CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
CHRISTINE STIX-HACKL
presentate il 14 dicembre 2004(1)
Causa C-33/03 Commissione delle Comunità europee contro Regno Unito
«Inadempimento di uno Stato – Artt. 17, n. 2, lett. a), e 18, n. 1, lett. a), della sesta direttiva IVA 77/388/CEE – Normativa nazionale che consente al datore di lavoro di dedurre l'imposta a monte relativa al rimborso delle spese per il
costo del carburante da esso effettuato nei confronti del suo dipendente»
I – Introduzione
1.
Con il ricorso in esame la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,
avendo accordato a soggetti passivi di imposta il diritto di dedurre l’imposta sul valore aggiunto con riguardo a talune forniture
di carburante per autotrasporto a persone non soggette ad imposta, in contrasto con gli artt. 17 e 18 della sesta direttiva
77/388/CEE (in prosieguo: la «sesta direttiva»)
(2)
, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi del Trattato CE.
2.
Nella presente causa occorre in particolare verificare se la normativa britannica in materia di imposta sul valore aggiunto,
in base alla quale un datore di lavoro ha il diritto di dedurre i rimborsi spese da lui effettuati per il carburante fornito
ai suoi dipendenti, sia paragonabile al meccanismo di deduzione olandese, che la Corte, nella sentenza 8 novembre 2001, causa
C-338/98
(3)
, ha dichiarato incompatibile con gli artt. 17, n. 2, lett. a), e 18, n. 1, lett. a), della sesta direttiva.
II – Contesto normativo
A –
Normativa comunitaria
3.
L’art. 4 della sesta direttiva stabilisce quanto segue:
«1. Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche
di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.
(...)
4. L’espressione “in modo indipendente”, di cui al paragrafo 1, esclude dall’imposizione i lavoratori dipendenti ed altre
persone se essi sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto
giuridico che introduca vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità
del datore di lavoro.
(...)».
4.
L’art. 17 della sesta direttiva, sotto la rubrica «Origine e portata del diritto a deduzione», al n. 2, lett. a), dispone
quanto segue:
«2. Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è
autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore:
a) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta all'interno del paese per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per
i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo».
5.
L’art. 18 della sesta direttiva, sotto la rubrica «Modalità di esercizio del diritto a deduzione», così recita:
«1. Per poter esercitare il diritto a deduzione, il soggetto passivo deve:
a) per la deduzione di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), essere in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’articolo
22, paragrafo 3;
(...)
3. Gli Stati membri fissano le condizioni e le modalità secondo le quali un soggetto passivo può essere autorizzato ad operare
una deduzione cui non ha proceduto conformemente alle disposizioni dei paragrafi 1 e 2.
(...)».
6.
L’art. 22, n. 3, lett. a), della sesta direttiva stabilisce quanto segue:
«a) Ogni soggetto passivo deve emettere una fattura o un documento equivalente per le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi che effettua per un altro soggetto passivo (…).
Parimenti, ogni soggetto passivo deve rilasciare una fattura per gli acconti che gli sono corrisposti da un altro soggetto
passivo prima che sia stata effettuata la cessione di beni o ultimata la prestazione di servizi».
7.
L’art. 22, n. 3, lett. c), della sesta direttiva stabilisce quanto segue:
«Gli Stati membri stabiliscono i criteri secondo i quali un documento può essere considerato equivalente ad una fattura».
B –
Normativa nazionale
8.
Agli artt. 2 e 3 del VAT (Input Tax) (Person Supplied) Order 1991, entrato in vigore il 1° dicembre 1991 (in prosieguo: il
«decreto 1991 sull’IVA»), in relazione alle spese di carburante rimborsate da un soggetto passivo d’imposta, è stabilito quanto
segue:
«2. L’art. 3 si applica quando il carburante viene fornito ad una persona che non è soggetto passivo, ed un soggetto passivo:
a) le paga le spese effettivamente sostenute per il carburante, oppure
b) le paga a titolo di rimborso un importo che, in tutto o in parte, si approssima alle spese di carburante, e il cui valore
viene determinato in base:
i) alla distanza totale percorsa dal veicolo per il quale viene utilizzato il carburante (siano o meno incluse le distanze
percorse per scopi diversi da quelli economici del soggetto passivo), e
ii) alla cilindrata del veicolo, indipendentemente dal fatto che il soggetto passivo effettui ulteriori pagamenti per rimborsarle
altre spese.
3.
Nei casi in cui si applica il presente articolo, il carburante si considera fornito, ai sensi della Section 14(3) del Value
Added Tax Act 1983, al soggetto passivo ai fini di un’attività economica da questi esercitata e per una controprestazione
il cui importo è pari all’importo da questi pagato ai sensi del precedente art. 2, lett. a), o lett. b) (con esclusione dei
rimborsi di spese diverse da quelle di carburante)».
9.
Nella nota esplicativa allegata al citato decreto si afferma quanto segue:
«Il presente decreto, che entra in vigore il 1° dicembre 1991, conferisce forza di legge ad una prassi amministrativa già
in uso da molto tempo. Il decreto stabilisce che il carburante acquistato dai lavoratori si considera come fornito al datore
di lavoro qualora il lavoratore ottenga il relativo rimborso per mezzo di un’indennità chilometrica o sulla base dell’importo
effettivamente pagato (…)».
10.
In base alle spiegazioni fornite dal governo del Regno Unito, in pratica il meccanismo del rimborso spese da parte del datore
di lavoro, previsto dall’art. 2, lett. b), del decreto 1991 sull’IVA, è il seguente: il lavoratore consegna al datore di lavoro
un dettagliato diario di viaggio, nel quale sono annotati i viaggi aziendali, il corrispondente chilometraggio e la cilindrata
del veicolo utilizzato. Il lavoratore consegna inoltre al datore di lavoro una cosiddetta fattura semplificata per il carburante,
la quale non riporta il nome della persona cui è stato fornito il carburante.
11.
Il lavoratore calcola, quindi, le spese di carburante servendosi di una pubblicazione che riporta i costi medi di carburante
per chilometro e che viene predisposta dal Royal Automobile Club, dall’Automobile Association o dalle UK Customs (autorità
doganali britanniche) sulla base delle tariffe riconosciute dall’Inland Revenue (amministrazione fiscale) e di dettagliate
informazioni fornite dai produttori di veicoli. Con l’aiuto di questi dati – chilometraggio dei viaggi aziendali e costo a
chilometro del carburante in base al tipo di veicolo – il datore di lavoro, stando a quanto riferito dal governo del Regno
Unito, sarebbe in grado di calcolare le spese esatte sostenute dal lavoratore per i viaggi aziendali e di rimborsarlo in conformità.
III – Fase precontenziosa e procedimento
12.
Ritenendo che la facoltà di deduzione prevista dagli artt. 2 e 3 del decreto 1991 sull’IVA violasse per mancanza del requisito
della fatturazione, l’art. 18, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, la Commissione con lettera di diffida 10 maggio 1995,
avviava nei confronti del il Regno Unito un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE.
13.
Dopo approfondito esame, la Commissione, con due lettere di messa in mora integrative del 17 ottobre 1996 e del 3 dicembre
1997, censurava, in aggiunta ai precedenti rilievi, anche la violazione dell’art. 17 della sesta direttiva. La Commissione
sosteneva in tali lettere che il decreto 1991 sull’IVA avrebbe violato anche quest’ultima norma in quanto avrebbe consentito
di operare la deduzione in relazione a merci o servizi forniti a lavoratori, vale a dire a persone che non sono soggetti passivi,
nonché per fini estranei alle operazioni del datore di lavoro.
14.
Il governo del Regno Unito, nelle sue lettere 13 luglio 1995, 16 dicembre 1996, nonché 28 gennaio 1998, respingeva tutti gli
addebiti della Commissione, sostenendo che, in base alla sesta direttiva, dovrebbe essere riconosciuto il diritto di dedurre
il rimborso delle spese di carburante sostenute dai lavoratori per scopi inerenti all’attività professionale del proprio datore
di lavoro, come previsto dal decreto 1991 sull’IVA.
15.
Poiché la Commissione rimaneva ferma sulle sue posizioni, in data 14 ottobre 1998 trasmetteva un parere motivato al governo
del Regno Unito, il quale, tuttavia, nella risposta del 15 dicembre 1998 a sua volta non cambiava opinione. La Commissione,
quindi, dopo aver atteso la pronuncia della sentenza nella causa Commissione/Paesi Bassi, intervenuta l'8 novembre 2001, proponeva
il presente ricorso con atto del 27 gennaio 2003, iscritto nel ruolo della Corte il 28 gennaio 2003.
16.
La Commissione chiede che la Corte voglia:
–dichiarare che, avendo accordato a soggetti passivi di imposta il diritto di dedurre l’imposta sul valore aggiunto con riguardo
a talune forniture di carburante per autotrasporto a persone non soggette ad imposta in contrasto con gli artt. 17 e 18 della
sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri
relative alle imposte sulla cifra di affari Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, il Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi del Trattato CE;
–condannare il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord alle spese.
Il Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord chiede che la Corta voglia respingere il ricorso della Commissione
IV – Esame dei motivi di ricorso dedotti dalla Commissione
17.
I motivi di ricorso dedotti dalla Commissione riguardano, da un lato, i presupposti per l’insorgenza del diritto a deduzione,
quali sono regolati all’art. 17, n. 2, della sesta direttiva, e, dall’altro lato, i presupposti per l’esercizio del diritto
a deduzione, disciplinati dall’art. 18 della citata direttiva
(4)
.
A –
Sulla violazione dell’art. 17 della sesta direttiva
1. Principali argomenti delle parti
18.
Secondo la
Commissione il decreto 1991 sull’IVA qui controverso viola l’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva in primo luogo perché consente
la deduzione in relazione a forniture destinate ad una persona che non è soggetto passivo, e cioè il lavoratore, e, in secondo
luogo, perché non garantisce che il diritto a deduzione si riferisca esclusivamente a forniture di carburante impiegate ai
fini di operazioni del datore di lavoro soggette ad imposta. Essa basa le proprie argomentazioni principalmente sulla sentenza
Commissione/Paesi Bassi, sostenendo che la normativa britannica, oggetto della presente causa, risulta simile a quella olandese
che, nella menzionata sentenza, è stata dichiarata dalla Corte non conforme alla sesta direttiva.
19.
La Commissione non esclude che in molti casi di acquisti effettuati dai lavoratori si tratti, in realtà, di forniture a favore
dei loro datori di lavoro, vale a dire a favore di soggetti passivi, legittimati ad operare la deduzione. Tuttavia, nel presente
caso – diversamente da quanto accadeva nella causa Intiem
(5)
– manca un collegamento diretto tra due soggetti passivi, nella specie tra il fornitore di carburante e il datore di lavoro.
20.
Il
governo del Regno Unito richiama prima di tutto l’importanza del principio in base al quale un soggetto passivo, se e nella misura in cui beni e
servizi siano impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, è autorizzato a dedurre l’IVA che grava sui beni o
sulle prestazioni impiegate. Ciò dovrebbe assicurare la neutralità fiscale di tutte le transazioni economiche interne alla
Comunità.
21.
Nel presente caso occorrerebbe verificare se l’art. 17 della sesta direttiva riconosca il diritto a deduzione anche nell’ipotesi
in cui un lavoratore effettui un acquisto per l’azienda del datore di lavoro o comunque a favore di essa e poi ottenga dall’azienda
il rimborso delle relative spese. Quando i beni o i servizi vengono impiegati nell’ambito di un’operazione soggetta ad imposta,
non dovrebbe avere importanza la circostanza che il percettore dei beni o dei servizi sia di fatto (o anche per contratto)
direttamente il datore di lavoro o un suo impiegato o rappresentante.
22.
Secondo il governo del Regno Unito, la Commissione trascura la realtà economica. Se si seguisse la sua argomentazione formalistica,
un datore di lavoro, contrariamente a quanto previsto dalla sesta direttiva, non potrebbe operare la deduzione per tutte le
spese aziendali. Attraverso la persona del lavoratore il carburante verrebbe, in realtà, fornito al datore di lavoro-soggetto
passivo ai fini delle sue operazioni soggette ad imposta. La situazione sarebbe simile a quella che si verifica quando un
lavoratore, durante una trasferta di lavoro, sostiene spese di vitto, alloggio e viaggio, oppure quando un lavoratore di un’impresa
edile, impegnato in un cantiere all’estero, acquista un utensile. L’acquisto del carburante, secondo il governo del Regno
Unito, pone senz’altro particolari problemi di delimitazione, tuttavia in via di principio non può precludere il diritto a
deduzione.
23.
Il governo del Regno Unito non nega che tra il regime olandese, al quale si riferisce la sentenza Commissione/Paesi Bassi,
ed il regime britannico vi siano analogie. Tuttavia, a differenza di quello olandese, il regime britannico garantirebbe –
nei limiti in cui ciò risulti ragionevolmente possibile in un regime che si basa necessariamente su valutazioni – che soltanto
l’IVA relativa alle effettive spese di viaggio del lavoratore possa essere dedotta. Anche il governo del Regno Unito è dell’avviso
che il diritto a deduzione, previsto dal decreto 1991 sull’IVA, dovrebbe essere limitato al solo carburante impiegato per
le operazioni del datore di lavoro. Nell’applicazione ed attuazione del decreto 1991 sull’IVA il diritto a deduzione sarebbe
in effetti esercitato solo entro tali limiti. Il datore di lavoro non avrebbe, del resto, alcun interesse a rimborsare spese
per carburante non inerenti ai viaggi di lavoro.
24.
Nella risposta scritta al quesito della Corte, il governo del Regno Unito ha ammesso che il decreto 1991 sull’IVA non stabilisce
alcun nesso giuridicamente vincolante tra il diritto a deduzione del datore di lavoro, previsto agli artt. 2 e 3 del decreto
1991 sull’IVA, e l’impiego del carburante, acquistato dal lavoratore, ai fini delle operazioni soggette ad imposta del datore
di lavoro. Siffatto necessario nesso risulterebbe, tuttavia, alla luce del generale Value Added Tax Act 1994 (in prosieguo:
la «legge 1994 sull’IVA»). Le disposizioni di tale legge riferite dal governo del Regno Unito contengono la base normativa
del decreto 1991 sull’IVA, una definizione generale di imposta sul valore aggiunto (imposta sul valore aggiunto su cessioni
di beni e prestazioni di servizi destinate all’impresa del soggetto passivo), nonché la previsione in base alla quale le imposte,
in caso di destinazioni miste, possono essere dedotte solo pro rata in relazione ai beni e ai servizi impiegati a fini imprenditoriali.
2. Valutazione
25.
Prima di verificare se il controverso meccanismo di deduzione previsto dal decreto 1991 sull’IVA sia compatibile con l’art. 17
della sesta direttiva, occorre preliminarmente ricordare alcuni principi del diritto a deduzione, disciplinato nel menzionato
articolo.
26.
Secondo una giurisprudenza costante, il diritto a deduzione costituisce parte integrante del meccanismo dell’imposta sul valore
aggiunto e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni
(6)
. Il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’imposta sul valore aggiunto dovuta o pagata
nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune di imposta sul valore aggiunto garantisce, di conseguenza,
la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati
di dette attività, purché queste siano di per sé soggette all’imposta sul valore aggiunto
(7)
.
27.
In base all’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva, «il soggetto passivo» è autorizzato a dedurre dall’imposta di
cui è debitore l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono ceduti e per i servizi che gli sono
prestati «da un altro soggetto passivo» «nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette
ad imposta».
28.
Risulta, quindi, dalla lettera di tale disposizione che affinché un interessato possa aver diritto alla detrazione, prima
di tutto occorre, da un lato, che egli sia un «soggetto passivo» ai sensi della sesta direttiva e, dall’altro, che i beni
e servizi in questione siano utilizzati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta
(8)
.
29.
Risulta, inoltre, dalla lettera dell’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva che il diritto a deduzione sussiste solo
in relazione all’imposta sul valore aggiunto assolta per beni ceduti o per servizi prestati al soggetto passivo da un altro
soggetto passivo.
30.
A proposito, prima di tutto, della censura della Commissione, secondo cui il lavoratore non sarebbe un soggetto passivo con
conseguente interruzione della catena delle prestazioni, occorre rilevare che nel caso di specie – conformemente a quanto
previsto all’art. 4, n. 4, della sesta direttiva – è pacifico tra le parti che i lavoratori in questione, che ottengono il
rimborso delle spese di carburante, non sono, essi stessi, soggetti passivi
(9)
. Occorre, invece, verificare se, nonostante questo rapporto trilaterale per il quale il decreto 1991 sull’IVA consente una
deduzione dell’imposta sul valore aggiunto, possa comunque parlarsi di una cessione di beni tra soggetti passivi, vale a dire
tra il venditore di carburante ed il datore di lavoro.
31.
Come risulta dalla sentenza Intiem, la circostanza che, in concreto, la merce sia fornita al lavoratore di per sé non osta
al diritto a deduzione del datore di lavoro. Nel caso di specie al quale si riferiva tale causa, il carburante veniva, infatti,
fornito, come nel presente caso, al lavoratore. La Corte ha a tal proposito stabilito che la limitazione della deduzione di
cui all’art. 17, n. 2, della sesta direttiva «per le merci che gli sono (...) fornite», «non può mirare ad escludere dal diritto
di detrazione l’IVA assolta per i beni che, sebbene venduti al soggetto passivo per essere usati esclusivamente nell’ambito
delle sue attività professionali, sono stati consegnati in concreto ai suoi dipendenti»
(10)
.
32.
Inoltre, la Commissione stessa ha ammesso che spesso i lavoratori agiscono per i loro datori di lavoro e in questo caso i
beni e i servizi ricevuti dai lavoratori devono in realtà intendersi come forniti al datore di lavoro; tuttavia, la Commissione
ritiene che tale ipotesi non si verifichi in riferimento alla normativa qui controversa.
33.
Occorre, quindi, domandarsi in presenza di quali condizioni possa dirsi che la ricezione di una merce o di un servizio da
parte del lavoratore equivalga alla fornitura degli stessi al datore di lavoro. Si tratta, in sostanza, di una «una questione
di fatto che va valutata tenendo conto di tutti i dati della fattispecie»
(11)
. Il governo del Regno Unito, attraverso gli esempi del rappresentante che riceve il rimborso delle sue spese di viaggio dal
datore di lavoro, o del lavoratore edile che acquista un utensile per l’azienda edile, ha illustrato come a tal proposito
possano sorgere problemi di delimitazione.
34.
Per un corretto inquadramento dei problemi, risulta prima di tutto utile tener presente che sussiste uno stretto legame tra
la questione se la fornitura sia intercorsa tra soggetti passivi, e la questione della destinazione dei beni o dei servizi
controversi all’attività economica del soggetto passivo (percettore).
35.
Così, secondo una giurisprudenza costante, una persona, se acquista beni necessari allo svolgimento delle sue operazioni soggette
ad imposta, lo fa in qualità di soggetto passivo, e non di persona privata o di consumatore finale
(12)
. Inoltre, quando un lavoratore impiega beni o servizi per fini propri del suo datore di lavoro, questi beni e servizi costituiscono
un fattore di costo dei beni o dei servizi forniti in ultima analisi dal datore di lavoro-soggetto passivo. In una ipotesi
siffatta il lavoratore non assume la veste di consumatore finale e quindi la catena delle prestazioni non viene interrotta
neanche in relazione a queste merci o a questi servizi.
36.
Nella sentenza Intiem la Corte è evidentemente partita dal presupposto che la fornitura di carburante avveniva nell’ambito
dell’attività economica del datore di lavoro, nel senso che il carburante veniva impiegato ai fini economici del datore di
lavoro
(13)
.
37.
Inoltre, come precisato dalla Corte nella sentenza Commissione/Paesi Bassi, nella causa Intiem ricorrevano i presupposti per
la deduzione e, in particolare, il presupposto consistente nell’esistenza di una cessione effettuata tra soggetti passivi,
soprattutto in considerazione del fatto che, in quella fattispecie, il datore di lavoro aveva fatto consegnare beni ai suoi
dipendenti per proprio conto e aveva di conseguenza ricevuto dal fornitore le fatture che gli addebitavano l’imposta sul valore
aggiunto per i beni forniti
(14)
.
38.
Tali presupposti, invece, non erano presenti nella normativa di cui si è occupata la sentenza Commissione/Paesi Bassi; essa
concerneva un rimborso forfetario dei costi per l’ammortamento del veicolo del lavoratore e per il relativo consumo di carburante.
Tale mero rimborso, del resto, non è stato ritenuto dalla Corte indizio sufficiente dell’esistenza di una «fornitura» ai sensi
dell’art. 17, n. 2, lett. a), della sesta direttiva. Alla Corte non è parso, pertanto, possibile considerare il meccanismo
olandese di deduzione compatibile con la citata disposizione
(15)
.
39.
In tale sentenza la Corte ha riconosciuto che la predetta soluzione, basata su un’interpretazione letterale della sesta direttiva,
può sembrare non pienamente conforme all’oggetto della disposizione di cui all’art. 17, n. 2, lett. a), nonché a talune finalità
perseguite dalla sesta direttiva; tuttavia – in mancanza d’intervento da parte della Comunità – la Corte non ha ravvisato
alcun fondamento per un diritto a deduzione, così come disciplinato, invece, nel diritto olandese
(16)
.
40.
Se alla base dell’attuale caso si pone la sentenza Commissione/Paesi Bassi, si deve constatare che anche il meccanismo di
deduzione, così come disciplinato dal decreto 1991 sull’IVA e così come illustrato dal governo del Regno Unito, comunque non
presuppone una fatturazione diretta o un qualche altro rapporto diretto tra il fornitore di carburante e il datore di lavoro,
per cui in questa prospettiva non sussiste una fornitura di merci tra soggetti passivi. La censura della Commissione è pertanto
fondata sotto questo profilo.
41.
Tuttavia, la censura della Commissione riguarda anche un ulteriore profilo – a mio parere ancor più rilevante –, e cioè che
il meccanismo di deduzione qui controverso non garantirebbe che la deduzione venga operata esclusivamente in relazione a merci
impiegate ai fini di operazioni soggette ad imposta del datore di lavoro. Per contro, il governo del Regno Unito ha sostenuto
che il meccanismo britannico di deduzione, a differenza di quello olandese cui si riferiva la sentenza Commissione/Paesi Bassi,
assicurerebbe la deduzione soltanto dell’imposta sul valore aggiunto relativa alle effettive spese di carburante dei lavoratori.
42.
Invero, si deve riconoscere che il sistema di calcolo in uso nel Regno Unito, basato sulla distanza percorsa, sulla cilindrata
del veicolo e sull’effettivo costo medio del carburante, in via di principio consente – rispetto al meccanismo forfetario
e approssimativo cui si riferiva la causa Commissione/Paesi Bassi – un rimborso spese da parte del datore di lavoro che corrisponde
con più precisione alle effettive spese di carburante sostenute dai lavoratori per i viaggi aziendali.
43.
Tuttavia, il vero problema del decreto 1991 sull’IVA non è tanto il metodo di calcolo delle spese di carburante, quanto, assai
più, il fatto che in base alla lettera del decreto 1991 sull’IVA non vi è alcuna garanzia che il datore di lavoro non possa
operare la deduzione anche in relazione a spese di carburante sostenute dai suoi lavoratori per viaggi non aziendali.
44.
L’art. 2, lett. b), del decreto 1991 sull’IVA consente, infatti, la deduzione in relazione ad un importo che,
in tutto o in parte , si approssima alle spese di carburante di una persona che non è soggetto passivo d’imposta (il lavoratore) e che le viene
pagato a titolo di rimborso di tali spese.
45.
Anche il governo del Regno Unito ha in effetti confermato che non sussiste alcun collegamento giuridicamente vincolante tra
il diritto a deduzione del datore di lavoro, previsto agli artt. 2 e 3 del decreto 1991 sull’IVA, e l’impiego del carburante,
acquistato dal lavoratore, ai fini delle operazioni soggette ad imposta del datore di lavoro.
46.
In relazione, poi, alle disposizioni della legge 1994 sull’IVA, richiamate per la prima volta nella risposta scritta al quesito
della Corte
(17)
, da un lato non si comprende in che modo attraverso queste disposizioni generali dovrebbe essere garantito che il diritto
a deduzione di cui all’art. 2 del decreto 1991 sull’IVA si riferisca esclusivamente al carburante utilizzato a fini aziendali,
tanto più che il carburante, cui questo articolo si riferisce, in base all’art. 3 del medesimo decreto in combinato disposto
con la Section 14 (3) della legge 1994 sull’IVA,
si considera fornito al soggetto passivo ai fini di un’attività economica da questi esercitata; dall’altro, occorre rilevare che, in base
ad una giurisprudenza costante, le direttive devono essere attuate con efficacia cogente incontestabile, con la specificità,
la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto
(18)
.
47.
Per contro, il decreto 1991 sull’IVA – in combinato disposto con la legge 1994 sull’IVA – non costituisce un’attuazione del
diritto a deduzione conforme ai predetti requisiti; né, d’altra parte, una prassi applicativa del controverso decreto 1991
sull’IVA – anche se conforme alla direttiva, stando a quanto sostenuto dal governo del Regno Unito – può soddisfare i requisiti
della chiarezza e della certezza del diritto
(19)
.
48.
Infine, il governo del Regno Unito ha dichiarato di essere disposto a modificare il decreto 1991 sull’IVA e di aver già proposto
alla Commissione una siffatta modifica. A tal proposito è sufficiente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza,
l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla
scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi
(20)
.
49.
La censura della Commissione, secondo cui il controverso meccanismo di deduzione comunque non assicura che la deduzione sia
operata soltanto in relazione a merci o servizi impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta del datore di lavoro,
è pertanto fondata.
50.
Considerato quanto sopra esposto, deve ritenersi fondata la censura di una violazione dell’art. 17 della sesta direttiva.
B –
Sulla violazione dell’art. 18 della sesta direttiva
1. Principali argomenti delle parti
51.
Con questo motivo di ricorso la
Commissione sostiene che il decreto sull’IVA violerebbe l’art. 18, n. 1, lett. a), in quanto concederebbe un diritto a deduzione a prescindere
dal requisito del possesso, da parte del soggetto passivo, di una fattura redatta ai sensi dell’art. 22, n. 3.
52.
La Commissione, basandosi sulla sentenza Commissione/Paesi Bassi, rileva che, allorché non esista una cessione di beni o una
prestazione di servizi tra soggetti passivi e, quindi, non possa essere redatta una fattura o un altro documento equivalente,
il riconoscimento di un diritto a deduzione implicherebbe anche la violazione dell’art. 18, n. 1, lett. a), della sesta direttiva.
53.
Il
Governo del Regno Unito ritiene che, qualora la Corte dovesse accogliere il primo motivo di ricorso, questa opinione sia fondata. Qualora, tuttavia,
la Corte dovesse stabilire che in un caso come quello in esame sussiste un diritto a deduzione, allora l’art. 18 della sesta
direttiva non potrebbe essere interpretato nel senso che la mancanza di una fattura precluda tale diritto. Il governo del
Regno Unito richiama a tal proposito il proprio diritto, riconosciuto dall’art. 18, n. 3, della sesta direttiva, di fissare
«le condizioni e le modalità» inerenti ad un particolare diritto a deduzione.
2. Valutazione
54.
Il governo del Regno Unito non ha contestato che, qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento di un diritto
a deduzione, risulti violato anche l’art. 18, n. 1, lett. a), della sesta direttiva. Poiché, quindi, il meccanismo di deduzione,
oggetto della presente causa, non è conforme all’art. 17 della sesta direttiva, risulta fondato anche il secondo motivo di
ricorso della Commissione.
V – Conclusione
55.
In forza di quanto sopra esposto, propongo alla Corte:
1)di dichiarare che, avendo accordato a soggetti passivi di imposta il diritto di dedurre l’imposta sul valore aggiunto con
riguardo a talune forniture di carburante per autotrasporto a persone non soggette ad imposta, in contrasto con gli artt. 17
e 18 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli
Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme,
il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi del Trattato CE;
2)di condannare il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord alle spese.
1 –
Lingua originale: il tedesco.
2 –
Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte
sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile (GU L 145, pag. 1).
3 –
Sentenza 8 novembre 2001, causa
C-338/98, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I–8265); in prosieguo: la «sentenza Commissione/Paesi
Bassi».
4 –
Per tale suddivisione v. la sentenza 29 aprile 2004, causa
C-152/02, Terra Baubedarf-Handel (Racc. pag. I-0000, punto 30),
nonché la sentenza nella causa Commissione/Paesi Bassi, cit. alla nota 3 (punto 71).
5 –
Sentenza 8 marzo 1988, causa 165/86, Intiem (Racc. pag. 1471).
6 –
V., tra le altre, sentenza 1° aprile 2004, causa
C-90/02, Bockemühl (Racc. pag. I-0000, punto 38).
7 –
V., tra le altre, sentenze 14 febbraio 1985, causa 268/83, Rompelman (Racc. pag. 655, punto 19) e 15 gennaio 1998, causa
C-37/95,
Ghent Coal Terminal (Racc. pag. I-1, punto 15).
8 –
V. sentenza 29 aprile 2004, causa
C-137/02, Faxworld (Racc. pag. I-0000, punto 24).
9 –
V., nello stesso senso, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit. alla nota 3 (punti 45 e 46).
10 –
Sentenza Intiem, cit. alla nota 5 (punto 14).
11 –
V. sentenza 11 luglio 1991, causa
C-97/90, Lennartz (Racc. pag. I–3795, punto 21).
12 –
V., tra le altre, sentenze Faxworld cit. alla nota 8 (punto 28); Lennartz, cit. alla nota 11 (punti 8 e 14); 21 marzo 2000,
cause riunite
C-110/98–
C-147/98, Gabalfrisa e a. (Racc. pag. I–1577, punto 47), nonché sentenza 8 giungo 2000, causa
C-400/98,
Breitsohl (Racc. pag. I–4321, punto 34).
13 –
Sentenza cit. (punti 12, 14 e 16).
14 –
V. sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit. alla nota 3 (punti 52 e 53).
15 –
Sentenza cit. (punti 48 e 54).
16 –
Sentenza cit. (punti 55 e 56); sembra trattarsi, rispetto ad altre sentenze della Corte sulla sesta direttiva, di una interpretazione
piuttosto restrittiva. V. ad esempio la sentenza Faxworld, cit. alla nota 8 (punto 42); sul punto v. pure la sentenza 20 febbraio
1997, causa
C-260/95, DFDS (Racc. pag. I–1005, punto 23), in base alla quale «la presa in considerazione della realtà economica
costituisce un criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’IVA».
17 –
V. supra, paragrafo 24.
18 –
V. tra le altre, sentenze 18 gennaio 2001, causa
C-162/99, Commissione/Italia (Racc. pag. I-541, punto 22); 8 luglio 1999,
causa
C-354/98, Commissione/Francia (Racc. pag. I-4927, punto 11); 4 dicembre 1997, causa
C-207/96, Commissione/Italia (Racc.
pag. I-6869, punto 26), nonché sentenza 13 marzo 1997, causa
C-197/96, Commissione/Francia (Racc. pag. I-1489, punti 14 e 15).
19 –
V., tra le altre, sentenza 30 maggio 1991, causa
C-59/89, Commissione/Germania (Racc. pag. I–2607, punto 28).
20 –
V., tra le altre, sentenze 26 giungo 2003, causa
C-233/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I-6625, punto 30) e 12 settembre
2002, causa
C-152/00, Commissione/Francia (Racc. pag. I-6973, punto 15).