclusione che il legislatore
comunitario non abbia voluto includere nelle prestazioni rientranti nel regime comune forfettario gli accordi mediante i quali
un agricoltore forfettario ceda ad un terzo, come nella specie, parte della propria attività o dei propri mezzi di produzione.
29.
L’esame del sistema del regime comune forfettario dei produttori agricoli conduce alla stessa analisi.
2. Il sistema del regime forfettario dei produttori agricoli
30.
Come emerge dall’art. 25, n. 1, della sesta direttiva, agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di applicare un regime
comune forfettario ai produttori agricoli per i quali l’assoggettamento al regime normale dell’IVA, o, eventualmente, al regime
semplificato dia luogo a difficoltà. Ne deriva che, in linea di principio, gli agricoltori rientrano nel regime normale dell’IVA
o nel regime semplificato e che il regime comune forfettario costituisce una deroga, che compete agli Stati membri decidere
se applicare o meno.
31.
Il carattere derogatorio del regime comune forfettario è altresì confermato dalle disposizioni di cui all’art. 25, n. 9, e
10, della sesta direttiva che stabiliscono, rispettivamente, che gli Stati membri possono escludere da tale regime talune
categorie di produttori agricoli e che gli agricoltori forfettari stessi possono optare per il regime normale o semplificato
nel rispetto delle condizioni determinate da ogni Stato membro.
32.
Trattandosi di una deroga al principio dell’assoggettamento degli agricoltori al regime normale o semplificato, la sfera di
applicazione del regime comune forfettario deve formare oggetto di un’interpretazione restrittiva
(16)
. Tale interpretazione è necessaria al fine di garantire il principio della neutralità dell’IVA che costituisce uno dei suoi
principi cardine. Esso implica, infatti, che le persone che effettuano le stesse operazioni e che le operazioni simili vengano
trattate, rispettivamente, allo stesso modo
(17)
. Come è stato ribadito nel quarto considerando della sesta direttiva, la neutralità dell’IVA in ordine all’origine dei beni
e delle prestazioni di servizi costituisce una condizione per la realizzazione di un mercato comune fondato su una sana concorrenza.
Ne deriva che la definizione delle prestazioni di servizi agricoli alle quali si applica il regime comune forfettario dei
produttori agricoli e che sono così sottratte al regime generale dell’IVA, dunque dev’essere interpretata in senso restrittivo.
Di conseguenza, il regime comune forfettario non deve essere applicato a prestazioni che il legislatore non abbia espressamente
voluto assoggettarli, in quanto ciò potrebbe ledere il menzionato principio.
33.
Più concretamente, si è visto che il regime comune forfettario funziona sulla base di «percentuali forfettarie di compensazione»
che devono essere determinate da ogni Stato membro conformemente al metodo di calcolo all’uopo previsto dall’art. 25, n. 3,
della sesta direttiva. Tale metodo di calcolo mira ad evitare che le predette percentuali, che devono essere notificate alla
Commissione prima della loro applicazione, abbiano l’effetto di procurare agli agricoltori forfettari rimborsi complessivamente
superiori agli oneri IVA sostenuti a monte. Il regime comune forfettario non deve, dunque, produrre l’effetto di attribuire
a tutti gli agricoltori forfettari una sovracompensazione dell’onere dell’IVA sostenuto per gli acquisti di beni e servizi
necessari alla loro attività agricola. In altre parole, il regime comune forfettario non deve avvantaggiare o svantaggiare
la categoria degli agricoltori forfetari, in quanto ciò sarebbe contrario agli obiettivi della sesta direttiva che mirano
a garantire un’equa riscossione dell’IVA ed a prevenire distorsioni di concorrenza tra i diversi Stati membri che applicano
il regime forfetario stesso. Orbene, ritengo che tali esigenze e, di conseguenza, il sistema del regime comune forfettario
risulterebbero compromessi se gli agricoltori forfettari potessero affittare parte della loro azienda ed includere i proventi
di tale affitto nel regime forfettario, al quale continuano ad essere assoggettati con riguardo allo sfruttamento della parte
del loro fondo non ceduta in affitto.
34.
E’ infatti noto che nel regime comune forfettario l’agricoltore forfettario riceve la compensazione dell’IVA gravante, a monte,
sugli acquisti di beni e servizi effettuati per l’esercizio della propria attività agricola, applicando ai prezzi, al netto
d’imposta, dei propri prodotti e servizi la percentuale fissata dalle autorità nazionali competenti. Cedendo ad un terzo parte
della propria attività, l’agricoltore si libera parimenti delle spese necessarie al suo esercizio. Così, affittando, come
nella specie, per un periodo di dodici anni e mezzo, tutti i beni necessari alla produzione del latte, il convenuto nella
causa principale si è altresì liberato di tutte le spese inerenti ad una tale produzione. Ad esempio, non deve più far fronte
alle spese relative alla fornitura del foraggio per l’alimentazione ed il mantenimento della mandria di vacche da latte. L’onere
dell’IVA che deve sostenere a monte è dunque diminuito di altrettanta misura. Ove, invece, il corrispettivo dell’affitto controverso
rientrasse nella sfera di applicazione del regime comune forfettario, l’importo della compensazione forfettaria dovuta al
produttore agricolo interessato sarebbe aumentato a concorrenza dell’applicazione a tale corrispettivo della percentuale fissata
dalle autorità nazionali competenti. Ciò significa che l’agricoltore forfettario otterrebbe una compensazione sebbene, per
l’esercizio dell’attività corrispondente alla parte dell’azienda data in affitto, egli non sostenga più nessun onere dell’IVA
a monte.
35.
Alla stessa conclusione si giunge anche qualora, come nella specie, l’affitto sia concluso con un produttore che sia a sua
volta soggetto al regime comune forfettario. Come rilevato dalla Corte nella sentenza 28 giugno 1988, Commissione/Italia
(18)
, e come il convenuto stesso ha evidenziato nelle proprie osservazioni scritte
(19)
, quando un agricoltore forfettario cede i suoi prodotti o effettua le sue prestazioni di servizi ad una persona non soggetta
all’imposta o ad un’altro agricoltore forfettario, la compensazione dell’onere IVA sostenuto a monte viene ottenuta attraverso
il pagamento di un «prezzo globale» dei suoi prodotti e servizi nel quale si ritiene incluso detto onere. Perfino in una tale
ipotesi quindi, l’agricoltore forfettario può ottenere la compensazione dell’onere dell’IVA sostenuto a monte maggiorando
il prezzo dei propri prodotti e servizi se le condizioni di mercato lo permettono.
36.
Per tali motivi ritengo che, ove l’art. 25 della sesta direttiva dovesse essere interpretato nel senso che gli agricoltori
forfettari possono cedere in affitto parte della loro azienda e fare rientrare i proventi di tale affitto nel regime comune
forfettario, vi sarebbe un serio rischio di sovracompensazione dell’onere dell’IVA gravante a monte.
37.
Inoltre, a mio parere, il regime comune forfettario non mira a ricomprendere le ipotesi in cui un produttore agricolo ceda
in affitto parte della propria azienda.
3. Gli obiettivi
38.
Certamente, come sottolineato dal Bundesfinanzhof, l’art. 25 della sesta direttiva risponde ad un’esigenza di semplificazione.
E’ tuttavia opportuno ricordare i motivi per i quali tale obiettivo di semplificazione abbiano indotto il legislatore comunitario
ad introdurre la facoltà per gli Stati membri di applicare un regime comune forfettario.
39.
Come risulta espressamente dalla lettera dell’art. 25, n. 1, della sesta direttiva, tale regime è stato previsto a beneficio
dei produttori agricoli per i quali l’assoggettamento al regime normale dell’IVA o, eventualmente, al regime semplificato,
creasse difficoltà. Come emerge dalla motivazione della proposta di sesta direttiva presentata dalla Commissione al Consiglio
il 29 giugno 1973
(20)
, tale regime, concepito come una disciplina speciale, doveva essere applicato, per definitionem, ai piccoli imprenditori
incapaci di assolvere agli obblighi connessi al regime normale o semplificato
(21)
. E’ stato quindi concepito come un regime transitorio, destinato a dispensare tali piccoli agricoltori dagli obblighi di
contabilità, fatturazione, dichiarazione e pagamento che incombono agli altri soggetti passivi e che, al momento dell’entrata
in vigore della sesta direttiva, si presumeva non fossero in grado di adempiere
(22)
.
40.
Per tali motivi, per quanto riguarda le prestazioni di servizi, la sfera di applicazione del regime comune forfettario è stata
definita restrittivamente, in modo da escludere tutte le prestazioni effettuate regolarmente, ovvero mediante un’attrezzatura
che possa essere considerata come eccedente i bisogni, le dimensioni e le caratteristiche dell’azienda agricola de qua. A
tal riguardo, la Commissione aveva anche proposto che nella sesta direttiva venisse espressamente precisato che per questo
tipo di operazioni, l’agricoltore forfettario, entrando in concorrenza con commercianti, industriali o altri prestatori di
servizi, debba essere sottoposto al regime normale dell’IVA o al regime semplificato, secondo le modalità di applicazione
determinate da ogni Stato membro
(23)
. In quest’ottica, nell’elenco delle prestazioni di servizi agricoli di cui all’allegato B, quinto trattino, della sua proposta
di direttiva, la Commissione aveva previsto solo la «locazione di macchine agricole».
41.
Ne consegue, a mio avviso, che l’obiettivo di semplificazione sotteso all’art. 25 della sesta direttiva, non deve indurre
ad estendere la nozione di «prestazioni di servizi agricoli» prevista dal detto articolo, ad un contratto con il quale un
agricoltore forfettario ceda ad un altro produttore agricolo parte della propria azienda.
42.
Inoltre, non si può sostenere seriamente che un agricoltore che, come nella specie, conceda in affitto 31,2 ha di terreno,
una stalla per le mucche, 65 mucche ed una quota latte di oltre 300 000 kg, e che continui a sfruttare in proprio il resto
del suo fondo comprendente 61,4 ha di terreno, edifici, un allevamento taurino di circa 60 capi per l’ingrasso ed un allevamento
di 120 bovini, sia incapace di applicare parallelamente il regime generale dell’IVA per i proventi dell’affitto e il regime
comune forfettario per l’attività in proprio, tenuto conto delle formalità contabili e amministrative che attualmente lo sfruttamento
di una tale proprietà agricola implica in uno Stato membro.
43.
Di conseguenza, ritengo che l’art. 25 della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che un produttore agricolo
che conceda in affitto parte dei beni della propria azienda agricola e che continua la sua attività agricola con la parte
restante di essa, attività per la quale è soggetto al regime comune forfettario previsto da tale articolo, non possa fare
rientrare il canone di affitto in tale regime comune forfettario.
B –
Sull’applicazione del regime generale
44.
La risposta al secondo quesito del Bundesfinanzhof si evince, in parte, già dagli elementi sin qui esposti. Abbiamo visto
che, in base all’art. 2 della sesta direttiva, l’IVA si applica a tutte le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto
passivo che agisce in quanto tale. Ai sensi dell’art. 4 della sesta direttiva, è considerato soggetto passivo chiunque eserciti
in modo indipendente un’attività economica e, secondo detto art. 4, n. 2, va considerata, in particolare, come attività economica
un’operazione comportante lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere
di stabilità.
45.
Un accordo mediante il quale un agricoltore forfettario conceda ad un terzo, verso un corrispettivo, l’uso esclusivo di taluni
beni della propria azienda, concluso sotto forma di contratto di locazione o di contratto di affitto volto a conferirgli,
inoltre, il diritto a percepirne i frutti, costituisce a priori senz’altro un’attività economica nel senso di tale definizione.
Nella specie, l’affitto da parte di un agricoltore forfettario, per un periodo di dodici anni e mezzo, dei beni necessari
alla produzione del latte, va senz’altro considerato quale operazione effettuata a titolo indipendente e comportante lo sfruttamento
di beni materiali e immateriali per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità. Per riprendere l’esempio citato
dal Bundesfinanzhof nella decisione di rinvio pregiudiziale, una tale prestazione di servizi non può essere assimilata ad
un’operazione puramente occasionale o sporadica come la cessione di un macchinario agricolo usato.
46.
Inoltre, da costante giurisprudenza emerge che il principio generale secondo cui l’IVA dev’essere riscossa su ogni prestazione
di servizio resa a titolo oneroso da un soggetto passivo, può essere derogato solo nei casi espressamente previsti dalla sesta
direttiva e che le disposizioni che prevedono tali deroghe devono essere interpretate restrittivamente
(24)
. Se, a norma dell’art. 13, sub B, lett. b), della sesta direttiva, l’affitto e la locazione di beni immobili sono, in via
di principio, esentati dall’IVA, nessuna deroga è, per contro, prevista in ordine alla messa a disposizione a titolo oneroso
di beni mobili, materiali o immateriali, quali una mandria di mucche e una quota latte. E’ opportuno ricordare, a tal proposito,
che la Corte ha affermato che una disposizione nazionale che estende alla locazione di taluni beni mobili l’esenzione dall’IVA
che l’art. 13, sub B, lett. b), della sesta direttiva riserva alla locazione di beni immobili, è contraria alle disposizioni
della direttiva medesima
(25)
.
47.
Di conseguenza, se le prestazioni di servizi agricoli effettuate a titolo oneroso da un agricoltore forfettario non sono ricomprese
nella definizione contenuta nell’art. 25 della sesta direttiva, esse ricadono nella sfera di applicazione del regime generale.
La circostanza che il locatore sia soggetto al regime comune forfettario per la parte della propria azienda che egli stesso
continua a sfruttare, non può costituire un motivo di esenzione dei proventi dell’affitto. Ne consegue, che i proventi della
locazione della mandria di mucche e della quota latte devono essere assoggettati al regime generale in materia di imposta
sul valore aggiunto, vale a dire al regime normale o al regime semplificato.
48.
Suggerisco, pertanto, alla Corte di dichiarare che i proventi dell’affitto, percepiti da un agricoltore forfettario, di una
parte dei beni della propria azienda agricola, devono essere assoggettati al regime generale in materia di IVA.
V – Conclusioni
49.
Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottoposta al Bundesfinanzhof
nei termini seguenti:
«L’art. 25 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari- Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile
uniforme, dev’essere interpretato nel senso che un produttore agricolo che abbia ceduto in affitto parte dei beni della propria
azienda agricola e che continui l’attività agricola con la parte restante di essa, attività per la quale sia soggetto al regime
comune forfettario di cui al detto articolo, non può far rientrare il canone di affitto in tale regime comune forfettario.
I proventi di tale affitto devono essere assoggettati al regime generale in materia di imposta sul valore aggiunto».
1 –
Lingua originale:il francese.
2 –
Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte
sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo:
la «sesta direttiva»).
3 –
In prosieguo: l’«IVA».
4 –
Artt. 2 e 4.
5 –
Art. 4, n. 2.
6 –
Art. 22 della sesta direttiva.
7 –
Quinto ‘considerando’.
8 –
Art. 25, n. 2, terzo trattino.
9 –
Art. 25, n. 3.
10 –
Legge relativa all’imposta sulla cifra d’affari, qui di seguito l’«UstG».
11 –
V., per un’applicazione di tale metodo interpretativo in materia di IVA, sentenza 16 gennaio 2003, causa
C-315/00, Maierhofer
(Racc. pag. I-563, punto 27).
12 –
Si tratta delle versioni danese, tedesca, spagnola, francese, italiana, olandese, svedese ed inglese. La versione greca, portoghese
e finlandese usa un solo termine.
13 –
L’art. 13 dispone che, fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano «l’affitto e la locazione
di beni immobili» [sub B, lett. b)] e che gli Stati membri possono accordare ai loro soggetti passivi il diritto di optare
per l’imposizione dell’affitto e della locazione di beni immobili [sub C, lett. a)].
14 –
Sentenza 4 ottobre 2001, causa
C-326/99 (Racc. pag. I-6831).
15 –
Ibidem (punto 47).
16 –
V., in particolare, sentenza 11 agosto 1995, causa
C-453/93, Buthius-Griffioen (Racc. pag. I-2341, punto 19), e 18 gennaio
2001, causa
C-150/99, Stockholm Lindöpark (Racc. pag. I-493, punto 25).
17 –
V., in tal senso, sentenza 7 settembre 1999, causa
C-216/97, Gregg (Racc. pag. I-4947, punto 20).
18 –
3/86 (Racc. pag. 3369, punto 21).
19 –
Pag. 3.
20 –
Proposta di sesta direttiva del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle
imposte sulla cifra d’affari- Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (Bollettino delle Comunità
europee, supplemento 11/73).
21 –
V., altresì, la prima relazione della Commissione al Consiglio sul funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore
aggiunto presentata in conformità dell’art. 34 della sesta direttiva (COM/83/426 finale).
22 –
Negli anni sessanta, l’agricoltura della Comunità era caratterizzata da un gran numero di aziende agricole, per la maggior
parte di modeste dimensioni. Il 1° gennaio 1967, vi erano circa 6,2 milioni di aziende di 1 ha o più; l’85% di esse avevano
una superficie inferiore a 20 ha; solamente 170 600 aziende avevano una superficie che superava i 50 ha. Inoltre, la maggior
parte delle aziende erano dedite alla policoltura e una parte rilevante della loro produzione veniva consumata nella fattoria,
servendo all’alimentazione umana e a quella del bestiame (A. Ries, «L’applicazione dell’IVA all’agricoltura della CEE», Revue
du marché commun, 1968, pag. 560).
23 –
Proposta di direttiva, art. 27, n. 12, lett. b).
24 –
V., in particolare, sentenze «Goed Wonen», precitata (punto 46), e 20 novembre 2003, causa
C-8/01, Taksatorringen (Racc. pag. I-0000,
punto 36).
25 –
Sentenza 3 luglio 1997, causa
C-60/96, Commissione/Francia (Racc. pag. I-3827, punto 16).