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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PHILIPPE LÉGER

presentate il 14 aprile 2005 (1)

Causa C-253/03

CLT-UFA SA

e

Finanzamt Köln-West

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof (Germania)]

«Libertà stabilimento – Normativa fiscale – Imposte sugli utili delle società – Imposizione definitiva degli utili di una succursale di una società non residente – Normativa nazionale che non concede ai centri di attività stabile di società non residenti la possibilità di ridurre l’aliquota d’imposta dei loro utili – Inammissibilità»





1.     La questione della compatibilità con il diritto comunitario di normative fiscali nazionali le quali assoggettano una società di uno Stato membro a regimi diversi a seconda che essa abbia aperto un centro di attività secondario in un altro Stato membro nella forma di una filiale dotata di propria personalità giuridica ovvero di un centro di attività stabile come una succursale, ha già dato origine ad un certo numero rinvii pregiudiziali e continua a sollevare problemi complessi.

2.     Nell’ambito dell’imposizione diretta delle società, le suddette diversità di regime riguardano principalmente tanto la compensazione transfrontaliera delle perdite (2), quanto la concessione di agevolazioni fiscali nell’ambito dell’imposta sugli utili. La presente controversia è riconducibile a questa seconda categoria di differenze.

3.     Essa trae origine dal conflitto tra la società CLT-UFA SA (3) ed il Finanzamt Köln-West (Germania) (4) riguardante la tassazione degli utili di detta società per l’anno 1994. La CLT-UFA è una società per azioni la cui sede e direzione (commerciale) si trovano in Lussemburgo e che nel 1994 ha svolto la sua attività in Germania mediante un centro di attività stabile sotto forma di succursale senza propria personalità giuridica. Essa è stata tassata dalle autorità tedesche a titolo degli utili ottenuti dalla sua succursale in Germania e, conformemente al diritto interno vigente, detta imposta sugli utili era stata fissata al 42%.

4.     La CLT-UFA contesta l’aliquota di detta imposta per il fatto che la stessa sarebbe stata ridotta al 33,5 o al 30% qualora, durante l’esercizio controverso, essa avesse svolto la sua attività in Germania mediante una filiale e quest’ultima le avesse trasferito interamente i suoi utili.

5.     Il Bundesfinanzhof (Germania) chiede se un tale regime sia compatibile con gli artt. 52 (5) e 58 del Trattato CE (6) ed eventualmente, se l’aliquota d’imposta gravante sugli profitti realizzati dalla ricorrente in Germania debba essere ridotta al 30%.

I –    Ambito giuridico comunitario

6.     La materia delle imposte dirette, la quale ricomprende tutti i prelievi fiscali «direttamente» riscossi presso i contribuenti, quali l’imposta sul reddito delle persone fisiche e l’imposta sugli utili delle società (7), continua a rientrare nella competenza degli Stati membri. A norma dell’art. 220 del Trattato CE (8), è a questi ultimi che compete avviare fra loro «per quanto occorra» i negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini, l’eliminazione della doppia imposizione fiscale all’interno della Comunità. In materia di imposte dirette, il Trattato CE non attribuisce alcuna competenza al legislatore comunitario ad eccezione del suo art. 100 (9) il quale consente al Consiglio deliberando all’unanimità di adottare le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materie che hanno un’incidenza diretta sull’instaurazione ed il funzionamento del mercato comune.

7.     Di conseguenza, per quanto attiene al regime fiscale delle imprese, malgrado gli sforzi importanti posti in essere dalla Commissione delle Comunità europee al fine di conseguire un minimo di armonizzazione delle normative fiscali nazionali (10), gli Stati membri conservano la possibilità di fissare liberamente la base imponibile e l’aliquota applicabile agli introiti delle società.

8.     Ciò nonostante, tale competenza non è senza limiti. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, gli Stati membri devono esercitare le loro competenze in materia di imposte dirette nel rispetto del diritto comunitario (11). Ne consegue, che le norme mediante le quali gli Stati membri determinano l’imposta sugli utili ottenuti dalle società nonché le modalità volte ad evitare la doppia imposizione dei loro utili, non devono ledere le libertà fondamentali quali la libertà di stabilimento, sancita dagli artt. 52 e 58 del Trattato.

9.     L’art. 52 del Trattato il quale, secondo la formula abituale, «costituisce una delle disposizioni fondamentali del diritto comunitario» e che è direttamente applicabile negli Stati membri (12), dispone che la libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro importa l’accesso alle attività non subordinate ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini. Ai sensi del medesimo articolo, primo comma, seconda frase, l’abolizione delle restrizioni alla libertà di stabilimento si estende alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

10.   Quanto all’art. 58 del Trattato, esso estende alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede statutaria all’interno della Comunità e che perseguono uno scopo di lucro, i diritti conferiti alle persone fisiche dall’art. 52 del Trattato. Secondo la giurisprudenza, in tale contesto, la sede delle società svolge un ruolo analogo a quello della cittadinanza delle persone fisiche in quanto serve per determinare il loro collegamento all’ordinamento giuridico di uno Stato (13).

11.   La libertà di stabilimento garantita dal Trattato mira dunque a consentire alle società aventi sede in un altro Stato membro di svolgere la loro attività nello Stato di stabilimento secondo le norme ivi vigenti per le società nazionali. Fondata sugli stessi principi delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori (14), la libertà di stabilimento vieta, in linea di principio, ogni discriminazione palese basata sulla cittadinanza o, per quanto riguarda le società, sulla presenza della loro sede in un altro Stato membro (15). Essa vieta altresì le discriminazioni indirette o dissimulate, vale a dire le norme che, pur fondandosi su altri criteri di distinzione rispetto a quello della cittadinanza o della sede delle società, pervengono, in effetti, al medesimo risultato (16).

12.   La libertà di stabilimento osta altresì ai provvedimenti in vigore negli Stati ospitanti che, pur essendo indistintamente applicabili a tutte le imprese nazionali e straniere, vietino, intralcino o rendano meno interessante l’esercizio di tale libertà (17) nonché i provvedimenti mediante i quali lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di una società costituità secondo la propria legislazione (18).

13.   L’art. 52, primo comma, seconda frase, del Trattato, letto in combinato disposto con l’art. 58 del Trattato, conferisce, inoltre, alle società il diritto di scegliere liberamente la forma giuridica idonea per l’esercizio delle loro attività in un altro Stato membro, tra l’agenzia, la succursale o la filiale (19).

14.   Al termine di questa presentazione, è opportuno menzionare ancora la direttiva del Consiglio 90/435/CEE (20) che, pur non contemplando il trasferimento di utili di una succursale alla sua società madre avente sede in un altro Stato membro, ha ciò nondimeno un’incidenza sulla soluzione da apportare alle questioni poste dal giudice del rinvio. La direttiva in parola ha introdotto disposizioni comuni tese ad eliminare, in particolare, la doppia imposizione dei redditi distribuiti dalle società figlie alle loro società madri aventi sede in uno Stato membro. Al fine di evitare che tali utili subiscano una seconda imposizione quando vengono distribuiti alla società madre, essa prevede, in sostanza, che lo Stato di detta società sia tenuto ad esentarli ovvero, qualora li sottoponga ad imposizione, ad autorizzare la società madre a dedurre dalla sua imposta la frazione d’imposta pagata dalla società figlia a titolo degli utili distribuiti. La direttiva in parola non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali volte ad eliminare o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi.

II –  Ambito normativa nazionale

15.   La normativa fiscale tedesca applicabile all’epoca dell’esercizio controverso viene descritta dal giudice del rinvio come segue.

16.   Per quanto concerne, anzitutto, la tassazione in Germania dell’ utile ivi realizzato dalla succursale di una società con sede in un altro Stato membro, il diritto interno prevedeva che le società straniere non aventi in Germania né la loro sede né la loro direzione (commerciale), fossero in tale Stato soggette solo in modo limitato all’imposta sulle società, ovvero unicamente sui redditi ivi generati (21). Tra i redditi che in tal modo possono essere tassati in Germania figurano gli utili realizzati in tale Stato da un centro di attività stabile quale una succursale.

17.   Inoltre, in base all’accordo stipulato tra la Repubblica federale di Germania ed il Granducato del Lussemburgo, gli introiti di una società stabilita in Lussemburgo, possono essere tassati in Germania solo sui redditi generati da un centro di attività stabile di questa medesima società ubicata nel territorio di tale Stato. Gli utili spettanti a tale centro di attività stabile sono calcolati imputandogli gli utili che avrebbe realizzato se, come impresa indipendente, si fosse occupato di attività identiche o simili a condizioni identiche o simili (22).

18.   L’imposta sulle società applicabile agli utili di un centro di attività stabile ammonta al 42% di tali utili (23).

19.   Per quanto riguarda la tassazione in Germania degli utili ivi realizzati da una filiale di una società non residente, le filiali, a causa della loro sede o direzione (commerciale) in Germania, ivi soggette ad un obbligo fiscale illimitato a titolo dell’imposta sulle società (24). Se detti utili sono oggetto di una capitalizzazione, l’imposta sulle società ammonta al 45% degli utili.

20.   Se detti utili vengono distribuiti dalla filiale alla società capogruppo fino al 30 giugno 1996, senza preventiva capitalizzazione ovvero dopo capitalizzazione, l’imposta dovuta dalla filiale su tali utili è fissata o ridotta al 30% di essi. La società capogruppo si trova ugualmente tassata nella misura del 5% della somma riscossa, il che porta la tassazione totale degli utili realizzati dalla filiale ed interamente distribuiti al 33,5% del reddito imponibile (25).

21.   Se tali utili sono oggetto di distribuzione alla società capogruppo dopo il 30 giugno 1996, l’aliquota di imposta si trova ridotta al 30% senza imposta supplementare a carico della società capogruppo (26).

22.   La normativa tedesca è stata oggetto di modifiche successivamente ai fatti della causa principale. A decorrere dall’esercizio fiscale 2001, l’aliquota di imposta gravante sugli utili realizzati in Germania da una società è stata fissata con un’ aliquota unica del 25%, a prescindere dal fatto che questa sia soggetta in tale Stato ad un obbligo fiscale limitato o illimitato (27).

III –  Le questioni pregiudiziali

23.   La CLT-UFA non contesta l’accertamento dell’ammontare degli utili realizzati dalla succursale nel corso dell’esercizio controverso, ma unicamente l’aliquota d’imposta del 42%. Essendo stato rigettato dal Finanzamt il ricorso relativo a tale contestazione, essa ha proposto ricorso in cassazione dinanzi al Bundesfinanzhof, al fine di richiedere l’annullamento della sentenza del Finanzgericht nonché una modifica dell’accertamento fiscale controverso nel senso di una riduzione dell’aliquota d’imposta al 30%.

24.   Nell’ordinanza di rinvio, il Bundesfinanzhof indica che la ricorrente, per quanto riguarda gli utili realizzati dalla sua succursale in Germania, a causa della sua sede in Lussemburgo, è trattata diversamente e in modo più sfavorevole di quanto lo sarebbe stata se avesse svolto la sua attività in detto Stato sotto la forma giuridica di una società ivi avente sede, giacché gli utili ottenuti in Germania mediante una filiale durante l’esercizio controverso, nel caso di una loro distribuzione integrale alla ricorrente, sarebbero stati assoggettati ad un’aliquota d’imposta non del 42%, bensì al massimo del 33,5%.

25.   Il Bundesfinanzhof esprime poi dubbi quanto al fatto che le differenze fra le aliquote d’imposta applicabili possano essere giustificate.

26.   In particolare, una tale giustificazione non potrebbe risultare dallo scopo e dal sistema generale del procedimento tedesco di imputazione relativo all’imposta sulle società invocato dal Finanzamt. Scopo di tale procedimento è di evitare la plurimposizione (tributaria) degli utili delle società di capitali soggette in Germania ad obbligo fiscale illimitato, la quale si verificherebbe se gli utili venissero tassati sia a carico della società stessa sia a carico degli azionisti, società o privati, quando essi vengono loro distribuiti. La procedura di imputazione consente quindi di imputare l’imposta riscossa a livello delle società sul debito fiscale dei beneficiari sottoposti ad un obbligo fiscale illimitato sia a titolo dell’imposta sulle società sia a titolo dell’imposta sul reddito. L’imposta sugli utili è dunque ridotta al 30% e, a differenza della tassazione degli utili realizzati da un centro di attività stabile, non costituisce una tassazione definitiva.

27.   Il Bundesfinanzhof rileva, tuttavia, che l’aliquota d’imposta del 30% non si applica unicamente agli utili distribuiti agli azionisti che in Germania sono soggetti ad un obbligo fiscale illimitato, ma parimenti agli utili distribuiti da una filiale tedesca ad una società capogruppo con sede in un altro Stato membro, di modo che, contrariamente a quanto sostenuto dal Finanzamt, non vi sia coincidenza tra l’aliquota d’imposta applicabile in caso di distribuzione di utili e la tassazione dei dividendi a carico degli azionisti.

28.   Ciò nonostane, il Bundesfinanzhof dubita la giurisprudenza della Corte consenta di risolvere senza indugi i problemi giuridici sollevati dal ricorso della CLT-UFA. Esso rammenta che nella precitata sentenza Royal Bank of Scotland, il regime fiscale greco, dichiarato incompatibile con gli artt. 52 e 58 del Trattato, prevedeva l’applicazione di un’aliquota d’imposta del 40% ai redditi imponibili delle società straniere, mentre l’aliquota applicabile ai redditi imponibili delle società nazionali ammontava solo al 35%. Orbene, nella fattispecie, i centri di attività stabile di società con sede in un altro Stato membro sarebbero sfavoriti soltanto ammettendo, per quanto riguarda il caso di una società tedesca considerato a titolo di paragone, che la distribuzione degli utili sia la regola generale, poiché, se questa stessa società capitalizza i suoi utili, l’aliquota d’imposta ammonta al 45%.

29.   Il Bundesfinanzhof indica successivamente che, avendo la ricorrente potuto disporre degli utili ottenuti dalla sua succursale sin dalla scadenza dell’esercizio 1994, sarebbe possibile ritenere che essa versi in una situazione oggettivamente paragonabile a quella di una società capogruppo con sede in uno Stato membro che abbia ottenuto integralmente dalla sua filiale tedesca la distribuzione degli utili realizzati da quest’ultima. Al fine di far venir meno la violazione del diritto comunitario eventualmente derivante dall’applicazione del regime fiscale in questione, sarebbe dunque sufficiente ridurre l’aliquota d’imposta applicata alla ricorrente al 33,5%.

30.   È alla luce di queste considerazioni che il Bundesfinanzhof ha deciso di sospendere il giudizio e si sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 52 del Trattato CE in combinato disposto con l’art. 58 del Trattato CE debba essere interpretato nel senso che la libertà di stabilimento è violata quando gli utili realizzati da una società di capitali straniera dell’Unione europea mediante una succursale situata in Germania durante l’esercizio 1994 sono soggetti ad un’imposta tedesca del 42% a titolo dell’imposta sulle società [aliquota d’imposta sui centri di attività stabile] mentre:

–       [g] li utili sarebbero stati soggetti all’imposta tedesca sulle società soltanto nella misura del 33,5% se una filiale soggetta in Germania a titolo dell’ imposta sulle società ad un obbligo fiscale illimitato ed appartenente alla società di capitali di un altro Paese dell’Unione europea avesse ottenuto detti utili e li avesse interamente versati alla società capogruppo prima del 30 giugno 1996,

–       [e] gli utili sarebbero stati in un primo momento soggetti all’imposta tedesca sulle società nella misura del 45% se la filiale li avesse capitalizzati fino al 30 giugno 1996, ma la tassazione sulle società in caso di distribuzione integrale si sarebbe ridotta successivamente al 30% dopo il 30 giugno 1996.

2)      Se l’aliquota d’imposta sui centri di attività stabile debba, in caso di violazione dell’art. 52 del Trattato CE in combinato disposto con l’art. 58 del Trattato CE, essere ridotta al 30% per l’esercizio controverso, al fine di eliminare tale violazione».

IV –  Analisi

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

31.   Con la prima questione pregiudiziale, il Bundesfinanzhof chiede in sostanza se gli artt. 52 e 58 del Trattato debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa fiscale di uno Stato membro in base alla quale gli utili ottenuti in tale Stato da un centro di attività stabile di una società con sede in un altro Stato membro sono soggetti all’imposta sulle società in base ad un’aliquota fissa del 42%, senza alcuna possibilità di riduzione, mentre se detti utili sono realizzati da una società ivi avente la propria sede, quale una filiale, e vengono integralmente distribuiti da tale filiale alla sua società capogruppo avente sede in un altro Stato membro, sono tassati nella misura del 33,5%, in caso di distribuzione fino al 30 giugno 1996, ovvero del 30% in caso di distribuzione dopo il 30 giugno 1996.

32.   Il governo tedesco ed il Finanzamt affermano che il regime controverso non sia in contrasto con gli artt. 52 e 58 del Trattato e che occorra risolvere negativamente detto quesito. Il nucleo essenziale della loro argomentazione può essere così riassunto.

1) Argomenti del governo tedesco e del Finanzamt

33.   Il governo tedesco ed il Finanzamt sostengono che la diversità di trattamento contestata dalla CLT-UFA non sia in contrasto con le norme relative alla libertà di stabilimento in quanto la sua situazione non sarebbe paragonabile a quella di una filiale tedesca che distribuisce i suoi utili a una società capogruppo avente sede in un altro Stato membro.

34.   Essi indicano, anzitutto, che il trasferimento degli utili da parte di una succursale alla sua società capogruppo non è paragonabile ad una distribuzione integrale degli utili di una filiale alla propria società capogruppo. Mentre nel caso della succursale si tratta di un’operazione puramente interna in seno alla stessa società, la distribuzione da parte di una filiale dei suoi utili alla società capogruppo avrebbe per effetto che questi escono dal patrimonio della filiale.

35.   In seguito, essi osservano che, contrariamente ai regimi fiscali in questione nelle cause che hanno dato origine alle precitate sentenze Commissione/Francia, Royal Bank of Scotland e Saint-Gobain ZN, la differenza di trattamento prevista dalla normativa fiscale tedesca e contestata dalla CLT-UFA non poggia sul criterio della sede delle società interessate bensì su quello della distribuzione degli utili. Se gli utili vengono capitalizzati, l’aliquota d’imposta è del 45%, e tale aliquota è ridotta al 33,5 o al 30% solo se gli utili vengono distribuiti.

36.   Perciò, secondo la normativa tedesca vigente nel 1994, nell’ipotesi in cui la sede della società capogruppo e il centro di attività stabile da essa gestito si trovino entrambi in Germania, la società capogruppo soggiace ad imposta in tale Stato. L’aliquota d’imposta sugli utili, ivi compresi quelli realizzati dal suo centro di attività stabile, dipende allora dal loro impiego. Se gli utili vengono capitalizzati, l’aliquota ammonta al 45% mentre, in caso di distribuzione agli azionisti, essa si riduce al 30%. In caso di capitalizzazione o di distribuzione parziali, l’aliquota d’imposta viene determinata in funzione della proporzione di utili capitalizzati e distribuiti.

37.   Il governo tedesco e il Finanzamt rammentano che tale riduzione dell’aliquota d’imposta gravante sugli utili è legata alla procedimento di imputazione dell’imposta, teso ad evitare la doppia imposizione degli utili che deriverebbe dalla tassazione degli utili realizzati dalla società a titolo dell’imposta sulle società e dalla successiva tassazione dei medesimi presso gli azionisti in caso di distribuzione. Secondo queste parti intervenienti, un sistema del genere può essere applicato solo alle società i cui utili possano dare luogo a redditi imponibili a carico dei loro beneficiari. L’aliquota d’imposta definitiva del 42% non si applica dunque unicamente alle società straniere che gestiscono in Germania un centro di attività stabile, ma anche alle società nazionali per le quali l’impiego dei redditi non consente la loro tassazione (28).

38.   Il sistema generale di tale normativa non consente quindi di considerare il trasferimento di utili di una succursale alla sua società capogruppo straniera come distribuzione di utili, poiché tali utili rimangono a disposizione di detta società. Il governo tedesco ammette che, nella logica di questo sistema, occorrerebbe tenere conto dell’impiego degli utili da parte della società capogruppo non residente. Esso fa rilevare, tuttavia, che tale opzione non è stata presa in considerazione in quanto, da un lato, tale società rientra nella competenza fiscale dello Stato membro ove essa ha sede e, dall’altro, tale opzione creerebbe problemi pratici difficilmente superabili tanto alla società interessata quanto all’amministrazione tributaria. È per tali motivi che il legislatore tedesco ha deciso di sottoporre queste società allo stesso regime vigente per le società nazionali per le quali la fissazione dell’imposta del pari non dipende dalla ripartizione dei redditi.

39.   Infine, il governo tedesco adduce che la tassazione degli utili ottenuti in Germania da un centro di attività stabile di una società con sede in un altro Stato membro in base ad un’aliquota del 30%, non sarebbe giustificata rispetto alla normativa tedesca, in quanto tale aliquota si applicherebbe a prescindere dal fatto che la società capogruppo distribuisca o meno i suoi utili e potrebbe, pertanto, sfociare in un trattamento più favorevole delle succursali. Inoltre, non sarebbe dimostrato che le filiali tedesche distribuiscano sempre integralmente i loro utili alle loro società capogruppo non residenti.

40.   Il Finanzamt aggiunge che, secondo le norme in vigore all’epoca dei fatti, la tassazione degli utili distribuiti da una filiale alla sua capogruppo, dovrebbe essere maggiorata con un prelievo definitivo sulle spese professionali non deducibili. Esso fornisce un esempio di calcolo secondo il quale il prelievo totale sugli utili distribuiti alla società capogruppo può passare dal 33,5 al 35,59%.

 2. Valutazione

41.   Non condivido la tesi sostenuta dal governo tedesco e dal Finanzamt. Al pari della Commissione e della CLT-UFA, ritengo che gli artt. 52 e 58 del Trattato ostino ad una normativa quale quella di cui trattasi per i seguenti motivi riconducibili al metodo d’analisi abitualmente seguito dalla Corte in tale materia (29). In primo luogo, mi sembra che il regime fiscale di cui trattasi comporti un trattamento sfavorevole delle società la cui sede è situata in un altro Stato membro ed una limitazione della scelta ad esse spettante della forma giuridica del loro centro di attività secondario in Germania. In secondo luogo, mi sembra che le situazioni alle quali si applica tale trattamento differenziato possano essere considerate oggettivamente confrontabili. Infine, tale restrizione alla libertà di stabilimento non mi sembra giustificata.

a)      Sulla sussistenza di un trattamento svantaggioso delle società la cui sede sociale si situa in un altro Stato membro e di una limitazione della scelta, spettante a tali società, della forma giuridica del loro centro di attività secondario in Germania

42.   È stato in precedenza evidenziato che la libertà di stabilimento conferisce alle società di uno Stato membro il diritto di scegliere liberamente la forma giuridica del loro centro di attività secondario in un altro Stato membro. È opportuno precisare la portata di tale diritto, così come emerge dalla giurisprudenza.

43.   Nella già citata sentenza Commissione/Francia, che riguardava un credito d’imposta, denominato «credito fiscale», volto ad evitare la doppia imposizione degli utili delle società nell’ambito dell’imposta sulle società, indi presso i beneficiari dei dividendi, e che era riservato alle società con sede in Francia o nel territorio di Stati che hanno stipulato con la Repubblica francese convenzioni miranti ad evitare la doppia imposizione, la Corte si è confrontata con l’argomento del governo francese secondo il quale tale differenza di trattamento non lederebbe la libertà di stabilimento delle società non residenti, in quanto queste, onde poter fruire del summenzionato credito fiscale, potrebbero scegliere di esercitare le loro attività in Francia mediante una filiale, anziché una succursale.

44.   La Corte ha respinto l’argomento suddetto affermando che la libera scelta della forma giuridica appropriata per lo svolgimento di attività in un altro Stato membro, conferita agli operatori economici dall’art. 52, primo comma, seconda frase, del Trattato, costituisce una libertà a pieno titolo e che non deve essere limitata da disposizioni fiscali discriminatorie (30).

45.   Nella sentenza Saint-Gobain ZN sopra citata, la Corte ha precisato in quali circostanze occorre considerare che tale libertà di scelta costruisce oggetto di una limitazione incompatibile il Trattato. Il regime fiscale in questione negava ad una società di capitali non residente che gestiva in Germania una succursale attraverso la quale possedeva partecipazioni in società stabilite in altri Stati e tramite la quale riscuoteva dividendi da partecipazioni nelle stesse, talune agevolazioni fiscali relative all’assoggettamento ad imposta di tali partecipazioni o di tali dividendi (31). Tali agevolazioni erano riservate dal suddetto regime a società soggette in Germania ad un obbligo fiscale illimitato, sia in forza della normativa nazionale sia in forza di convenzioni bilaterali stipulate con Paesi terzi. Le società soggette in Germania ad un obbligo fiscale illimitato erano definite come quelle aventi in tale Stato la loro sede sociale o la loro direzione commerciale, ivi comprese le filiali tedesche di società straniere.

46.   La Corte ha ritenuto che il rifiuto di concedere le agevolazioni fiscali in questione alle società non residenti che gestiscono in Germania un centro di attività stabile, rendeva «meno interessante» per queste ultime il possesso di partecipazioni attraverso succursali tedesche, giacché solo le filiali tedesche potevano fruire di tali agevolazioni, «con la conseguente limitazione della libertà di scegliere la forma giuridica appropriata per l’esercizio di attività in un altro Stato membro, espressamente riconosciuta agli operatori economici dall’art. 52, primo comma, seconda frase, del Trattato» (32). Essa ha concluso che «[l]a differenza di trattamento di cui sono oggetto le succursali di società non residenti rispetto alle società residenti e la limitazione della libertà di scegliere la forma del centro di attività secondario debbono considerarsi configurare un’unica violazione degli artt. 52 e 58 del Trattato» (33).

47.   Tale motivazione conferma, anzitutto, che la libertà di scelta della forma giuridica del centro di attività secondario costituisce parte integrante dei diritti conferiti dagli artt. 52 e 58 del Trattato e che dette disposizioni vietano ogni restrizione alla libertà di cui trattasi derivante da un trattamento incompatibile con l’art. 52 del Trattato, in quanto comporta una discriminazione palese in base alla seda delle società. In considerazione dell’espressione secondo la quale il regime in questione rende «meno interessante» la creazione di succursali tedesche, si può anche ritenere che tali disposizioni non vietino solamente le limitazioni a tale libertà di scelta derivanti da una discriminazione palese, ma anche quelle risultanti da altre forme di restrizione incompatibili con l’art. 52 del Trattato, vale a dire i regimi indirettamente discriminatori, ovvero quelli che rendono meno interessante l’esercizio della libertà di stabilimento, o ancora quelli che ostacolano l’insediamento di una società nazionale in un altro Stato membro.

48.   Dalla motivazione sopra richiamata emerge inoltre, che, allorquando la succursale di una società non residente non gode delle stesse agevolazioni fiscali della filiale di una società straniera, viene pregiudicata la libertà di scelta della forma giuridica del centro di attività secondario, conferita dagli artt. 52 e 58 del Trattato. Ne discende, a contrario, che tale libertà di scelta implica che la succursale di una società con sede in un altro Stato membro beneficia nello Stato ospitante delle stesse agevolazioni di cui godono le filiali delle società che hanno altresì sede in un altro Stato membro.

49.   Inoltre, stando alla sentenza Saint-Gobain ZN precitata, la portata di tale parità di trattamento non si limita ai diritti conferiti dall’ordinamento dello Stato ospitante, ma si estende alle agevolazioni previste da convenzioni stipulate dallo Stato ospitante con Paesi terzi.

50.   È sulla scorta di queste considerazioni che occorre esaminare il regime fiscale di cui trattasi nella presente controversia.

51.   Nella presente controversia, si evince dalla descrizione del regime fiscale tedesco fornita dal giudice del rinvio che, mentre gli utili realizzati in Germania da una filiale possono, in caso di distribuzione alla società capogruppo non residente, beneficiare di una riduzione della loro aliquota d’imposta globale dal 45 al 33,5%, ossia al 30% in caso di distribuzione dopo il 30 giugno 1996, una tale possibilità è preclusa alle società non residenti che svolgono le loro attività in Germania mediante un centro di attività stabile come una succursale. È assodato che gli utili ottenuti in Germania mediante una succursale siano tassati con un aliquota del 42% e che tale aliquota sia definitiva, in modo da essere applicata a prescindere dal fatto che tale utile venga versato per intero o in parte da detta succursale alla società capogruppo.

52.   Inoltre, seppure in talune ipotesi come quella descritta dal Finanzamt, gli utili di una filiale tedesca distribuiti alla sua capogruppo non residente possano essere soggetti ad un imposta maggiore rispetto a quella gravante su utili equivalenti realizzati dalla succursale di una società capogruppo straniera, non appare seriamente contestabile che la riduzione dell’aliquota d’imposta al 33,5% o al 30% comporti, in via generale, un trattamento più favorevole rispetto ad una tassazione con un’aliquota definitiva del 42%.

53.   Infine, lo svantaggio causato da tale differenza di aliquota d’imposta sugli utili ottenuti in Germania non può essere eliminato in base all’accordo stipulato tra il Granducato del Lussemburgo e la Repubblica federale di Germania, poiché tale accordo non prevede un sistema di imputazione dell’imposta assolta in Germania a titolo degli utili ivi realizzati, ma esclude tali utili dalla base di calcolo dell’imposta sulle società lussemburghesi, sia che essi siano stati ottenuti mediante una filiale ovvero mediante una succursale (34).

54.   Tuttavia, come rilevato dal giudice del rinvio, la particolarità del regime controverso dipende dal fatto che un tale trattamento sfavorevole sussiste solamente in caso di distribuzione degli utili da parte della filiale tedesca alla sua capogruppo straniera, poiché, se tale filiale capitalizza i suoi utili, l’aliquota d’imposta viene fissata al 45%, ossia ad un’aliquota maggiore rispetto a quella applicabile agli utili ottenuti in Germania da una succursale di una società capogruppo non residente. Le circostanze del caso di specie sono dunque, in ciò, diverse dai regimi in questione nelle cause Commissione/Francia e Saint-Gobain ZN, precitate.

55.   In tali cause, le agevolazioni in questione non erano subordinate ad una simile condizione e producevano i loro effetti direttamente nel patrimonio delle filiali. La differenza di trattamento era dunque valutata tra le filiali e i centri di attività stabile. Orbene, nella presente fattispecie, l’agevolazione controversa dipendente dalla riduzione dell’aliquota d’imposta, non si trasferisce veramente nel patrimonio della filiale, bensì in quello della sua società capogruppo non residente, giacché detta riduzione si applica unicamente qualora gli utili le vengano distribuiti.

56.   Ciò nonostante, non credo che tale circostanza debba condurre a considerare che la differenza di trattamento contenuta nel regime controverso non costituisca una limitazione della libera scelta della forma giuridica del centro di attività secondario, incompatibile con il Trattato. Se si prende in considerazione l’oggetto della libertà di stabilimento, risulta che esso consiste nel consentire alle società aventi sede in uno Stato membro d’aprire un centro di attività secondario in un altro Stato membro per svolgervi la loro attività alle stesse condizioni di quelle previste per le società nazionali e, pertanto, a crearvi ricchezza. Appare quindi inerente all’esercizio di tale libertà che gli utili ottenuti dal centro di attività secondario siano distribuiti o trasferiti alla società capogruppo. A tal proposito, dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio si ricava che, in linea generale, le filiali nazionali abbiano distribuito i loro utili alle loro società capogruppo straniere e abbiano, in tal modo, potuto beneficiare della riduzione dell’aliquota d’imposta (35).

57.   Alla luce di queste considerazioni, non sembra che un trattamento più favorevole delle filiali rispetto alle succursali quanto alle condizioni nelle quali le prime possono fare pervenire alla loro società capogruppo gli utili che hanno ottenuto nello Stato di stabilimento, produca effetti diversi in relazione alla libertà di scelta della forma giuridica del centro di attività secondario rispetto alle agevolazioni di cui trattasi nelle cause Commissione/Francia e Saint-Gobain ZN precitate, le quali avevano l’effetto di ridurre direttamente l’imposta gravante sulle filiali a titolo degli utili ottenuti nello Stato ospitante. In tal senso, è lecito ritenere che il regime fiscale controverso, nella misura in cui riserva alle filiali la possibilità di fruire di una riduzione dell’imposta quando distribuiscono i loro utili alla loro società capogruppo non residente, conferisca loro un vero e proprio vantaggio rispetto alle succursali, in modo da creare una restrizione alla libera scelta della forma giuridica del centro di attività secondario mediante il quale le società non residenti possono svolgere la loro attività in Germania.

58.   In seguito, si è visto che la libertà di stabilimento, in linea di principio, vieta ogni discriminazione palese o indiretta in base alla presenza della sede delle società interessate in un altro Stato membro. Dalla descrizione del regime fiscale in discussione emerge altresì che le società che beneficiano di tale possibilità di ridurre l’imposta sui loro utili in caso di distribuzione, sono quelle che in Germania sono soggette ad un obbligo fiscale illimitato, in quanto hanno in tale Stato la loro sede o direzione.

59.   Il criterio che condiziona l’applicazione della possibilità di beneficiare della riduzione dell’aliquota d’imposta in caso di distribuzione degli utili, sembra essere lo stesso di quello che determinava l’applicazione delle agevolazioni fiscali in esame nella causa che ha originato la precitata sentenza Saint-Gobain ZN. In tale sentenza, la Corte aveva constatato che la normativa nazionale riservava le agevolazioni controverse alle società soggette in Germania ad un obbligo fiscale illimitato e che queste ultime erano definite dalla predetta normativa come aventi in detto Stato la sede o la direzione commerciale. Essa ne ha dedotto che il diniego di accordare dette agevolazioni riguardava dunque principalmente le società non residenti e si basava sul criterio della sede della società (36).

60.   La stessa valutazione può essere fatta nel caso di specie. Sebbene, come sostenuto dal governo tedesco e dal Finanzamt, nel sistema generale del regime fiscale di cui trattasi, la riduzione dell’aliquota d’imposta gravante sugli utili realizzati dalle società di capitali presenti un nesso con la distribuzione di tali utili, rimane comunque il fatto che il criterio, enunciato nella normativa, al quale viene subordinato il diritto di avvalersi della possibilità di ottenere siffatta riduzione dell’aliquota d’imposta in caso di distribuzione, è sicuramente la sede delle società interessate. A tal riguardo, il giudice del rinvio, al quale compete l’interpretazione del suo ordinamento interno, indica espressamente che la ricorrente è stata oggetto di un trattamento differenziato e meno favorevole «a causa della sua sede e direzione in Lussemburgo» (37).

61.   In considerazione degli elementi suesposti, si ritiene che le conclusioni tratte nella già citata pronuncia Saint-Gobain ZN, possano essere trasposte nell’ambito della presente controversia, nel senso che il regime fiscale in discussione comporta un trattamento favorevole delle società non residenti in base alla situazione della loro sede sociale e rende meno interessante per le medesime lo svolgimento della loro attività in Germania mediante una succursale, con conseguente limitazione della scelta della forma giuridica del centro di attività secondario loro riconosciuta dall’art. 52, primo comma, seconda frase, del Trattato.

62.   Sulla base di quanto sopra esposto concludo che un regime del genere debba essere dichiarato incompatibile con gli artt. 52 e 58 del Trattato in quanto, come si vedrà, le situazioni delle società non residenti che svolgono la loro attività in Germania mediante una succursale o una filiale possono essere considerate oggettivamente confrontabili.

 b) Sulla sussistenza di situazioni oggettivamente paragonabili

63.   La libertà di scelta della forma giuridica del centro di attività secondario mediante il quale un operatore economico deve poter esercitare la sua attività in un altro Stato membro, riconosciuta dagli artt. 52 e 58 del Trattato, logicamente importa, affinché tale scelta possa avere una reale consistenza, che le diverse forme di stabilimento secondario corrispondano a regimi giuridici distinti. La libera scelta della forma giuridica della sede secondaria ha dunque lo scopo di consentire agli operatori economici di svolgere le loro attività mediante un’agenzia o una succursale, senza personalità giuridica propria, i cui obblighi impegnano la società capogruppo. Tale libertà di scelta permette loro anche di scegliere di esercitare le loro attività nello Stato di stabilimento mediante una filiale, vale a dire una società dotata di personalità giuridica propria, soggetta a formalità di costituzione in genere più gravose, quali il deposito di un capitale sociale, i cui obblighi non impegnano la società capogruppo e che, a differenza di un’agenzia o di una succursale, sarà considerata nello Stato ospitante come una società avente in esso la sua sede.

64.   Nella misura in cui, in materia tributaria, il criterio della residenza funge da criterio di collegamento abitualmente utilizzato nella normative nazionali, i centri di attività stabile di società non residenti si espongono quindi ad essere oggetto di un trattamento diverso da quello riservato dalla normativa fiscale dello Stato di stabilimento alle società residenti, ivi comprese le filiali di società aventi sede in un altro Stato membro.

65.   Al fine di dimostrare che una tale diversità di trattamento non è in contrasto con la libertà di stabilimento, nella misura in cui detta libertà vieta le discriminazioni e la nozione di discriminazione viene definita come applicazione di trattamenti diversi a persone che si trovano in situazioni oggettivamente confrontabili ovvero di un trattamento identico a situazioni diverse (38), gli Stati membri interessati di norma sostengono che detto trattamento differenziato non viola il diritto comunitario, poiché la situazione delle società residenti e quella delle società non residenti non sarebbero oggettivamente paragonabili.

66.   La tesi summenzionata ha trovato risonanza nella giurisprudenza riguardante le persone fisiche, in quanto nella sentenza Schumacker precitata, riguardo ad una normativa nazionale che riservava ai soli residenti taluni vantaggi fiscali in considerazione della loro situazione personale e familiare, è stato statuito che, in materia di imposte dirette, la situazione dei residenti e quella dei non residenti non sono di regola analoghe (39). Lo stesso non può dirsi nel caso in cui il non residente non percepisca nello Stato in cui risiede redditi significativi e tragga la parte essenziale delle sue risorse imponibili da un’attività svolta nello Stato d’occupazione, per cui lo Stato di residenza non è in grado di concedergli le agevolazioni derivanti dalla presa in considerazione della sua situazione personale e familiare(40). Secondo la giurisprudenza, solo in questa ipotesi nello Stato d’occupazione viene meno la diversità di situazione oggettiva tra residenti e non residenti .

67.   Contrariamente al governo tedesco, non credo che la premessa secondo la quale la situazione dei residenti e quella dei non residenti non sarebbero di regola analoghe possa essere trasposta nell’ambito dell’imposizione diretta delle società. Infatti, per quanto concerne le persone fisiche, il criterio della residenza si distingue da quello della loro cittadinanza e può essere all’origine di una discriminazione semplicemente indiretta, mentre, per quanto riguarda le società, la loro sede sociale svolge un ruolo analogo a quello della cittadinanza delle persone fisiche. Se la Corte, nella precitata sentenza Commissione/Francia, che costituisce una pronuncia di principio in materia, ha ammesso che non si possa escludere assolutamente che la distinzione a seconda della sede della società possa, in determinate circostanze, essere lecita nel campo del diritto tributario (41), essa ha subito affermato che ammettere che lo Stato membro di stabilimento possa liberamente riservare un trattamento diverso per il solo fatto che la sede di una società sia trova in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto l’art. 58 del Trattato (42). A mia conoscenza, tale analisi rimane invariata per quanto riguarda le società (43).

68.   Tuttavia, esaminando la giurisprudenza relativa alle normative fiscali nazionali che hanno riservato un trattamento diverso in base alla presenza della sede delle società, si constata che la violazione del diritto comunitario non deriva tanto dal riferimento alla sede o alla residenza, quanto dal fatto che all’interno dello stesso regime fiscale, lo Stato membro interessato, a seconda che si trattasse di determinare l’assoggettamento ad imposta o di concedere le agevolazioni ad essa connesse, abbia applicato in modo diverso tale criterio di collegamento. In altre parole, la violazione del diritto comunitario deriva dal fatto che, nell’ambito dello stesso regime fiscale, ai fini della determinazione della base imponibile, lo Stato membro di cui trattasi tratti la società non residente come una società nazionale precludendole poi il beneficio delle agevolazioni connesse a detta imposta nell’ambito della liquidazione di questa.

69.   Così, nella precitata sentenza Commissione/Francia che, va ricordato, riguardava un credito d’imposta riservato alle società aventi la loro sede sociale in Francia o nel territorio di uno Stato che ha concluso con la Repubblica francese convenzioni miranti ad evitare la doppia imposizione, la Corte, nella sua valutazione dell’argomento fatto valere dal governo francese secondo cui la situazione di queste società e di quelle che hanno sede in un altro Stato membro non sarebbero analoghe, ha constatato che, per quanto riguarda la determinazione della base imponibile ai fini dell’accertamento dell’imposta sulle società, la normativa francese non faceva alcuna distinzione tra società residenti e succursali nonché tra agenzie di società non residenti. Infatti, le due categorie di società risultavano imponibili sugli utili realizzati nelle imprese gestite in Francia, con esclusione degli utili realizzati all’estero, o attribuiti alla Francia in base ad una convenzione relativa alla doppia imposizione (44).

70.   La Corte ne ha dedotto che la normativa in discussione non poteva, nell’ambito della medesima imposta e in ordine alle agevolazioni ad essa relative, trattare in modo diverso tali due categorie di società senza creare discriminazioni. Secondo la Corte, trattando in modo identico le società residenti e i centri di attività stabile di società non residenti ai fini della tassazione dei loro utili, il legislatore nazionale ha ammesso che tra le due non sussisteva, per quanto riguarda le modalità e i presupposti di detta tassazione, alcuna differenza di situazione oggettiva che potesse giustificare una diversità di trattamento (45).

71.   Lo stesso metodo di analisi è stato applicato nelle già citate sentenze Royal Bank of Scotland e Saint-Gobain ZN. In dette sentenze, si è ugualmente posta la questione se la circostanza che, nello Stato membro interessato, le filiali di società non residenti si trovavano soggette ad un obbligo fiscale illimitato, vale a dire che esse vengono ivi tassate sulla base del loro reddito mondiale, mentre le società non residenti che vi svolgono la loro attività tramite un centro di attività stabile sono sottoposte solo ad un obbligo fiscale limitato, vale a dire che esse sono tassate in detto Stato sulla base dei soli utili che detto centro realizza in tale paese, è tale da impedire che le situazioni in cui versano siano da considerarsi come obiettivamente analoghe (46).

72.   La causa che ha dato origine alla sentenza Royal Bank of Scotland precitata riguarda la normativa ellenica la quale prevedeva un’aliquota d’imposta del 40% sugli utili realizzati da una banca avente sede in un altro Stato membro e svolgente la sua attività in Grecia tramite un centro di attività stabile, mentre quelli delle società con sede in Grecia erano tassati nella misura del 35%.

73.   Al pari della sentenza Commissione/Francia sopra citata, la Corte ha rilevato che per quanto riguarda le modalità di determinazione della base imponibile, la normativa fiscale ellenica non operava alcuna distinzione idonea a giustificare una differenza di trattamento tra le due categorie di società. Essa ha constatato che l’imposta viene calcolata sugli utili netti, dopo deduzione della parte corrispondente agli introiti non imponibili, essendo tali utili determinati secondo le stesse norme per le società residenti e per quelle che sono non residenti. Essa ha aggiunto che la circostanza che le società con sede in Grecia vengano ivi assoggettate ad un obbligo fiscale illimitato, mentre le società non residenti che vi gestiscono un centro di attività stabile sono assoggettate ad imposta solo sulla base degli utili realizzati da detto centro, «non è tale da impedire che si possa ritenere che le due categorie di società, a parità di tutte le altre condizioni, versino in situazioni analoghe quanto alle modalità di determinazione della base imponibile» (47).

74.   Allo stesso modo, nella sentenza Saint-Gobain ZN precitata che aveva ad oggetto, come si è visto, le agevolazioni fiscali relative alla tassazione di partecipazioni e di dividendi, la Corte ha ritenuto che le situazioni delle società residenti e di quelle non residenti fossero oggettivamente paragonabili in quanto la riscossione di dividendi in Germania e il possesso di partecipazioni in controllate e subcontrollate straniere erano ivi imponibili, tanto se il possessore è una società residente quanto se è una società non residente, in quanto quest’ultima percepisce dividendi o possiede tali partecipazioni in un centro di attività stabile situato in detto Stato (48).

75.   Occorre dunque esaminare se, quanto alla determinazione della base imponibile degli utili ottenuti in Germania, il regime fiscale controverso tratti in modo identico le società non residenti che svolgono la loro attività mediante un centro di attività stabile e quelle che le svolgono mediante una filiale.

76.   Dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio emerge con chiarezza che l’utile realizzato da una filiale grazie alla sua attività commerciale in Germania viene calcolato in base alle stesse disposizioni sull’utile ivi ottenuto mediante un centro di attività stabile di una società non residente (49). Essa precisa altresì che, se, in certe ipotesi, in considerazione di accordi particolari tra la società capogruppo e la sua filiale, l’utile realizzato da quest’ultima possa essere, a parità di tutte le altre condizioni, maggiore di quello attribuito ad una succursale, tale ipotesi, tuttavia, non corrisponde alla situazione generale (50).

77.   La Commissione indica, inoltre, a proposito delle modalità di determinazione della base imponibile, che, tra i redditi imponibili delle società non residenti soggette, in linea di principio, ad un obbligo fiscale limitato agli utili ottenuti in Germania mediante il loro centro di attività stabile, possono anche figurare, in particolare, i dividendi di società straniere, gli interessi di debitori stranieri o i tributi pagati dagli acquirenti di licenza stranieri. Essa mette ugualmente in rilievo che gli utili di fonte straniera realizzati da società con sede in Germania e ivi soggette ad un obbligo fiscale illimitato, sono al contrario frequentemente esentati in forza di convenzioni di prevenzione della doppia imposizione (51). Tale descrizione delle base imponibili rispettivamente relative ad un centro di attività stabile ed a società con sede in Germania non è stata contestata dal governo tedesco.

78.   Alla luce di questi elementi, sembra lecito considerare che, quanto alle modalità di determinazione della base imponibile, il regime controverso non faccia distinzione tra le società non residenti, a seconda che esse svolgano la loro attività mediante una succursale o una filiale, e che la circostanza che le società non residenti siano soggette soltanto ad un obbligo fiscale limitato, mentre le società con sede in Germania, ivi comprese le filiali di società non residenti, sono tassate sui loro redditi mondiali non impedisca, come nella causa Royal Bank of Scotland e Saint-Gobain ZN precitate, che si possa ritenere che esse si trovino in situazioni obiettivamente paragonabili.

79.   Ci si deve poi porre la questione se, come sostenuto dal governo tedesco e dal Finanzamt, il fatto che nella normativa fiscale tedesca la riduzione dell’aliquota d’imposta sugli utili sia legata alla loro distribuzione e la circostanza che la ricorrente rientri nella competenza fiscale di un altro Stato membro, costituiscano elementi idonei a dimostrare che le società straniere che sono capogruppo di una filiale o di una succursale tedesche non si trovino in situazioni oggettivamente paragonabili.

80.   Ritengo di no per i seguenti motivi. Come ricordato dalla Corte nella sua recente giurisprudenza (52), le situazioni in oggetto vanno confrontate con riguardo allo scopo della normativa fiscale di cui trattasi. Secondo le spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, nonché dal governo tedesco e dal Finanzamt, la riduzione dell’aliquota d’imposta in caso di distribuzione degli utili da parte di una filiale alla sua società capogruppo è legata al procedimento d’imputazione dell’imposta volto ad evitare la doppia imposizione. L’imposta sugli utili pagata dalla filiale viene allora ridotta al 30% e tale tassazione, in linea di principio, deve essere imputata sul debito fiscale dei beneficiari dei dividendi soggetti in Germania ad un obbligo fiscale illimitato, a titolo dell’imposta sulle società ovvero dell’imposta sul reddito.

81.   Tuttavia, come emerge ugualmente dalla descrizione della normativa nazionale data dal giudice del rinvio, siffatto procedimento d’imputazione dell’imposta non trova applicazione nel caso di una società capogruppo non residente che riceva dalla sua filiale tedesca la distribuzione degli utili da questa ottenuti in Germania, in quanto detta società capogruppo non è soggetta in tale Stato ad un obbligo fiscale illimitato. Per quanto riguarda la tassazione dei suoi redditi, tale società capogruppo non residente rientra nella sovranità fiscale di uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania, al pari di una società non residente che svolge la sua attività in questo stesso Stato mediante un centro di attività stabile. In entrambe le ipotesi, la possibilità per le società capogruppo di una filiale o di una succursale tedesche di detrarre l’imposta assolta a favore della Repubblica federale tedesca a titolo degli utili ivi realizzati dipende dalla convenzione di prevenzione della doppia imposizione stipulata tra quest’ultima ed il loro Stato, ovvero dalla loro legge nazionale.

82.   A tal riguardo, si è visto che qualora la società capogruppo e la filiale di cui trattasi rientrino nel campo di applicazione della direttiva 90/435 (53), questa prevede che, al fine di evitare che gli utili ottenuti dalla filiale diano luogo ad una seconda tassazione nello Stato della società capogruppo, quest’ultimo deve esonerarli ovvero, qualora li sottoponga ad imposizione, autorizzi detta società a dedurre dal suo debito fiscale le imposte pagate dalla filiale a titolo degli utili distribuiti. La riduzione dell’aliquota d’imposta sugli utili ottenuti in Germania da una filiale di una società straniera non è dunque legata alla tassazione dei dividendi a carico della predetta società straniera, poiché l’accordo bilaterale ovvero la legge nazionale possono esentare gli utili di tali redditi imponibili.

83.   Del resto è questa la soluzione presa in considerazione dall’accordo stipulato tra il Granducato del Lussemburgo e la Repubblica federale di Germania, in base al quale gli utili realizzati da una società lussemburghese mediante una succursale in Germania sono esclusi dalla base di calcolo dell’imposta lussemburghese sulle società al pari dei dividendi che una società lussemburghese riceve dalla sua filiale tedesca (54). Il fatto che gli utili ottenuti in Germania da questi due tipi di stabilimenti secondari siano trattati allo stesso modo in Lussemburgo conferma che, per gli Stati che fanno parte di detto accordo, le loro società capogruppo versavano senz’altro in situazioni oggettivamente analoghe.

84.   Per opporsi all’analisi di cui sopra, il governo tedesco e il Finanzamt, sostengono ancora che il trasferimento di utili di una succursale alla società capogruppo non residente non potrebbe essere equiparata ad una distribuzione di utili, in quanto si tratterebbe di un’operazione interna, mentre, nel caso di una distribuzione da parte di una filiale, gli utili distribuiti uscirebbero dal suo proprio patrimonio.

85.   Ritengo che detta obiezione potrebbe essere respinta per i seguenti motivi. Da un lato, appare plausibile ammettere che, per fini puramente fiscali, una succursale, sebbene sprovvista di personalità giuridica, possa essere considerata nel senso che detiene l’equivalente di un proprio patrimonio di cui costituirebbe parte integrante, fino al suo eventuale trasferimento alla società capogruppo, l’utile ottenuto nello Stato ospitante. Tale analisi potrebbe trovare un elemento di conferma nelle disposizioni di cui all’art. 7, n. 2 del modello di convenzione dell’OCSE, i cui termini sono simili a quelli di cui all’art. 5 dell’accordo stipulato tra la Repubblica federale di Germania ed il Granducato del Lussemburgo, il quale ai fini del calcolo delle imposte dirette, assimila il rapporto tra una società capogruppo ed un centro di attività stabile al rapporto tra entità giuridicamente distinte. Ricorderò, inoltre, che la Repubblica federale di Germania ha ammesso che, nell’ambito del suo diritto tributario, un centro di attività stabile quale una succursale di una società non residente potesse detenere un proprio patrimonio, giacché secondo le disposizioni nazionali in discussione nella causa Saint-Gobain ZN precitata, le società non residenti erano tassate in Germania sulle partecipazioni da esse possedute in controllate e subcontrollate straniere attraverso il loro centro di attività stabile sito in questo Stato nonché sui dividendi che ricevevano da queste ultime tramite questo centro (55). Sembra quindi lecito ritenere che il trasferimento di utili dalla succursale alla sua società capogruppo possa essere assimilato ad una distribuzione, nel senso in cui questa corrisponde ad uno spostamento di tali utili o del loro equivalente da un patrimonio ad un altro (56).

86.   Dall’altro, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale, in caso di distribuzione degli utili da parte di una filiale, questi escono dal suo patrimonio, neppure esso sembra essere determinante. Infatti, il giudice del rinvio ha indicato che, nella prassi, qualora tale filiale avesse avuto bisogno degli utili dopo averli distribuiti alla capogruppo, quest’ultima poteva metterli a sua disposizione sotto forma di capitale proprio o di prestito societario (57). Nelle sue osservazioni scritte lo stesso Finanzamt ammette che tale procedura, definita «Schütt-aus-hol-zurück» (distribuisci e recupera) è stata regolarmente usata dalle società non residenti a favore delle loro filiali tedesche.

87.   In base all’insieme degli elementi suesposti, il trasferimento di utili di una succursale tedesca alla sua società capogruppo non residente sembra costituire un’operazione sufficientemente affine alla distribuzione di utili di una filiale alla sua società capogruppo straniera perché si possa considerare che le presenti situazioni siano oggettivamente analoghe.

88.   Infine, il governo tedesco ed il Finanzamt obiettano che la riduzione sistematica dell’aliquota d’imposta gravante sugli utili trasferiti dalle succursali alla loro capogruppo non residente non sarebbe giustificata tenuto conto del regime fiscale tedesco, in quanto tale riduzione supporrebbe che le filiali distribuiscano sempre la totalità dei loro utili, il che non è necessariamente il caso, così creando una diversità di trattamento a scapito di queste ultime. Essi osservano, inoltre che, in taluni casi, l’imposta dovuta da una filiale doveva essere maggiorata con un prelievo definitivo sulle spese professionali non deducibili.

89.   Ritengo, tuttavia, che tale obiezione non sia idonea a dimostrare che le situazioni in esame siano oggettivamente differenti. Al contrario, sostenendo che la riduzione sistematica dal 42% al 33,5 o al 30% dell’aliquota d’imposta definitiva sugli utili trasferiti da una succursale tedesca alla sua società capogruppo non residente potrebbe avere l’effetto di svantaggiare le filiali tedesche, il governo tedesco e il Finanzamt ammettono implicitamente che le situazioni in esame possano essere considerate oggettivamente confrontabili.

90.   Inoltre, non sembra che per le autorità nazionali competenti sarebbe impossibile applicare ai trasferimenti di utili da parte di una succursale tedesca alla sua società capogruppo non residente norme equivalenti a quelle applicabili alla distribuzione degli utili di una filiale e prevedere una riduzione dell’aliquota d’imposta che tenga conto della parte degli utili effettivamente trasferiti. L’accertamento e la contabilizzazione di un tale trasferimento non sembrano, a priori, più difficili della determinazione degli utili realizzati in Germania da una società non residente mediante un centro di attività stabile.

91.   È in considerazione di tutti i rilievi fin qui svolti che ritengo che, nel regime controverso, la situazione in cui si trova una società non residente, la quale al pari della ricorrente, svolge le sue attività in Germania mediante una succursale, possa essere considerata come obiettivamente paragonabile a quella in cui versa una società non residente che in detto Stato svolge le sue attività mediante una filiale.

92.   Si rileva, inoltre, che il governo tedesco e il Finanzamt non hanno invocato nessuno dei motivi contemplati dall’art. 56 del Trattato CE (58) per giustificare la restrizione così contenuta nel regime fiscale di cui trattasi. Contrariamente alla prassi abituale degli Stati membri il cui regime fiscale nazionale costituisce oggetto di un procedimento dinanzi alla Corte per l’accertamento della sua compatibilità con il diritto comunitario, dette parti intervenienti non hanno neppure dedotto motivi imperativi di interesse generale per giustificare la restrizione controversa.

93.   Supponendo che avessero fatto valere che la diversità di trattamento è giustificata dalla necessità di assicurare la coerenza della normativa fiscale controversa, a mio parere, tale argomento non avrebbe potuto essere accolto nonostante l’estensione della predetta nozione ammessa nella sentenza Manninen precitata. In tale sentenza, è stato statuito che una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato possa essere giustificata dalla necessità di garantire la coerenza della normativa fiscale controversa solo a condizione che venga accertata la sussistenza di un legame diretto tra il vantaggio fiscale in questione e la compensazione di detto vantaggio con un determinato prelievo fiscale (59) nonché a condizione che la differenza di trattamento riscontrata non vada al di là di quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito dalla normativa controversa (60). In questa definizione, la Corte non ha ripreso la condizione supplementare in passato richiesta dalla giurisprudenza, in base alla quale il vantaggio e la compensazione dovevano essere applicati al medesimo contribuente (61). In ciò seguendo l’avvocato generale Kokott (62), posso dedurne che essa non abbia escluso che la giustificazione tratta dalla coerenza fiscale possa essere ormai applicata quando lo sgravio previsto a favore di un contribuente sia compensato da un onere gravante su un altro contribuente e tale onere riguardi lo stesso reddito.

94.   Tuttavia, come indicato dal giudice del rinvio, nel regime controverso non sussiste alcun nesso diretto tra la riduzione dell’aliquota d’imposta sugli utili al livello dell’imposta sulle società dovuta dalla filiale tedesca e la tassazione dei medesimi utili a carico della società madre straniera in caso di distribuzione. Infatti, nel regime fiscale controverso, la tassazione degli utili ottenuti dalla filiale tedesca risulta ridotta dal 45 al 33,5% o al 30%, mentre la società madre è esentata dall’imposta su tali dividendi in Lussemburgo.

95.   È infine poco probabile che sarei giunto ad una conclusione diversa qualora, come previsto dalla direttiva 90/435 a proposito degli utili ottenuti mediante un filiale, gli utili ottenuti in Germania da una filiale o da un centro di attività stabile di una società lussemburghese fossero stati tassati anziché esentati e le società capogruppo fossero state autorizzate a dedurre dalla loro imposta sulle società in Lussemburgo l’imposta pagata in Germania a titolo di tali utili. Infatti, come viene previsto dalla direttiva (63), l’imputazione della frazione di imposta della filiale afferente a detti utili è ammessa dallo Stato della società capogruppo solo nel limite della corrispondente imposta nazionale. La differenza dell’aliquota di imposta tra il 42% e 33,5% o 30%, in una tale ipotesi, potrebbe ugualmente sfavorire le società capogruppo che hanno scelto di svolgere la loro attività in Germania mediante un centro di attività stabile. Inoltre e in ogni caso, non vedo come il sistema generale di tale normativa avrebbe reso necessario il mantenimento di una tale differenza d’aliquota d’imposta.

96.   Alla luce di queste osservazioni, suggerisco alla Corte di risolvere la prima questione pregiudiziale dichiarando che gli artt. 52 e 58 del Trattato devono essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa fiscale di uno Stato membro in base alla quale gli utili realizzati in detto Stato da un centro di attività stabile di una società avente sede in un altro Stato membro sono soggetti all’imposta sulle società con un’aliquota fissa del 42% senza alcuna possibilità di riduzione, mentre, se tali utili vengono realizzati da una società ivi avente sede, come una filiale, e se vengono interamente distribuiti da tale filiale alla sua società capogruppo con sede in un altro Stato membro, sono tassati con un aliquota del 33,5% in caso di distribuzione fino al 30 giugno 1996, o del 30% in caso di distribuzione dopo il 30 giugno 1996.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

97.   Con la seconda questione pregiudiziale, il Bundesfinanzhof chiede se, per eliminare la violazione degli artt. 52 e 58 del Trattato, l’aliquota d’imposta gravante sui centri di attività stabile debba essere ridotta al 30% per l’esercizio controverso.

98.   Il giudice del rinvio fa notare che gli utili ottenuti dalla succursale della CLT-UFA nel corso dell’esercizio 1994 sono stati trasferiti a quest’ultima sin dalla scadenza di detto esercizio. Esso precisa che l’aliquota d’imposta gravante sugli utili interamente distribuiti da una filiale alla sua capogruppo non residente in pari data sarebbe stata del 33,5% (64).

99.   Interpreto la seconda questione del Bundesfinanzhof alla luce della sua formulazione e delle indicazioni che precedono nel senso che codesto giudice intende accertare se l’eliminazione della violazione del diritto comunitario contenuta nella normativa giuridica controversa imponga, in linea generale, una riduzione dell’aliquota d’imposta gravante sugli utili realizzati da un centro di attività stabile di una società capogruppo non residente ovvero se detta riduzione debba costituire oggetto di una valutazione con riguardo alle circostanze del caso di specie.

100. È opportuno ricordare che, in base alla ripartizione dei compiti di cui all’art. 177 del Trattato CE (65), spetta al giudice nazionale applicare le norme di diritto comunitario nel modo in cui sono state interpretate dalla Corte, poiché una tale applicazione non può essere effettuata senza valutare i fatti della causa nel loro complesso (66).

101. Si è visto che, con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si è interrogato sulla compatibilità con la libertà di stabilimento di un regime fiscale quale la sua normativa nazionale, in virtù del quale gli utili di una società di capitali lussemburghese, come la CLT-UFA, ottenuti in Germania mediante una succursale, sono stati tassati con un’aliquota definitiva del 42%, mentre se detta società vi avesse svolto le sue attività mediante una filiale e questi utili le fossero stati distribuiti integralmente, essi sarebbero stati tassati nella misura del 33,5% o del 30% a seconda che la distribuzione fosse avvenuta entro o dopo il 30 giugno 1996.

102. La questione in esame riguarda dunque la compatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che ha trattato una società non-residente, che ha svolto la sua attività nello Stato ospitante mediante una succursale, in modo meno favorevole che se avesse scelto si svolgere la sua attività mediante una filiale. Nel presente caso, lo svantaggio è quindi stato ravvisato tra due società non residenti in relazione alla forma giuridica del loro centro di attività secondario nello Stato ospitante e non tra il centro di attività stabile di una società non residente ed una filiale nazionale.

103. Qualora la Corte dovesse seguire il mio suggerimento e risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che tale normativa costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento, spetterà al giudice del rinvio adottare i provvedimenti necessari per eliminare il trattamento sfavorevole di cui è stata oggetto la CLT-UFA rispetto ad una società di capitali lussemburghese che avesse svolto la sua attività in Germania mediante una filiale. Siffatto svantaggio deve, pertanto, essere valutato in relazione all’aliquota d’imposta globale che sarebbe stata applicata a utili equivalenti se fossero stati ottenuti da una filiale e distribuiti interamente alla sua società capogruppo non residente. In altre parole, se al momento in cui la CLT-UFA ha ricevuto il trasferimento degli utili ottenuti dalla sua succursale tedesca, gli utili distribuiti da una filiale tedesca alla sua società capogruppo non residente dovevano essere soggetti ad una tassazione supplementare del 5% della somma distribuita, a mio avviso, anche detta tassazione supplementare dovrebbe essere presa in considerazione, sebbene non fosse a carico della filiale bensì della società capogruppo.

104. Suggerirò, pertanto, di risolvere la seconda questione pregiudiziale nel senso che, per porre fine alla violazione del diritto comunitario, spetta al giudice nazionale valutare l’aliquota d’imposta che deve essere applicata agli utili ottenuti da una società non residente mediante un centro di attività stabile, in funzione dell’aliquota d’imposta globale che sarebbe stata applicabile in caso di distribuzione degli utili di una filiale alla sua società capogruppo.

V –    Conclusione

105. Alle luce delle considerazioni che precedono, suggerisco a codesta Corte di risolvere le questioni sottoposte dal Bundesfinanzhof nel seguente modo:

«1)      Gli artt. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE) e 58 del Trattato CE (divenuto art. 48 CE) devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa fiscale di uno Stato membro in virtù della quale gli utili realizzati in tale Stato da un centro di attività stabile di una società con sede in un altro Stato membro sono soggetti all’imposta sulla società in base ad un’aliquota fissa del 42% senza alcuna possibilità di riduzione, mentre se detti utili vengono realizzati da una società ivi avente sede, come una filiale, e se vengono interamente distribuiti da tale filiale alla sua società capogruppo con sede in un altro Stato membro, essi sono tassati con un’aliquota del 33,5% in caso di distribuzione fino al 30 giugno 1996, ovvero del 30% in caso di distribuzione dopo il 30 giugno 1996.

2)      Per porre fine alla violazione del diritto comunitario, spetta al giudice nazionale valutare l’aliquota d’imposta che deve essere applicata agli utili ottenuti da una società non residente mediante un centro di attività stabile, in funzione dell’aliquota d’imposta globale che sarebbe stata applicabile in caso di distribuzione degli utili di una filiale alla sua società capogruppo».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – V., per quanto riguarda, la compensazione transfrontaliera delle perdite, la causa C-446/03, Marks & Spencer, pendente dinanzi alla Corte.


3 – In prosieguo: la «CLT-UFA».


4 – In prosieguo: il «Finanzamt».


5 – Divenuto, a seguito di modifica, art. 42 CE.


6 – Divenuto art. 48 CE.


7 – V. Marchessou, P., «Impôts directs», Répertoire de droit communautaire, Encyclopédie Dalloz, vol. II, Parigi, febbraio 2004.


8 – Divenuto art. 293 CE.


9 – Divenuto art. 94 CE.


10 – Dal 1969 in poi, la Commissione ha proposto un certo numero di direttive ai fini dell’ armonizzazione, in particolare la proposta di direttiva del Consiglio 23 luglio 1975, concernente l’armonizzazione dei sistemi di imposte sulle società e dei regimi di ritenuta alla fonte sui dividendi [COM(75) 392 def.], la quale proponeva di armonizzare l’aliquota d’imposta sulle società nonché la ritenuta alla fonte sui dividendi e di generalizzare la tecnica del credito d’imposta. Visto l’esito negativo di tutti questi tentativi, a partire dal 1990, la Commissione ha concentrato i suoi sforzi sull’abolizione degli ostacoli fiscali frapposti al completamento del mercato interno. Nel 2001, essa ha adottato nuovi provvedimenti affinché si potesse raggiungere un accordo che consentisse alle imprese di essere tassate in ragione di una base imponibile consolidata dell’imposta sulle società comprendenti l’insieme delle loro attività nell’Unione europea [v. Communicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale, del 23 ottobre 2001 COM(2001) 582 def.].


11 – Sentenze 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker (Racc. pag. I-225, punti 21 e 26); 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx (Racc. pag. I-2493, punto 16); 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher (Racc. pag. I-3089, punto 36); 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations et Singer (Racc. pag. I-2471, punto 19); 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland (Racc. pag. I-2651, punto 19), e 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen (Racc. pag. I-0000, punto 19).


12 – Al pari degli artt. 48 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 e 49 CE), rispettivamente relativi alla libera circolazione dei lavoratori e alla libera prestazione dei servizi, l’art. 52 del Trattato è direttamente efficace negli Stati membri dalla scadenza del periodo transitorio durante il quale incombeva a questi ultimi eliminare le restrizioni all’esercizio di tali libertà e che è terminato il 1° gennaio 1970 (sentenze 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners, Racc. pag. 631, punto 32, e 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 34).


13 – Sentenze 28 gennaio 1986, Commissione/Francia, causa 270/83 (Racc. pag. 273, punto 18); 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank (Racc. pag. I-4017, punto 13); 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI (Racc. pag. I-4695, punto 20), e 14 dicembre 2000, AMID, causa C-141/99 (Racc. pag. I-11619, punto 20).


14 – Sentenza Asscher, precitata (punto 29).


15 – Sentenze Commerzbank, precitata (punto 14), e 12 aprile 1994, causa C-1/93, Halliburton Services (Racc. pag. I-1137, punto 15).


16 – Idem.


17 – Sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France (Racc. pag. I-0000, punto  11).


18 – Sentenza ICI, precitata (punto 21), e 18 settembre 2003, causa C-168/01, Bosal (Racc. pag. I-9409, punto 27).


19 – Sentenze Commissione/Francia (punto 22) e Saint-Gobain ZN (punto 43).


20 – Direttiva 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, pag. 6). Detta direttiva è stata adottata sulla base dell’art. 100 del Trattato.


21 – Art. 2, n. 1, della legge relativa all’imposta sulle società (Körperschaftsteuergesetz; in prosieguo: «KStG»).


22 – Art. 5 dell’accordo concluso dalla Repubblica federale di Germania e il Granducato del Lussemburgo relativo alla prevenzione della doppia imposizione e alla cooperazione amministrativa e giudiziaria nel settore delle imposte sui redditi e sul patrimonio nonché delle imposta professionali e dell'imposta fondaria, del 23 agosto 1958 (BGBl. 1959 II, pag. 1270), nella versione del protocollo aggiuntivo del 15 giugno 1973 (BGBl. 1978 II, pag. 111). Tale clausola è simile alle disposizioni di cui all’art. 7, n. 2 del Modello di convenzione fiscale concernenteil reddito ed il patrimonio, versione abbreviata, Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico (OCDE), Parigi, gennaio 2003.


23 – Art. 23 del KStG.


24 – Art. 1 del KStG.


25 – Ordinanza di rinvio, punto II, B, 4. L’aliquota totale d’imposta del 33,5% corrisponde al 30% degli utili prima della ritenuta d’imposta a carico dalla filiale, in aggiunta al 5% sul restante 70% di detti utili, a carico della società madre. Benché l’ordinanza di rinvio non ne faccia menzione, sembra che detta maggiorazione del 5% dell’imposta sugli utili distribuiti dalla filiale costituisca un recepimento dell’art. 5, n. 3 della direttiva 90/435. In forza di tale disposizione, la Repubblica federale di Germania beneficia di una deroga all’obbligo di esenzione di ogni ritenuta alla fonte all’atto della distribuzione degli utili della filiale alla società madre straniera. Pertanto, secondo l’art. 5, n. 3, di tale direttiva, questo Stato membro potrà percepire, fino a quando assoggetterà gli utili distribuiti ad un’aliquota d’imposta sulle società inferiore di almeno 11 punti a quello applicabile agli utili non distribuiti, al più tardi fino alla metà del 1996, una ritenuta alle fonte del 5% sugli utili distribuiti da una filiale tedesca alla sua società madre non residente.


26 – Idem.


27 – Art. 23 del KStG, come modificato dalla legge del 23 ottobre 2000 (BGBI I, pag. 1433).


28 – Il governo tedesco cita le mutue e le altre persone giuridiche di diritto privato, quali le associazioni, gli enti pubblici e le fondazioni, le imprese commerciali appartenenti a persone giuridiche di diritto pubblico e le casse di risparmio sottoposte a sorveglianza da parte dello Stato e che sono dirette sotto forma di una fondazione.


29 – V., segnatamente, sentenze precitate Commissione/Francia, Royal Bank of Scotland e Saint-Gobain ZN.


30 – Punto 22.


31 – Si trattava, in particolare, dell’esonero dall’imposta sulle società per i dividendi ricevuti da società stabilite in Paesi terzi, previsti da una convenzione fiscale conclusa con un Paese terzo al fine di evitare la doppia imposizione, e dell’imputazione sull’imposta tedesca sulle società dell’imposta prelevata in uno Stato membro diverso dalla Repubblica federale di Germania sugli utili di una filiale ivi stabilita, prevista dalla normativa nazionale.


32 – Sentenza Saint-Gobain ZN, precitata (punto 43).


33 – Punto 44.


34 – Ordinanza di rinvio, punto II, B, 6, sub d).


35 – Ibidem, punto II, B, 5, sub b).


36 – Punti 37 e 38.


37 – Ordinanza di rinvio, punto II, B, 4.


38 – Sentenza Schumacker, precitata (punto 30).


39 – Punto 31.


40 – Punto 36.


41 – Punto 19.


42 – Punto 18.


43 – L’affermazione figurante al punto 18 della sentenza Commissione/Francia precitata, è stata ripresa nella sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e.a. (Racc. pag. I-1727, punto 42).


44 – Sentenza Commissione/Francia, precitata (punto 19).


45 – Ibidem, punto 20.


46 – Come indicato nella sentenza Futura Participations e Singer, precitata (punto 22), il regime con il quale uno Stato membro fissa la base imponibile dei suoi residenti all’insieme dei loro redditi e limita la base imponibile dei non residenti ai redditi percepiti nell’ambito di attività svolte sul suo proprio territorio è conforme al principio fiscale di territorialità e non può essere considerato nel senso che comporta una discriminazione palese o dissimulata vietata dal Trattato.


47 – Sentenza Royal Bank of Scotland, precitata (punto 29).


48 – Punto 48.


49 _ Ordinanza di rinvio, punto II, B, 5, sub a).


50 – Idem.


51 – Osservazioni scritte della Commissione, punto 23.


52 – Sentenza 15 luglio 2004, causa C-315/02, Lenz (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 30), e Manninen, precitata (punto 33).


53 – All’epoca dei fatti, l’applicazione della presente direttiva era subordinata a talune condizioni, in particolare, che la società madre detenesse nel capitale della filiale una partecipazione minima del 25% (art. 3, n. 1). Tali condizioni sono state mitigate dalla direttiva del Consiglio 22 dicembre 2003, 2003/123/CE, che modifica la direttiva 90/435 (GU 2004, L 7, pag. 41).


54 – Ordinanza di rinvio, punto II, B, 6, sub d).


55 – In base al diritto interno applicabile, il «capitale di esercizio nazionale» faceva parte del patrimonio nazionale di un contribuente soggetto ad un obbligo fiscale limitato, il che comprendeva in particolare il capitale che serviva al centro di attività da esso gestito nel territorio nazionale (punto 7).


56 – Tale analisi mi sembra parimenti andare nel senso di cui alle direttive recentemente adottate concernenti il regime fiscale delle società e nelle quali i centri di attività stabile possono vedersi equiparati alle filiali. Così, nella direttiva 2003/123, il legislatore comunitario ha voluto che le distribuzioni di utili a, e il ricevimento degli stessi da, una stabile organizzazione della società madre diano luogo al medesimo trattamento applicabile tra una figlia e la sua società madre (ottavo considerando). Possiamo altresì citare la direttiva del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/49/CE, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU L 157, pag. 49), mirante a che i pagamenti di interessi e di canoni versati a società consociate siano assoggettati ad imposizione fiscale una sola volta nello Stato membro in cui la società beneficiaria è situata. Le disposizioni della presente direttiva possono altresì trovare applicazione nel caso in cui il beneficiario sia un centro di attività stabile.


57 – Ordinanza di rinvio, punto II, B, 5, sub b).


58  – Divenuto, in seguito a modifica, art. 46 CE.


59 – Punto 42.


60 – Punto 29.


61 – Sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars (Racc. pag. I-2787, punto 40); 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen (Racc. pag. I-4071, punto 57), e 18 settembre 2003, causa C-168/01, Bosal soprammenzionata (punti 29-32).


62 – V. paragrafo 61 delle sue conclusioni nella causa Manninen, precitata.


63 – Art. 4, n. 1.


64 – Ordinanza di rinvio, punto II, B, 7.


65 – Divenuto art. 234 CE.


66 – Sentenza 8 febbraio 1990, causa C-320/88, Shipping and Forwarding Enterprise Safe (Racc. pag. I-285, punto 11).