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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
P. LÉGER
presentate il 1° marzo 2005(1)


Causa C-152/03



Hans-Jürgen e Monique Ritter-Coulais
contro
Finanzamt Germersheim


[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Bundesfinanzhof (Germania)]

«Libera circolazione dei lavoratori – Normativa fiscale – Imposta sul reddito – Normativa nazionale che disciplina la considerazione delle perdite di redditi da locazione relative a beni immobili situati in un altro Stato membro»






1.        La causa in esame pone, ancora una volta, il problema della valutazione, con riferimento al diritto comunitario, della situazione fiscale dei contribuenti che non risiedono nello Stato membro di imposizione.

2.        Più precisamente, si tratta di stabilire se il diritto comunitario osti a che cittadini tedeschi che risiedono in Francia e lavorano in Germania in un liceo pubblico non possano farsi riconoscere in tale paese, in sede di calcolo dell’imposta sul reddito, le perdite di redditi da locazione derivanti dal fatto che essi utilizzano la loro casa unifamiliare per le proprie esigenze.

I – Norme pertinenti del regime fiscale nazionale

3.        Le norme rilevanti relative all’assoggettamento, in Germania, all’imposta sul reddito e alla determinazione del reddito imponibile e dell’aliquota d’imposta delle persone fisiche residenti in Francia si trovano principalmente nella legge del 1987 sull’imposta sul reddito delle persone fisiche (Einkommensteuergesetz; in prosieguo: «EStG 1987») e nella Convenzione franco-tedesca diretta ad evitare le doppie imposizioni  (2) (in prosieguo: la «Convenzione franco-tedesca»).

A – L’assoggettamento in Germania all’imposta sul reddito delle persone fisiche che risiedono in Francia e lavorano in Germania

4.        L’art. 1 EStG 1987 definisce le persone fisiche soggette all’obbligo fiscale in Germania. Ai sensi di tale norma sono soggette all’imposizione in questo Stato membro le persone domiciliate o residenti abitualmente sul territorio nazionale, qualunque sia la loro nazionalità (art. 1, n. 1), e i cittadini tedeschi che risiedono o soggiornano all’estero, ma lavorano nel pubblico impiego in Germania o all’estero (art. 1, nn. 2 e 3)  (3) .

5.        Ai cittadini tedeschi residenti in Francia si applicano le disposizioni della Convenzione franco-tedesca al fine di determinare lo Stato che detiene il potere d’imposizione dei redditi. Pertanto, sugli stipendi versati, per i servizi amministrativi o militari svolti, da uno degli Stati contraenti, da un Land o da una persona giuridica di diritto pubblico di tale Stato o Land ai cittadini dello Stato dell’occupazione che risiedono però in un altro Stato, l’art.  14, n. I, della stessa Convenzione dispone che tali persone siano imponibili solo nello Stato che paga le retribuzioni.

6.        Sulla base di tale norma, i redditi di un cittadino tedesco che risieda in Francia e lavori come professore in un liceo pubblico in Germania sono imponibili in quest’ultimo paese. Al contrario, una persona fisica che possieda solo la nazionalità francese e risieda in Francia, pur lavorando in un liceo pubblico in Germania, non sarà soggetta all’imposta sul reddito in Germania ma in Francia.

B – La determinazione in Germania del reddito imponibile di persone fisiche che risiedono in Francia e lavorano in Germania

7.        L’art. 20, n. I, lett. a), prima frase, della Convenzione franco-tedesca, letto in combinato disposto con l’art. 2, n. I.4, lett. a), della stessa Convenzione, prevede l’esclusione dalla base imponibile tedesca dei redditi provenienti dalla Francia e del patrimonio ivi situato che, in forza della suddetta Convenzione, sono imponibili in Francia.

8.        Ai sensi dell’art. 3, nn. I e IV, della detta Convenzione, i redditi da beni immobili sono imponibili solo nello Stato contraente in cui si trovano tali beni. Trattasi dei redditi derivanti da qualsiasi forma di sfruttamento di beni immobili, come ad esempio la locazione.

9.        Nel diritto tedesco il termine «redditi» designa sia i redditi positivi, da intendersi come guadagno per la persona fisica, sia i redditi negativi, considerati come perdita o mancato guadagno per tale persona.

10.      Tali redditi negativi, in base allo stesso diritto, possono derivare dall’utilizzo, da parte delle persone fisiche, della proprietà immobiliare per esigenze personali  (4) .

11.      Il combinato disposto di queste norme porta ad escludere la considerazione dei redditi negativi da beni immobili situati all’estero ai fini della determinazione, in Germania, del reddito imponibile delle persone fisiche residenti in Francia.

12.      Si deve ricordare che la mancata considerazione di tali redditi negativi risulta anche dal diritto tedesco in sé considerato. L’art. 2a, n. 1, prima frase, punto 4, EStG 1987, infatti, stabilisce che i redditi negativi esteri da locazione di bene immobile situato in uno Stato estero possono essere compensati solo con redditi esteri dello stesso tipo e provenienti dallo stesso Stato.

C – La determinazione in Germania dell’aliquota d’imposta delle persone fisiche che risiedono in Francia e lavorano in Germania

13.      In base all’art. 20, n. I, lett. a), seconda frase, della Convenzione franco-tedesca, la mancata considerazione dei redditi provenienti dalla Francia ai fini della determinazione della base imponibile tedesca non limita il diritto della Repubblica federale di Germania di tenerne conto in sede di determinazione dell’aliquota d’imposta.

14.      Pertanto, il diritto tributario tedesco prevede che, quando un contribuente possiede redditi esteri esenti in virtù di una Convenzione diretta ad evitare la doppia imposizione, tali redditi, ai soli fini della determinazione dell’aliquota d’imposta  (5) , rientrano nella base imponibile. L’effetto di tale disposizione è di rendere fittizia la base imponibile per la determinazione dell’aliquota d’imposta.

15.      Questa riserva di progressività può essere qualificata «negativa»  (6) qualora si tratti di redditi negativi che determinano una diminuzione virtuale del reddito imponibile, comportando in tal modo l’applicazione di un’aliquota d’imposta meno elevata.

16.      Tuttavia, secondo la giurisprudenza del Bundesfinanzhof (Germania)  (7) , l’art. 2a, n. 1, prima frase, punto 4, EStG 1987 deroga a questa disposizione nel caso di redditi negativi esteri derivanti dalla locazione di beni immobili situati all’estero. Di conseguenza, i redditi negativi esteri, in sede di determinazione dell’aliquota d’imposta  (8) , non possono essere considerati nella base imponibile fittizia. Inoltre, l’art. 2a, n. 1, seconda frase, EStG 1987 deroga espressamente all’applicazione dell’art. 10d EStG 1987, il quale prevede, a determinate condizioni, la possibilità di prendere in considerazione di redditi negativi.

II – Fatti e procedimento nella causa principale

17.      I coniugi Hans-Jürgen e Monique Ritter-Coulais, entrambi cittadini tedeschi  (9) , sono stati tassati in Germania, in quanto coppia, per l’esercizio fiscale relativo all’anno 1987, in applicazione del regime fiscale delle persone fisiche soggette all’imposta sull’insieme dei loro redditi.

18.      I coniugi, proprietari di una casa ubicata in Francia, lavoravano in qualità di professori presso un liceo pubblico in Germania  (10) .

19.      Dall’ordinanza di rinvio emerge che i coniugi Ritter-Coulais hanno chiesto che fossero prese in considerazione, ai fini della determinazione dell’aliquota d’imposta, conformemente all’art. 32b, n. 1, punto 2, e n. 2, punto 2, EStG 1987  (11) , le perdite dei redditi da locazione dovute al fatto che essi occupavano per le proprie esigenze abitative la casa situata in Francia.

20.      L’amministrazione tributaria non ha accolto tale richiesta, basandosi sul dettame dell’art. 2a, n. 1, prima frase, punto 4, EStG 1987, che esclude la considerazione, ai fini della determinazione dell’aliquota d’imposta, dei redditi negativi esteri da locazione di beni immobili situati all’estero  (12) .

21.      I coniugi Ritter-Coulais hanno contestato la decisione dell’amministrazione tributaria dinanzi al Finanzgericht (Germania). Quest’ultimo ha respinto il ricorso ritenendo, in particolare, che i ricorrenti non fossero vittime di una discriminazione vietata dal diritto comunitario in quanto neanche le persone fisiche residenti in Germania possono dedurre tali perdite «avvenute all’estero»  (13) .

22.      I ricorrenti hanno successivamente impugnato la decisione del Finanzgericht nell’ambito di un ricorso in cassazione dinanzi al Bundesfinanzhof. Oltre all’annullamento della decisione del Finanzgericht, essi chiedono la modifica dell’avviso d’imposta affinché sia presa in considerazione la perdita dei redditi da locazione in sede di determinazione dell’aliquota d’imposta applicabile per l’esercizio fiscale relativo all’anno 1987.

III – Rinvio pregiudiziale

23.      Per pronunciarsi sul detto ricorso, il Bundesfinanzhof ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)     Se la circostanza che una persona fisica illimitatamente soggetta all’obbligo fiscale in Germania, che realizzi redditi derivanti da lavoro subordinato in tale paese, non possa dedurre in Germania le perdite da locazione o affitto, avvenute in un altro Stato membro sia in contrasto con gli artt. 43 CE e 56 CE.

2)       In caso di soluzione negativa della predetta questione: Se la circostanza che le perdite menzionate non possono essere prese in considerazione neppure in applicazione della cosiddetta riserva di progressività negativa sia in contrasto con gli artt.  43 CE e 56 CE».

IV – Analisi

A – Sull’interpretazione del diritto comunitario

24.      Le due questioni pregiudiziali si riferiscono, da un lato, all’interpretazione dell’art. 43 CE, relativo alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro e, dall’altro, all’interpretazione dell’art. 56 CE, relativo alla libera circolazione dei capitali e dei pagamenti.

25.      Ora, dagli atti risulta chiaramente che la causa nazionale dinanzi al giudice del rinvio riguarda persone fisiche che esercitano, in qualità di professori in un liceo pubblico tedesco, un’attività salariata in uno Stato membro.

26.      A tale titolo sembra dunque irrilevante, nella fattispecie, e inutile, per la risoluzione della controversia nella causa principale, un’interpretazione dell’art. 43 CE. Infatti, dalla lettera dell’art. 43, secondo comma, CE risulta espressamente che «[l]a libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio (…)»  (14) .

27.      Lo stesso vale per la domanda di interpretazione dell’art. 56 CE, dato che l’ambito di applicazione ratione materiae di tale articolo non contempla il caso in esame sottoposto al giudice dal rinvio.

28.      In base alla definizione della Corte, infatti, «i movimenti di capitali sono operazioni finanziarie che riguardano essenzialmente la collocazione o l’investimento dell’importo di cui trattasi»  (15) , ad esclusione del corrispettivo di uno scambio di merci o servizi. Inoltre, è interessante notare che, benché non applicabile all’epoca dei fatti di causa, la direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, 88/361/CEE, per l’attuazione dell’art. 67 del Trattato  (16) , contiene in allegato una classificazione esemplificativa dei movimenti di capitali, suddivisa in tredici rubriche, tra le quali compaiono gli investimenti immobiliari.

29.      Orbene, nell’ordinanza di rinvio nulla consente di identificare, nel contesto della fattispecie, un movimento transfrontaliero di capitali connesso ad un investimento immobiliare.

30.      Per tale motivo, a mio parere, l’interpretazione dell’art. 56 CE è irrilevante e inutile ai fini della risoluzione della controversia nella causa principale.

31.      Per giurisprudenza costante, tuttavia, la Corte, ai sensi dell’art.  234 CE, è competente a fornire alla giurisdizione nazionale che l’ha adita con un rinvio pregiudiziale tutti gli elementi interpretativi di diritto comunitario che possano consentirle di risolvere la causa principale. A tale scopo, «la Corte può (…) prendere in considerazione norme di diritto comunitario alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nel formulare la questione»  (17) .

32.      Tenuto conto di questi elementi, mi sembra necessario intendere gli interrogativi formulati dal Bundesfinanzhof come volti ad ottenere l’interpretazione del diritto comunitario pertinente, vale a dire, nella fattispecie, l’art. 48 del Trattato CEE (divenuto art. 48 del Trattato CE, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) in quanto relativo ai lavoratori nel senso definito dal diritto comunitario. Infatti, in forza di una giurisprudenza costante, «(…) deve considerarsi lavoratore la persona che, per un certo tempo, esegue a favore di un’altra e sotto la direzione di questa prestazioni in contropartita delle quali percepisce una remunerazione»  (18) .

B – Sulla necessità di un elemento di estraneità sufficiente in base al diritto comunitario

33.      Ho appena osservato che, da un punto di vista materiale, l’attività professionale dipendente esercitata dai coniugi Ritter-Coulais li fa rientrare, in teoria, nella situazione tutelata dall’art. 48 del Trattato.

34.      Tuttavia, per giurisprudenza costante, l’applicabilità di questo articolo è limitata alle situazioni personali rientranti nel diritto comunitario, vale a dire le situazioni che presentano un elemento di estraneità sufficiente per consentire l’applicazione di questo diritto  (19) .

35.      Si deve dunque esaminare se il fatto che, da un lato, la sig.ra  Ritter-Coulais possedesse nel 1987 la doppia nazionalità francese e tedesca e, dall’altro, che i coniugi risiedessero in Francia durante lo stesso periodo costituiscano elementi di estraneità sufficienti per il diritto comunitario allora applicabile.

36.      A questo proposito, faccio subito presente che la circostanza che nel 1987 la sig.ra Ritter-Coulais possedesse la doppia nazionalità non mi sembra sufficiente per «comunitarizzare» la situazione dei coniugi, tassati congiuntamente in Germania in quanto cittadini tedeschi. Come ho già osservato, solo la nazionalità tedesca dei coniugi è stata tenuta in considerazione per l’assoggettamento in Germania all’imposta sul reddito poiché la coppia, in questo ambito, è stata ritenuta, per così dire, un’unica entità  (20) . Per tale motivo, non ritengo pertinente il fatto di tenere separata la situazione di ciascun coniuge al fine di analizzarla in base al diritto comunitario, perché, alla fine, ciò avrebbe carattere artificiale riguardo alla loro comune imposizione.

37.      Inoltre, non mi sembra nemmeno che la situazione dei coniugi Ritter-Coulais possa essere assimilata a quella della sig.ra Gilly, esaminata dalla Corte nella sentenza 12 maggio 1998  (21) . La sig.ra Gilly, in possesso inizialmente della nazionalità tedesca, poi di quella francese in seguito a matrimonio, lavorava nell’insegnamento pubblico in Germania. La coppia Gilly risiedeva in Francia. I redditi da lavoro dipendente della sig.ra Gilly erano tassati in Germania, a norma dell’art. 14, n. I, prima frase, della Convenzione franco-tedesca, poiché si trattava di retribuzioni pubbliche e il beneficiario possedeva la nazionalità tedesca  (22) . Ciò che i coniugi Gilly contestavano all’amministrazione francese era la circostanza che i redditi della sig.ra Gilly erano tassati anche in Francia dove beneficiavano di un credito d’imposta pari all’importo dell’imposta francese corrispondente a tali redditi  (23) , ma inferiore all’ammontare del tributo pagato in Germania.

38.      In quella causa, il governo francese riteneva che la sig.ra Gilly, lavorando nello Stato d’origine, ossia in Germania, non avesse esercitato in Francia i diritti di cui all’art. 48 del Trattato.

39.      Rispondendo a tale argomentazione e al fine di confermare che la situazione della sig.ra Gilly rientrava effettivamente nell’ambito delle norme relative alla libera circolazione dei lavoratori, la Corte ha dichiarato che «è sufficiente sottolineare che la sig.ra Gilly ha acquisito con il suo matrimonio la cittadinanza francese e che la stessa svolge la sua attività lavorativa in Germania pur risiedendo in Francia. Di conseguenza essa va considerata in quest’ultimo Stato come un lavoratore che esercita il suo diritto alla libera circolazione, quale garantito dal Trattato, al fine di svolgere un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello dove risiede. La circostanza che la stessa abbia conservato la cittadinanza dello Stato di occupazione non rimette per nulla in discussione il fatto che, per le autorità francesi, l’interessata, cittadina francese, esercita la sua attività lavorativa nel territorio di un altro Stato membro (…)»  (24) .

40.      In conclusione, per le autorità francesi, trattandosi d’imposizione in Francia di redditi da lavoro svolto in Germania, si doveva effettivamente considerare che la sig.ra Gilly si spostava dalla Francia per esercitare un’attività retribuita, dunque di natura economica, in un altro Stato membro.

41.      La situazione dei coniugi Ritter-Coulais, invece, va analizzata da un altro punto di vista, vale a dire da quello delle autorità tedesche relativo all’imposizione in Germania di redditi da lavoro svolto in tale paese. Per le autorità tedesche, pertanto, è evidente che gli interessati esercitano la loro attività lavorativa sul territorio tedesco e si spostano solo per raggiungere la residenza in Francia.

42.      Fatte tali precisazioni aggiungo che, a mio parere, il fatto di risiedere in un altro Stato membro, all’epoca dei fatti all’origine della causa principale, vale a dire nel 1987, non conferiva, di per sé, ad una situazione personale quale quella dei coniugi Ritter-Coulais un elemento di estraneità sufficiente per il diritto comunitario allora applicabile.

43.      Mi sembra che la scelta di questa soluzione debba orientarsi in base alla constatazione secondo cui il diritto comunitario applicabile nel 1987 considerava la libera circolazione delle persone solo in chiave economica.

44.      A questo proposito, si deve ricordare che la Corte, in generale, ha affermato che «le norme [del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori] si applicano a qualsiasi cittadino comunitario, a prescindere dal luogo di origine e dalla cittadinanza dello stesso, che abbia usufruito del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e che abbia esercitato un’attività lavorativa in un altro Stato membro»  (25) .

45.      Anche il conseguimento di un diploma o di una qualifica professionale in un altro Stato membro, oltre all’esercizio di un’attività lavorativa in un altro Stato membro, costituisce un elemento di estraneità sufficiente che giustifica l’applicazione del diritto comunitario  (26) .

46.      La presenza di tale elemento di estraneità, oltre a porre in connessione la situazione in esame con il diritto comunitario, consente, in determinati casi e correlativamente, di cercare di evitare ciò che spesso si definisce «discriminazione inversa», consistente in un trattamento di sfavore da parte di uno Stato membro nei confronti dei propri cittadini rispetto a quelli di altri Stati membri.

47.      Pertanto, i cittadini di uno Stato membro che con il loro comportamento si sono posti in una delle situazioni regolate dal diritto comunitario, come l’acquisizione di una qualifica professionale in un altro Stato membro, possono invocare contro lo Stato d’origine le norme del Trattato relative alla libera circolazione delle persone. Questi cittadini, infatti, si trovano «rispetto al loro Stato d’origine, in una situazione analoga a quella di tutti gli altri soggetti che fruiscono dei diritti e delle libertà garantiti dal Trattato»  (27) .

48.      Il sanzionamento delle discriminazioni inverse, tuttavia, può avvenire in base al diritto comunitario solo quando la situazione in esame sia «comunitarizzata». Altrimenti, la loro sorte dipenderà dal diritto nazionale applicabile.

49.      Con riferimento a queste considerazioni rilevo che negli atti non c’è nulla che lasci pensare che i coniugi Ritter-Coulais si siano stabiliti in Francia «per esercitarvi un’attività economica»  (28) ovvero per ottenere una qualifica professionale. Sembra al contrario che abbiano scelto di insediarsi in Francia per scopi puramente privati. Essi esercitavano, pertanto, la propria attività lavorativa dipendente nello Stato di cui erano cittadini, ossia la Repubblica federale di Germania, e l’unico elemento esterno a quest’ultimo Stato era, dunque, il luogo di residenza, vale a dire la Francia.

50.      In altre parole, i coniugi Ritter-Coulais non hanno usufruito della libertà di circolazione di cui all’art. 48 del Trattato per lavorare in uno Stato membro diverso da quello di cui erano cittadini.

51.      A questo proposito, noto un’affinità con la causa Werner  (29) , in cui gli elementi di fatto erano del tutto simili alla situazione in cui si trovavano i coniugi Ritter-Coulais nel 1987.

52.      In tale causa il sig. Werner, un dentista di cittadinanza tedesca stabilitosi come lavoratore autonomo in Germania, dove aveva conseguito i suoi diplomi e le sue qualifiche professionali, risiedeva nei Paesi Bassi. Egli desiderava, in particolare, che la sua situazione personale fosse considerata ai fini dell’imposizione dei redditi percepiti in Germania, per beneficiare di un tariffario preferenziale denominato «splitting», applicato alle coppie sposate. La sua domanda era stata respinta dall’autorità nazionale competente in quanto egli non risiedeva in Germania e non poteva dunque beneficiare del regime di assoggettamento totale ad imposta, regime a cui era collegato in particolare questo vantaggio.

53.      Considerati questi elementi di fatto, alla Corte veniva richiesta l’interpretazione dell’art. 52 del Trattato CEE (divenuto art. 52 del Trattato CE, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE).

54.      Nella suddetta sentenza la Corte ha evidenziato che il sig. Werner era un cittadino tedesco che aveva conseguito i suoi diplomi e le sue qualifiche in Germania, che aveva «sempre svolto la propria attività professionale in tale paese e nei confronti del quale [veniva] applicata la normativa tributaria tedesca». La Corte ha osservato anche che «[l’]unico elemento che [esulava] da un contesto puramente nazionale [era] dato dal fatto che il sig. Werner [risiedeva] in uno Stato membro diverso da quello in cui [svolgeva] la propria attività professionale» (30) .

55.      Di conseguenza, ha dichiarato che «l’art. 52 del Trattato CEE non osta a che uno Stato membro assoggetti i propri cittadini che esercitano l’attività professionale sul territorio nazionale e che ivi percepiscono la totalità o la quasi totalità dei loro redditi o ivi possiedono la totalità o quasi totalità del loro patrimonio ad oneri fiscali più gravosi qualora non risiedano in detto Stato rispetto all’ipotesi in cui vi risiedano» (31) .

56.      L’avvocato generale Darmon, nelle conclusioni nella citata causa Werner  (32) , proponeva alla Corte di dichiarare che «né l’art.  52 né l’art.  7 del Trattato CEE trovano applicazione in una situazione puramente interna di uno Stato membro (…)»  (33) .

57.      Comunque sia, pur non avendo definito espressamente la situazione in esame «situazione puramente interna di uno Stato membro» – questa avrebbe dovuto essere, a mio avviso, la conclusione logica della motivazione che appare nella sentenza – la Corte ha in definitiva condiviso la valutazione dell’avvocato generale, avendo ritenuto che la sola residenza in un altro Stato membro non costituisse un elemento di estraneità sufficiente per rendere operative le norme del Trattato relative alla libertà di stabilimento  (34) .

58.      Inoltre, penso che questa considerazione possa valere in materia di libera circolazione dei lavoratori, che tutela anche il trasferimento intracomunitario dei cittadini degli Stati membri al fine di esercitare un’attività economica.

59.      Ritengo soprattutto che la logica inerente alla citata sentenza Werner debba essere mantenuta malgrado le critiche che ha potuto suscitare  (35) .

60.      Nulla infatti consente, a mio parere, di rimettere in questione le seguenti parole dell’avvocato generale Darmon nelle conclusioni della detta sentenza Werner: «Sino all’emanazione delle direttive del Consiglio 28 giugno 1990 in materia di diritto di soggiorno, volte alla generale estensione di tale diritto, la libera circolazione delle persone all’interno della Comunità è determinata e delimitata dalla natura economica del Trattato. Ne consegue che la libertà di spostamento riconosciuta ai cittadini comunitari presuppone uno spostamento ai fini dello svolgimento di un’attività economica»  (36) .

61.      All’epoca dei fatti della controversia nella causa principale, ovvero nel 1987, non erano in vigore né le direttive del 1990 relative al diritto di soggiorno né l’art. 8 A del Trattato CE, inserito dal Trattato di Maastricht (divenuto, in seguito a modifica, art. 18 CE). Nella mia analisi non terrò conto di queste norme giuridiche, essendo inapplicabili ratione temporis ai fatti della causa sottoposta al giudice del rinvio, come nella citata causa Werner.

62.      Ritengo dunque, al pari della Commissione  (37) , che sia impossibile applicare i principi di cui all’art. 18 CE a situazioni che si sono presentate e hanno prodotto i loro effetti prima dell’entrata in vigore di questa disposizione.

63.      A mio parere, l’adozione di una posizione diversa che consideri i principi e le regole connessi alla cittadinanza europea e li analizzi in relazione ad una causa risalente al 1987 sarebbe contraria al principio di certezza del diritto.

64.     È noto, infatti, che il principio di certezza del diritto, che costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario, presuppone che «la legislazione comunitaria dev’essere certa e la sua applicazione dev’essere prevedibile per gli amministrati»  (38) . Tali esigenze di certezza e di prevedibilità delle norme giuridiche applicabili comportano necessariamente, a mio avviso, il fatto che una situazione esistente in un determinato momento debba essere esaminata in base alle sole regole giuridiche in vigore nello stesso periodo  (39) .

65.      Fatte queste precisazioni desidero tuttavia sottolineare che, sulla falsariga di quanto scritto nelle mie conclusioni nella causa Asscher  (40) , le norme comunitarie di diritto derivato relative al diritto di soggiorno  (41) , al pari dell’art. 18 CE, consentono a mio avviso di ritenere che la sola residenza in un altro Stato membro costituisca un elemento di estraneità sufficiente per fare rientrare la situazione dei cittadini comunitari nell’ambito di applicazione del diritto comunitario.

66.      La Corte d’altronde ha avuto l’occasione di dichiarare che, anche se la cittadinanza dell’Unione non ha lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun legame con il diritto comunitario, un simile collegamento esiste tuttavia «nel caso di persone (…) che sono cittadini di uno Stato membro i quali soggiornano legalmente sul territorio di un altro Stato membro»  (42) .

67.      Questo ragionamento, che parte dagli effetti giuridici della nozione di «cittadinanza europea», deve essere tuttavia accantonato nella nostra analisi, dato che l’elemento di estraneità costituito dalla sola residenza in un altro Stato membro non è sufficiente, in base al diritto comunitario vigente nel 1987, per consentire alle persone che si trovino in una situazione come quella dei coniugi Ritter-Coulais di beneficiare della tutela delle norme del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori.

68.      Questa constatazione deve automaticamente portare a non proporre alcuna risposta sul merito alle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte dal giudice del rinvio? È ciò che devo analizzare adesso.

C – Sulla necessità di fornire al giudice nazionale una risposta in merito all’interpretazione del diritto comunitario pertinente

69.     È noto che la Corte, in passato, è stata indotta a non prendere posizione sul merito delle questioni pregiudiziali sottopostele dal giudice del rinvio qualora ritenesse che il diritto comunitario non si applicasse a controversie puramente nazionali, ossia, per esempio, senza alcun «elemento di collegamento con una delle situazioni previste dal diritto comunitario nel settore della libera circolazione delle persone e dei servizi»  (43) .

70.      La Corte, tuttavia, ha modificato la giurisprudenza su questo punto. Pertanto, secondo una giurisprudenza sviluppatasi in materia di libera circolazione delle merci  (44) , poi estesa al settore della libera circolazione dei capitali (45) , la circostanza che gli elementi rilevanti della causa principale siano ristretti localmente all’interno di un solo Stato membro non comporta da sola l’irricevibilità della questione pregiudiziale proposta dal giudice nazionale.

71.      La Corte infatti afferma che, «[i]n linea di principio, spetta unicamente ai giudici nazionali valutare, tenuto conto della peculiarità di ogni causa, sia la necessità di una pronuncia in via pregiudiziale per essere posti in grado di statuire nel merito, sia la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte»  (46) . E aggiunge che «[i]l rigetto (…) di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile solo laddove appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta dal detto giudice non ha alcuna relazione con l’effettività o l’oggetto della controversia nella causa principale»  (47) .

72.      Quest’ultimo caso, in cui la Corte si astiene dal pronunciarsi, è da essa definito «eccezionale»  (48) .

73.      Tenuto conto di tali principi e dal momento che «non risulta in modo manifesto che l’interpretazione sollecitata del diritto comunitario non sarebbe necessaria per il giudice nazionale»  (49) , la Corte ritiene di dovere rispondere alle questioni pregiudiziali sottopostele dal giudice del rinvio.

74.      In particolare essa osserva che, «una risposta siffatta potrebbe essergli utile nell’ipotesi in cui il proprio diritto nazionale imporrebbe di agire in modo che un cittadino [nazionale] fruisca degli stessi diritti di cui godrebbe in base al diritto comunitario nella medesima situazione, un cittadino di un altro Stato membro» (50) .

75.      Sono consapevole del fatto che si presti a discussioni l’approccio con cui la Corte si dichiara competente a rispondere alle questioni pregiudiziali vertenti sulle norme di diritto comunitario nei casi in cui i fatti della causa principale non rientrano nell’ambito di applicazione di quest’ultimo  (51) .

76.      Tuttavia, qualunque sia la rilevanza delle argomentazioni sostenute contro l’orientamento giurisprudenziale sviluppato in tal senso dalla Corte, non posso non tenerne conto nella causa in esame. Per tale motivo proporrò alla Corte un’analisi nel merito delle questioni pregiudiziali proposte dal Bundesfinanzhof.

77.      Avendo dapprima dimostrato che la controversia nella causa principale rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae delle norme relative alla libera circolazione dei lavoratori e non di quelle relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali e, poi, che la situazione personale dei ricorrenti non comportava nel 1987 alcun elemento di estraneità rilevante in base all’art.  48 del Trattato e che, infine, quest’ultima constatazione non impedisce automaticamente alla Corte, secondo l’orientamento giurisprudenziale da essa sviluppato, di prendere posizione sull’interpretazione del diritto comunitario, inizio dunque l’esame nel merito delle due questioni pregiudiziali proposte dal giudice del rinvio, con la precisazione che queste richiedono a mio parere un’unica analisi.

78.      Pertanto, con le due questioni che occorre esaminare insieme, il giudice del rinvio domanda in sostanza se l’art.  48 del Trattato debba essere interpretato nel senso che osta a che cittadini di uno Stato membro, illimitatamente soggetti all’obbligo fiscale  (52) in Germania, dove percepiscono redditi da lavoro dipendente, non possano far valere le perdite dei redditi da locazione subite in un altro Stato membro e derivanti dal fatto che essi utilizzano la casa unifamiliare per le proprie esigenze né ai fini della determinazione in Germania del reddito imponibile né in sede di calcolo per la fissazione in tale Stato membro dell’aliquota d’imposta sul reddito.

D – Sull’esistenza di una discriminazione indiretta vietata dalle norme del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori

79.      Per giurisprudenza costante, anche se la materia delle imposte dirette non rientra in quanto tale nella competenza della Comunità, resta cionondimeno il fatto che gli Stati membri debbono esercitare le loro competenze in materia nel rispetto del diritto comunitario  (53) . A questo proposito la libera circolazione dei lavoratori implica l’abolizione di ogni discriminazione basata sulla cittadinanza tra i lavoratori degli Stati membri, in particolare per quello che riguarda la retribuzione. La Corte, nella sentenza 8 maggio 1990, Biehl  (54) , ha dichiarato che il principio della parità di trattamento in materia di retribuzione sarebbe privo di effetto se potesse essere violato in materia di imposta sul reddito.

80.     È anche certo che il principio della parità di trattamento vieta non soltanto le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza ma altresì qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato (55) . La Corte ha dichiarato che una normativa di uno Stato membro che riservi le agevolazioni fiscali solo ai residenti sul territorio nazionale rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, dato che i non residenti sono il più delle volte cittadini non nazionali, con la conseguenza che una siffatta normativa può costituire una discriminazione indiretta legata alla cittadinanza (56) .

81.      Tuttavia, «(…) una discriminazione può consistere solo nell’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse»  (57) .

82.      Orbene, la Corte ha ancora recentemente ricordato che, «in materia di imposte dirette, la situazione dei residenti e quella dei non residenti in uno Stato non sono di regola comparabili, in quanto il reddito percepito nel territorio di uno Stato da un non residente costituisce il più delle volte solo una parte del suo reddito complessivo, concentrato nel suo luogo di residenza, e in quanto la capacità contributiva personale del non residente, derivante dalla presa in considerazione di tutti i suoi redditi e della sua situazione personale e familiare, può essere valutata più agevolmente nel luogo in cui egli ha il centro dei suoi interessi personali ed economici, che corrisponde in genere alla sua residenza abituale»  (58) .

83.      Ne consegue che «il fatto che uno Stato membro non faccia fruire un non residente di talune agevolazioni fiscali che concede al residente non è (…) di regola discriminatorio, tenuto conto delle differenze obiettive tra la situazione dei residenti e quella dei non residenti per quanto attiene sia alla fonte dei redditi, sia alla capacità contributiva personale, sia ancora alla situazione personale e familiare»  (59) .

84.      Tuttavia nella citata sentenza Schumacker, la Corte ha dichiarato che un non residente e un residente non si trovano in una situazione obiettivamente diversa se il non residente non percepisce redditi significativi nello Stato in cui risiede ma trae la parte essenziale delle sue risorse imponibili nello Stato dell’occupazione. Infatti, in un simile caso, lo Stato di residenza non è in grado di concedergli le agevolazioni derivanti dalla presa in considerazione della sua situazione personale e familiare. La differenza di trattamento diventa allora discriminatoria nei confronti del non residente, in quanto la sua situazione personale e familiare non è presa in considerazione né nello Stato di residenza né nello Stato dell’occupazione  (60) .

85.      Nell’ambito del contesto fattuale e giuridico della causa principale come esposto nell’ordinanza di rinvio, i principi che ho appena richiamato mi inducono a fare la seguente analisi.

86.      L’art. 2a, n. 1, prima frase, punto 4, EStG 1987, il quale prevede, lo ricordo, che i redditi negativi esteri da locazione di un bene immobile situato in uno Stato estero possano essere compensati solo con redditi esteri dello stesso tipo e provenienti dallo stesso Stato, ha l’effetto di escludere nel diritto tedesco tali redditi negativi esteri, isolatamente considerati  (61) , non soltanto per la determinazione in Germania del reddito imponibile ma anche in sede di calcolo dell’aliquota d’imposta sul reddito  (62) .

87.      In conclusione, una persona soggetta integralmente in Germania all’imposta sul reddito, che sia proprietaria in un altro Stato membro di una casa dove risiede e non disponga in questo stesso Stato di redditi da locazione, non può ottenere che in sede di calcolo dell’importo dell’imposta siano prese in considerazione le perdite dovute all’occupazione personale della residenza.

88.      In compenso, dagli atti risulta che la stessa persona, proprietaria in Germania di una casa dove risiede, può avvalersi di tali redditi negativi per il calcolo del reddito da tassare  (63) .

89.      Il fatto che la legislazione tributaria tedesca, dunque, arrivi effettivamente ad escludere i non residenti dal beneficio di un’agevolazione fiscale costituisce una differenza di trattamento per loro svantaggiosa  (64) .

90.      Tale differenza di trattamento, tuttavia, non costituisce una discriminazione contraria al Trattato, dal momento che i residenti e i non residenti si trovano, in linea di principio, in una situazione oggettivamente diversa.

91.      A questo proposito rilevo che la situazione dei non residenti che percepiscono in Germania, al pari dei coniugi Ritter-Coulais, la totalità o la quasi totalità del reddito globale dev’essere considerata, in relazione alle norme applicabili per il calcolo dell’imposta sul reddito, alla stregua di quella delle persone che risiedono e lavorano in questo Stato membro.

92.      Il diverso trattamento tra i contribuenti che lavorano in uno Stato membro ma non vi risiedono e i contribuenti che vi lavorano e vi risiedono, che consiste nel rifiuto di concedere ai primi la possibilità di far prendere in considerazione i redditi immobiliari negativi, costituisce dunque, in tale misura, una discriminazione indiretta basata sul criterio della residenza e vietata dall’art. 48 del Trattato.

93.      Le ragioni sottese a questo tipo di ragionamento sono state esposte dalla Corte nell’ambito di cause riguardanti le agevolazioni fiscali connesse alla situazione personale e familiare di contribuenti non residenti.

94.      Dalla giurisprudenza della Corte risulta per esempio che, laddove un contribuente abbia esercitato il diritto di libera circolazione, anche se effettivamente spetta allo Stato di residenza tener conto della sua situazione personale e familiare, è necessario che il contribuente possa essere assoggettato ad imposta in questo Stato. In tal modo, lo Stato di residenza è in grado di tener conto della situazione personale e familiare del contribuente residente  (65) .

95.      In questo caso, le agevolazioni fiscali connesse alla situazione personale e familiare del contribuente, previste dal diritto nazionale dello Stato dell’occupazione e prese in considerazione nel calcolo del reddito da tassare, possono rifiutarsi ai non residenti poiché simili agevolazioni possono essere loro concesse nel proprio Stato di residenza.

96.      Al contrario, laddove un contribuente, nello Stato di residenza, non disponga di redditi imponibili sufficienti per consentire tale considerazione, spetterà necessariamente allo Stato dell’occupazione tener conto della sua situazione personale e familiare  (66) .

97.      Questa giurisprudenza implica che, alla fine, dall’assoggettamento ad imposta di un contribuente nello Stato dell’occupazione o nello Stato di residenza non deve derivare la mancata considerazione, in tutto o in parte, della sua situazione personale e familiare  (67) .

98.      Più in generale questa giurisprudenza dimostra, a mio parere, che la capacità contributiva del non residente, risultante non soltanto dalla considerazione della sua situazione personale e familiare  (68) ma anche dalla considerazione dell’insieme dei suoi redditi e delle sue perdite  (69) , non deve costituire oggetto di una diversa valutazione da parte delle autorità competenti per il solo motivo del luogo di residenza, nel momento in cui i contribuenti residenti e non residenti percepiscono la totalità o la quasi totalità dei redditi imponibili nello Stato dell’imposizione.

99.      Orbene, questo è il risultato cui perviene una legislazione nazionale che neghi ai non residenti la considerazione dei redditi negativi esteri, da intendersi come perdite di redditi da locazione, ai fini della determinazione del reddito imponibile e/o dell’aliquota d’imposta, concedendola invece ai residenti che percepiscano parimenti in questo Stato membro la totalità o la quasi totalità dei redditi.

100.    Per tale motivo ritengo che l’art. 48 del Trattato debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una legislazione nazionale che abbia un simile effetto discriminatorio nei confronti dei lavoratori non residenti.

101.    Sono consapevole del fatto che l’approccio da me tenuto in base alla giurisprudenza esistente porti ad uguagliare pienamente i contribuenti residenti e non residenti in relazione ad agevolazioni fiscali di vario genere  (70) , spesso inscindibilmente legate a scelte di politica economica o sociale degli Stati membri.

102.    Insisto tuttavia sul fatto che tale criterio vale solamente quando il contribuente non residente consegue la totalità o la quasi totalità dei redditi nello Stato dell’imposizione. Solo questa constatazione consente infatti di trasformare un trattamento differenziato tra residenti e non residenti in un trattamento discriminatorio vietato dalle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle persone.

E – Sull’eventuale giustificazione della discriminazione indiretta

103.    Secondo il governo tedesco, l’impossibilità di dedurre le perdite da locazione in questione troverebbe la sua giustificazione nella necessità di mantenere la coerenza del regime fiscale della Convenzione franco-tedesca e del diritto nazionale.

104.    Questa coerenza si baserebbe sul fatto che, dato che la Repubblica federale di Germania non dispone, ai sensi dell’art. 3, n. I, della Convenzione franco-tedesca, del potere d’assoggettare ad imposta i redditi da patrimonio immobiliare situato in Francia, sarebbe giustificato che essa rifiuti di considerare le perdite legate a tale patrimonio immobiliare qualora queste non possano essere compensate da redditi dello stesso tipo provenienti dallo stesso paese.

105.    Tale sistema fiscale, inoltre, poggerebbe su norme di ripartizione delle competenze fiscali che, come avrebbe ammesso la Corte, giustificherebbero un trattamento fiscale differente. Il governo tedesco menziona, a questo proposito, la citata sentenza Gilly.

106.    L’argomento esposto dal governo tedesco non mi convince, anzitutto perché unisce due problematiche diverse, ossia quella relativa ai fattori di collegamento fiscale e quella inerente alla giustificazione riguardante la necessaria coerenza del regime fiscale applicabile.

107.    Riguardo, in primo luogo, alla problematica relativa ai fattori di collegamento fiscale va precisato che la Corte, nella sentenza Gilly, si è limitata a dichiarare che l’art. 48 del Trattato CE non si oppone alle norme di una convenzione bilaterale che stabilisca i fattori di collegamento fiscale dei lavoratori con l’uno o l’altro Stato membro a seconda che, in particolare, essi lavorino nel settore privato o pubblico e, se lavorano nel settore pubblico, a seconda che essi abbiano o meno la cittadinanza dello Stato a cui fa capo l’amministrazione da cui dipendono.

108.    In tal caso, infatti, si tratta di norme che si limitano a determinare lo Stato membro in cui una persona fisica sarà soggetta all’imposta sul reddito (71) . Le differenze che possono emergere riguardo al livello d’imposizione applicabile nell’uno o nell’altro Stato membro si spiegano con la mancanza di armonizzazione, a livello comunitario, delle aliquote delle imposte dirette.

109.    Nella causa in esame, al contrario, la controversia verte sulle norme relative alla determinazione del reddito imponibile e alla definizione dell’aliquota d’imposta. Non sono affatto in questione le norme della Convenzione franco-tedesca e dell’EStG del 1987, che hanno l’effetto di assoggettare ad imposta in Germania il reddito di persone fisiche come i coniugi Ritter-Coulais, in quanto cittadini tedeschi che esercitano la professione di insegnanti in un liceo pubblico in Germania.

110.    Nella causa in esame non costituisce oggetto di discussione neanche la norma di ripartizione delle competenze fiscali secondo la quale, ai sensi dell’art. 3, n. I, della Convenzione franco-tedesca, «[i] redditi da patrimonio immobiliare (…) sono imponibili solo nello Stato contraente in cui si trova tale patrimonio».

111.    Infatti, la mancata considerazione in Germania delle perdite derivanti da beni immobili non deriva da questo articolo ma soltanto, come ho osservato, dal diritto nazionale.

112.    In secondo luogo, sono a conoscenza del fatto che la Corte ha costantemente rifiutato l’argomentazione relativa alla necessità di garantire la coerenza del regime fiscale applicabile ricordando che, nel caso in cui aveva ammesso che questa necessità poteva giustificare una normativa che consentisse di limitare le libertà fondamentali  (72) , esisteva un rapporto diretto tra, da un lato, la deducibilità dei contributi versati in sede di contratti di assicurazione contro la vecchiaia e la morte e, dall’altro, l’imposizione delle somme percepite in esecuzione dei suddetti contratti  (73) .

113.    Per poter accertare la giustificazione relativa alla necessità di garantire la coerenza del regime fiscale applicabile è dunque necessario che sussista un nesso diretto tra la concessione di un’agevolazione fiscale e la relativa compensazione tramite prelievo fiscale, e che la detrazione e il prelievo avvengano nell’ambito della stessa imposizione e nei confronti dello stesso contribuente.

114.    Ritengo che manchi, nella fattispecie, un nesso di questo tipo tra, da un lato, la detrazione delle perdite da locazione ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito nello Stato membro dell’occupazione e, dall’altro, l’imposizione dei redditi immobiliari nello Stato membro in cui si trovano i beni.

115.    Mi sembra dunque escluso che una distinzione tra residenti e non residenti quale quella stabilita dalla normativa tedesca possa giustificarsi con la necessità di garantire la coerenza del regime fiscale applicabile.

116.    Nulla peraltro dimostra che le perdite di redditi da locazione, in esame nella presente causa, potrebbero essere considerate nello Stato di residenza nel corso di esercizi fiscali successivi.

117.    Infine, come sottolineato dal giudice del rinvio, rammento che la riduzione delle entrate fiscali non può essere ritenuta una ragione imperativa di interesse generale invocata per giustificare una misura nazionale contraria ad una libertà fondamentale (74) .

V – Conclusione

118.    Alla luce di quanto esposto, propongo alla Corte di rispondere nel seguente modo alle questioni pregiudiziali proposte dal Bundesfinanzhof:

«L’art. 48 del Trattato CEE (divenuto art. 48 del Trattato CE, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) deve essere interpretato nel senso che osta a che cittadini di uno Stato membro che siano illimitatamente soggetti all’obbligo fiscale in Germania e percepiscano redditi da lavoro subordinato in tale paese non possano dedurre le perdite di redditi da locazione avvenute in un altro Stato membro e risultanti dal fatto che essi utilizzano la casa unifamiliare per esigenze proprie né ai fini della determinazione in Germania del reddito imponibile né in sede di calcolo in tale Stato membro dell’aliquota d’imposta sul reddito».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Convenzione firmata a Parigi il 21 luglio 1959 dalla Repubblica francese e dalla Repubblica federale di Germania per evitare le doppie imposizioni e stabilire le regole di reciproca assistenza giuridica e amministrativa in materia d’imposta sul reddito e sul patrimonio nonché di tasse d’esercizio e di imposte fondiarie. Tale Convenzione è stata successivamente modificata dalle Convenzioni aggiuntive firmate, rispettivamente, il 9 giugno 1969 e il 28 settembre 1989 a Bonn e il 20 dicembre 2001 a Parigi.


3 – Lo stesso vale, a determinate condizioni, anche per i familiari e per il coniuge del cittadino tedesco.


4 – Il giudice del rinvio richiama, a questo proposito, gli artt. 21, n. 2, prima frase, e 52, n. 21, seconda frase, EStG 1987.


5 – V. art. 32b, n. 2, punto 2, EStG 1987, letto in combinato disposto con il n. 1, punto 2, dello stesso articolo.


6 – V. ordinanza di rinvio, pag. 2.


7 – V., in particolare, sentenze 17 ottobre 1990, I R 182/87, DB 1991, pag. 314; I R 177/87, BFH/NV 1992, pag. 104; 13 maggio 1993, IV R 69/92, BFH/NV 1994, pag. 100, e 17 novembre 1999, I R 7/99, BFHE 191, pag. 108.


8 – Si può riassumere nel modo seguente il ragionamento che esclude i redditi negativi esteri dal calcolo dell’aliquota d’imposta: il punto di partenza della riflessione consiste nel fatto che l'art. 2a, n. 1, prima frase, punto 4, EStG 1987 prevede la compensazione dei redditi negativi esteri da locazione di un bene immobile situato in uno Stato estero solo con redditi esteri dello stesso tipo e provenienti dallo stesso Stato. Il giudice del rinvio dichiara che proprio questo «divieto di compensazione delle perdite» (io parlerei piuttosto di limitazione) ha comportato «dal punto di vista della sistematica legislativa, l'esclusione dei redditi esteri compresi dalla disposizione nel calcolo dell’aliquota d’imposta, ai sensi dell'art. 32, n. 1, punto 2, e n. 2, punto 2, EStG 1987». Egli precisa che «[c]iò vale anche quando i redditi sono esenti da imposta in virtù di una Convenzione» diretta ad evitare la doppia imposizione [ordinanza di rinvio, pag. 6, paragrafo 2, lett.  b)]. In altre parole, redditi negativi derivanti da un bene immobile situato in Francia possono essere compensati solo con redditi positivi relativi ad un bene immobile che si trova nello stesso paese.


9 – All’udienza, il rappresentante dei coniugi ha dichiarato che il sig. Ritter-Coulais era tedesco e che la moglie, di nazionalità francese, aveva acquistato la doppia nazionalità a seguito del matrimonio.


10 – La coppia, proprio perché formata da cittadini tedeschi che risiedono in Francia e lavorano in un liceo pubblico in Germania, è stata assoggettata, in tale paese, all’imposta sul reddito per l’esercizio fiscale relativo all’anno 1987. Il fatto che la sig.ra Ritter-Coulais possedesse anche la nazionalità francese era irrilevante, dunque, ai fini dell’assoggettamento, in Germania, all’imposta sul reddito.


11 – In base a queste disposizioni nazionali, rammento che, qualora un contribuente possieda redditi esteri esenti in virtù di una convenzione diretta ad evitare la doppia imposizione, tali redditi rientrano fittiziamente nella base imponibile ai soli fini della determinazione dell’aliquota d’imposta.


12 – Se ne può dedurre, dunque, che le perdite dei redditi da locazione di cui usufruiscono i coniugi Ritter-Coulais e che sono dovute all’occupazione, da parte loro, della residenza francese sono assimilate, ai fini dell’applicazione di queste disposizioni nazionali, ai redditi negativi esteri da locazione di beni immobili situati all’estero.


13 – V. ordinanza di rinvio, pag. 3.


14 – Il corsivo è mio.


15 – Sentenza 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone (Racc. pag. 377, punto 21).


16 – GU L 178, pag. 5.


17 – Sentenza 12 dicembre 1990, causa C-241/89, SARPP (Racc. pag. I-4695, punto 8). V., in particolare, nello stesso senso, sentenze 2 febbraio 1994, causa C-315/92, Verband Sozialer Wettbewerb, detta «Clinique» (Racc. pag. I-317, punto 7); 4 marzo 1999, causa C-87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (Racc. pag. I-1301, punto 16), e 15 luglio 2004, causa C-365/02, Lindfors (Racc. pag. I-0000, punto 32).


18 – Sentenza 12 maggio 1998, causa C-85/96, Martínez Sala (Racc. pag. I-2691, punto 32).


19 – Più in generale, le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi «non sono applicabili ad attività in cui tutti gli elementi sono ristretti localmente all’interno di un solo Stato membro» (sentenza 16 gennaio 1997, causa C-134/95, USSL n. 47 di Biella, Racc. pag. I-195, punto 19). V., nello stesso senso, sentenze 23 aprile 1991, causa C-41/90, Höfner e Elser (Racc. pag. I-1979, punto 37); 28 gennaio 1992, causa C-332/90, Steen (Racc. pag. I-341, punto 9), e 16 febbraio 1995, cause riunite da C-29/94 a C-35/94, Aubertin e a. (Racc. pag. I-301, punto 9).


20 – V. paragrafi 17 e 18 delle presenti conclusioni, e, in particolare, la nota a piè della pagina 10.


21 – Sentenza Gilly, causa C-336/96 (Racc. pag. I-2793).


22 – V. paragrafi 5 e 6 delle presenti conclusioni.


23 – Conformemente all’art. 20, n. II, lett. a), cc), della Convenzione franco-tedesca, come modificato dalla Convenzione aggiuntiva del 28 settembre 1989.


24 –  - Sentenza Gilly, cit. (punto 21; il corsivo è mio).


25 – Sentenza 23 febbraio 1994, causa C-419/92, Scholz (Racc. pag. I-505, punto 9). Il corsivo è mio.


26 – V., in particolare, all’origine di questa giurisprudenza e sulla libertà di stabilimento, sentenza 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors (Racc. pag. 399). Lo stesso ragionamento vale in materia di libera circolazione dei lavoratori (v. sentenza 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punti 15 e 16).


27 – Sentenza Knoors, cit. (punto 24).


28 – Sentenza 7 luglio 1992, causa C-370/90, Singh (Racc. pag. I-4265, punto 17).


29 – Sentenza 26 gennaio 1993, causa C-112/91 (Racc. pag. I-429).


30 – Ibidem, punto 16.


31 – Ibidem, punto 17.


32 – Conclusioni presentate il 6 ottobre 1992.


33 – Ibidem, paragrafo 55.


34 – Condivido l’analisi dell’avvocato generale Tizzano il quale rileva che «la Corte si è in realtà limitata a fare applicazione del principio secondo cui il diritto comunitario non si applica alle fattispecie i cui elementi significativi sono puramente interni ad uno Stato membro». V. paragrafo 83 delle conclusioni nella causa Schilling e Fleck-Schilling (sentenza 13 novembre 2003, causa C-209/01, Racc. pag. I-0000).


35 – Alcuni hanno anche definito «sconcertante» l’apporto della sentenza Werner (nota di X. Rohmer, commentaire 1000, Droit fiscal, 1993, n. 19). Altri, più moderatamente, hanno ritenuto che questa giurisprudenza sia andata «verosimilmente scomparendo dall’entrata in vigore del Trattato dell’Unione europea e del riconoscimento della cittadinanza dell’Unione» (P. Derouin, e P. Martin, Droit communautaire et fiscalité – Sélection d'arrêts et de décisions, Litec, 2004, pag. 48). Al di là di queste considerazioni rilevo che il Consiglio di Stato francese, in una decisione dell’8 luglio 2002, ha fatto propria l’interpretazione della Corte nella sentenza Werner (ricorso n. 225159, inedito nella Raccolta Lebon) con riferimento a una controversia relativa all’imposta sul reddito relativamente agli anni 1987 e 1988.

Infine mi sembra inesatto ritenere che la Corte, nella sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker (Racc. pag. I-225), si sia discostata dal ragionamento sviluppato nella sentenza Werner, cit. Come ho dichiarato nelle conclusioni della sentenza Schumacker (paragrafo 33), era certo che la situazione del sig. Schumacker, a differenza di quella del sig. Werner, rientrasse effettivamente nell’ambito di applicazione del diritto comunitario. Il sig. Schumacker, infatti, era un cittadino belga che aveva conseguito la sua qualifica e la sua esperienza professionale fuori della Repubblica federale di Germania e aveva esercitato il diritto di libera circolazione dei lavoratori, previsto dall’art. 48 del Trattato CE, per andare in quello Stato ad esercitare un’attività dipendente. Non si trattava, dunque, di una situazione puramente interna di uno Stato membro.


36 – V. paragrafo 30.


37 – V. osservazioni scritte, punto 52.


38 – Sentenza 22 febbraio 1984, causa 70/83, Kloppenburg (Racc. pag. 1075, punto 11). V. anche sentenza 17 luglio 1997, causa C-354/95, National Farmers’ Union e a. (Racc. pag. I-4559, punto 57).


39 – Ciò non impedisce, in compenso, di considerare la giurisprudenza successiva della Corte relativa all’interpretazione delle norme giuridiche applicabili al momento dei fatti in questione nella causa principale. Per giurisprudenza costante, infatti, la Corte, nell’ambito del rinvio pregiudiziale, accerta il significato e la portata della norma comunitaria «quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore» (v. sentenza 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana, Racc. pag. 1205, punto 16).


40 – Sentenza 27 giugno 1996, causa C-107/94 (Racc  pag. I-3089). V., in particolare, paragrafo 41 delle mie conclusioni in questa causa, dove affermo: «Ritengo che in futuro la Corte potrà essere indotta a pronunciarsi sulle discriminazioni subite da cittadini di uno Stato membro che hanno esercitato la loro libertà di circolazione solo a titolo, ad esempio, della direttiva 90/364 poiché, attualmente, un diritto di soggiorno generalizzato è riconosciuto a talune condizioni da tale testo di diritto comunitario, indipendentemente da qualsiasi attività economica».

È peraltro interessante notare, al fine di differenziare i vari casi presentati alla Corte, che il sig. Asscher, a differenza del sig. Werner, aveva buone ragioni per avvalersi dell’art. 52 del Trattato CE contro lo Stato d’origine «quando, a causa dell’esercizio di un’attività economica in uno Stato membro diverso dal suo Stato di origine, egli si trova nei confronti di quest’ultimo in una situazione analoga a quella di qualsiasi altro soggetto che faccia valere, nei confronti dello Stato ospitante, i diritti e le libertà garantiti dal Trattato» (sentenza Asscher, cit., punto 34).


41 – Vale a dire principalmente la direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE, relativa al diritto di soggiorno (GU L 180, pag. 26). Tale direttiva è abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (GU L 158, pag. 77).


42 – Sentenza 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello (Racc. pag. I-11613, punti 26 e 27).


43 – Sentenza USSL n. 47 di Biella, cit. (punto 22).


44 – Sentenza 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont (Racc. pag. I-10663).


45 – Sentenze 5 marzo 2002, cause riunite C-515/99, da C-519/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99, Reisch e a. (Racc. pag. I-2157), e 15 maggio 2003, causa C-300/01, Salzmann (Racc. pag. I-4899).


46 – V. in particolare sentenza Guimont, cit. (punto 22).


47 – Sentenza 6 giugno 2000, causa C-281/98, Angonese (Racc. pag. I-4139, punto 18). Rilevo che questa causa riguarda il settore della libera circolazione dei lavoratori, il che può avvalorare l’idea secondo cui l’orientamento giurisprudenziale sviluppatosi in seguito nella sentenza Guimont, cit., possa riguardare anche tale ambito.


48 – Sentenza Salzmann, cit. (punto 32).


49 – Sentenza Guimont, cit. (punto 23).


50 – Sentenza Reisch e a., cit. (punto 26). Questa posizione, secondo le parole utilizzate dall’avvocato generale Geelhoed nelle conclusioni relative a questa causa, sembra basarsi sulla constatazione che, qualora «la normativa nazionale vieti la discriminazione inversa, il giudice nazionale – per stabilire se sussista una discriminazione inversa – necessita di un’interpretazione dei diritti che spettano ai cittadini di altri Stati ai sensi del diritto comunitario» (paragrafo 87).


51 – V.,. in particolare, conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Pistre e a. (sentenza 7 maggio 1997, cause riunite da C-321/94 a C-324/94, Racc. pag. I-2343, paragrafi 38 e segg.) nonché quelle dell’avvocato generale Saggio nella causa Guimont, cit. (paragrafi 6 e 7). Queste argomentazioni riguardano anche la portata della giurisprudenza Dzodzi (sentenza 18 ottobre 1990, cause riunite C-297/88 e C-197/89, Racc. pag. I-3763) che contempla in particolare il caso in cui una norma di diritto nazionale si riferisca al diritto comunitario: v. conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nelle cause Leur-Bloem e Giloy (sentenze 17 luglio 1997, causa C-28/95, Racc. pag. I-4161, paragrafi 47 e segg., e causa C-130/95, Racc. pag. I-4291), e nella causa BIAO (sentenza 7 gennaio 2003, causa C-306/99, Racc. pag. I-1, paragrafi  47-70).


52 – Riporto qui fedelmente l’espressione utilizzata dal giudice del rinvio nella prima questione pregiudiziale. Anche se non risulta chiaramente dall’ordinanza di rinvio, credo che questa espressione debba essere intesa nel senso che il regime tedesco di assoggettamento integrale ad imposta cui sono stati soggetti i coniugi Ritter-Coulais è, tuttavia, riservato abitualmente ai residenti in Germania (v., in particolare, cause Werner e Schumacker, cit.). Ciò sembra costituire un’eccezione riguardante i funzionari non residenti in Germania.


53 – V., in particolare, sentenze 4 ottobre 1991, causa C-246/89, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I-4585, punto 12), e Schilling, cit. (punto 22).


54 – Causa C-175/88 (Racc. pag. I-1779, punto 12).


55 – V., in particolare, sentenze 12 febbraio 1974, causa 152/73, Sotgiu (Racc. pag. 153, punto 11), e 21 novembre 1991, causa C-27/91, Le Manoir (Racc. pag. I-5531, punto 10).


56 – V., in particolare, sentenze cit. Schumacker (punto 28); Asscher (punto 38), e 16 maggio 2000, causa C-87/99, Zurstrassen (Racc. pag. I-3337, punti 19 e 20).


57 – Sentenza Schumacker, cit. (punto 30).


58 – V., in particolare, sentenza 1° luglio 2004, causa C-169/03, Wallentin (Racc. pag. I-0000, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).


59 – Idem, punto 16 e giurisprudenza ivi citata.


60 – Sentenza Schumacker, cit. (punti da 36 a 38).


61 – Ossia in mancanza di redditi esteri dello stesso tipo e provenienti dallo stesso Stato.


62 – A questo proposito rimando ai chiarimenti forniti dal giudice del rinvio ed esposti al paragrafo 16 nonché alla nota a piè della pagina 8 delle presenti conclusioni.


63 – V. ordinanza di rinvio, pagg. 2 e 7, nonché osservazioni scritte della Commissione, punto 33.


64 – Faccio presente che, anche se il regime fiscale applicabile nella causa principale risulta, come ho illustrato, dalla combinazione delle norme della Convenzione franco-tedesca e della legislazione nazionale, solo quest’ultima in realtà e, precisamente, l'art. 2a, n. 1, prima frase, punto 4, EStG 1987 costituisce la causa diretta del trattamento differenziato in Germania tra residenti e non residenti.


65 – V., in particolare, sentenza 14 settembre 1999, causa C-391/97, Gschwind (Racc. pag. I-5451, punti 29 e 30).


66 – V., in particolare, sentenza 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx (Racc. pag. I-2493).


67 – V. sentenza 12 dicembre 2002, causa C-385/00, de Groot (Racc. pag. I-11819), nella quale la Corte ha dichiarato che «[i] meccanismi impiegati per eliminare la doppia imposizione o i sistemi fiscali nazionali che hanno l’effetto di eliminarla o di attenuarla devono tuttavia garantire ai contribuenti degli Stati interessati che, globalmente, l’insieme della loro situazione personale e familiare sarà debitamente presa in considerazione, quale che sia il modo in cui gli Stati membri interessati si sono ripartiti tale obbligo, salvo creare una disparità di trattamento incompatibile con le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione dei lavoratori, che non risulterebbe affatto dalle disparità esistenti tra le normative fiscali nazionali» (punto 101).


68 – A mio avviso e a titolo di esempi, costituiscono agevolazioni fiscali connesse alla considerazione della situazione personale e familiare dei contribuenti: l’attenuazione, a beneficio delle coppie coniugate, della progressività dell’aliquota dell’imposta (sentenza Schumacker, cit.), la detrazione dei benefici investiti nella costituzione di una riserva di vecchiaia (sentenza Wielockx, cit.) o, ancora, le agevolazioni fiscali legate agli obblighi personali quali il versamento di una pensione alimentare (sentenza de Groot, cit.).


69 – A mio avviso, rientra in questa categoria la sentenza 12 giugno 2003, causa C-234/01, Gerritse (Racc. pag. I-5933), almeno nella parte relativa alla detrazione delle spese professionali. La Corte infatti ha dichiarato che le norme del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi ostano ad una disposizione nazionale la quale, di regola, prende in considerazione, in sede di imposizione dei non residenti, i redditi lordi, senza detrazione delle spese professionali, mentre i residenti sono tassati sulla base dei loro redditi netti, previa detrazione di tali spese.


70 – In relazione alla varietà delle agevolazioni fiscali rientranti in questa valutazione, faccio presente che il Bundesfinanzhof ha recentemente presentato alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale diretta ad accertare se «[l]’art. 52 del Trattato istitutivo della Comunità europea osta (…) al fatto che il cittadino di un altro Stato membro, soggetto parzialmente all’imposta sul territorio della Repubblica federale di Germania, non possa dedurre dall’importo del reddito imponibile le spese di consultazione fiscale che egli ha esposto, in quanto spesa eccezionale, mentre lo potrebbe un contribuente integralmente soggetto all’imposta sui redditi» (il corsivo è mio): domanda di pronuncia pregiudiziale 12 agosto 2004 nella causa C-346/04, Conijn (ancora pendente).


71 – Ciò discende dalla «competenza che hanno le parti contraenti a stabilire, al fine di eliminare le doppie imposizioni, i criteri di ripartizione fra esse del loro potere impositivo» (sentenza Gilly, cit., punto 30).


72 – Trattasi delle sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann (Racc. pag. I-249, punto 28), e causa C-300/90, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-305, punto 21).


73 – V., in particolare, sentenza de Groot, cit. (punto 108).


74 – V., in particolare, sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I-4071, punto 59).