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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
RUIZ-JARABO COLOMER
presentate il 23 novembre 2004(1)


Causa C-412/03



Hotel Scandic Gåsabäck AB
e
Riksskatteverket



(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Regeringsrätt)

«Sesta direttiva IVA – Fatto imponibile – Operazioni assimilate a cessioni di beni o prestazioni di servizi a titolo oneroso – Distribuzione di pasti al proprio personale ad un prezzo inferiore al costo, da parte di un'impresa operante nel settore alberghiero e della ristorazione – Interpretazione degli artt. 2, 5, n. 6, e 6, n. 2, lett.  b), della direttiva»






I – Introduzione

1.        Il Regeringsrätt (Suprema Corte amministrativa svedese) è chiamato a pronunciarsi su un ricorso relativo al trattamento cui dev’essere assoggettato, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: «IVA»), il servizio prestato da un’impresa di ristorazione al proprio personale a fronte di un prezzo inferiore al valore dell’operazione.

2.        Ai fini della soluzione della controversia occorre accertare se la sesta direttiva  (2) , più in particolare gli artt. 2, 5, n. 6, e 6, n. 2, lett. b), della medesima, ostino ad una normativa nazionale che consideri autoconsumo, oltre alle operazioni a titolo gratuito, le operazioni in cui un soggetto passivo ceda beni o effettui prestazioni di servizi ad un prezzo inferiore al prezzo di acquisto dei beni o al costo del servizio.

II – Ambito normativo

A – Diritto comunitario: la sesta direttiva

3.        L’art. 2, n. 1, definisce l’ambito di applicazione della direttiva, disponendo che «sono soggette all’imposta sul valore aggiunto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale». Le due categorie di negozi giuridici sono definite più avanti, rispettivamente agli artt. 5, n. 1, e 6, n. 1.

4.        La base imponibile viene calcolata in base a tutto ciò che costituisce corrispettivo versato al fornitore o al prestatore da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo [art. 11, parte A, n. 1, lett. a)].

5.        Sono assimilati a una cessione a titolo oneroso il prelievo di un bene dalla propria impresa da parte di un soggetto passivo il quale lo destini al proprio uso privato o all’uso del suo personale, lo trasferisca a titolo gratuito o, in generale, lo destini a fini estranei alla sua impresa, quando detto bene o gli elementi che lo compongono abbiano consentito una deduzione totale o parziale dell’imposta sul valore aggiunto (art. 5, n. 6).

6.        In questi casi, la base imponibile è costituita dal prezzo di acquisto determinato nel momento in cui si effettua l’operazione o, in mancanza di tale dato, dal costo [art. 11, parte A, n. 1, lett. b)]

7.        Ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. b), sono equiparate alle prestazioni a titolo oneroso le prestazioni a titolo gratuito effettuate dal soggetto passivo per fini estranei alla propria impresa o, in particolare, per il proprio uso privato o ad uso del proprio personale, situazioni nelle quali si assoggettano ad imposta tutte le spese sostenute per la prestazione del servizio [art. 11, parte A, n. 1, lett. c)]

B – Diritto svedese: la Lagen om medvärdesskatt

8.        La Lag om mervärdesskatt 1994:200 (legge n. 200 del 1994), che disciplina in Svezia l’imposta sul valore aggiunto, considera prelievo di beni il trasferimento di beni a titolo gratuito, ovvero per un corrispettivo inferiore al prezzo di acquisto o, in mancanza di tale dato, al prezzo di costo al momento della cessione [capitolo 2, art. 2, nel combinato disposto con il capitolo 7, art. 3, n. 2, lett. a)].

9.        Si è in presenza del prelievo di un servizio quando il soggetto passivo effettui o faccia effettuare, direttamente o indirettamente, una prestazione a favore di se stesso o di un proprio dipendente, per fini privati o non attinenti all’impresa, senza corrispettivo ovvero a fronte di un corrispettivo inferiore al valore della prestazione al momento in cui viene effettuata [capitolo 2, paragrafo 5, primo comma, prima frase, in combinato disposto con il capitolo 7, paragrafo 3, n. 2, lett. b)].

10.      In entrambi i casi occorre che la riduzione non sia giustificata da ragioni di mercato; ai sensi del capitolo 7, paragrafo 2, primo comma, il valore dell’operazione, determinato in uno dei due modi sopra indicati, costituisce la base imponibile.

III – Fatti, causa principale e questioni pregiudiziali

11.      La società Hotel Scandic Gåsabäck AB (in prosieguo: «la Scandic») gestisce un albergo ed un ristorante e offre pasti al proprio personale (circa 23-25 persone) durante l’orario di lavoro ad un prezzo inferiore al costo  (3) . Il cibo viene distribuito al personale, che lo porta in una sala mensa. Terminato il pasto, raccoglie le stoviglie e gli altri utensili e li colloca in appositi contenitori.

12.      Al fine di ottenere informazioni in merito al regime fiscale delle prestazioni sopra descritte, Scandic sottoponeva due questioni allo Skatterättsnämnden (organismo incaricato di evadere le richieste di consulenza dei singoli in materia fiscale). La prima, per sapere se dette prestazioni dovessero essere considerate come cessioni di alimenti, assoggettabili ad un’aliquota pari al 12%, ovvero come prestazione di servizi, assoggettabile ad un’aliquota del 25%. Con la seconda questione si chiedeva se la base imponibile dovesse essere calcolata tenendo conto dell’importo versato dal personale ovvero in conformità delle regole stabilite dalla normativa svedese in materia di autoconsumo.

13.      Il predetto organismo consultivo, con avviso di accertamento preliminare del 10 giugno 2002, rispondeva che si trattava di un servizio di ristorazione, la cui base imponibile doveva essere calcolata ai sensi del capitolo 2, paragrafo 5, primo comma, prima frase, in combinato disposto con il capitolo 7, paragrafo 3, n. 2, lett. b), della Lagen om mervärdesskatt.

14.      Dissentendo da tale parere, la Scandic ricorreva dinanzi al Regeringsrätt, ritenendo che la distribuzione dei pasti dovesse essere considerata una cessione di beni, la cui base imponibile doveva essere calcolata in base al corrispettivo versato dal personale.

15.      Il giudice del rinvio nutre dubbi sulla questione se la nozione di autoconsumo di cui agli artt. 5, n. 6, e 6, n. 2, lett. b), della sesta direttiva, comprenda solo le operazioni a titolo gratuito ovvero includa anche, al pari della legge svedese, le prestazioni per le quali il destinatario versi un corrispettivo simbolico o strettamente connesso al prezzo di costo. Al fine di dirimere tali dubbi, il giudice a quo ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)Nell’ipotesi in cui il Regeringsrätten, dinanzi al quale la controversia è attualmente pendente, dovesse ritenere che le operazioni compiute dalla società costituiscano cessioni di beni, se gli artt. 2 e 5, n. 6, della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che le disposizioni ivi contenute ostino a che la normativa di uno Stato membro imponga che per prelievo debba intendersi il fatto che un soggetto passivo ceda un bene ad un altro soggetto, a fronte di un corrispettivo di valore inferiore al prezzo di acquisto del bene ovvero di beni analoghi o, in difetto, al prezzo di costo.

2)Nell’ipotesi in cui il Regeringsrätten, dinanzi al quale la controversia è attualmente pendente, dovesse ritenere che le operazioni compiute dalla società costituiscano servizi di ristorazione, se gli artt. 2 e 6, n. 2, lett. b), della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che le disposizioni ivi contenute ostano a che la normativa di uno Stato membro imponga che per prestazioni di servizi a titolo privato debba intendersi il fatto che un soggetto passivo effettui, faccia effettuare o in qualsiasi altra maniera offra un servizio rispondente alle esigenze private del soggetto medesimo o del proprio personale, ovvero a finalità estranee all’attività esercitata dal soggetto stesso, qualora tale servizio venga offerto a fronte di un corrispettivo inferiore al costo della prestazione medesima».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

16.      La Commissione europea al pari dei governi svedese, danese ed ellenico hanno presentato osservazioni nei termini prescritti dall’art. 20 dello Statuto CE della Corte di giustizia.

17.      Il 21 ottobre 2004 si è svolta un’udienza in cui sono comparsi, al fine di esporre oralmente le rispettive tesi, oltre alla rappresentante della predetta Istituzione, i governi svedese, ellenico e finlandese.

V – Analisi delle questioni pregiudiziali

A – Una considerazione preliminare: la natura giuridica dell’operazione

18.      Sembra che il Regeringsrätt non chieda alla Corte di pronunciarsi in merito alla natura del negozio in discussione nella causa principale, dato che ha sottoposto la stessa questione per due ipotesi diverse, a seconda che la fornitura di pasti al personale della Scandic debba considerarsi quale cessione di beni o quale prestazione di servizi. Nella ripartizione delle competenze che il procedimento pregiudiziale comporta, la qualifica dei fatti sotto il profilo giuridico spetta al giudice nazionale, il quale, nel caso in cui occorra applicare disposizioni di diritto comunitario, deve seguire i criteri ermeneutici indicati dalla Corte di giustizia.

19.      Come rileva la Commissione nelle proprie osservazioni scritte, nell’ambito della sesta direttiva le nozioni di «cessione di beni» e di «prestazione di servizi» richiedono un’interpretazione uniforme e, di conseguenza, una pronuncia pregiudiziale del giudice comunitario. Pertanto, benché l’organo giurisdizionale svedese non ne abbia fatto richiesta, occorre rammentare gli orientamenti della giurisprudenza in materia.

20.      In tale prospettiva, nella sentenza Faaborg-Gelting Linien  (4) la Corte ha dichiarato che, per accertare se un’operazione configuri cessione di beni o prestazione di servizi, si devono ponderare tutte le circostanze in cui essa si svolge, per rinvenirne gli elementi caratteristici (punto 12)  (5) . Alla luce di tale regola, la Corte ha ritenuto costituisse prestazione di servizi l’operazione di ristorazione a bordo di traghetti che svolgono un servizio regolare di linea tra il porto di Faaborg (Danimarca) e quello di Gelting (Germania) (punto 15), in quanto erano predominanti gli elementi caratteristici di questo tipo di contratto, mentre la vendita di cibi rappresentava una parte minima dell’operazione complessiva (punti 13 e 14)  (6) .

21.      Non si può quindi suddividere il fatto imponibile nelle sue varie parti e sottoporle ad IVA separatamente. La Corte, conformemente al principio della «unità della prestazione»  (7) , fa riferimento all’operazione nel suo complesso e la qualifica in un senso o nell’altro in funzione dell’elemento prevalente. In base a tale criterio, il Regeringsrätt dovrà esaminare l’attività complessiva svolta dalla Scandic a favore del proprio personale, tenendo conto dell’elemento prevalente al fine di qualificare l’operazione quale cessione di beni o quale prestazione di servizi.

B – L’autoconsumo e l’IVA

22.      La questione in esame si estrinseca essenzialmente nel chiedersi se la sesta direttiva consenta ad una normativa nazionale di qualificare come autoconsumo la fattispecie oggetto della causa principale, in cui il personale della Scandic corrisponde all’impresa un determinato importo per i pasti, anche se inferiore al prezzo di costo.

23.      La lettera e lo spirito della sesta direttiva, e, di conseguenza, la volontà del legislatore comunitario, sono orientati in senso contrario a tale soluzione.

1. Perché l’autoconsumo è assoggettato ad imposta

24.      L’assimilazione dell’autoconsumo alla cessione di beni e alla prestazione di servizi a titolo oneroso risponde al principio di neutralità, elemento fondamentale del sistema comune dell’IVA  (8) , in base al quale la riscossione dell’imposta non deve influire sui processi di produzione  (9) e occorre trattare allo stesso modo tutte le operazioni commerciali, senza alterarne il prezzo  (10) . Il meccanismo è semplice: l’IVA viene riscossa sui consumi, quali manifestazione indiretta della capacità economica delle persone, mediante la tassazione delle operazioni svolte dagli imprenditori o dai professionisti, i quali, per effetto del meccanismo della ripercussione, trasferiscono l’onere al consumatore finale; in tal modo si ottiene un’imposta «neutrale» per i soggetti passivi, in quanto essa grava solo sull’ultimo anello della catena, quello che riceve il prodotto o beneficia della prestazione  (11) .

25.      Uno dei corollari di questo principio è il divieto di trattamento diverso per situazioni identiche. Per quanto rileva nella fattispecie, i destinatari finali e tutti coloro che, senza essere tali, si trovano in una situazione sostanzialmente analoga devono essere assoggettati allo stesso regime fiscale nell’ambito del sistema dell’IVA, per cui gli imprenditori o i professionisti, allorché agiscono come acquirenti o utenti finali, devono essere considerati come tali e i loro atti giuridici devono essere equiparati, al fine di «impedire che il consumo privato di un soggetto passivo sfugga» all’imposta  (12) .

26.      In questo senso, nella sentenza De Jong, citata supra alla nota 12, la Corte ha dichiarato che l’art. 5, n. 6, della sesta direttiva assicura la parità di trattamento in materia fiscale tra un soggetto passivo che prelevi un bene dalla propria impresa per uso personale ed un consumatore ordinario che lo acquisti (punto 15)  (13) . Le sentenze Enkler  (14) e Fillibeck  (15) hanno attribuito una funzione analoga all’art. 6, n. 2, lett. a), che assimila l’uso di un bene per uso personale alle prestazioni di servizi a titolo oneroso.

27.      In sintesi, si vuole evitare che il soggetto passivo, una volta detratta l’IVA sull’acquisto di un bene destinato alla propria attività d’impresa, sfugga al pagamento dell’imposta nel momento in cui «autoconsumi» il bene stesso [artt. 5, n. 6, e 6, n. 2, lett. a)] e quindi tragga indebiti vantaggi rispetto ad un consumatore ordinario che abbia ricevuto o utilizzato il bene versando la relativa imposta  (16) .

28.      Il principio di neutralità e il suo corollario della parità di trattamento conducono alla stessa soluzione nel caso delle prestazioni a titolo gratuito effettuate dall’imprenditore per il proprio uso privato o ad uso del proprio personale, previste all’art. 6, n. 2, lett. b). Se si vuole che, in situazioni equiparabili, gli operatori economici sopportino lo stesso onere impositivo, l’imprenditore che si avvale per scopi privati dei servizi forniti dalla sua impresa va collocato, con riguardo all’IVA, nella stessa posizione dei singoli destinatari che devono pagare detti servizi: entrambi costituiscono l’ultimo anello della catena.

29.      Riassumendo, un soggetto passivo può prelevare (art. 5, n. 6) o destinare [art. 6, n. 2, lett. a)] un bene della propria impresa a fini estranei all’attività imprenditoriale. Qualora abbia detratto l’IVA al momento dell’acquisto del bene, se in seguito agisce come consumatore finale e non versa l’imposta, risulta indebitamente avvantaggiato rispetto agli acquirenti e consumatori ordinari, che sono obbligati a pagarla  (17) . Consentire che un imprenditore presti gratuitamente per gli scopi sopra indicati un servizio inerente alla propria attività [art. 6, n. 2, lett. b)] senza versare alcuna imposta significherebbe consentire un consumo esente, privilegiato e contrario al principio di neutralità.

30.      Per rendere più comprensibile l’interpretazione proposta si possono esporre alcuni esempi  (18) .

31.      Un imprenditore che svolge attività di compravendita di autoveicoli destina uno di essi ad uso privato o lo regala ad un amico. Questo trasferimento è soggetto ad IVA (EUR 1 000) in quanto, in caso contrario, si eluderebbe la tassazione del consumo finale, per la quale è stata istituita l’imposta. Tuttavia, se detto imprenditore, al momento dell’acquisto del veicolo, non avesse dedotto l’IVA versata, si tasserebbe l’autoconsumo e il veicolo risulterebbe assoggettato a doppia imposizione (EUR 2 000), in violazione del principio di neutralità; se, invece, l’imprenditore avesse detratto l’IVA, il detto principio ne imporrebbe il pagamento, onde evitare che un fatto imponibile sfugga all’imposta. Pertanto gli artt. 5, n. 6, e 6, n. 2, lett. a), della sesta direttiva subordinano la tassazione dell’autoconsumo alla previa deduzione dell’imposta versata.

32.      Per altro verso, un architetto elabora un progetto tecnico per costruirsi una villetta unifamiliare. In questo caso, la «catena produttiva» inizia e finisce con la prestazione del servizio, senza fasi precedenti che possano avere dato luogo all’esazione dell’IVA, per cui non occorre subordinare la tassazione di questa operazione alla deduzione di importi che non sono stati versati in precedenza. Tuttavia, lo scopo della disposizione [art. 6, n. 2, lett. b)] è sempre lo stesso: «impedire che un soggetto passivo possa ottenere in esenzione dall’imposta da parte della sua impresa, prestazioni di servizi per le quali un privato è invece soggetto all’imposta sul valore aggiunto»  (19) .

2. La base imponibile nell’autoconsumo

33.      Conformemente alla regola generale, la base imponibile si calcola in funzione del corrispettivo versato al fornitore o al prestatore [art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva]. Per contro, nel caso dell’autoconsumo si fa riferimento al prezzo di acquisto dei beni, di beni similari o al costo, ovvero alle spese sostenute dal soggetto passivo per la prestazione del servizio [art. 11, parte A, n. 1, lett. b) e c)].

34.      Non esistono quindi vie di mezzo. Nel caso dell’autoconsumo si adotta un riferimento diverso in quanto il destinatario non effettua alcun pagamento, restando escluso, come si evince dal tenore letterale delle menzionate disposizioni, qualsiasi negozio che non sia a titolo gratuito.

35.      Questa tesi è conforme alla giurisprudenza della Corte relativa alla nozione di controprestazione, secondo cui, in sostanza, deve esistere un rapporto giuridico tra l’alienante (o colui che presta il servizio) e l’acquirente (o il destinatario), nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, in cui il compenso ricevuto dal primo costituisca il controvalore effettivo del vantaggio ottenuto dal secondo  (20) , il che rappresenta un parametro soggettivo, basato, più che sul valore stabilito in base ad una valutazione oggettiva, sul valore realmente percepito in ciascun caso  (21) . Pertanto, la circostanza che un’operazione economica venga svolta ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante ai fini della qualifica di detta operazione come negozio a titolo oneroso.

36.      Inoltre, come rileva la Commissione, né la sesta direttiva né la giurisprudenza impongono di calcolare la base imponibile in funzione della stima di mercato dell’operazione soggetta ad imposta, indipendentemente dal prezzo pagato. Lo conferma lo stesso art. 11, secondo cui il predetto criterio per la determinazione dell’imposta dovuta non comprende gli sconti sul prezzo, i ribassi e le riduzioni di prezzo (parte A, n. 3) e la base imponibile viene ridotta in caso di annullamento, recesso, risoluzione, mancato pagamento totale o parziale o di riduzione del prezzo successivamente all’effettuazione dell’operazione (parte C, n. 1). La base imponibile viene sempre calcolata in funzione del corrispettivo ricevuto  (22) , criterio che si fonda, a sua volta, sul principio di neutralità e sulla configurazione dell’IVA come imposta indiretta gravante sulla capacità economica manifestata con il consumo e impone che l’importo di detta imposta venga calcolato in base al valore effettivamente «aggiunto» nella fase finale del processo economico  (23) .

37.      Nel sistema istituito dagli artt. 5, n. 6, e 6, n. 2, lett. b), della sesta direttiva rientrano solo le operazioni a titolo gratuito; le altre, ancorché effettuate per un corrispettivo inferiore al loro costo, devono essere considerate operazioni a titolo oneroso, rientranti nel campo di applicazione dell’art. 2, n. 1. Di conseguenza, dette disposizioni ostano a che una normativa nazionale qualifichi come prelievo di beni le «vendite in perdita».

38.      Il governo svedese contesta questo argomento e afferma che non esiste alcuna differenza tra un’operazione effettuata per «nummo uno» e un’operazione a titolo gratuito. Tale ragionamento appare retorico e non pertinente al caso in esame, in quanto l’ordinanza di rinvio spiega che il personale della Scandic paga per i pasti un importo superiore alle spese sostenute dall’impresa, sebbene non sia escluso che in futuro l’importo «risulti inferiore», ma non utilizza mai la nozione di «corrispettivo simbolico».

39.      Il timore di frodi che emerge dalla posizione del governo svedese, così come da quella dei governi ellenico e finlandese, non costituisce una giustificazione; si dimentica che il legislatore comunitario ha tenuto presente questa eventualità, disponendo, all’art. 27 della sesta direttiva, che gli Stati membri, in determinate circostanze, possono introdurre misure di deroga, e si trascura il fatto che il legittimo interesse ad evitare le frodi alla legge non deve assurgere a motivo assoluto, tale da trasformare l’eccezione (determinazione della base imponibile in base al prezzo di mercato per le operazioni a titolo gratuito) in regola generale e ampliare la portata di una norma tributaria, in quanto l’analogia, come spiegato più avanti, mal si concilia con i principi basilari di questo settore dell’ordinamento giuridico.

40.      In ogni caso, la tesi del governo svedese, ancorché è intesa a salvaguardare la neutralità dell’imposta, non può essere accolta. Secondo il detto governo, se un’impresa sovvenziona la distribuzione di pasti al proprio personale tramite un’altra impresa di ristorazione, versa a quest’ultima il prezzo corrispondente al servizio, integrandolo con l’importo pagato dal personale. Detto importo sarebbe direttamente collegato al prezzo e, conformemente all’art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, farebbe parte della base imponibile. A suo parere, il datore di lavoro che parimenti contribuisce direttamente al sostentamento dei dipendenti con servizi propri dovrebbe ricevere lo stesso trattamento, ma ciò risulta impossibile se si assoggetta ad imposta solo l’importo versato dal personale.

41.      Il governo svedese attribuisce alla nozione di «sovvenzione» un’ampiezza che non le è propria, dato che la sesta direttiva la utilizza nel senso tecnico-giuridico di misura di incentivazione, con cui i pubblici poteri possono dare impulso ad un determinato settore conferendo ai singoli particolari vantaggi di carattere economico. Per tale motivo, la Corte esige che la sovvenzione sia concessa da un’autorità, condizione che implica fattispecie in cui sono interessate tre parti: l’autorità concedente, l’imprenditore beneficiario e il consumatore finale  (24) . Riassumendo, l’art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva «include unicamente le sovvenzioni che costituiscono il corrispettivo totale o parziale di un’operazione di cessione di beni o di prestazione di servizi e che sono versate da un terzo al venditore o al prestatore»  (25) .

42.      In realtà, il governo svedese trascura la dimensione sostanziale del principio di legalità nel diritto tributario che, analogamente a quanto avviene in diritto penale con riguardo alla libertà, impone che soltanto il potere legislativo, depositario della sovranità, possa limitare il patrimonio dei cittadini  (26) . Costituisce indispensabile complemento di questo principio il divieto di interpretazione analogica delle norme tributarie a sfavore del soggetto passivo, in base al quale coloro che applicano dette disposizioni in generale, e i giudici in particolare, non devono travalicare la volontà esplicitata nella legge, applicando imposte su fatti da essa non espressamente contemplati. Proponendo l’ampliamento della nozione di sovvenzione di cui all’art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, il governo svedese si basa su questa tecnica ermeneutica, ma tale estensione della portata oggettiva delle norme fiscali è espressamente vietata dagli ordinamenti giuridici di alcuni Stati membri  (27) .

VI – Conclusione

43.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di risolvere nei seguenti termini le questioni pregiudiziali sottopostele dal Regeringsrätt:

«Gli artt. 2, 5, n. 6, e 6, n. 2, lett. b), della sesta direttiva in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che consideri quale autoconsumo le operazioni, effettuate a titolo non gratuito, per le quali venga pagato un prezzo, ancorché inferiore al prezzo di vendita dei beni di cui trattasi o di beni simili o al costo del servizio prestato».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, sesta direttiva in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).


3 – In realtà, a quanto risulta dall’ordinanza di rinvio, il personale paga un prezzo lievemente superiore al costo, ma non è escluso che in futuro versi un importo inferiore. Di fatto, la consultazione tributaria da cui è scaturita la causa principale si basa su questa seconda ipotesi.


4 – Sentenza 2 maggio 1996, causa C-231/94 (Racc. pag. I-2395).


5 – Lo stesso criterio, quello di tenere conto delle circostanze che caratterizzano l’operazione, è stato accolto nella sentenza 17 novembre 1993, causa C-68/92, Commissione/Francia (Racc. pag. I-5881), per definire determinati negozi quali «prestazioni pubblicitarie» (punti 16-19).


6 – La Corte ha rilevato che la fornitura di bevande e di pasti preparati pronti al consumo immediato costituiva il risultato di una serie di servizi che andava dalla cottura dei cibi alla loro distribuzione materiale su un supporto, che si accompagnava alla predisposizione a favore del cliente dell’infrastruttura necessaria (sala di ristoro, guardaroba, arredi e stoviglie). Ha invece negato tale natura alle operazioni relative ad alimenti «da asportare», non accompagnate da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato (punti 13 e 14 della sentenza Faaborg-Gelting Linien).


7 – Questa espressione («Grundsatz der Einheitlichkeit der Leistung») è una parafrasi di P. Haunold: «Der Steuergegenstand», en EuGH-Rechtsprechung und Umsatzsteuerpraxis, Vienna 2001, pag. 111.


8 – Le sentenze 27 giugno 1989, causa 50/88, Kühne (Racc. pag. 1925, punto 12), e 25 maggio 1993, causa C-193/91, Mohsche (Racc. pag. I-2615, punto 9) qualificano il suddetto principio come «inerente» all’IVA.


9 – C. Lohse: «Der Neutralitätsgrundsatz im Mehrwertsteuerrecht», in EuGH-Rechtsprechung und Umsatzsteuerpraxis, Vienna 2001, pag. 49.


10 – Tale conseguenza, cui fanno riferimento L. Mochón Lopez e A. Jabalera Rodríguez nell’introduzione dell’opera collettiva El impuesto sobre el valor añadido. Comentarios a sus normas reguladoras, Comares, Granada 2001, pag. 14, costituisce la ragion d’essere del principio di neutralità.


11 – Ho utilizzato termini analoghi nelle conclusioni presentate il 13 gennaio e il 25 marzo 2004 nelle cause C-68/03, Lipijes, decisa con sentenza 27 maggio 2004 (Racc. pag. I-5879), e C-382/02, Cimber Air, decisa con sentenza 16 settembre 2004 (Racc. pag. I-8379), rispettivamente ai paragrafi 33 e 38.


12 – Conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs il 27 febbraio 1992 nella causa C-20/91, De Jong, definita con sentenza 27 febbraio 1992 (Racc. pag. I-2847, paragrafo 10).


13 – Le sentenze 27 aprile 1999, causa C-47/97, Kuwait Petroleum (Racc. pag. I-2323), e 8 marzo 2001, causa C-415/98, Bakcsi (Racc. pag. I-1831), ribadiscono questa impostazione (rispettivamente punti 21 e 42).


14 – Sentenza 26settembre 1996, causa C-230/94, Enkler (Racc. pag. I-4517, punto 33).


15 – Sentenza 16 ottobre 1997, causa C-258/95, Fillibeck (Racc. pag. I-5577, punto 25).


16 – V. sentenze De Jong (punto 15), Enkler (punto 33) e Bakcsi (punto 42), citate.


17 – Questo principio è latente, a sensu contrario, nella sentenza Kühne, citata supra, in cui la Corte ha dichiarato che l’art. 6, n. 2, lett. a), della sesta direttiva va interpretato nel senso che esclude la tassazione dell’ammortamento di un bene aziendale per il suo uso privato, qualora il bene non abbia consentito la detrazione dell’IVA in relazione all’acquisto del bene presso una persona priva della qualità di soggetto passivo (punto 11). La Corte si è pronunciata in termini analoghi nella sentenza Bakcsi, citata supra (punto 44).


18 – Mi ispiro, ancorché modificandole, alle ipotesi formulate da A.M. López Molino: «Entregas de bienes y prestaciones de servicios sujetos al IVA», in El impuesto sobre el valor añadido. Comentarios a sus normas reguladoras, Comares, Granada 2001, pagg. 49 e segg.


19 – Sono termini utilizzati dall’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni relative alla causa Mohsche (paragrafo 22).


20 – Come confermano le sentenze 3 marzo 1994, causa C-16/93, Tolsma (Racc. pag. I-743, punto 14), e 14 luglio 1998, causa C-172/96, First National Bank of Chicago (Racc. pag. I-4387, punto 26).


21 – Sentenze Fillibeck, citata, punto 13, 24 ottobre 1996, causa C-317/94, Elida Gibbs (Racc. pag. I-5339, punto 27), e 29 marzo 2001, causa C-404/99, Commissione/Francia (Racc. pag. I-2667, punto 38).


22 – Affermazione costante nella giurisprudenza comunitaria. A tale proposito v. sentenza 29 maggio 2001, causa C-86/99, Freemans (Racc. pag. I-4167, punto 27) e giurisprudenza ivi citata.


23 – Altro esempio (questa volta utilizzo un caso esposto da L. Mochón López e A. Jabalera Rodríguez nella op. cit., pag. 13): un imprenditore B vende a prezzo di mercato (EUR 150) un determinato bene acquistato presso un altro imprenditore A a EUR 100. L’IVA versata all’atto dell’acquisto è stata di EUR 16 (aliquota d’imposta 16%), mentre quella addebitata in fase di vendita è pari a EUR 24, importo che viene traslato sul consumatore. La somma che l’imprenditore deve incassare è pari alla differenza tra l’importo ricavato e quello versato (24 - 16 = EUR 8), mentre sul consumatore grava l’intera quota (EUR 24). Si può osservare che, rispetto a B, l’imposta funziona in modo neutrale. Infatti in una prima fase essa ha determinato una spesa (EUR 16), ma in seguito si è trasformata in un ricavo (EUR 24) e infine ha perso tale connotazione con il versamento al Tesoro della differenza (EUR 8). In tal modo, l’imposta non influisce sul prezzo dei beni o dei servizi tassati, in quanto non comporta costi né benefici per l’attività imprenditoriale o professionale. Tuttavia, se, per un qualsivoglia motivo, l’imprenditore B vendesse a EUR 90 il bene acquistato a 100, per il quale ha versato un’imposta pari a EUR 16, l’IVA non potrebbe essere calcolata in base al valore di mercato (EUR 150), senza tenere conto del prezzo reale dell’operazione (EUR 90), in quanto l’imposta ammonterebbe ad EUR 24, anziché a EUR 14,4, con la conseguenza che l’imprenditore subirebbe un danno e verrebbe meno la neutralità su cui si fonda il sistema di questa imposta indiretta.


24 – Sentenza 22 novembre 2001, causa C-184/00, Office des Produits Wallons (Racc. pag. I-9115, punto 10). Lo stesso concetto è espresso nelle sentenze 15 luglio 2004, causa C-381/01, Commissione/Italia (Racc. pag. I-6845, punto 32) e causa C-144/02, Commissione/Germania (Racc. pag. I-6985, punto 31).


25 – Dispositivo della sentenza Office des Produits Wallons, citata.


26 – Il principio di legalità è stato forgiato negli ambiti «penale» e «tributario» nel basso Medio Evo, come limite alle prerogative del sovrano. In Spagna, le comunità, i comuni e le città potevano subordinare l’istituzione di contributi a favore della Corona e la punizione di determinati comportamenti all’approvazione di assemblee («cortes») rappresentative. Lo sviluppo di un «meccanismo di patti» tra monarchia e «società politica», che ha consolidato l’organizzazione politica dello Stato e ha bloccato un ulteriore sviluppo dell’autorità regia, è una costante, ancorché con rilevanti differenze e sfumature, nella formazione dei regni spagnoli nel Medio Evo. In Aragona e Navarra, le Cortes ottennero poteri di controllo legislativo e finanziario tra la fine del XIII° e la metà del XIV° secolo (v. M.A. Ladero Quesada, «España: reinos y señoríos medievales», in España. Reflexiones sobre el ser de España, Real Academia de la Historia, 2ª edizione, Madrid, 1998, pagg. 95-129). In Castiglia questa istituzione, che ha raggiunto il suo apogeo nei secoli XIV° e XV°, ha assunto un’importanza minore e, anche quando ha svolto un ruolo primario nella vita politica, le sue competenze erano più limitate (J. Valdeón, «Los reinos cristianos a fines de la Edad Media», in Historia de España, Historia 16, Madrid, 1986, pagg. 391-455, in particolare pagg. 414-423).


27 – Un esempio è costituito dall’art. 14 della Ley General Tributaria spagnola (legge 58/2003, Boletín Oficial del Estado del 18 dicembre 2003), che non consente il ricorso ad analogie per estendere al di là dei suoi limiti rigorosi la nozione di fatto imponibile. In Germania, il Bundesfinanzhof (Corte suprema federale in materia fiscale) ha respinto in più occasioni l’uso del predetto criterio interpretativo e l’applicazione sfavorevole al soggetto passivo (Bundesteuerblatt II 1972, 455, 457; Bundesteuerblatt II 1976, 246, 248; Bundesteuerblatt II 1977, 283, 287; Bundesteuerblatt II 1978, 346; Bundesteuerblatt II 1979, 347; Bundesteuerblatt II 1982, 618). La giurisprudenza belga respinge unanimemente l’interpretazione analogica delle norme tributarie e si richiama ad una sentenza della Cour de cassation del 13 aprile 1978 (causa État belge, Ministre des Finances/Bodson Fr., A. et M., Pasicrisie belge 1978, 910). In questo senso si sono espressi, ad esempio, A. Tiberghien e altri: Manuel de droit fiscal: 2000, Larcier, 21ª edizione, Bruxelles 2000, pagg. 68 e 69, nonché M. Dassesse, e P. Minne: Droit fiscal, principes généraux et impôts sur les revenus, Bruylant, 5ª edizione, Bruxelles 2001, pagg. 58 e 59. In Francia, in cui la dottrina è divisa, la situazione è meno chiara (v. P. Marchesson: L’interpretation des textes fiscaux, Economica, Parigi 1980, pagg. 197-234; L. Philip: Dictionnaire encyclopédique des finances publiques, Economica, Parigi 1991, vol. II, pagg. 971 e 972; L. Trotabas e J.M. Cotteret, Droit Fiscal, Dalloz, 8ª edizione, Parigi 1996, pagg. 272 e 273; F. Donet: Contribution à l’étude de la sécurité juridique en droit fiscal interne français, L.G.D.J., Parigi 1997, pagg. 157-164; e M. Bouvier: Introduction au droit fiscal général et la théorie de l’impôt, L.G.D.J., 5ª edizione, Parigi 2003, pagg. 42-47), tuttavia, in alcune occasioni la Cour de cassation ha dichiarato che in materia fiscale non è ammessa l’interpretazione analogica (sentenza 25 ottobre 1975, Bull. III n. 309, 234).