«IVA – Direttiva sesta e tredicesima – Luogo di prestazione dei servizi – Meccanismo di elusione dell'imposta – Società con sede fuori delle Comunità e altre società dello stesso gruppo con sede in uno Stato membro – Sale giochi – Nozione di «attività ricreative o affini», di cui all'art. 9, n. 2, lett. c), della sesta direttiva – Nozione di «centro di attività stabile», di cui all'art. 9, n. 1, della sesta direttiva – Rimborso dell'IVA versata a monte»
«Nel caso di specie,
alla luce della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, in particolare degli artt. 2, 4 e 9, e della tredicesima direttiva del Consiglio 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità, in particolare degli artt. 1 e 2: 1.Come debba essere interpretata l’espressione “centro di attività stabile” di cui all’art. 9 della sesta direttiva. 2.Quali siano i fattori da prendere in considerazione per determinare se la prestazione di servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo sia resa a partire dalla sede d’attività economica di una società quale la CI o a partire da qualunque altro centro di attività stabile di cui possa servirsi una società quale la CI. 3.In particolare:a) Qualora l’attività di una società (“A”) sia strutturata analogamente a quella del caso di specie, di modo che una società (“B”) collegata, la cui sede d’attività economica si trovi fuori del territorio della Comunità, fornisca servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo e l’unico scopo della struttura sia di evitare che A sia obbligata a pagare l’IVA nello Stato in cui ha sede:
(i)se si possa ritenere che i servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo siano resi a partire da un centro di attività stabile in tale Stato membro; e, in caso di soluzione affermativa, (ii)se si debba ritenere che tali servizi siano resi a partire da una sede fissa o dal luogo in cui B ha stabilito la sede della propria attività economica.b) Qualora l’attività di una società (“A”) sia strutturata in modo che, ai sensi delle norme sul luogo di prestazione, una società collegata (“B”), in circostanze analoghe a quelle del caso di specie, fornisca servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo a partire da una sede di attività stabilita fuori del territorio della Comunità, non abbia un centro di attività stabile, a partire dal quale siano resi tali servizi, nello Stato membro in cui A ha sede, e l’unico scopo della struttura sia di evitare che A debba pagare l’IVA sui detti servizi in tale Stato:
(i)se le operazioni realizzate tra B e le società collegate (“A”, “C” e “D”) all’interno dello Stato membro valgano ai fini dell’IVA come prestazioni effettuate da o a beneficio di tali società nell’ambito della loro attività economica; e, in caso di soluzione negativa, (ii)quali fattori debbano essere presi in considerazione per determinare l’identità del prestatore di servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo. 4.a) Se esista un principio dell’abuso di diritto (indipendentemente dall’interpretazione data alle direttive sull’IVA), atto a precludere i benefici perseguiti in un caso come quello di specie.b) In caso di soluzione affermativa, in che modo esso operi in un caso come quello di specie.
5.a) Se abbia un significato – e quale – il fatto che A, C e D non sono società controllate da B e che B non esercita tale controllo su A, C e D né dal punto di vista giuridico, né da quello economico.b) Se sia rilevante per le soluzioni delle questioni suesposte che il tipo di amministrazione adottato da B nella sede della propria attività economica fuori della Comunità fosse necessario per fornire ai clienti servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo e che né A, né C, né D svolgano tali attività».
19. In sostanza, la High Court sottopone alla Corte tre questioni. La prima riguarda il problema di stabilire se si possa ritenere che un’impresa come la CI, la cui sede si trova fuori del territorio della Comunità ai fini dell’IVA (4) , ma che presta servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo in uno Stato membro, fornisca tali servizi a partire da uno o più «centr[i] di attività stabil[i]» situati in tale Stato membro, ai sensi dell’art. 9, n. 2, della sesta direttiva. In caso di soluzione affermativa di tale questione, ne sorge una ulteriore, vale a dire se il criterio di connessione rilevante per stabilire il «luogo di una prestazione di servizi» ai sensi dell’art. 9, n. 2, debba essere il luogo in cui il prestatore «ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa» o se, al contrario, il criterio di connessione pertinente debba essere «il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica». 20. L’ultima questione viene sollevata solo in subordine, per il caso in cui il criterio di connessione del luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica sia considerato applicabile alla fattispecie in esame. Tale questione subordinata, che sarà esaminata nelle presenti conclusioni solo nel caso in cui le questioni precedenti richiedano un’ulteriore analisi, solleva due diversi problemi giuridici: da un lato, quello di stabilire se operazioni come quelle tra la CI e, rispettivamente, la RAL, la Services e la Machines possano essere qualificate come «prestazioni» effettuate nel corso di «attività economiche» ai sensi della sesta direttiva, con la conseguenza che apparirebbe un prestatore con un’identità diversa da quella della CI; dall’altro, quello dell’applicazione del principio dell’abuso di diritto nel settore dell’IVA, che assertivamente impedirebbe alla CI di affermare di non essere soggetta all’IVA nel Regno Unito (5) . II – Analisi 21. La soluzione delle questioni sottoposte alla Corte richiede un esame preliminare delle norme contenute nell’art. 9 della sesta direttiva, che disciplinano la determinazione del luogo della prestazione di servizi. Detta disposizione contiene varie norme di conflitto intese a stabilire una ripartizione razionale dei poteri degli Stati membri per quanto riguarda l’applicazione dell’IVA alla prestazione di servizi. Ognuna di dette norme individua lo Stato membro competente in via esclusiva ad assoggettare ad imposta una prestazione di servizi e pertanto dev’essere interpretata in modo uniforme al fine di evitare casi di doppia imposizione o di esenzione che possano risultare da interpretazioni divergenti (6) . 22. Benché il giudice nazionale non abbia sollevato il problema della possibile applicazione dell’art. 9, n. 2, della sesta direttiva, può essere importante esaminare il rapporto tra i nn. 1 e 2 dell’art. 9, in quanto «la Corte ha il compito di interpretare tutte le norme di diritto comunitario che possano essere utili al giudice nazionale al fine di dirimere la controversia di cui è stato adito, anche qualora dette norme non siano espressamente indicate nella questione pregiudiziale sottopostale» (7) . 23. Infatti, per quanto riguarda la relazione esistente tra l’art. 9, n. 1, e l’art. 9, n. 2, la Corte ha dichiarato che «il n. 2 dell’art. 9 indica svariati riferimenti specifici, mentre il n. 1 fornisce in proposito un principio di carattere generale. Lo scopo di queste disposizioni è quello di evitare i conflitti di competenza, che possono portare a doppie tassazioni, come pure la mancata tassazione di cespiti, come si rileva al n. 3 dell’art. 9, benché soltanto per situazioni specifiche» (8) . 24. L’art. 9, n. 1, costituisce in ultima analisi una «categoria residuale» (9) –rispetto alle norme speciali di cui all’art. 9, n. 2 – che utilizza criteri di collegamento basati sulla collocazione del prestatore in definitiva per motivi di semplificazione (10) e per evitare le difficoltà inerenti all’individuazione del luogo di prestazione o di fruizione dei servizi (11) . Va rilevato che, in base al principio generale, l’IVA dev’essere prelevata nel luogo di consumo. Sotto tale profilo, è comprensibile che la Corte abbia dichiarato, nella sentenza Dudda, che «in ordine all’interpretazione dell’art. 9, non esiste alcuna preminenza del n. 1 sul n. 2 di tale norma. La questione che si pone in ciascun caso di specie consiste nel chiedersi se esso sia disciplinato da uno dei casi menzionati all’art. 9, n. 2; altrimenti esso rientra nel n. 1» (12) . Inoltre, come ha rilevato l’avvocato generale Fennelly nella causa Linthorst, nessun elemento giustifica la tesi secondo cui «la portata dell’art. 9, n. 2, debba essere rigorosamente interpretata come avente carattere di eccezione rispetto a una norma generale» (13) . 25. Alla luce di quanto precede, la Corte deve logicamente iniziare verificando se nella fattispecie in esame i servizi relativi alle macchine da gioco rientrino nella sfera di applicazione dell’art. 9, n. 2, lett. c). Solo in caso di soluzione negativa è applicabile il regime residuale di cui all’art. 9, n. 1. A – La nozione di «attività ricreative o affini» ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. c) 26. L’art. 9, n. 2, lett. c), stabilisce che «il luogo delle prestazioni di servizi aventi per oggetto (…) attività (…) ricreative o affini, ivi comprese quelle degli organizzatori di dette attività (…) è quello in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite». Il governo portoghese, nelle sue osservazioni scritte, rileva che la prestazione di servizi relative alle macchine per il gioco d’azzardo dev’essere sottoposta a tale regime e pertanto assoggettata ad IVA nel Regno Unito, indipendentemente dalla norma residuale di cui all’art. 9, n. 1. 27. In udienza, quando è stato loro chiesto di esprimersi sulla tesi dedotta dal governo portoghese nelle sue osservazioni scritte, gli intervenienti hanno concentrato l’attenzione principalmente sulla qualifica dei servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo come attività ricreative ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. c). Secondo le appellanti, le macchine per il gioco d’azzardo dovrebbero essere escluse dalla nozione di attività ricreative prevista da detta disposizione principalmente per due motivi. In primo luogo, perché la fornitura di macchine per il gioco d’azzardo non comporta la prestazione di una qualsiasi attività ricreativa da parte di un intrattenitore. In tal senso, secondo le appellanti, il cliente svolge autonomamente l’attività ricreativa utilizzando la macchina per il gioco d’azzardo nello stesso modo in cui una persona utilizza un telefono portatile. In secondo luogo, l’aspettativa, da parte del giocatore, di vincere denaro non è un elemento normale delle attività ricreative. Ritengo che tali argomenti non bastino ad escludere servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo come quelli forniti dalla CI nelle sale giochi del Regno Unito dalla nozione di «attività ricreative o affini», di cui all’art. 9, n. 2, lett. c). 28. Si rammenterà che, come ha rilevato la Commissione sia nelle osservazioni scritte che in udienza, nella causa Berkholz, che riguardava servizi relativi a macchine da gioco forniti a bordo di traghetti, la Corte ha dichiarato che lo scopo delle macchine per giochi d’azzardo «è quello di divertire la clientela» (14) . Nella fattispecie in esame, le macchine per il gioco d’azzardo, definite anche come «macchine per giochi a premi» collocate in «sale giochi», hanno la stessa finalità, consistente nel divertire gli utenti. 29. Lo scopo essenziale dell’attività, a mio parere, deve costituire il fattore decisivo da prendere in considerazione per qualificare una determinata attività come «attività ricreativa» ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. c) (15) . Nel caso di una macchina per il gioco d’azzardo, quale può essere lo scopo se non quello di far divertire il giocatore, offrendogli la possibilità casuale di vincere o perdere? Le appellanti non hanno fornito alcun indizio a tale proposito (16) . Lo scopo essenziale delle macchine per il gioco d’azzardo non è sicuramente quello di consentire ai giocatori di guadagnarsi da vivere. Inoltre, il dispiacere che può provare il giocatore nel perdere, anziché vincere, è proprio una componente essenziale di questo tipo di attività ricreativa. Vincere o perdere denaro, in questo caso, costituisce un aspetto del tipo di divertimento rappresentato dal gioco (17) . Alla luce di tali considerazioni, è irrilevante l’argomento delle appellanti secondo cui l’attività ricreativa presuppone una qualche forma di prestazione fisica individuale da parte dell’intrattenitore. Ogni macchina per il gioco d’azzardo è un apparecchio automatico dell’operatore, programmato per sostituire la prestazione materiale di una persona fisica posta di fronte al cliente per distribuirgli casualmente le carte. Tale sostituzione non è in contrasto con il carattere ricreativo della prestazione fornita dalla macchina al cliente. Inoltre non vedo come il fatto che le vincite erogate da una macchina da gioco non siano medaglie né l’inclusione del nome del vincitore nella classifica dei migliori, registrata dalla macchina, bensì denaro, possa modificare il carattere essenzialmente ricreativo di una macchina per il gioco d’azzardo. 30. A parte gli argomenti delle appellanti testé esaminati, in udienza non sono state dedotte altre osservazioni a favore dell’esclusione dalla sfera di applicazione dell’art. 9, n. 2, lett. c), dell’attività consistente nella prestazione di servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo (18) . Al pari della Commissione, non sono in grado di individuare motivi preminenti di natura politica per escludere le attività in esame nella presente causa dall’ambito di applicazione dell’art. 9, n. 2, lett. c). Inoltre, e soprattutto, rilevo evidenti vantaggi nell’applicare l’art. 9, n. 2, lett. c), al caso di specie. I servizi menzionati in tale disposizione sono soggetti al criterio di collegamento del luogo in cui essi sono resi, proprio perché tale luogo può essere individuato senza difficoltà dal punto di vista materiale e coincide con il luogo di fruizione (19) .Oltre tutto, l’applicazione del criterio di collegamento del luogo in cui vengono svolte le attività è molto più conforme al principio generale secondo cui l’IVA va prelevata sul luogo di consumo (20) . Se l’individuazione del luogo in cui vengono svolte (ed utilizzate) le attività non solleva alcun problema, come nel caso di specie, non è giustificabile un ritorno alla categoria residuale di cui all’art. 9, n. 1 (21) . 31. Nella fattispecie in esame, l’applicazione dell’art. 9, n. 2, lett. c), fornisce un criterio di collegamento per la collocazione della prestazione molto più chiaro e semplice da utilizzare di quello risultante dall’art. 9, n. 1. Tale categoria residuale, come si vedrà, richiede un’analisi complessa (dall’esito incerto) della questione se una determinata impresa disponga di un centro di attività stabile nel luogo in cui fornisce il servizio e, in caso di soluzione affermativa, della questione se tale centro di attività stabile debba prevalere sul luogo in cui essa ha fissato la sede della propria attività. Indubbiamente, le esigenze della certezza del diritto non favoriscono la scelta del modo più tortuoso di stabilire il luogo della prestazione dei servizi relativi alle macchine da gioco nel caso in cui sia disponibile un’alternativa più semplice e logica e, inoltre, tale alternativa sia più conforme al principio generale secondo cui l’IVA dev’essere prelevata nel luogo del consumo. 32. Inoltre, l’applicazione alla fattispecie in esame del criterio del luogo del prestatore produrrebbe conseguenze indesiderabili in termini di distorsione della concorrenza e di posizionamento della sede di attività dei fornitori (22) . In realtà, benché siano forniti a consumatori finali in uno Stato membro e vengano fruiti in tale Stato, i servizi in questione sarebbero assoggettati al regime dell’IVA dello Stato del prestatore. Ciò equivarrebbe ad incentivare i prestatori di tali servizi a spostare la loro sede di attività in luoghi dove la pressione fiscale è minore. Di fatto si verificherebbero sia situazioni di esenzione dei prestatori stabiliti fuori del territorio della Comunità ai fini dell’IVA che situazioni di tassazione, nella Comunità, di prestazioni effettuate ed utilizzate fuori di tale territorio. 33. Infine, rilevo che nella fattispecie l’applicazione dell’art. 9, n. 2, lett. c), non è in conflitto con la sentenza Dudda. Nessuna delle parti che hanno presentato osservazioni in udienza ha percepito una tale contraddizione (23) , e nemmeno io. Al punto 23 della sentenza Dudda, la Corte ha dichiarato che «l’art. 9, n. 2, della sesta direttiva mira, nel suo insieme, a stabilire un regime speciale per prestazioni di servizi tra soggetti d’imposta il cui costo è compreso nel prezzo delle merci» (24) . Tuttavia, questa affermazione della Corte dev’essere interpretata alla luce della specifica situazione di fatto della causa Dudda, che riguardava esclusivamente soggetti passivi. La prestazione oggetto di tale causa ha avuto luogo solo tra soggetti d’imposta, ma né l’interpretazione letterale né quella teleologica della sesta direttiva conferma la conclusione che l’art. 9, n. 2, lett. c), non sia applicabile alle prestazioni di servizi relativi ad attività ricreative fornite da un soggetto passivo ad un consumatore finale. 34. In conclusione, quando un’impresa come la CI fornisce servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo a clienti in uno Stato membro, attraverso macchine da gioco ottenute in leasing e gestite in tale Stato, si deve ritenere che essa effettui materialmente la prestazione di servizi relativi ad attività ricreative in tale Stato membro ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. c), della sesta direttiva. Pertanto, nel caso di specie deve escludersi l’applicabilità della categoria residuale di cui all’art. 9, n. 1. B – Sull’applicabilità dell’art. 9, n. 1 35. Qualora la Corte ritenga che l’art. 9, n. 2, lett. c), non sia applicabile alla causa principale, occorrerà fare riferimento al regime di cui all’art. 9, n. 1, a norma del quale si considera luogo della prestazione il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa. 36. Dal testo dell’art. 9, n. 1, emerge l’indipendenza tra questi due punti di riferimento, il «centro di attività stabile» e il «luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica» (25) . In ogni caso, l’art. 9, n. 1, non fornisce alcuna indicazione su come conciliare l’applicazione di questi due criteri di collegamento nei casi in cui essi non conducano al medesimo luogo, o in casi complessi nei quali uno di tali criteri di collegamento, preso isolatamente, conduca ad un luogo situato fuori del territorio della Comunità ai fini dell’IVA, come nel caso in esame. 37. La correlazione tra questi due criteri di collegamento che, conformemente alla lettera dell’art. 9, n. 1, sembrano operare in modo puramente alternativo, è stata definita con chiarezza dalla giurisprudenza della Corte. Dopo avere dichiarato che lo scopo generale dell’art. 9 è quello «di evitare i conflitti di competenza, che possono portare a doppie tassazioni, come pure la mancata tassazione di cespiti, come si rileva al n. 3 dell’art. 9, benché soltanto per situazioni specifiche» (26) , nella sentenza Berkholz la Corte ha affermato che «[s]econdo l’art. 9, n. 1, il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica appare, in proposito, come il punto di riferimento preferenziale, nel senso che la presa in considerazione di un altro centro di attività a partire dal quale viene resa la prestazione di servizi entra in linea di conto solo nel caso in cui il riferimento alla sede non conduca ad una soluzione razionale dal punto di vista fiscale o crei un conflitto con un altro Stato membro» (27) . 38. Tale criterio, in base al quale il «centro di attività stabile», nelle circostanze descritte, viene considerato un punto di riferimento subordinato rispetto alla «sede dell’attività economica», è stato successivamente confermato dalla Corte nelle sentenze Faaborg-Gelting Linien (28) , ARO Lease (29) e DFDS (30) . 39. Per quanto riguarda la definizione dell’espressione «il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica», essa non presenta grandi difficoltà (31) . Lo stesso vale per la sua applicazione alla fattispecie in esame, in cui non vi sono dubbi quanto all’effettiva ubicazione della sede di attività della CI in Guernsey, e quindi fuori del territorio della Comunità ai fini dell’IVA. C – La nozione di «centro di attività stabile a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa» ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva 40. Sorgono invece problemi per quanto riguarda l’interpretazione della nozione di «centro di attività stabile». Nella sentenza Berkholz, la Corte ha stabilito i criteri pertinenti per interpretare tale nozione, dichiarando che può ritenersi che un servizio venga fornito a partire da un centro di attività stabile ai sensi dell’art. 9, n. 1, solo nel caso in cui tale centro d’attività abbia «una consistenza minima, data la presenza permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per determinate prestazioni di servizi» (32) . Nella sentenza Berkholz la Corte ha quindi concluso che «non risulta che l’installazione, a bordo di navi [d’alto mare], di macchine automatiche per giochi d’azzardo, che danno luogo a saltuaria manutenzione, possa costituire un siffatto centro di attività [stabile]» (33) . La totale mancanza di personale addetto in modo permanente alla fornitura di servizi relativi alle macchine da gioco a bordo delle navi ha costituito un elemento decisivo per negare l’esistenza di un «centro di attività stabile» ai sensi dell’art. 9, n. 1. 41. In ogni caso, la Corte ha richiesto solo l’esistenza di un centro di attività avente «una consistenza minima» e, né più né meno, mezzi «necessari» per fornire servizi di natura permanente. La Corte non ha considerato la presenza costante di tutti i possibili mezzi umani e tecnici , di proprietà del prestatore stesso , in un determinato luogo, come un presupposto per concludere che il prestatore disponga di un centro di attività stabile in tale luogo. A mio parere, ciò equivale all’adozione di un criterio per la valutazione dei requisiti minimi per qualificare una determinata serie di elementi come un «centro di attività stabile» ai sensi dell’art. 9, n. 1, che è stato successivamente seguito e sviluppato dalla Corte, in particolare nelle sentenze ARO Lease e DFDS. 42. La causa ARO Lease riguardava un’attività di leasing di autovetture rivolta a clienti residenti in Belgio, svolta da una società olandese. L’unica presenza umana della società olandese in Belgio assumeva la forma di intermediari indipendenti che si limitavano a mettere in contatto i clienti con la ARO Lease. Tali intermediari indipendenti non partecipavano in altro modo alla conclusione o all’esecuzione dei contratti di leasing, che venivano predisposti e sottoscritti nei Paesi Bassi, in cui la ARO Lease aveva stabilito la sede della sua attività economica. Inoltre, come ha osservato la Corte, la società olandese di leasing «non dispon[eva] (…) né di uffici né di depositi delle autovetture» in Belgio (34) . In tale contesto, la Corte ha dichiarato che «allorché una società di leasing non dispone in uno Stato membro né di personale proprio né di una struttura che presenti un sufficiente grado di stabilità, nell’ambito del quale possano essere redatti contratti o prese decisioni amministrative (…), essa non può essere considerata disporre di un centro di attività stabile in tale Stato» (35) . 43. La sentenza DFDS segue lo stesso orientamento giurisprudenziale, ma esamina in modo più approfondito alcuni aspetti che analizzerò brevemente. In detta causa, una controllata inglese di una società danese operava nel Regno Unito come agente di vendita della società controllante, vendendo viaggi «tutto compreso» organizzati da quest’ultima. La Corte ha ritenuto che la controllata inglese costituisse un centro di attività stabile della società controllante danese. Nel giungere a tale conclusione, la Corte ha dichiarato che il fatto che «i locali della società controllata inglese, la quale ha propria personalità giuridica, appartengano a quest’ultima e non alla DFDS di per sé non è sufficiente a provare che la prima è effettivamente indipendente dalla seconda. Dagli elementi contenuti nell’ordinanza di rinvio, in particolare dal fatto che la DFDS detiene l’intero capitale sociale della società controllata, e dall’esistenza di vari obblighi contrattuali imposti alla società controllata dalla società madre, emerge invece che la società stabilita nel Regno Unito agisce come semplice ausiliaria di quest’ultima» (36) . La controllata inglese presentava le caratteristiche di un «centro di attività stabile», secondo il criterio di valutazione Berkholz, in quanto «present[ava] la consistenza minima richiesta in termini di mezzi umani e tecnici necessari» (37) . 44. Come la Corte ha espressamente dichiarato nella sentenza DFDS, «la presa in considerazione della realtà economica costituisce un criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’IVA» (38) . Ritengo che nella presente fattispecie l’analisi vada necessariamente condotta prestando particolare attenzione alla realtà economica e commerciale del caso in esame. 45. Sotto questo profilo, e alla luce della giurisprudenza sopra citata, è evidente che, come sottolinea la Commissione nelle sue osservazioni scritte, nel caso di specie la prestazione di servizi relativi alle macchine da gioco installate in «sale giochi» prima descritta viene resa a partire da centri di attività stabili posti nel Regno Unito. A tale proposito, condivido l’osservazione svolta dal governo irlandese nelle sue osservazioni scritte, secondo cui la percezione esterna dei clienti deve avere un ruolo decisivo. Infatti, nella specie le macchine da gioco sono installate in modo permanente in locali destinati esclusivamente, mediante l’uso della nozione commerciale di «sala giochi», alla creazione di un ambiente particolarmente congeniale ai giocatori. Tali locali sono aperti ad orari fissi, come altri locali commerciali, e vi opera stabilmente personale che assiste i clienti e si occupa dei locali e delle macchine. 46. La presenza dell’elemento umano, in particolare, è importante per distinguere il caso in esame dalla situazione che si verificava nella causa Berkholz. Tale presenza umana permanente nei locali conferisce stabilità alla prestazione di servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo nelle sale giochi da parte della CI, e conferma la conclusione che tale prestazione viene resa a partire da «centri di attività stabili» situati nel Regno Unito. Inoltre, e soprattutto, tali centri di attività stabili non sono collocati a bordo di navi d’alto mare che si spostino da un paese all’altro, circostanza che potrebbe giustificare la scelta a favore del centro di attività del prestatore ubicato nel territorio della Comunità ai fini dell’IVA. 47. Nel caso di specie, pertanto, il problema non è se la prestazione di servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo abbia luogo in centri di attività stabili situati nel Regno Unito, quanto se tali centri di attività stabili debbano essere considerati centri di attività stabili della CI nel Regno Unito. 48. I governi del Regno Unito e irlandese, al pari della Commissione, ritengono che la CI abbia centri di attività stabili nel Regno Unito. La CI, invece, afferma che la sua unica presenza nel Regno Unito assume la forma delle macchine per il gioco d’azzardo ottenute in leasing effettivamente gestite nei locali in cui essa è autorizzata ad installarle per prestare i relativi servizi. Secondo questo argomento principale, per avere un centro di attività stabile nel Regno Unito la CI dovrebbe disporre in tale Stato, di per sé , di tutti i necessari mezzi umani e tecnici. Non sono d’accordo. Riguardo a tale questione fondamentale, consistente nello stabilire di quali risorse la CI debba disporre nel Regno Unito per poter qualificare i centri di attività stabili esistenti come suoi centri di attività, sono particolarmente illuminanti le sentenze ARO Lease e DFDS. 49. Si ricorderà che nella causa ARO Lease la Corte ha dichiarato che, per concludere che un prestatore di servizi ha un «centro di attività stabile» ai sensi dell’art. 9, n. 1, è sufficiente che disponga «in uno Stato membro (…) di personale proprio [o] di una struttura che presenti un sufficiente grado di stabilità, nell’ambito della quale possano essere redatti contratti (…)». Non è affatto necessario che le persone che lavorano nelle sale giochi siano dipendenti della CI per poter concludere che i centri di attività stabili esistenti appartengono a tale società. Inoltre, come ha giustamente osservato la Commissione nelle sue osservazioni scritte e in udienza, la «struttura» necessaria varia inevitabilmente in funzione del settore considerato. 50. Nella causa DFDS, la società operante nel Regno Unito, benché fosse una controllata, aveva una propria personalità giuridica distinta da quella della società controllante danese. Nel caso ora in esame, anche le consociate della CI sono enti giuridici distinti da quest’ultima. A prescindere da tale circostanza, nella sentenza DFDS la Corte ha ritenuto che la controllata inglese equivalesse ad un centro di attività stabile della società danese nel Regno Unito. La società danese di per sé non disponeva di personale né di locali nel Regno Unito (39) . Tuttavia, essa aveva ottenuto, mediante accordi contrattuali con la controllata inglese, che agiva come suo agente, le risorse umane e i mezzi tecnici per fornire nel Regno Unito i suoi servizi turistici. La Corte ha concluso che «la società stabilita nel Regno Unito agisce come semplice ausiliaria» della società controllante (40) . 51. A mio parere, il caso in esame è ancora più chiaro, il che rende superfluo l’esame di un eventuale rapporto di dipendenza tra la CI e le sue consociate. Infatti, la Services e il suo personale, così come la Machines e altri fornitori indipendenti, a differenza di quanto avveniva tra la controllata inglese della DFDS e la società controllante danese, svolgono per la CI funzioni meramente accessorie rispetto alla prestazione di servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo. 52. La fattispecie richiede una distinzione fondamentale tra due tipi di mezzi: da un lato, quelli che devono essere necessariamente alle dirette dipendenze del prestatore in un determinato luogo per poter concludere che un centro di attività stabile in tale luogo appartiene al prestatore ; e, dall’altro, i mezzi rispetto ai quali, anche se conferiscono carattere stabile ad un centro di attività, il fatto che non siano alle dirette dipendenze del prestatore non impedisce di concludere che il centro di attività stabile esistente appartiene effettivamente al prestatore. I primi sono mezzi direttamente implicati nella fornitura dello specifico servizio in questione, vale a dire la conclusione e l’esecuzione dei contratti con i clienti, necessari ai fini della prestazione. Solo questi ultimi mezzi devono essere alle dirette dipendenze del prestatore, affinché possa concludersi che un centro di attività stabile a partire dal quale viene reso il servizio è effettivamente proprio ai sensi dell’art. 9, n. 1. 53. In realtà, affermare, come fa la CI nel caso di specie, che le persone la cui presenza costituisce un fattore rilevante per conferire carattere di stabilità ad un centro di attività ai sensi dell’art. 9, n. 1, debbano essere tutte impiegate o dipendenti direttamente dal prestatore condurrebbe a risultati assurdi. Basti pensare all’esempio di un centro di attività in cui il personale di vigilanza sia il solo a possedere le chiavi e sia incaricato di aprire e chiudere i locali ad orari fissi. Tali persone sono indubbiamente necessarie a garantire che il centro di attività non funzioni solo intermittentemente. Esse devono essere considerate risorse umane la cui presenza stabile è necessaria affinché abbia luogo la prestazione dei servizi nel centro di attività e, quindi, a conferire carattere di stabilità al centro di attività. In ogni caso, sarebbe sicuramente inaccettabile che tale centro di attività cessasse di essere qualificato come centro di attività stabile del prestatore dei servizi in virtù del fatto che quest’ultimo abbia deciso di affidare le funzioni di vigilanza nel centro di attività ad una società di vigilanza indipendente. 54. In base alle informazioni fornite dal giudice nazionale, il personale delle sale giochi svolge principalmente funzioni pratiche, come consentire l’ascolto di musica, fornire rinfreschi e monete alla clientela, svuotare le cassette delle macchine, presenziare ai pagamenti di somme ingenti, garantire la sicurezza, effettuare la manutenzione, eccetera. Tali attività svolte a favore della CI dalla Services, dalla Machines e da altri prestatori, a mio parere, sono accessorie rispetto alla fornitura dei servizi in esame, relativi alle macchine da gioco. 55. Risulta infatti che il personale delle sale giochi non partecipa direttamente alla conclusione dei contratti di gioco tra la CI e i clienti (41) . Infatti, le prestazioni effettuate nello specifico settore dei servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo sono basate su accordi contrattuali conclusi discrezionalmente tra ciascun cliente e la CI direttamente attraverso le stesse macchine per il gioco d’azzardo. Tali contratti vengono stipulati ed eseguiti interamente nel territorio del Regno Unito ogni volta che un cliente inserisce una moneta nella macchina da gioco gestita dalla CI (42) . Se quest’analisi è corretta, le macchine ottenute in leasing e gestite dalla CI, di per sé, in quanto apparecchi automatici, consentono a quest’ultima di fornire i servizi relativi al gioco d’azzardo direttamente a ciascun cliente all’interno del Regno Unito (43) . In questo particolare settore d’attività, le macchine per il gioco d’azzardo sono l’unica e fondamentale struttura delle «sale giochi» che debba essere alle dirette dipendenze della CI perché si possa concludere che ognuna di tali «sale giochi», in cui sono installate le macchine per il gioco d’azzardo, costituisce un centro di attività stabile della CI. 56. Inoltre, alla luce di quanto precede, e contrariamente a quanto sostenuto dalla CI, le attività effettivamente svolte dalla CI in Guernsey non sembrano un elemento decisivo della prestazione dei pertinenti servizi relativi alle macchine da gioco resa a ciascun cliente, che si realizza automaticamente nel Regno Unito mediante ognuna delle macchine ottenute in leasing e gestite dalla CI in tale Stato. Nelle loro osservazioni scritte, le appellanti osservano che l’art. 9, n. 1, si basa sul luogo del prestatore del servizio. Esse tuttavia trascurano il fatto che, nel settore di attività considerato, la CI è un prestatore di servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo effettivamente presente nel territorio del Regno Unito, in cui essa conclude ed esegue contratti direttamente con ciascun cliente, attraverso le macchine da essa gestite in tale Stato, mentre i servizi accessori a questa prestazione vengono predisposti mediante contratti con altre imprese. In tal senso, la CI dispone di una struttura nel Regno Unito «idonee a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi in questione» (44) . 57. In conclusione, si deve ritenere che un’impresa come la CI che, in circostanze come quelle del caso di specie, fornisce direttamente ai clienti servizi relativi a macchine da gioco attraverso le macchine da gioco ottenute in leasing e da essa gestite in locali ubicati nel Regno Unito, con l’aiuto di personale ausiliario fornito da imprese terze che svolge attività accessorie necessarie a conferire carattere di stabilità alla prestazione, disponga di una struttura economica all’interno del Regno Unito dotata dei mezzi minimi necessari per considerare l’impresa in questione come un «centro di attività stabile» in tale Stato ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva. D – La scelta tra «il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica» e il luogo in cui il prestatore «ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa», ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva 58. Avendo concluso che la CI dispone di centri di attività stabili nel Regno Unito, occorre stabilire se tale criterio di collegamento prevalga sulla sede dell’attività economica. A tale proposito, la Corte ha dichiarato che «[s]econdo l’art. 9, n. 1, il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica appare, in proposito, come il punto di riferimento preferenziale, nel senso che la presa in considerazione di un altro centro di attività a partire dal quale viene resa la prestazione di servizi entra in linea di conto solo nel caso in cui il riferimento alla sede non conduca ad una soluzione razionale dal punto di vista fiscale o crei un conflitto con un altro Stato membro» (45) . Nel caso di specie non esiste un conflitto del genere con un altro Stato membro. Pertanto la questione che rimane da risolvere è se la soluzione derivante dall’applicazione del criterio di collegamento della sede dell’attività economica sia o meno «razionale dal punto di vista fiscale». 59. Indubbiamente, si deve tenere conto del fatto che «[s]petta (…) alle autorità fiscali di ciascuno Stato membro determinare, nell’ambito delle opzioni offerte dalla direttiva, quale sia, per una determinata prestazione di servizi, il punto di riferimento più utile dal punto di vista fiscale» (46) . Inoltre, coerentemente con quanto precede, l’avvocato generale La Pergola ha affermato che «[l]a Corte è per parte sua chiamata a spiegare e controllare come deve operare la sussidiarietà nelle scelte rimesse alla legge nazionale» (47) . Pertanto nulla impedisce alle autorità nazionali di applicare il criterio di collegamento del centro di attività stabile quando la scelta della sede conduca ad una soluzione irrazionale. Qualora nel caso di specie esista la possibilità di giungere a tale soluzione irrazionale, le autorità nazionali devono poter applicare il criterio di collegamento del luogo del centro di attività stabile anziché quello del luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica. 60. Quando la Corte ha fissato i criteri per stabilire se il riferimento al luogo dell’attività economica ad una soluzione irrazionale sotto il profilo tributario, ha richiesto un esame preliminare delle conseguenze, unitamente all’analisi di tali conseguenze rispetto agli scopi dell’IVA. Nella causa Berkholz non era necessaria l’applicazione di tale criterio, in quanto le macchine da gioco a bordo dei traghetti non costituivano, nel primo luogo, un centro di attività stabile ai sensi dell’art. 9, n. 1. 61. Nella causa DFDS, invece, tale esame della razionalità della soluzione sotto il profilo tributario è stato effettuato. Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che non sarebbe stato razionale, sotto il profilo tributario, considerare i servizi prestati da una società mediante imprese che agivano in suo nome all’interno di un paese come se fossero forniti a partire da un paese diverso, in cui l’operatore turistico avesse fissato la propria sede. Infatti «la sistematica applicazione della soluzione della sede dell’attività economica potrebbe d’altra parte causare distorsioni di concorrenza, in quanto comporterebbe il pericolo che le società che esercitano attività in uno Stato membro siano indotte a fissare la loro sede, per sfuggire alla tassazione, nel territorio di un altro Stato membro che si è avvalso della facoltà di mantenere in vigore l’esenzione dall’IVA per le prestazioni di cui trattasi» (48) . 62. Rilevo che, in ogni caso, nella causa Berkholz la Corte ha già dichiarato che le macchine a bordo delle navi non potevano costituire centri di attività stabili, «specialmente nel caso in cui la sede permanente del gestore di dette macchine automatiche fornisce un punto di riferimento utile ai fini della tassazione» (49) . Tale criterio è stato adottato nella causa Faaborg-Gelting, che riguardava la determinazione del luogo della prestazione di servizi di ristorazione su un traghetto che faceva la spola tra la Germania e la Danimarca. Nonostante il fatto che i mezzi tecnici e le risorse umane richiesti dalla sentenza Berkholz fossero stabilmente presenti a bordo, la Corte ha dichiarato che il centro di attività del prestatore in Danimarca costituiva il criterio di collegamento pertinente, «in particolar modo allorché, come nel caso di specie, la sede permanente del gestore della nave fornisc[e] un criterio di connessione utile ai fini dell’imposizione fiscale» (50) . La Corte ha chiaramente tenuto conto della circostanza decisiva che nelle due cause non era in discussione l’assoggettamento al sistema dell’IVA delle macchine per il gioco d’azzardo e dei servizi di ristorazione. Se in tali cause il luogo in cui i prestatori avevano deciso di stabilire la sede della loro attività fosse stato fuori del territorio della Comunità, l’applicazione di detto criterio di connessione avrebbe sicuramente sollevato molti dubbi. 63. Per quanto riguarda il caso in esame, nelle loro osservazioni scritte sia il governo del Regno Unito che la Commissione sostengono che dall’applicazione del criterio di connessione del luogo della sede discende che i servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo prestati nel Regno Unito ai consumatori residenti in tale Stato sfuggirebbero del tutto all’imposta, sia nel Regno Unito che in qualsiasi altro Stato membro. Pertanto il ragionamento svolto nella sentenza DFDS andrebbe applicato a fortiori nella fattispecie in esame, in quanto l’IVA non può essere prelevata sic et simpliciter nel luogo in cui il gestore delle macchine (la CI) ha fissato la sede della propria attività (Guernsey). 64. Sono d’accordo. Nella fattispecie, a differenza della situazione esaminata nella causa DFDS, non esiste solo il rischio di indurre le imprese a stabilire la sede della loro attività in Stati membri che possono mantenere regimi dell’IVA più favorevoli per i servizi in questione. Nella specie, il rischio è quello di incoraggiare le imprese a trasferire e stabilire la loro sede di attività fuori del territorio della Comunità ai fini dell’IVA, pur continuando a prestare i propri servizi all’interno di tale territorio in centri di attività stabili ai sensi dell’art. 9, n. 1, a consumatori ivi residenti. 65. Contrariamente a quanto sostenuto dalle appellanti, non vedo come il criterio proposto per la fattispecie in esame, escludendo un riferimento alla sede dell’attività economica, possa comportare la violazione del principio della neutralità fiscale e causare distorsioni della concorrenza. Avverrebbe il contrario. Un prestatore come la CI, pur avendo in comune con altri prestatori il fatto di fornire servizi equivalenti ai clienti di uno Stato membro a partire da centri di attività stabili ubicati in tale Stato, non è tenuto a versare l’IVA nel caso in cui abbia trasferito la sua sede fuori del territorio della Comunità ai fini dell’IVA. Il problema sollevato dal ragionamento delle appellanti è che esso, erroneamente, trascura il fatto che, come ho già detto, la CI dispone di centri di attività stabili nel Regno Unito a partire dai quali vengono resi i servizi relativi alle macchine per il gioco d’azzardo ai cittadini residenti in tale Stato. 66. Pertanto suggerisco alla Corte, in subordine, nel caso in cui ritenga inapplicabile l’art. 9, n. 2, lett. c), di risolvere le questioni sottopostele nel senso che, qualora un’impresa stabilita fuori del territorio di uno Stato membro fornisca servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo direttamente ai suoi clienti in tale Stato, attraverso macchine da gioco ottenute in leasing e gestite in locali situati nello stesso Stato, con l’aiuto di personale ausiliario fornito da imprese terze al fine di svolgere attività accessorie necessarie per conferire carattere di stabilità alla prestazione, si deve ritenere che detta impresa disponga di una struttura commerciale in tale Stato membro dotata dei mezzi minimi necessari per considerare l’impresa in questione come avente un «centro di attività stabile» nello Stato di cui trattasi ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva. In tale contesto, inoltre, l’art. 9, n. 1, della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che l’impresa in questione è tenuta a versare l’IVA nello Stato membro in cui è situato il centro di attività stabile. 67. Alla luce delle considerazioni che precedono, non occorre che la Corte risolva le questioni in subordine relative alle nozioni di prestazione e di attività economica, all’identità dei prestatori e all’eventuale applicazione, nel caso di specie, della figura dell’abuso di diritto. III – Conclusione 68. Ritengo pertanto che la Corte debba risolvere nei termini seguenti le questioni sottopostele: Qualora un’impresa la cui sede si trova fuori del territorio di uno Stato membro fornisca servizi relativi a macchine per il gioco d’azzardo a clienti in tale Stato, attraverso macchine da gioco ottenute in leasing e gestite nello stesso Stato, si deve ritenere che essa effettui materialmente la prestazione di servizi relativi ad attività ricreative in detto Stato membro ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. c), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, e che pertanto debba versare in tale Stato membro l’IVA dovuta sulla prestazione dei servizi di cui trattasi.