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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

P. LÉGER

presentate il 29 settembre 2005 1(1)

Causa C-210/04

Ministero dell’Economia e delle Finanze,

Agenzia delle Entrate

contro

FCE Bank plc

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Corte suprema di cassazione (Italia)]

«Sesta direttiva IVA – Artt. 2, punto 1, e 9, paragrafo 1 – Servizi forniti in seno alla stessa entità giuridica – Centro di attività stabile – Operazioni non imponibili a titolo di IVA – Convenzione OCSE contro la doppia imposizione – Imputazione del costo dei servizi forniti sugli utili realizzati nello Stato di stabilimento tramite un centro di attività stabile – Irrilevanza in materia di IVA»






1.     Il procedimento pregiudiziale in esame riguarda essenzialmente la questione se, ed eventualmente, a quali condizioni, servizi forniti in seno alla medesima entità giuridica debbano essere considerati come prestazioni di servizi a titolo oneroso, soggette all’imposta sul valore aggiunto (2) in applicazione della sesta direttiva del Consiglio, 77/388/CEE (3).

2.     Esso trae origine dal conflitto tra le autorità italiane competenti in materia di IVA e la FCE Bank plc (4), con sede nel Regno Unito, a proposito di servizi di gestione e di formazione del personale da essa forniti al suo centro di attività stabile sito in Italia ed il cui costo è stato imputato a tale centro. Le parti della causa principale hanno opinioni divergenti quanto al punto se tali operazioni, realizzate in seno alla stessa entità giuridica, debbano essere considerate prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, soggette all’IVA.

I –             Ambito normativo

A –    Il diritto comunitario

3.     L’art. 2, punto 1, della sesta direttiva dispone che sono soggette all’IVA «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale».

4.     La nozione di soggetto passivo è definita all’art. 4, n. 1, della sesta direttiva, ai sensi del quale viene considerato tale chiunque eserciti, in modo indipendente ed in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Ai sensi dell’art. 4, n. 4, primo comma, della medesima direttiva, l’espressione «in modo indipendente» di cui al paragrafo 1 esclude dall’imposizione i lavoratori dipendenti ed altre persone se essi sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto giuridico che introduca vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità del datore di lavoro.

5.     Per quanto attiene alle prestazioni di servizi, il luogo delle operazioni imponibili si trova disciplinato all’art. 9, n.1, della sesta direttiva, così redatto:

«Si considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di tale centro di attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale».

B –    Normativa nazionale

6.     Nella normativa italiana le disposizioni applicabili in materia di IVA sono contenute nella legge fondamentale sull’IVA (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633), del 26 ottobre 1972, (in prosieguo: il «DPR»). L’art. 1 del DPR sancisce che l’IVA si applica alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato. L’art. 3 del medesimo DPR definisce tali prestazioni come prestazioni effettuate verso corrispettivo.

7.     L’art. 7 del DPR, intitolato «territorialità dell’imposta», dispone, al paragrafo 3, che le prestazioni di servizi «si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso o da soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero nonché quando sono rese da stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero».

II – Fatti e procedimento della causa principale

8.     La FCE Bank ha per oggetto sociale lo svolgimento di attività finanziarie esenti dall’IVA. Essa provvede per conto delle sue sedi secondarie a servizi di consulenza, management, formazione del personale, trattamento dati, fornitura e gestione di servizi di software, il cui costo viene ripartito tra tali strutture.

9.     Stando all’esposizione dei fatti da parte della Corte Suprema di Cassazione, la FCE IT, un centro di attività stabile della FCE Bank in Italia, avrebbe proceduto ad un’autofatturazione a titolo delle operazioni di cui sopra, per gli anni 1996-1999. Dopo aver versato all’amministrazione italiana l’IVA corrispondente, la FCE IT ne ha richiesto il rimborso a causa del fatto che essa non avrebbe disposto di una personalità giuridica propria.

10.   Non avendo l’amministrazione italiana competente risposto a tale richiesta di rimborso e valendo tale silenzio come rifiuto implicito, la FCE IT ha proposto un ricorso dichiarato fondato. L’appello dell’amministrazione italiana contro tale decisione è stato rigettato. Il giudice competente ha ritenuto che le prestazioni in questione costituivano operazioni interne, effettuate in seno alla medesima entità giuridica e che, in quanto tali, non sono soggette all’IVA. Esso ha ritenuto che il costo dei servizi, imputato dalla società madre al centro di attività stabile, non rappresentava il corrispettivo di una prestazione di servizi, bensì una semplice attribuzione di costi all’interno della stessa società.

11.   Contro tale decisione il Ministero italiano dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso in cassazione. Esso ha fondato il suo ricorso sull’art. 7 del DPR, e ha fatto valere che ogni versamento effettuato in favore della società madre, in relazione ai servizi da essa forniti, viene considerato, in virtù dell’autonomia soggettiva d’imposta riconosciuta al centro di attività stabile, come corrispettivo e perciò costituisce base imponibile per l’applicazione dell’IVA.

III – Le questioni pregiudiziali

12.   Il giudice del rinvio afferma di trovarsi dinanzi ai seguenti due interrogativi, di cui il primo attiene all’esistenza di un rapporto giuridico rilevante ai fini dell’IVA tra la società madre ed il suo centro di attività stabile ed il secondo alla nozione di «prestazione a titolo oneroso».

13.   Per quanto riguarda il primo punto, la questione che si pone, secondo il giudice del rinvio, è quella di verificare se, rispetto alla normativa nazionale nonché all’art. 2 della sesta direttiva, il centro di attività stabile ovvero la filiale di un’impresa situata in uno Stato membro diverso da quello della società madre possa costituire un’entità indipendente e vedersi quindi riconoscere qualità di destinatario di una prestazione di servizi, soggetto all’IVA, poiché, stando alla giurisprudenza, una prestazione di servizi è imponibile solo allorquando sussista un rapporto giuridico tra il prestatore e il beneficiario di detta prestazione (5).

14.   In diritto interno la Corte Suprema di Cassazione rileva che, anche se le imprese non residenti che creano una stabile organizzazione in Italia devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese, una tale struttura e, in particolare, quella creata da un’impresa bancaria non possiede una personalità giurdica distinta da quella della società madre. I rapporti giuridici con i terzi sono imputati a quest’ultima.

15.   Ciononostante, in materia di imposizione diretta, per quanto concerne le imposte sul redditto, i centri di attività stabili di società non residenti sono soggetti a tassazione e le operazioni effettuate dal loro intermediario devono formare oggetto di una contabilità separata da quella della società madre. Il giudice del rinvio si interroga, a tal proposito, sulla pertinenza in materia di IVA del Modello di Convenzione fiscale sul redditto e sul patrimonio, predisposto dall’Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico (OCSE) (6) in relazione al suo art. 7 (7). Sottolinea che i commenti dell’OCSE, relativi a tale art. 7, menzionano espressamente le prestazioni di servizi, effettuate dalla società madre in favore della sua organizzazione stabile, come possibile fonte di spese suscettibili di essere imputate a detta organizzazione. Osserva, inoltre, che la convenzione in materia di doppia imposizione conclusa tra la Repubblica italiana ed il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord riproduce dette disposizioni del modello di convenzione OCSE.

16.   Il giudice del rinvio chiede ugualmente se la sussistenza di un accordo sulla distribuzione dei costi («cost-sharing agreement»), o perlomeno di un atto giuridico che attribuisca ad un centro di attività stabile il costo dei servizi che gli vengono forniti dalla società madre, possa rivelare la sussistenza di un rapporto giuridico, nel senso delineato dalla giurisprudenza della Corte, tra quest’ultima e detto centro.

17.   Di conseguenza, la questione da risolvere sarebbe quella di sapere se, all’interno dello stesso soggetto di diritto, possa esistere una struttura dotata di un’autonomia sufficiente perché si possa configurare un rapporto giuridico, da cui scaturiscano prestazioni soggette all’IVA. In caso affermativo, si pongono altri due quesiti, ossia, in che modo una tale autonomia possa essere accertata, nonché, se l’esistenza di un rapporto giuridico, nel senso inteso dalla giurisprudenza della Corte, debba essere valutata rispetto al diritto interno, ovvero sulla base dei principi dell’ordinamento giuridico comunitario, come pare emerga dalla sentenza 17 settembre 2002, Town and County Factors (8).

18.   Per quanto attiene alla nozione di «prestazioni a titolo oneroso», il giudice di rinvio si interroga sul fatto se l’imputazione dei costi e, eventualmente, un’imputazione parziale, possa, in assenza di utili d’impresa, costituire un corrispettivo nel senso enucleato dalla giurisprudenza.

19.   È alla luce di queste considerazioni che la Corte Suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli artt. 2, n. l, e 9, n. 1, della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che la filiale di una società avente sede in altro Stato (appartenente o non all’Unione europea), avente le caratteristiche di una unità produttiva, possa essere considerata soggetto autonomo, e quindi sia configurabile un rapporto giuridico tra le due entità, con conseguente soggezione ad IVA per le prestazioni di servizi effettuate dalla casa madre; se per la sua definizione possa essere utilizzato il criterio dell’“arm’s length” di cui all’art. 7, secondo e terzo comma, del modello di convenzione OCSE contro la doppia imposizione e della convenzione 21 ottobre 1988 tra Italia, Regno Unito e Irlanda del Nord; se sia configurabile un rapporto giuridico nell’ipotesi di un “cost-sharing agreement” concernente la prestazione di servizi alla struttura secondaria; nel caso affermativo, quali siano le condizioni per ritenere sussistente tale rapporto giuridico; se la nozione di rapporto giuridico debba trarsi dal diritto nazionale o dal diritto comunitario.

2)      Se il riaddebito dei costi di tali servizi alla filiale possa, e in quale misura, considerarsi corrispettivo dei servizi prestati, ai sensi dell’art. 2 della sesta direttiva, indipendentemente dalla misura del riaddebito e dal conseguimento di un utile d’impresa.

3)      Se, ove si ritengano le prestazioni di servizi tra casa madre e filiale in principio esenti da IVA per mancanza di autonomia del soggetto destinatario e conseguente non configurabilità di un rapporto giuridico tra le due entità, nel caso in cui la casa madre sia residente in altro Stato membro dell’Unione europea, una prassi amministrativa nazionale che ritenga, in tale ipotesi, 1’imponibilità della prestazione sia contraria al diritto di stabilimento, previsto dall’art. 43 del Trattato CE».

IV – Analisi

A –    Sulla portata delle questioni pregiudiziali

20.   I termini impiegati nelle questioni pregiudiziali possono dare luogo ad una certa ambiguità che va eliminata al fine di precisare la loro portata e di fornire risposte utili al giudice nazionale.

21.   Così, anzitutto, nelle questioni pregiudiziali e nella motivazione della sua decisione di rinvio, la Corte suprema di cassazione ha più volte impiegato il termine «filiale», il che potrebbe far pensare che la FCE IT sia una società creata conformemente al diritto italiano e che costituisca quindi un’entità giuridica distinta dalla FCE Bank.

22.   Dalla motivazione contentua nella decisione di rinvio, risulta, tuttavia, che il suddetto termine di «filiale» non deve essere inteso in senso proprio, bensì in quello, più generale, di sede secondaria. Il giudice del rinvio rileva, in effetti, che la FCE IT costituisce un centro di attività stabile della FCE Bank (9) e che il problema che si pone nella causa principale è quello di sapere in quale misura possa configurarsi, all’interno dello stesso soggetto di diritto, un rapporto giuridico che dia luogo a prestazioni soggette all’IVA (10).

23.   Inoltre, all’udienza, la FCE Bank ha precisato che la FCE IT costituisce una succursale ai sensi dell’art. 1, punto 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, 2000/12/CE (11), adottata al fine di realizzare il mercato interno nel settore di attività degli enti creditizi. Secondo la definizione enunciata in tale disposizione, la FCE IT si configura come una «sede di attività che costituisce parte, sprovvista di personalità giuridica, di un ente creditizio e che effettua direttamente, in tutto o in parte, le operazioni inerenti all’attività di ente creditizio».

24.   È al giudice del rinvio che compete verificare la natura giuridica esatta della FCE IT. In considerazione dell’insieme di detti elementi, sembra, tuttavia, assodato che si tratti di una sede secondaria che non costituisce un’entità giuridica distinta dalla società madre e che l’interrogativo posto dal giudice del rinvio nel presente procedimento consiste nel sapere se, e in quale misura, i servizi forniti in seno alla medesima entità giuridica debbano essere soggetti all’IVA.

25.   Come si è visto, il giudice del rinvio evidenzia poi che la FCE IT costituisce un centro di attività stabile della FCE Bank. Nel suo primo quesito pregiudiziale detto giudice richiede l’interpretazione dell’art. 2, punto 1, e 9, n. 1, della sesta direttiva, e va ricordato che, a tenore di quest’ultimo articolo, il luogo della prestazione di servizi coincide con il luogo dove il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione viene resa (12).

26.   Siffatta nozione di «centro di attività stabile» non viene definita nella sesta direttiva, ma si evince da una giurisprudenza consolidata che essa implica che la sede secondaria aperta in uno Stato membro, da una società non residente, disponga dei mezzi umani e tecnici necessari alla realizzazione di prestazioni di servizi corrispondenti all’oggetto sociale di detta società (13). Poiché solo al giudice nazionale investito della controversia e che deve assumersi la responsabilità della decisione giudiziaria da emanare compete valutare, tenuto conto delle peculiarità della causa, la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte (14), è opportuno ammettere che la FCE IT costituisca un centro di attività stabile ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva.

27.   Il primo quesito pregiudiziale verrà dunque esaminato partendo dalla premessa che la FCE IT sia una sede secondaria della FCE Bank in Italia, che non si configura come un’entità giuridica distinta e che costituisce in tale Stato un centro di attività stabile ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva.

B –    Sulla prima questione pregiudiziale

28.   Con la prima questione pregiudiziale il giudice a quo chiede, in sostanza, se gli artt. 2, punto 1, e 9, n. 1, della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che le prestazioni di servizi fornite da una società madre non residente ad una sede secondaria sita in uno Stato membro, la quale non si configura come entità giuridica distinta e che, ai sensi di quest’ultima disposizione, costituisce un centro di attività stabile in tale Stato, sono suscettibili di costituire operazioni imponibili a titolo di IVA, quando il costo di tali servizi sia stato addebitato a detto centro.

29.   Con tale quesito il giudice del rinvio mira a far dichiarare se siffatta sede secondaria possa essere considerata come dotata, rispetto alla società madre non residente, di autonomia sufficiente perchè sia tra esse configurabile un rapporto giuridico che consenta di qualificare le operazioni realizzate in seno alla medesima entità giuridica come prestazioni di servizi soggette all’IVA.

30.   Esso domanda, in tale contesto, se tale autonomia possa desumersi dai presupposti, previsti nel modello di convenzione OCSE, per l’imposizione, nello Stato ospitante, degli utili ivi realizzati dalla società interessata per mezzo di un suo centro di attività stabile, nonché dalla sussistenza di un «cost sharing agreement», ovvero di un atto in virtù del quale il costo dei servizi forniti dalla società madre venga imputato su tali utili. Esso si pone ugualmente il quesito se tale nozione di rapporto giuridico debba essere valutata con riferimento al diritto interno o al diritto comunitario.

31.   Il governo italiano e quello portoghese sostengono che i servizi forniti da una società madre al suo centro di attività stabile debbano essere considerati prestazioni soggette all’IVA, in quanto, secondo le parti intervenienti, il centro di attività stabile deve essere considerato soggetto passivo autonomo nello Stato ospitante.

32.   Il governo italiano fonda tale analisi sulle disposizioni di cui all’art. 9, n. 1, della sesta direttiva, nonché su quelle di cui all’art. 1 dell’ottava direttiva del Consiglio 79/1072/CEE (15), in virtù delle quali «[a]i fini dell’applicazione della presente direttiva, si considera soggetto passivo non residente all’interno del paese, il soggetto passivo di cui all’art. 4, n. 1 [della sesta direttiva] che (...) non ha fissato in tale paese né la sede della propria attività economica né un centro di attività stabile dal quale le operazioni sono svolte (…)». Esso ne deduce che, sebbene la società madre e la sua succursale rientrino nella stessa persona giuridica, esse costituiscono soggetti passivi distinti sul piano fiscale e, in particolare, per quanto riguarda l’IVA.

33.   Quanto al governo portoghese, esso ricorda che il campo di applicazione dell’IVA non è riservato ad entità dotate di personalità giuridica e che la nozione di soggetto passivo dell’IVA, quale definita all’art. 4, n. 1, della sesta direttiva, deve consentire di ricomprendere soggetti non dotati di personalità giuridica propria ma che operano con una certa indipendenza. In seguito, esso afferma che la definizione, da parte della Corte, della nozione di centro di attività stabile non dipende da criteri riconducibili al diritto interno, bensì dalla condizione che tale organizzazione disponga dei mezzi umani e tecnici sufficienti per svolgere un’attività economica in modo autonomo. Infine, esso ritiene che, malgrado il suo elevato livello di armonizzazione, l’IVA rimanga un’imposta nazionale e che, di conseguenza, l’attribuzione della qualità di soggetto passivo dipenda esclusivamente dalla normativa interna di ogni Stato membro. Da tali considerazioni esso deduce che un centro di attività stabile debba essere considerato soggetto passivo autonomo, distinto dalla società madre, pur essendo parte integrante di un soggetto dotato di «personalità giuridica unica ed indivisibile»,.

34.   Non condivido gli argomenti esposti dalle suddette parti intervenienti. Al pari della ricorrente, del governo del Regno Unito e della Commissione delle Comunità europee, sono dell’avviso che i servizi forniti in seno alla medesima entità giuridica non possano costituire prestazioni di servizi soggette all’IVA, anche se il loro costo viene ripartito tra i vari centri di attività stabili. Tale analisi poggia su argomenti qui di seguito sviluppati.

35.   È certamente pacifico che la sesta direttiva determini una sfera di applicazione dell’IVA molto vasta, poiché si applica a tutte le attività economiche, nonché a ogni stadio di distribuzione e commercializzazione (16). L’art. 2, punto 1, di tale direttiva contempla quindi il complesso di cessioni di beni e di prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale. Nel caso di specie, è assodato che operazioni quali i servizi di consulenza, di management, di formazione del personale, di elaborazione dati, nonché di fornitura e gestione di software possano costituire operazioni imponibili ai sensi dell’art. 6, n. 1, della sesta direttiva, allorquando vengano effettuate a titolo oneroso da un soggetto passivo (17).

36.   Tale impostazione della sesta direttiva si esprime parimenti nel suo art. 4, n. 1, che definisce il soggetto passivo come «chiunque» eserciti in modo indipendente e in qualsiasi luogo un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Come rammentato, a giusto titolo, dal governo portoghese, la nozione di soggetto passivo non ricomprende quindi solamente le persone fisiche e giuridiche, ma può altresì applicarsi ad un’entità sprovvista di personalità giuridica (18).

37.   Da tali elementi può ugualmente dedursi che la sussistenza di un’operazione imponibile a titolo di IVA è una realtà oggettiva, poiché non dipende né dai fini perseguiti dal suo autore né dai risultati di tale operazione. Essa non deve neppure essere soggetta a particolari requisiti di forma o criteri relativi agli effetti giuridici di una convenzione tra il prestatore di un servizio ed il beneficiario di quest’ultimo i quali possono variare da uno Stato membro all’altro. Come ricordato dal governo italiano, è stato pertanto dichiarato che l’esistenza di una prestazione di servizi a titolo oneroso non può dipendere dalla possibilità che alle obbligazioni gravanti sul prestatore sia data esecuzione forzata, di modo che si configura un rapporto giuridico nel senso delineato nella sentenza Tolsma sopra citata, anche se l’obbligazione di detto prestatore non è suscettibile di esecuzione forzata (19).

38.   Alla luce del sistema comunitario dell’IVA, non ritengo, ciononostante, che possano sussistere, in seno alla stessa entità giuridica, soggetti di diritto sufficientemente autonomi per essere considerati come due soggetti passivi, alla stregua di quanto invece sostenuto dai governi italiano e portoghese. Da un lato, appare difficile ammettere, ai sensi dell’art. 4, n. 1, della sesta direttiva, che un centro di attività stabile possa essere considerato come agente in modo indipendente rispetto alla sua società madre. Dall’altro, un centro di attività stabile, ai sensi dell’art. 9, n. 1, della medesima direttiva, non costituisce un soggetto passivo distinto dalla sua società madre.

39.   Quanto al primo punto, giova rammentare che nella sesta direttiva la nozione d’indipendenza di cui all’art. 4, n. 1, di quest’ultima, cui è subordinata la qualità di soggetto passivo, forma soltanto oggetto di una definizione negativa di cui al paragrafo 4, primo comma, dello stesso articolo. In virtù di tale definizione, non vi è indipendenza laddove sussista un rapporto di subordinazione paragonabile a quello creato da un contratto di lavoro tra il lavoratore subordinato ed il suo datore di lavoro. Tale disposizione cita tre criteri che attengono alla sussistenza di una situazione di dipendenza nelle condizioni di lavoro e di retribuzione nonché in materia di responsabilità.

40.   In applicazione di tali criteri, la Corte ha dichiarato che notai e ufficiali giudiziari esercitano la loro attività in modo indipendente allorché agiscono per conto proprio e ne sono personalmente responsabili, organizzano liberamente le modalità di esecuzione del loro lavoro e riscuotono in nome proprio gli emolumenti costituenti i loro redditi (20). Essa ha giudicato, parimenti, che l’attività svolta in Spagna da esattori, nominati dagli enti locali per riscuotere le imposte, doveva essere considerata come attività economica esercitata a titolo indipendente e assoggettata all’IVA (21). In particolare, essa ha anche ritenuto che per quanto riguarda le condizioni di retribuzione non sussisteva un vincolo di subordinazione «in quanto [sugli stessi] esattori [gravava] il rischio economico della loro attività, posto che l’utile che essi ne retraggono dipende, oltre che dall’ammontare dei tributi riscossi, anche dai costi connessi all’organizzazione del personale e dei beni strumentali, necessari per la loro attività (22)».

41.   È sulla base dei medesimi criteri che, nella citata sentenza Heerma, la Corte ha deciso che l’interessato aveva la qualità di soggetto passivo. Si trattava di determinare se la locazione di un bene immobile ad una società di persone di diritto olandese, da parte di un socio della stessa società, costituisse un’operazione soggetta all’IVA. Il governo dei Paesi Bassi adduceva che il sig. Heerma non poteva essere considerato soggetto passivo ai sensi dell’art. 4, n. 1, della sesta direttiva, in quanto la locazione in questione si risolveva in un’operazione a circuito chiuso, essendo il locatore, nella sua qualità di socio, corresponsabile dell’osservanza degli obblighi derivanti alla società conduttrice dal contratto di locazione.

42.   La Corte ha rilevato che tra il sig. Heerma e la società conduttrice non esistessero vincoli di subordinazione analoghi a quelli menzionati all’art. 4, n. 4, primo comma, della sesta direttiva. Secondo la Corte, dando in locazione un bene materiale alla società, il sig. Heerma agisce in nome proprio, per conto proprio e sotto la propria responsabilità, quand’anche sia nel contempo amministratore della società conduttrice. Essa ha constatato, inoltre, che tale società di persone di diritto olandese, pur non essendo dotata di personalità giuridica, possiede, di fatto, l’indipendenza di una società e compie attività economiche in maniera indipendente, cossiché, per l’esercizio di queste, è essa stessa a trovarsi soggetta all’IVA (23).

43.   In considerazione di questi criteri e della loro applicazione da parte della giurisprudenza, mi pare difficilmente immaginabile che in seno alla medesima entità giuridica un centro di attività stabile possa disporre di un’autonomia sufficiente per agire per conto proprio, sotto la propria responsabilità e sopportare da solo i rischi economici connessi alle proprie attività. Come sottolineato dal governo portoghese, la qualità di soggetto passivo non è certamente subordinata alla condizione che l’impresa disponga di personalità giuridica. Tuttavia, tale considerazione non sembra determinante nell’ipotesi in esame. Si tratta, infatti, di valutare se un centro di attività stabile, costituente parte integrante di un’entità giuridica dotata di personalità giuridica, possa apparire indipendente rispetto a tale entità, ai sensi dell’art. 4, n. 1, primo comma, della sesta direttiva, ed essere assimilato a qualsiasi altro soggetto passivo dell’IVA, al quale la società madre fornirebbe prestazioni di servizi. Mi sembra che, in tale ipotesi, l’assenza di personalità giuridica propria della sede secondaria osti alla facoltà di tale struttura di agire in maniera autonoma.

44.   A mio parere, una conferma di tale analisi può essere ravvisata nella sentenza DFSA, sopra citata, nella quale la Corte si è interrogata sulla nozione di indipendenza a proposito delle relazioni tra una società di persone di diritto danese svolgente attività di agenzia di viaggi e la sua filiale inglese. La Corte ha constatato che tali società non erano indipendenti, pur disponendo la filiale di propria personalità giuridica ed appartenendole i locali, in quanto dalle indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, in particolare dal fatto che la DFDS detenesse l’intero capitale sociale di detta filiale e dall’esistenza di vari obblighi contrattuali imposti da detta società emergeva che la filiale agiva come semplice ausiliaria di quest’ultima (24).

45.   Se una filiale dotata di personalità giuridica propria deve, in funzione della realtà delle relazioni che la vincolano alla società madre, essere considerata come semplice ausiliaria di questa, un centro di attività stabile che faccia parte integrante della società non può, a fortiori, costituire un’entità indipendente ed essere trattato come soggetto passivo autonomo. Come osservato dalla Commissione, le operazioni effettuate all’interno di un gruppo tra una società madre ed una sede secondaria non immatricolata nello Stato di stabilimento come entità giuridica distinta creata conformemente al diritto di tale Stato, non dovrebbero, in linea di principio, costituire prestazioni soggette all’IVA (25).

46.   Le relazioni tra la società madre ed una succursale come la FCE IT possono ugualmente rappresentare una buona illustrazione del suddetto principio. Per definizione, la seconda non costituisce altro che una semplice sede di attività sprovvista di personalità giuridica. Si rileva che essa non svolge le sue attività per conto proprio, ma in quanto emanazione dell’ente creditizio che grazie all’autorizzazione ottenuta nello Stato d’origine dispone, in virtù della direttiva 2000/12, del diritto di esercitare le sue attività nello Stato membro mediante una succursale (26). Quest’ultima non ha neppure un patrimonio proprio (27). Del pari, se si esamina il criterio della responsabilità, si deve giocoforza constatare, anche in tale sede, che i rischi economici connessi all’esercizio dell’attività di ente creditizio, quale, per esempio, il mancato rimborso di un prestito da parte di un cliente, non gravano sulla succursale stessa. È l’ente creditizio nel suo insieme che sopporta tale rischio e che per tale motivo è sottoposto ad un controllo di solidità finanziaria e di solvibilità nello Stato membro d’origine.

47.   A mio parere, i servizi forniti dalla società madre a siffatto centro di attività stabile devono essere dunque analizzati come prestazioni che l’impresa ha deciso, nell’ambito della sua politica interna, di fare realizzare dai suoi propri dipendenti per le varie sedi di attività. La circostanza che la sede di attività in esame si situi in un altro Stato membro non rimette in causa il fatto che si tratti di servizi effettuati da un’impresa con il suo proprio personale e per i suoi propri bisogni.

48.   Quest’ultima affermazione mi induce ad esaminare il secondo punto sul quale sono in disaccordo con il governo italiano e quello portoghese. Contrariamente a tali governi, non ritengo che un centro di attività stabile, ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva, costituisca un soggetto passivo autonomo, distinto dalla sua società madre non residente.

49.   L’art. 9, n. 1, della sesta direttiva, letto in combinato disposto con il settimo ‘considerando’ della medesima direttiva, mira ad instaurare un criterio generale di collegamento delle prestazioni di servizi al fine di evitare conflitti di competenza tra Stati membri, nonché casi di doppia imposizione o di mancata imposizione all’IVA. Ai sensi dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva, così come interpretato dalla giurisprudenza, una prestazione di servizio deve essere tassata nel luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della sua attività economica, salvo il caso in cui tale punto di riferimento non conduca ad una soluzione razionale dal punto di vista fiscale o crei un conflitto con un altro Stato membro (28). La Corte ne ha desunto che il riferimento di una prestazione di servizi ad un centro di attività diverso dalla sede vada considerato solo se tale centro presenti un grado sufficiente di permanenza ed una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a fornire le prestazioni considerate (29).

50.   Il riferimento della prestazione di servizi a tale centro di attività stabile è perciò semplicemente teso al rispetto del principio fondamentale del sistema comune dell’IVA secondo il quale esso deve essere applicato aderendo il più possibile alla realtà economica (30). L’applicazione dell’art. 9, n.1, della sesta direttiva ha pertanto lo scopo di procedere alla localizzazione dell’operazione imponibile quando questa riveste carattere transfrontaliero, in ragione delle implicazioni finanziarie che la riscossione dell’IVA comporta per gli Stati membri e delle divergenze che possono esistere nelle loro rispettive legislazioni per quanto riguarda aliquote ed esenzioni.

51.   Tuttavia, a mio avviso, la circostanza che un centro di attività stabile comporti quindi, in modo duraturo, un complesso di mezzi umani e materiali che consentono la realizzazione di prestazioni di servizi ai clienti dell’impresa non giustifica il fatto che esso venga considerato nel senso che svolge le sue attività in modo indipendente rispetto alla società madre, ai sensi dell’art. 4, nn. 1 e 4, della sesta direttiva, nonché che vada considerato soggetto passivo distinto.

52.   Tale tesi del governo portoghese viene contraddetta dalla citata sentenza DFDS, dalla quale risulta chiaramente che un centro di attività stabile è, per sua natura, una sede secondaria che non fruisce di uno status indipendente rispetto alla società madre (31). Siffatta analisi, svolta con riferimento ad una filiale, che disponendo di una propria personalità giuridica, costituiva dunque un’entità giuridica distinta dalla sua società madre, ma, di fatto, agiva come semplice ausiliaria di questa, sembra imporsi, a fortiori, nel caso di un centro di attività stabile, sprovvisto di personalità giuridica propria e che costituisce semplicemente una sede di attività.

53.   Come rilevato dal governo del Regno Unito, ammettere la tesi sostenuta dal governo portoghese comporterebbe che le disposizioni di cui all’art. 9, n. 1, sarebbero prive di utilità. Infatti, se il centro di attività stabile fosse esso stesso un soggetto passivo autonomo, distinto dalla società madre, basterebbe dare applicazione alle disposizioni di cui all’art. 22 della sesta direttiva, in virtù delle quali ogni soggetto passivo deve essere registrato nello Stato in cui svolge le sue attività.

54.   L’art. 1 della direttiva 79/1072 (32) sembra confermare tale analisi. Da tale disposizione emerge, a mio parere, che un’impresa che ha nello Stato membro ospitante un centro di attività stabile venga ivi considerato soggetto passivo. Detta disposizione corrobora dunque, a contrario, l’idea secondo la quale un centro di attività stabile non costituisce un soggetto passivo autonomo, distinto dall’impresa di cui fa parte, ma consente il collegamento di tale impresa allo Stato ospitante. Il governo italiano sembra pertanto dare a tale regola un’interpretazione erronea allorquando si basa su di essa per trattare un centro di attività stabile come soggetto passivo autonomo (33).

55.   Dall’insieme di tali considerazioni si evince ugualmente, come sostenuto dal governo del Regno Unito all’udienza, che una medesima entità giuridica non possa che costituire un unico soggetto passivo.

56.   Un primo elemento di conferma di tale analisi si riscontra nell’art. 4, n. 4, secondo comma, della sesta direttiva, in base al quale, con riserva di consultazione del comitato dell’IVA di cui all’art. 29 della medesima, ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all’interno del paese che sono giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi. Come evidenziato dal governo del Regno Unito, tale disposizione può essere intesa, a contrario, nel senso che una medesima persona giuridica non possa che costituire un’unico soggetto passivo.

57.   La medesima analisi si trova ancora confermata dalla presenza, nella sesta direttiva, di più disposizioni riguardanti ipotesi in cui un soggetto passivo effettui cessioni di beni o fornisca servizi per i bisogni della propria impresa. È opportuno citare, a tal riguardo, l’art. 28 bis, n. 5, lett. b), ai sensi del quale una cessione di beni a titolo oneroso viene assimilata al «trasferimento da parte di un soggetto passivo di un bene della sua impresa a destinazione di un altro Stato membro». Al pari della Commissione e a differenza del governo portoghese, sono piuttosto incline a pensare che l’introduzione di tale disposizione da parte del legislatore dimostri, a contrario, che un tale trasferimento non costituisce, in via di principio, una cessione di beni a titolo oneroso.

58.   La medesima constatazione può essere fatta riguardo alle prestazioni di servizi, poiché, ai sensi dell’art. 6, n. 3, della sesta direttiva, per prevenire le distorsioni di concorrenza e salva la consultazione del comitato dell’IVA, gli Stati membri possono assimilare ad una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso l’esecuzione da parte di un soggetto passivo di un servizio per i bisogni delle sua impresa, qualora l’esecuzione di detto servizio da parte di un altro soggetto passivo non gli dia diritto alla deduzione totale dell’IVA.

59.   Tale disposizione contempla l’ipotesi in cui, come nel caso di specie, un’impresa svolga attività esenti dall’IVA. L’esercizio di attività esenti implica che il costo delle prestazioni fornite dall’impresa ai suoi clienti non venga maggiorato da tale imposta e che detta impresa non sia autorizzata a richiedere il rimborso dell’IVA assolta a monte per l’esercizio di dette attività. In tale ipotesi, il legislatore comunitario ha pertanto previsto all’art. 6, n.3, della sesta direttiva che uno Stato membro possa, salva la consultazione del comitato dell’IVA, decidere che le prestazioni di servizi effettuate dall’impresa per i bisogni di un centro di attività stabile siano soggette all’IVA al fine di evitare distorsioni di concorrenza, in quanto, se essa avesse acquisito tali servizi presso un altro soggetto passivo, non avrebbe potuto ripercuotere quest’ultima sui propri clienti.

60.   A mio avviso, il fatto che la sesta direttiva contenga più disposizioni che prevedono espressamente in quali condizioni le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo per i suoi bisogni professionali o privati siano assimilabili a prestazioni di servizi a titolo oneroso, tende a confermare che, al di fuori di tali ipotesi particolari, tali prestazioni non costituiscono operazioni imponibili ai fini dell’imposta di cui trattasi.

61.   Infine, non ritengo neppure che i presupposti d’imposizione degli utili realizzati nello Stato di stabilimento mediante un centro di attività stabile, di cui all’art. 7 del modello di convenzione OCSE, possano rimettere in questione tale analisi. Dette regole, applicabili in materia di imposte dirette, non presentano un carattere pertinente per l’applicazione del sistema comune dell’IVA. E’ noto che le imposte dirette rientrano nella sovranità degli Stati membri. Questi possono dunque prevedere di tassare le società stabilite sul loro territorio, anche per quanto riguarda gli utili da esse ottenuti nell’ambito delle loro attività in un altro Stato membro. Gli Stati possono del pari stabilire di tassare le società che, nel loro territorio, svolgano un’attività tramite un centro di attività stabile.

62.   La ratio dell’art. 7, n. 2, del modello di convenzione OCSE, i cui termini vengono ripresi all’art. 4, n. 2, della convenzione 90/436/CEE, adottata dagli Stati membri in applicazione dell’art. 293 CE (34), è quella di ripartire convenzionalmente la competenza tributaria tra gli Stati firmatari onde evitare la doppia imposizione degli utili delle imprese allorché queste esercitino attività internazionali. Secondo il sistema previsto al paragrafo 1 di tale articolo, lo Stato di residenza dell’impresa assoggetta a tassazione tutti gli utili di questa, salvo che essa eserciti le sue attività in un altro Stato firmatario tramite un’organizzazione stabile (35). In tale ipotesi, la permanenza della sede secondaria nel territorio dello Stato ospitante consente di ricollegare tale organismo alla sovranità fiscale di tale Stato. Gli utili che l’impresa ha ottenuto tramite detta organizzazione stabile sono dunque tassati dallo Stato in cui è situata. Secondo l’art. 7, n. 2, del modello di convenzione OCSE, a detta organizzazione stabile vanno attribuiti gli utili che si ritiene sarebbero stati conseguiti se si fosse trattato di «un’impresa distinta (…) che tratta in piena indipendenza con l’impresa di cui costituisce una organizzazione stabile».

63.   Così come risulta dai termini della disposizione in parola, questa si applica soltanto allorquando la sede secondaria non costituisca un’impresa distinta che tratti in piena indipendenza con la società madre. Detta disposizione mira dunque ad imputare a tale organizzazione stabile quella parte di utili che l’impresa ha realizzato tramite il suo intermediario, come se tale organizzazione stabile fosse stata un’impresa autonoma fittizia. Il fatto che in materia di imposizione diretta, per il calcolo dell’imposta sugli utili, l’organizzazione stabile di una società non residente venga trattata come impresa autonoma, secondo me, non deve, tuttavia, condurre a ritenere che essa costituisca un’impresa indipendente ai sensi del sistema comune dell’IVA.

64.   Da un lato, in effetti, siffatto sistema poggia su nozioni armonizzate a livello comunitario, quali la nozione di soggetto passivo, il cui contenuto, in materia di imposte dirette sugli utili, non può variare in funzione delle disposizioni nazionali, senza rimettere in causa la finalità della sesta direttiva. Dall’altro, il principio dell’«arm’s length», di cui all’art. 7, n. 2, del modello di convenzione OCSE, si fonda su una finzione giuridica, giacché consiste nel trattare l’organizzazione stabile alla stregua di un’impresa indipendente mentre non lo è. Orbene, nel sistema comune dell’IVA, la presa in considerazione della realtà economica costituisce un criterio fondamentale (36). È, segnatamente, in ossequio a tale principio che la base imponibile per l’applicazione dell’imposta di cui trattasi deve corrispondere a quanto realmente ricevuto come corrispettivo del servizio reso e non ad un valore determinato in funzione di criteri oggettivi (37). Basarsi su una finzione giuridica e trattare un’operazione interna alla stregua di un’operazione realizzata tra due entità indipendenti sarebbe dunque in contrasto con tale sistema.

65.   Nello stesso senso, non ritengo neppure che l’imputazione del costo dei servizi in questione sugli utili realizzati nello Stato membro ospitante tramite un’organizzazione stabile possa dimostrare la sussistenza di un rapporto giuridico nel senso stabilito dalla giurisprudenza in materia di IVA. Tale imputazione del costo dei suoi servizi sulla parte degli utili dell’impresa attribuita alla sua organizzazione stabile rappresenta, per gli Stati interessati, il corrispettivo logico ed equo di tale distribuzione degli utili. Si tratta, altresì, di ripartire tra gli Stati le spese generali prodotte dall’impresa per lo svolgimento delle sue attività. Così, l’art. 7, n. 3, del modello di convenzione OCSE dispone che, nella determinazione degli utili di una stabile organizzazione, sono ammesse in deduzione le spese sostenute per l’esercizio delle attività realizzate da quest’ultima, comprese le spese di direzione e le spese generali di amministrazione, nello Stato in cui è situata la stabile organizzazione, o altrove. L’imputazione alla stabile organizzazione del costo dei servizi che le vengono forniti, risulta, dunque, semplicemente dal calcolo degli utili imponibili nello Stato di stabilimento e non dimostra neppure che tale organizzazione costituisca un’entità indipendente dalla sua società madre.

66.   Il giudice del rinvio domanda, a tal riguardo, quale potrebbe essere la rilevanza di un «cost sharing agreement». Esso non fornisce, tuttavia, alcun elemento preciso su ciò cui, nelle circostanze della causa principale, tale espressione si riferisce e, in particolare, sull’accordo che risulterebbe descritto dal termine «agreement». Ad ogni modo, anche qualora, nell’ambito della sua politica interna, l’impresa avesse formalizzato, in un atto, la ripartizione tra le sue organizzazioni stabili del costo dei servizi di direzione, delle spese generali di amministrazione nonché delle spese prodotte dalla fornitura di servizi quali quelli in esame, non si dimostrerebbe ulteriormente che dette strutture costituiscano entità indipendenti.

67.   Infine, come ricordato dal governo del Regno Unito all’udienza, è importante che il sistema comune dell’IVA, tenuto conto delle conseguenze finanziarie che può avere per gli operatori economici, sia sicuro e che la sua applicazione sia prevedibile. Il criterio della personalità giuridica propria della sede secondaria sembra idoneo a soddisfare siffatte esigenze. Esso consente alle società di uno Stato membro, che desiderino svolgere le loro attività in un altro Stato membro, di sapere che i servizi scambiati con la loro sede secondaria non saranno, in linea di principio, soggetti all’IVA qualora decidano di esercitare il loro diritto di stabilimento mediante un’organizzazione stabile e non mediante una società iscritta, secondo la normativa dello Stato ospitante, come entità giuridica distinta.

68.   Alla luce dell’insieme di queste considerazioni, suggerisco alla Corte di risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che gli artt. 2, punto 1, e 9, n. 1, della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che, al di fuori delle eccezioni previste dalla sesta direttiva, le prestazioni di servizi fornite da una società madre non residente ad una sede secondaria in uno Stato membro, che non sia iscritta in tale Stato come entità giuridica distinta e che costituisca un centro di attività stabile, ai sensi di quest’ultima disposizione, non sono suscettibili di costituire operazioni imponibili a titolo di IVA, anche quando il costo di tali servizi sia stato imputato a tale centro.

C –    Sulla seconda questione pregiudiziale

69.   La seconda questione pregiudiziale deve essere interpretata nel senso che il giudice del rinvio domanda se, ed eventualmente in quale misura, l’imputazione del costo di tali servizi ad una sede secondaria possa essere considerata come corrispettivo, ai sensi dell’art. 2 della sesta direttiva, indipendentemente dalla misura dell’imputazione e dal conseguimento di un utile d’impresa.

70.   Tale questione presenta un’utilità per la soluzione da apportare alla causa principale solo ammettendo che i servizi in questione siano soggetti all’IVA. Poiché ho proposto alla Corte di dichiarare che tali servizi non possono costituire prestazioni imponibili a titolo di IVA, non si pone la questione attinente al fatto se e, in quale misura, l’imputazione delle spese conferisca un carattere oneroso all’operazione. A mio giudizio, pertanto, non occorre esaminare tale questione.

D –    Sulla terza questione pregiudiziale

71.   Con la terza questione pregiudiziale il giudice a quo chiede, in sostanza, se sia contraria al principio della libertà di stabilimento sancito dall’art. 43 CE la prassi di uno Stato membro che assoggetta all’IVA i servizi forniti ad un centro di attività stabile da una società madre con sede in un altro Stato membro.

72.   La ricorrente, il governo del Regno Unito nonché la Commissione propongono di dare a tale questione una soluzione affermativa. Le parti sopra citate sostengono che una prassi del genere costituisce una discriminazione contraria al Trattato CE qualora, come sembra essere il caso nella presente fattispecie, essa riguardi i centri di attività stabili di società non residenti e non quelli delle società nazionali. Esse mettono ugualmente in rilievo che, anche qualora tale prassi fosse applicata indistintamente ai centri di attività stabili di società residenti e non residenti, essa costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento che nessun interesse generale potrebbe giustificare, in quanto la stessa prassi sarebbe in contrasto con la sesta direttiva.

73.   Quanto ai governi italiano e portoghese, essi affermano che una prassi del genere non è incompatibile con il Trattato, dal momento che hanno sostenuto la tesi secondo la quale essa è conforme alla sesta direttiva.

74.   Per quanto mi riguarda, nutro i più grandi dubbi circa la ricevibilità di tale questione pregiudiziale. Non si vede, infatti, di quale rilevanza possa essere ai fini della soluzione della causa principale. A differenza delle imposte dirette, l’IVA forma oggetto di armonizzazione comunitaria ad opera, segnatamente, della sesta direttiva. Laddove venga constatato che una normativa o prassi nazionale sia in contrasto con essa, non sembra necessario esaminare altresì se la stessa sia contraria alle libertà fondamentali previste dal Trattato, quali la libertà di stabilimento. Inoltre, il giudice del rinvio non ha indicato per quali ragioni occorrerebbe esaminare suddetta questione.

75.   Di conseguenza, non ritengo opportuno risolvere la terza questione pregiudiziale.

V –    Conclusione

76.   Sulla scorta delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sottoposte dalla Corte Suprema di Cassazione nei seguenti termini:

«Gli artt. 2, punto 1, e 9, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’imposta sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, devono essere interpretati nel senso che, al di fuori delle eccezioni previste da tale direttiva, le prestazioni di servizi fornite da una società madre non residente ad una sede secondaria sita in uno Stato membro, che non sia iscritta in detto Stato come entità giuridica distinta e che costituisca un centro di attività stabile, ai sensi di quest’ultima disposizione, non sono suscettibili di costituire operazioni imponibili a titolo di IVA, anche allorquando il costo di questi servizi sia stato imputato a tale centro».


1  – Lingua originale: il francese.


2  – In prosieguo «l’IVA».


3  – Direttiva 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’imposta sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), quale modificata dalla direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376, pag. 1, in prosieguo: la «sesta direttiva»).


4  – In prosieguo: la «FCE Bank».


5  – Il giudice del rinvio fa riferimento, in particolare, alla sentenza 3 marzo 1994, causa C-16/93, Tolsma (Racc. pag. I-743), nella quale la Corte ha precisato che la correlazione diretta tra la prestazione fornita e la controprestazione ricevuta, necessaria alla sussistenza di una prestazione di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva, deve assumere la forma di un rapporto giuridico. Si trattava di sapere se un musicista che si esibisce sulla pubblica via e che riceve delle oblazioni da passanti compia una prestazione di servizio a titolo oneroso, ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva. La Corte ha statuito, secondo una formula in seguito spesso ripresa dalla giurisprudenza, che una prestazione configura una base imponibile soltanto quando tra il prestatore e l’utente intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente. Essa ha considerato che questi presupposti non ricorrevano nel caso di specie in quanto le oblazioni dei passanti non costituivano il corrispettivo di un servizio reso. Non ricorreva, infatti, alcuna pattuizione tra le parti giacché i passanti versavano spontaneamente un obolo del quale stabilivano l’ammontare a loro arbitrio. Non sussisteva dunque alcuna correlazione necessaria tra la prestazione musicale e le oblazioni ad esse conseguenti, giacchè i passanti non chiedevano che il musicista suonasse per loro e versavano delle somme non già in funzione della prestazione musicale, bensì in funzione di motivazioni soggettive.


6  – Modello aggiornato al 29 aprile 2000 ad opera del Comitato degli Affari fiscali dell’OCSE, Volume I, in prosieguo: il «modello di convenzione OCSE».


7  – L’art. 7, n. 2, del modello di convenzione OCSE così recita: «(…) quando un’impresa di uno Stato contraente svolge la sua attività nell'altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di un’impresa distinta e separata svolgente attività identiche o analoghe, in condizioni identiche o analoghe e in piena indipendenza dall’impresa di cui costituisce una stabile organizzazione».


Il paragrafo 3 del medesimo articolo così dispone:


«Nella determinazione degli utili di una stabile organizzazione, sono ammesse in deduzione le spese sostenute per gli scopi perseguiti dalla stabile organizzazione, comprese le spese di direzione e le spese generali di amministrazione, nello Stato in cui è situata la stabile organizzazione, o altrove».


8  – Causa C-498/99 (Racc. pag. I-7173, punti 21 e 22).


9  – V. decisione di rinvio, punto 5.1.


10 – Ibidem, punto 5.5.


11 – Direttiva 20 marzo 2000, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (GU L 126, pag. 1).


12 – Il corsivo è mio.


13 – V. sentenze 4 luglio 1985, causa 168/84, Berkholz (Racc. pag. 2251, punto 18); 20 febbraio 1997, causa C-260/95, DFDS (Racc. pag. I-1005, punto 20); 17 luglio 1997, causa C-190/95, ARO Lease (Racc. pag. I-4383, punto 15), e 7 maggio 1998, causa C-390/96, Lease Plan Luxembourg (Racc. pag. I-2553, punto 24).


14 – V., segnatamente, sentenza 1° aprile 2004, causa C-286/02, Bellio F.lli (Racc. pag. I-3465, punto 27, nonché la giurisprudenza ivi citata).


15 – Direttiva 6 dicembre 1979, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri realtive alle imposte sulla cifra d’affari – Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese (GU L 331, pag. 11).


16 – V. sentenza 15 giugno 1989, causa 348/87, Stichting Uitvoering Financiële Acties (Racc. pag. 1737, punto 10).


17 – V., in tal senso, sentenza 14 novembre 2000, causa C-142/99, Floridienne et Berginvest (Racc. pag. I-9567, punto 19).


18 – V., a proposito di una società di persone di diritto olandese, sentenza 27 gennaio 2000, causa C-23/98, Heerma (Racc. pag. I-419, punto 8).


19 – V. cit. sentenza Town and County Factors (punto 21), relativa alla questione se i servizi a titolo oneroso debbano essere soggetti all’IVA laddove il prestatore si era impegnato a fornire gli stessi solo sull’onore.


20 – V. sentenza 26 marzo 1987, causa 235/85, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. 1471, punto 14).


21 – V. sentenza 25 luglio 1991, C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, (Racc. pag. I-4247, punti 11-15).


22 – Ibidem, punto 13.


23 – V. cit. sentenza Heerma (punto 8).


24 – V. cit. sentenza DFDS (punto 26).


25 – La suesposta posizione della Commissione si trova parimenti espressa nella presentazione della sua proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi [COM(2003) 822 def.], poiché ha proposto al Consiglio di aggiungere all’art. 6 della medesima il seguente paragrafo 6:


«Se una singola persona giuridica ha costituito varie stabili organizzazioni, i servizi resi tra queste sedi non sono considerati prestazioni di servizi».


Può essere interessante rilevare che il Comitato economico e sociale europeo, nel suo parere in merito a tale proposta, non presenta detto punto come modifica della sesta direttiva, ma come richiamo sul modo in cui essa dovrebbe essere applicata. [Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi COM(2003) 822 def – 2003/0329 CNS (GU 2004, C 117, pag. 15)].


26 – L’armonizzazione delle condizioni di autorizzazione e di controlli cautelativi per l’accesso all’attività di ente creditizio ed al suo esercizio è tesa a consentire a qualsiasi ente creditizio autorizzato e controllato dalle autorità competenti di uno Stato membro ad esercitare le attività coperte da detta autorizzazione nel territorio di un altro Stato membro tramite lo stabilimento di una succursale o mediante prestazioni di servizi (v. quattordicesimo ‘considerando’, nonché l’art. 18 della direttiva 2000/12 ).


27 – Ai sensi dell’art. 13 della direttiva 2000/12, lo Stato membro ospitante non può neppure esigere che una succursale di enti creditizi, già autorizzata, disponga di un fondo di dotazione.


28 – V. citate sentenze Berkholz (punto 17); 2 maggio 1996, causa C-231/94, Faaborg-Gelting Linien (Racc. pag. I-2395, punto 16); nonché citate sentenze ARO Lease (punto 15); DFDS (punto 19) e Lease Plan Luxembourg (punto 24).


29 – V. giurisprudenza citata alla nota 11.


30 – V., in tal senso, cit. sentenza DFDS (punto 23).


31 – V. suddetta sentenza (punto 25).


32 – Va ricordato che tale articolo recita:


«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si considera soggetto passivo non residente all’interno del paese il soggetto passivo di cui all’art. 4, n. 1 della sesta direttiva che (…) non ha in tale paese né la sede della propria attività economica, né un centro di attività stabile dal quale sono svolte le operazioni (…)».


33 – La Commissione rileva, a tal riguardo, che contro la Repubblica italiana è stato promosso un ricorso per inadempimento in quanto la legislazione di tale Stato esigeva che un’impresa, che dispone in Italia di una stabile organizzazione, si iscriva di nuovo in tale Stato, per le operazioni da essa ivi effettuate direttamente dall’estero (punto 21 delle sue osservazioni scritte).


34 – Convenzione relativa all’eliminazione della doppia imposizione in caso di rettifica degli utili di imprese associate (GU L 225, pag. 10).


35 – La nozione di «organizzazione stabile» nel modello di convenzione OCSE è definita al suo art. 5. Ai sensi di tale disposizione, detta nozione designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività. Essa ricomprende, in particolare, una sede di direzione, una succursale, un ufficio, un'officina, un laboratorio, ecc.


36 – V. cit. sentenza DFDS (punto 23).


37 – V. sentenza 23 novembre 1988, causa 230/87, Naturally Yours Cosmetics (Racc. pag. 6365, punto 16); 2 giugno 1994, causa C-33/93, Empire Stores (Racc. pag. I-2329, punto 18); 22 ottobre 1998, causa C-308/96, Madgett et Baldwin (Racc. pag. I-6229, punto 40), e 3 luglio 2001, causa C-380/99, Bertelsmann (Racc. pag. I-5163, punto 22).