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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JACOBS

presentate il 27 ottobre 2005 1(1)

Causa C-222/04

Ministero dell’Economia e delle Finanze

contro

Cassa di Risparmio di Firenze SpA

e

Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato

e

Cassa di Risparmio di San Miniato SpA






1.     Nel presente caso la Corte suprema di cassazione italiana sottopone a questa Corte svariate questioni relative alla compatibilità con il diritto comunitario del regime tributario applicabile ad enti istituiti in seguito alla privatizzazione delle banche pubbliche italiane, e precisamente alle fondazioni bancarie che hanno sostituito le tradizionali casse di risparmio.

2.     Il giudice nazionale chiede in sostanza, in primo luogo, se tali fondazioni bancarie siano da considerare imprese ai sensi della normativa del Trattato CE in materia di concorrenza e, in particolare, di aiuti di Stato.

3.     In base alla risposta a tale questione, il giudice nazionale chiede quindi se il regime fiscale in parola costituisca un aiuto di Stato ai sensi del Trattato CE. A tale proposito esso si interroga altresì sulla validità di una decisione della Commissione che ha dichiarato che taluni aspetti del regime fiscale in esame non sono aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE.

4.     Il giudice nazionale chiede infine che la Corte valuti il regime fiscale controverso alla luce degli artt. 12 CE, 43 CE e segg. e 56 CE e segg.

 Diritto comunitario

5.     L’art. 12, primo comma, CE prevede che «nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

6.     Gli artt. 43 CE e 56 CE sono collocati nella Parte terza, Titolo III, del Trattato, «Libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali». L’art. 43 si trova nel Capo 2, «Il diritto di stabilimento», e l’art. 56 nel Capo 4, «Capitali e pagamenti».

7.     L’art. 43 CE così prevede:

«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali».

8.     L’art. 56, nn. 1 e 2, CE stabilisce che, «nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo», sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e sui pagamenti tra Stati membri nonché tra Stati membri e paesi terzi.

9.     Ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, «salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».

 Diritto nazionale

10.   Le norme nazionali rilevanti possono essere sintetizzate come segue.

11.   Le due disposizioni tributarie nazionali rilevanti nel presente caso sono l’art. 10 bis della legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (2) (in prosieguo: la «L. n. 1745/62») e l’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, disciplina delle agevolazioni tributarie (in prosieguo: il «D.P.R. n. 601/73») (3).

12.   La L. n. 1745/62 ha introdotto, tra l’altro, una ritenuta d’acconto sui dividenti distribuiti dalle società. Il suo art. 10 bis, però, esenta da tale misura le persone giuridiche pubbliche e le fondazioni esenti dall’imposta sulle società che hanno esclusivamente scopo di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica (4).

13.   L’art. 6 del D.P.R. n. 601/73 prevede una riduzione del 50% dell’imposta sulle società per gli enti attivi nei settori dell’assistenza sociale, della sanità, dell’educazione, della cultura e simili.

14.   Il giudizio principale riguarda l’applicazione di tali disposizioni agli enti risultanti dalla privatizzazione degli istituti di credito pubblici in Italia, e in particolare alle fondazioni bancarie che hanno sostituito le tradizionali casse di risparmio. Tale vicenda è iniziata nel 1990, ben dopo l’adozione dei due provvedimenti tributari, ed è passato attraverso due fasi principali.

15.   La prima fase è iniziata con la legge 30 luglio 1990, n. 218, e il relativo decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356 (in prosieguo: il «D.Lgs. n. 356/90»), che hanno trasformato le banche pubbliche in società bancarie per azioni (in prosieguo: il «quadro normativo originario»).

16.   L’art. 1 del D.Lgs. n. 356/90 ha permesso agli enti pubblici creditizi, comprese le casse di risparmio (in prosieguo: gli «enti conferenti») di conferire le proprie attività bancarie in società per azioni da essi istituite, delle quali essi erano i soli azionisti. Le neocostituite società per azioni (in prosieguo: le «banche conferitarie») svolgevano le attività bancarie precedentemente svolte dagli enti conferenti.

17.   L’art. 12 del medesimo decreto ha imposto agli enti conferenti di perseguire scopi di interesse pubblico e di utilità sociale, principalmente nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte e della sanità.

18.   La medesima disposizione ha inoltre previsto che gli enti conferenti potevano compiere le operazioni finanziarie, commerciali, immobiliari e mobiliari necessarie od opportune per il conseguimento dei loro scopi. Essi potevano gestire le proprie partecipazioni nelle società bancarie conferitarie, ma non esercitare direttamente l’impresa bancaria né possedere partecipazioni di controllo nel capitale di imprese bancarie o finanziarie diverse dalla società bancaria conferitaria medesima.

19.   Gli enti conferenti, tuttavia, potevano acquisire o cedere partecipazioni di minoranza al capitale di altre imprese bancarie e finanziarie. In via transitoria, al fine di assicurare la continuità operativa, i membri del comitato di gestione od organo equivalente dell’ente conferente dovevano essere nominati nel consiglio di amministrazione della banca, e i membri dell’organo di controllo dell’ente conferente nel collegio sindacale della banca conferitaria.

20.   L’art. 13 del D.Lgs. n. 356/90 disciplinava la cessione, da parte degli enti conferenti, delle loro azioni delle banche conferitarie. La cessione al pubblico di quote doveva essere effettuata mediante offerta pubblica di vendita, anche se era libera la vendita in borsa di azioni quotate nel limite complessivo dell’1% del capitale della banca conferitaria. La vendita mediante altre procedure era soggetta a previa autorizzazione del Ministro del Tesoro. Era richiesta altresì l’autorizzazione qualora, a seguito della cessione, l’ente conferente perdesse, anche temporaneamente, il controllo della maggioranza delle azioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria della banca conferitaria. Infine, l’ente conferente che avesse ceduto la sua partecipazione di controllo poteva acquistare una partecipazione di controllo in un’altra società bancaria, previa autorizzazione del Ministro del Tesoro.

21.   La seconda fase principale del processo di privatizzazione è iniziata con le modifiche introdotte nel quadro normativo originario da parte della legge 23 dicembre 1998, n. 461 (5). Il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 (in prosieguo: il «D.Lgs. n. 153/99»), adottato sulla base di tale legge delega, conteneva norme attuative particolareggiate (in prosieguo: il «nuovo quadro normativo»).

22.   Il nuovo quadro normativo ha introdotto sostanziali modifiche nella disciplina delle fondazioni bancarie, con la conseguenza di un controllo rafforzato.

23.   L’art. 1 del D.Lgs. n. 153/99 codifica la prassi formatasi, e rinomina gli enti conferenti «fondazioni» (in prosieguo: le «fondazioni bancarie»).

24.   L’art. 2, primo comma, del medesimo decreto definisce le fondazioni bancarie persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia gestionale, che perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico secondo quanto previsto dai rispettivi statuti.

25.   L’art. 3 stabilisce che le fondazioni bancarie perseguono i propri scopi con tutte le modalità consentite dalla loro natura giuridica, come definita dall’art. 2; esse possono esercitare imprese solo se direttamente «strumentali» ai fini statutari, ed esclusivamente nei c.d. «settori rilevanti» (in prosieguo: le «imprese strumentali»); non possono esercitare funzioni creditizie, né possono sovvenzionare, direttamente o indirettamente, enti o imprese diversi dalle imprese strumentali.

26.   I «settori rilevanti» erano, ai sensi del dettato originario dell’art. 1 del D.Lgs. n. 153/99, quelli della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali, della sanità e dell’assistenza alle categorie sociali deboli. Il numero dei settori rilevanti è stato poi ampliato alla fine del 2001 (6).

27.   Ai sensi del testo originario dell’art. 4, terzo comma, del D.Lgs. n. 153/99, i membri dell’organo di amministrazione della fondazione bancaria non potevano entrare nel consiglio di amministrazione della banca conferitaria. Tale disposizione è stata modificata alla fine del 2003 (7), per impedire ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la fondazione bancaria di ricoprire le medesime posizioni nella banca conferitaria o in sue controllate o partecipate. Inoltre, i soggetti che svolgono funzioni di indirizzo presso la fondazione non possono ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria.

28.   Il testo originale dell’art. 5, primo comma, del D.Lgs. n. 153/99 prevedeva che il patrimonio di una fondazione bancaria fosse totalmente vincolato al perseguimento degli scopi statutari e che le fondazioni, nell’amministrare il proprio patrimonio, osservassero criteri prudenziali di rischio, in modo da conservarne il valore ed ottenerne una redditività adeguata. L’art. 11 della L. n. 448/01 ha poi aggiunto che la gestione del patrimonio deve essere coerente con la natura delle fondazioni quali enti senza scopo di lucro che operano secondo principi di trasparenza e moralità.

29.   L’art. 6, primo comma, prevede che le fondazioni bancarie possono detenere partecipazioni di controllo solamente in enti e società che abbiano per oggetto esclusivo l’esercizio di imprese strumentali.

30.   L’art. 25, primo e secondo comma, del D.Lgs. n. 153/99 prevedeva, nella sua versione originaria, che le partecipazioni di controllo nelle banche conferitarie potessero continuare ad essere detenute per un periodo di quattro anni dalla data di entrata in vigore del decreto. Nel caso di mancata dismissione entro il suddetto termine, le partecipazioni potevano ulteriormente essere detenute per non oltre due anni.

31.   Le partecipazioni di controllo in società diverse dalle banche conferitarie, con esclusione di quelle in imprese strumentali, dovevano essere dismesse entro il termine stabilito dall’Autorità di vigilanza e, comunque, non oltre il termine quadriennale prima menzionato.

32.   A seguito di modifiche apportate nel 2001 e nel 2003, l’originario periodo di quattro anni è stato sostituito dal termine del 31 dicembre 2005. Le partecipazioni di controllo in società diverse dalle banche conferitarie, ad eccezione delle imprese strumentali, dovevano essere cedute in ogni caso entro il 31 dicembre 2005 (8).

33.   Ai sensi dell’art. 25, terzo comma, del D.Lgs. n. 153/99, nel caso di mancato rispetto di tali termini da parte delle fondazioni bancarie l’Autorità di vigilanza è autorizzata a provvedere alla dismissione delle partecipazioni di controllo, nella misura idonea a determinare la perdita del controllo.

34.   Per quanto riguarda il regime fiscale applicabile, l’art. 12, primo comma, del D.Lgs. n. 153/99 prevede che le fondazioni bancarie che hanno adeguato gli statuti alle sue disposizioni si considerano enti non commerciali, anche se perseguono le loro finalità mediante imprese strumentali.

35.   L’art. 12, secondo comma, del medesimo decreto ha esteso alla fondazioni bancarie che hanno adeguato i propri statuti alle disposizioni del D.Lgs. n. 153/99, e che operano nei «settori rilevanti», il regime di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 601/73, vale a dire una riduzione del 50% dell’imposta sulle società (9). Lo stesso regime si applicava, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti al D.Lgs. n. 153/99, alle fondazioni non aventi natura di enti commerciali che avessero perseguito prevalentemente fini di interesse pubblico e di utilità sociale nei settori indicati nell’art. 12 del D.Lgs. n. 356/90 e successive modifiche.

36.   Infine, l’art. 12, terzo comma, del D.Lgs. n. 153/99 prevede che le fondazioni bancarie perdano la qualifica di enti non commerciali e cessino di fruire delle agevolazioni fiscali previste qualora, successivamente al 31 dicembre 2005, controllino ancora una banca conferitaria.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

37.   La Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, una fondazione bancaria (10), ha richiesto, ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 1745/62, l’esenzione dalla ritenuta d’acconto per l’anno 1998 per i suoi proventi quale socio della Cassa di Risparmio di San Miniato SpA e della Casse Toscane SpA, due banche. L’istanza è stata respinta dagli uffici finanziari della Toscana, con la motivazione che la gestione, da parte di una fondazione bancaria, della propria partecipazione in una banca conferitaria costituisce un’attività commerciale incompatibile con l’esenzione di cui all’art. 10 bis della L. n. 1745/62.

38.   La Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, insieme con la Cassa di Risparmio di San Miniato SpA e la Cassa di Risparmio di Firenze SpA, subentrata alla Casse Toscane SpA (in prosieguo: le «controricorrenti nella causa principale»), in qualità di enti responsabili dell’effettuazione della ritenuta sui dividendi da pagarsi alla Fondazione, hanno impugnato, con esito negativo, il provvedimento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Firenze.

39.   In appello, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha riformato la decisione della Commissione tributaria provinciale, affermando che il nuovo quadro normativo esplicitamente disponeva l’applicazione dei benefici fiscali in parola alle fondazioni bancarie. Non essendovi prova che le attività commerciali della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato prevalessero sui suoi fini di interesse pubblico e di utilità sociale, detta Commissione tributaria ha ritenuto che la Fondazione avesse diritto alla riduzione del 50% dell’imposta sulle società ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 601/73 e, di conseguenza, all’esenzione dalla ritenuta d’acconto sui dividendi prevista dall’art. 10 bis della L. n. 1745/62, soltanto in considerazione delle sue finalità di interesse pubblico e di utilità sociale in determinati settori (11).

40.   Contro tale decisione il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso dinanzi alla Corte suprema di cassazione, la quale ritiene che, per poter decidere la controversia sottopostale, sia prima necessario verificare se le agevolazioni fiscali per le fondazioni bancarie siano compatibili con le norme e i principi del Trattato CE, sia in materia di concorrenza – in particolare con gli artt. 87 CE e 88 CE in materia di aiuti di Stato – che in materia di divieto di discriminazione (art. 12 CE), libertà di stabilimento (artt. 43 CE e segg.) e libera circolazione dei capitali (artt. 56 CE e segg.).

41.   Per quanto riguarda gli artt. 87 CE e segg., il giudice nazionale rileva che, con decisione 22 agosto 2002, n. 2003/146/CE, relativa alle misure fiscali sulle fondazioni bancarie cui l’Italia ha dato esecuzione (in prosieguo: la «decisione della Commissione») (12), la Commissione ha esaminato le disposizioni tributarie di cui all’art. 12, secondo comma, del D.Lgs. n. 153/99, alla luce delle norme del Trattato CE in materia di aiuti di Stato. In tale decisione la Commissione ha ritenuto che, nel caso di fondazioni bancarie non esercitanti direttamente alcuna attività nei settori rilevanti, le misure nazionali esaminate non costituissero aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, poiché i beneficiari non erano qualificabili come imprese ai sensi di tale disposizione.

42.   Il giudice della causa principale rileva che esistono diverse opinioni, a livello nazionale, circa la natura commerciale o meno delle fondazioni bancarie.

43.   Mentre gli uffici tributari italiani hanno sempre ritenuto che le fondazioni bancarie abbiano natura commerciale, e siano pertanto soggette all’ordinario regime fiscale, il governo italiano ha sostenuto, nel corso del procedimento che ha condotto all’adozione della decisione della Commissione, che le fondazioni bancarie non possono essere considerate imprese ai sensi della normativa comunitaria in materia di concorrenza. Quanto all’ambito giurisdizionale, il giudice della causa principale rileva che anche la sua stessa giurisprudenza mostra oscillazioni sul punto.

44.   Il giudice nazionale osserva inoltre che, secondo una parte della giurisprudenza italiana, l’art. 12, secondo comma, del D.Lgs. n. 153/99, che ha esteso le agevolazioni fiscali di cui all’art. 6 del D.P.R. n. 601/73 alle fondazioni bancarie, va ritenuto una norma meramente interpretativa, cosicché le agevolazioni fiscali sarebbero applicabili anche per i periodi d’imposta precedenti all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 153/99.

45.   Esso ritiene inoltre necessario verificare la legittimità della decisione della Commissione, giudicando in pratica che quest’ultima non abbia correttamente applicato il Trattato e non abbia valutato esattamente i compiti, la natura e il ruolo delle fondazioni bancarie nel mercato creditizio italiano. Il giudice della causa principale ritiene inoltre che la Commissione non abbia adeguatamente motivato la propria decisione, e non abbia svolto un’analisi adeguata dell’attività delle fondazioni bancarie relativamente all’acquisizione e alla gestione di partecipazioni in imprese diverse dalla banca conferitaria.

46.   Secondo il giudice nazionale, l’esistenza di un’attività economica risulta inoltre chiaramente dal fatto che le partecipazioni di controllo nelle banche sono conferite ad enti costituiti ad hoc, dal fatto che tale situazione si è protratta per un periodo considerevole e che i proventi della cessione di tali quote sono utilizzati per acquistare e gestire partecipazioni rilevanti in altre imprese, al fine di perseguire vari obiettivi societari, tra i quali lo sviluppo economico del sistema.

47.   Il giudice nazionale chiede inoltre se il regime fiscale in questione non costituisca una discriminazione ai danni di altre imprese operanti nello stesso mercato e, al tempo stesso, una violazione dei principi del diritto di stabilimento e della libera circolazione dei capitali.

48.   Alla luce di tutto questo, il giudice della causa principale ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se una serie di soggetti (cd. fondazioni bancarie), creati in base alla legge n. 218[/90] e al D.[Lgs.] n. 356[/90] e successive modificazioni per essere titolari di partecipazioni di controllo di società esercenti attività bancaria e per amministrare tali partecipazioni, in relazione ad una quota assai rilevante dei soggetti operanti sul mercato, con devoluzione a questi degli utili delle imprese controllate, debbano ritenersi sottoposti – anche quando agli stessi vengano affidati compiti di utilità sociale – alla disciplina comunitaria in materia di concorrenza; se, con riguardo alla disciplina introdotta col D.[Lgs.] n. 153[/99], la possibilità offerta a tali enti di destinare il ricavato della dismissione di tali partecipazioni all’acquisto e gestione di rilevanti partecipazioni in altre imprese anche bancarie, e anche di controllo in imprese non bancarie, per diverse finalità, tra cui quella dello sviluppo economico del sistema, costituisca del pari esercizio d’impresa, ai fini dell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza.

2)      Se, in conseguenza, tali enti – nella disciplina contenuta nella legge n. 218[/90] e nel D.[Lgs.] n. 356[/90] e successive modificazioni, nonché nella riforma di cui alla legge n. 461[/98] e al D.[Lgs.] n. 153[/99] – siano sottoposti alla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato (articoli 87 CE – 88 CE), in relazione ad un regime fiscale di favore di cui siano destinatari.

3)      Se, in caso di risposta affermativa al precedente quesito, il regime di imposizione diretta agevolata sui dividendi percepiti, in contestazione nella presente causa, costituisca o meno un aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 87 CE.

4)      Sempre nel caso di risposta affermativa al quesito [sub 2], se sia valida, sotto i profili di legittimità e di difetto e/o insufficienza della motivazione evidenziati nella presente ordinanza, la decisione della Commissione delle Comunità europee (…) 22 agosto 2002, [2003/146], con la quale è stata ritenuta inapplicabile la disciplina sugli aiuti di Stato alle fondazioni di origine bancaria.

5)      A prescindere dall’applicabilità della disciplina in materia di aiuti di Stato, se il riconoscimento di un regime fiscale più favorevole sulla distribuzione degli utili delle imprese bancarie conferitarie, esclusivamente nazionali, controllate dalle fondazioni, e da queste percepiti, ovvero delle imprese le cui partecipazioni fossero acquistate col ricavato della dismissione delle partecipazioni in società bancarie conferitarie, costituisca una discriminazione delle imprese partecipate nei confronti delle altre imprese operanti nel mercato di riferimento e, nel contempo, una violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali, in relazione agli articoli 12 CE, 43 CE e seguenti, 56 CE e seguenti».

 Valutazione

 Ricevibilità

49.   Le parti che hanno presentato osservazioni eccepiscono l’irricevibilità di tutte le questioni sollevate dal giudice della causa principale.

 La prima, la seconda e la terza questione

50.   Le controricorrenti nella causa principale sostengono che le prime tre questioni dovrebbero essere dichiarate irricevibili per i seguenti motivi.

51.   In primo luogo, contrariamente a quanto affermato dal giudice della causa principale nell’ordinanza di rinvio, l’esenzione ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 1745/62 non riguarda una ritenuta alla fonte, ma una ritenuta d’acconto. In secondo luogo, né tale articolo, che è precedente alla creazione delle fondazioni bancarie, né alcuna altra norma prevede che l’esenzione ivi prevista si applichi alle fondazioni bancarie. In terzo luogo, le questioni pregiudiziali proposte hanno rilievo puramente interno, poiché hanno il solo scopo di accertare se le fondazioni bancarie abbiano diritto ai benefici fiscali di cui all’art. 10 bis della L. n. 1745/62.

52.   La prima e la seconda di tali eccezioni riguardano presunti errori di interpretazione, da parte del giudice del rinvio, delle norme nazionali applicabili ai fatti della causa principale.

53.   Secondo giurisprudenza consolidata, ai sensi dell’art. 234 CE l’interpretazione del diritto nazionale esorbita dalle competenze della Corte, poiché spetta al giudice nazionale valutare la portata delle disposizioni nazionali e le loro modalità di applicazione (13).

54.   Per quanto riguarda la terza eccezione delle controricorrenti, è altresì principio di giurisprudenza consolidata che spetta solo al giudice nazionale determinare sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale che la rilevanza della questione sottoposta alla Corte. Pertanto, se le questioni poste dal giudice nazionale riguardano l’interpretazione di una norma comunitaria, la Corte, in linea di principio, è tenuta a pronunciarsi (14).

55.   Dall’ordinanza di rinvio risulta che il giudice della causa principale non chiede alla Corte se le norme nazionali si applichino alle fondazioni bancarie in Italia – punto sul quale il giudice nazionale sembra già essersi formato un convincimento – ma come tali norme nazionali si pongano rispetto alle norme comunitarie in materia di concorrenza. Alla luce di ciò, la Corte è tenuta a rispondere al giudice nazionale.

56.   La Commissione sostiene che la Corte dovrebbe ignorare le parti della prima e della terza questione che fanno riferimento al D.Lgs. n. 153/99. Tale decreto è infatti entrato in vigore successivamente ai fatti oggetto della causa principale, avvenuti nel 1998, e pertanto è irrilevante per il caso di cui è investito il giudice nazionale.

57.   Secondo giurisprudenza consolidata, la Corte può rifiutarsi di statuire sulle questioni poste solo qualora risulti «manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica» (15).

58.   Non ritengo che sia questo il caso. Anche se le parti che hanno presentato osservazioni possono non condividerne le posizioni, resta il fatto che il giudice nazionale competente ritiene il D.Lgs. n. 153/99 rilevante per la soluzione della controversia sottopostagli. Dal fascicolo risulta inoltre che, in alcuni casi, le disposizioni del decreto relative al regime fiscale sono state ritenute dai giudici italiani provviste di efficacia retroattiva per quanto riguarda le fondazioni bancarie, e pertanto applicabili prima del 1998. La questione relativa all’interpretazione del diritto comunitario relativamente al D.Lgs. n. 153/99 appare quindi prima facie rilevante per il giudizio sulla causa principale.

59.   Pertanto, a mio parere non vi sono le condizioni richieste dalla giurisprudenza della Corte per ritenere irricevibili la prima, la seconda e la terza questione.

 La quarta questione

60.   Le controricorrenti nella causa principale affermano che la decisione della Commissione è divenuta definitiva, poiché l’Italia non l’ha impugnata nel termine previsto dall’art. 230 CE. Esse richiamano, a sostegno di tale affermazione, la sentenza TWD (16).

61.   Non ritengo che le circostanze del presente caso siano analoghe a quelle della causa TWD.

62.   In quel caso il problema era se il ricorrente nella causa principale fosse decaduto dal diritto di contestare la legittimità di una decisione della Commissione a sostegno dell’impugnazione del provvedimento amministrativo con cui le autorità nazionali, dando esecuzione alla decisione della Commissione, gli avevano revocato un aiuto percepito. La Corte, sottolineando la necessità di preservare la certezza del diritto, ha concluso che un soggetto che avrebbe potuto impugnare la decisione, ma aveva lasciato trascorrere il termine di decadenza di cui all’art. 230 CE, non poteva lamentare l’illegittimità della decisione dinanzi ai giudici nazionali nell’impugnare la misura nazionale di esecuzione.

63.   Il presente caso, al contrario, riguarda una decisione della Commissione di carattere generale indirizzata all’Italia, la cui validità non è stata contestata di fronte al giudice nazionale da nessuna delle parti del giudizio principale. La questione della validità è stata sollevata d’ufficio dal giudice nazionale esercitando le prerogative riconosciutegli dall’art. 234 CE. Pertanto non vi è qui alcun possibile uso distorto di strumenti processuali da parte di un soggetto che avrebbe dovuto impugnare direttamente la decisione dinanzi alla Corte ma non lo ha fatto, che è – a mio giudizio – l’essenza della sentenza TWD.

64.   L’art. 234 CE non pone alcun limite temporale perché un giudice nazionale possa chiedere una pronuncia pregiudiziale sulla validità degli atti delle istituzioni comunitarie. Stando alla giurisprudenza, le questioni pregiudiziali sono ricevibili se esse risultano rilevanti per la soluzione della controversia di fronte al giudice nazionale e se il contesto normativo e dei fatti è sufficientemente chiarito. È nel valutare la validità dell’atto comunitario oggetto d’esame – valutazione di merito -- che la Corte considererà tutti gli elementi che possono viziarlo, compresi i requisiti necessari per garantire il principio della certezza del diritto.

65.   Anche la Commissione sostiene che la quarta questione è irricevibile. La sua decisione ha esaminato la compatibilità con le norme del Trattato in materia di aiuti di Stato delle esenzioni fiscali previste dal D.Lgs. n. 153/99, entrato in vigore successivamente ai fatti oggetto della causa principale. Inoltre, essa si riferiva ad esenzioni fiscali diverse da quella prevista dall’art. 10 bis della L. n. 1745/62, che è la norma oggetto della causa principale. La decisione della Commissione non sarebbe pertanto rilevante per decidere la questione all’esame del giudice nazionale.

66.   Il governo italiano svolge un ragionamento analogo a quello della Commissione e sottolinea che, poiché la decisione della Commissione non ha preso in considerazione la situazione delle fondazioni bancarie nel quadro normativo originario, la questione circa la sua legittimità è irrilevante per la causa principale.

67.   Se l’art. 12 del D.Lgs. n. 153/99 si applichi o meno retroattivamente, se l’art. 6 del D.P.R. n. 601/73 e l’art. 10 bis della L. n. 1745/62 siano in qualche modo correlati secondo il diritto nazionale e siano rilevanti per la decisione della causa principale, sono problemi che solo il giudice nazionale è competente a risolvere. Inoltre, come si è già visto, le questioni poste non sono manifestamente irrilevanti rispetto ai fatti e all’oggetto della causa principale (17).

68.   Ne consegue che anche la quarta questione deve essere ritenuta ricevibile.

 La quinta questione

69.   Le controricorrenti nella causa principale affermano che la quinta questione è troppo generica. Il giudice della causa principale non avrebbe indicato quali aspetti della normativa nazionale in esame potrebbero costituire un ostacolo all’esercizio delle libertà garantite dal Trattato CE, o quali banche o fondazioni profitterebbero di una possibile discriminazione.

70.   È vero che, di per sé, la quinta questione è in certo modo imprecisa. Tuttavia, letta nel suo insieme, l’ampia ordinanza di rinvio fornisce gli elementi di diritto e di fatto necessari per consentire alla Corte di rispondere in modo utile e significativo in merito alle circostanze di cui alla quinta questione (18).

71.   Anche la quinta questione deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

 Nel merito

 La prima e la seconda questione

72.   Con la prima e la seconda questione il giudice nazionale chiede in sostanza se le fondazioni bancarie, poiché possiedono e gestiscono partecipazioni di controllo nelle banche conferitarie e in altre imprese, siano qualificabili come «imprese» ai fini della normativa del Trattato CE in materia di concorrenza, e in particolare di aiuti di Stato.

73.   Ritengo che, in base alla giurisprudenza della Corte, le fondazioni bancarie possano essere qualificate come imprese, ai sensi del diritto comunitario, in due casi: in primo luogo, qualora svolgano esse stesse una «attività economica» ai sensi della giurisprudenza e/o, in secondo luogo, qualora siano direttamente o indirettamente coinvolte nella gestione di imprese che svolgono una simile attività economica.

 Se le fondazioni bancarie svolgano un’attività economica

74.   E’ noto che la Corte ha elaborato, per quanto riguarda la normativa comunitaria in materia di concorrenza, una nozione funzionale di impresa. Un ente è un’impresa se esercita una «attività economica», a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (19). Secondo la giurisprudenza un ente svolge una «attività economica» quando «offre beni o servizi sul mercato». La Corte ha inoltre affermato che la mancanza di scopo di lucro dell’ente in questione, o il fatto che esso non persegua obiettivi commerciali, è irrilevante ai fini della sua qualificazione come impresa (20).

75.   Per poter determinare se le fondazioni bancarie italiane svolgano di per sé un’«attività economica», ai sensi della citata giurisprudenza, è necessario esaminare i loro vari compiti e attività sulla base dei due regimi normativi prima esposti.

 Gestione delle partecipazioni di controllo

76.   Nel contesto normativo originario, la gestione di una partecipazione di controllo in una banca conferitaria appare limitata alla vendita e/o all’acquisto di quote, all’esercizio dei diritti di azionista e all’uso dei proventi relativi per il perseguimento dei fini statutari delle fondazioni bancarie, fini di pubblico interesse e utilità sociale.

77.   Come rilevano la Commissione e le controricorrenti nella causa principale, nessuna di tali attività può essere comparata alla «offerta di beni o servizi sul mercato». Pertanto, sulla base di un’interpretazione restrittiva della giurisprudenza, esse non costituiscono un’attività economica ai sensi delle norme del Trattato CE in materia di concorrenza.

78.   Intendo tuttavia andare oltre questa interpretazione. Concordo con il governo italiano sul fatto che un ente deve essere qualificato come impresa ai fini della normativa comunitaria sulla concorrenza non solo quando offre beni e servizi sul mercato, ma anche quando esercita altre attività che hanno natura economica e che potrebbero distorcere un mercato concorrenziale. Come ho suggerito in precedenti conclusioni, nel valutare se un’attività abbia natura economica, il criterio fondamentale deve consistere nello stabilire se essa, «almeno in linea di principio, possa essere svolta da un’impresa privata a scopo di lucro» (21).

79.   Tale interpretazione è fondata sulla necessità di garantire la piena efficacia delle norme del Trattato sulla concorrenza, in particolare se considerate alla luce del loro basilare fondamento logico, che è quello di evitare ogni distorsione della concorrenza sul mercato a causa del comportamento di un qualunque soggetto, pubblico o privato. La Corte ha seguito tale interpretazione quando, con un’analisi congiunta delle norme del Trattato in materia di concorrenza, comprensiva degli artt. 3, n. 1, lett. g), CE, e 10 CE, ha esteso all’azione dei pubblici poteri il divieto di comportamenti anticoncorrenziali (22).

80.   Nel presente caso, come osserva il governo italiano e come suggerito nella decisione della Commissione (23), non si può escludere l’esistenza di un mercato concorrenziale per le partecipazioni di controllo nelle banche. Gestendo le proprie partecipazioni, le fondazioni bancarie svolgerebbero un ruolo importante in tale mercato, soprattutto perché, con l’autorizzazione del Ministro del Tesoro, potrebbero vendere la propria partecipazione di controllo in una banca conferitaria per acquisirne una in un’altra. Tali operazioni potrebbero distorcere la concorrenza se, ad esempio, il ruolo di acquirenti delle fondazioni bancarie fosse potenziato mediante aiuti di Stato, o se esse si accordassero con altre imprese per modificare il prezzo delle loro partecipazioni di controllo. Tuttavia, seguendo la lettura restrittiva della giurisprudenza suggerita dalla Commissione e dalle controricorrenti nella causa principale, un simile comportamento anticoncorrenziale sfuggirebbe alle norme comunitarie sulla concorrenza. È chiaro che una simile lettura va evitata.

81.   La situazione appare differente dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 153/99. In base al nuovo quadro normativo – che, stando alle osservazioni delle parti in udienza, è stato in parte motivato dal fatto che il regime precedente non aveva raggiunto il suo obiettivo di garantire una completa separazione tra fondazioni bancarie e banche conferitarie – le fondazioni bancarie possono possedere e gestire partecipazioni di controllo, direttamente o indirettamente, soltanto in «imprese strumentali», che favoriscano direttamente il perseguimento dei loro scopi statutari di pubblico interesse ed operino esclusivamente nei «settori rilevanti» individuati. Le partecipazioni nelle banche conferitarie e in qualsiasi altra società devono essere cedute entro un termine prestabilito, poi prorogato al 31 dicembre 2005. In caso di mancato rispetto del termine, l’Autorità di vigilanza è autorizzata a provvedere alla dismissione, al fine di determinare la perdita del controllo sulla società.

82.   Imponendo tali obblighi, la nuova disciplina ha in buona parte soppresso la possibilità, per le fondazioni bancarie, di influenzare il mercato delle partecipazioni di controllo, sempre che un tale mercato esista. Pare ora improbabile che esse possano distorcere la concorrenza in tale mercato.

83.   Spetta naturalmente al giudice nazionale stabilire se siano realizzate le premesse di cui ai precedenti paragrafi 81 e 82, e in particolare se esista un mercato rilevante per le partecipazioni di controllo.

 Attività svolte direttamente dalle fondazioni bancarie nel perseguimento dei loro obiettivi di interesse pubblico e di utilità sociale

84.   Concordo con la Commissione sul fatto che, nel perseguire i loro obiettivi di pubblico interesse e utilità sociale, le fondazioni bancarie possono impegnarsi in attività comportanti l’offerta di beni o servizi in mercati concorrenziali. I settori in cui sono attive le fondazioni bancarie, sia in base al quadro normativo originario che a quello attuale, quali la ricerca scientifica, l’istruzione, l’arte e la sanità, spesso operano secondo le regole di mercato e vedono la presenza di imprese che sono in concorrenza tra loro e cercano di conseguire profitti.

85.   Poiché l’assenza di uno scopo di lucro non è una ragione per un’esenzione, le fondazioni bancarie possono, in tali circostanze, essere considerate imprese ai sensi della citata giurisprudenza.

86.   Spetta al giudice della causa principale determinare se, nel perseguire i propri scopi statutari, le fondazioni bancarie svolgano direttamente un’attività economica consistente nell’offrire beni o servizi in un mercato di tipo concorrenziale. Tale valutazione va fatta caso per caso.

 Le fondazioni bancarie quali società controllanti di un’impresa

87.   Nella giurisprudenza della Corte, la nozione di «impresa» deve essere intesa come riferita, nell’ambito del diritto della concorrenza, ad una «unità economica» (24). Ogni volta che una società controllata non determina liberamente il proprio comportamento sul mercato, ma esegue le istruzioni ad essa fornite, direttamente o indirettamente, dalla società che la controlla interamente, esse costituiscono un’unità economica, e devono essere considerate come un unico soggetto ai fini della normativa comunitaria in materia di concorrenza (25).

88.   Un analogo fondamento logico si trova alla base della giurisprudenza della Corte sul concetto di attività economica sviluppato relativamente alla Sesta direttiva IVA, citata dalla Commissione a sostegno della propria posizione, secondo la quale una società il cui solo scopo sia quello di acquisire partecipazioni in altre imprese, senza intervenire direttamente o indirettamente nella gestione di esse, fatti salvi i diritti ad essa spettanti in quanto socia, non svolge un’attività economica ai sensi della Sesta direttiva (26). Ne discende che una società, che gestisca direttamente o indirettamente tali imprese, svolge un’attività economica.

89.   Poiché le banche conferitarie sono chiaramente imprese ai sensi delle norme del Trattato in materia di concorrenza, le fondazioni bancarie, così come originariamente configurate dal legislatore, si configurerebbero a loro volta come imprese se la loro partecipazione fosse accompagnata da un coinvolgimento, diretto o indiretto, nella gestione delle banche conferitarie. La Corte ha evidenziato quali indizi eventuali di un tale coinvolgimento la fornitura di servizi amministrativi, di contabilità ed informatici alle controllate (27).

90.   L’esistenza di tali condizioni è una valutazione di fatto che deve compiere il giudice nazionale, caso per caso. Nel fare ciò, il giudice nazionale deve valutare i poteri esercitati dalle fondazioni bancarie sulle banche conferitarie e il modo in cui tali poteri potevano essere, o siano stati effettivamente, esercitati sulla base delle norme nazionali applicabili. A mio avviso il fatto che le fondazioni bancarie detenessero una partecipazione di maggioranza, potessero nominare alcuni membri dei propri organi amministrativi e di controllo nel consiglio di amministrazione e nel collegio sindacale delle banche conferitarie e che, anche se solo in via transitoria, si dovesse assicurare la continuità operativa tra le fondazioni bancarie e le banche conferitarie controllate, deve essere valutato a fronte del divieto per le fondazioni bancarie di essere coinvolte «direttamente» in qualunque attività bancaria o in ogni altra attività non collegata ai loro scopi statutari di interesse pubblico e utilità sociale.

91.   L’introduzione del nuovo quadro normativo, d’altra parte, sembra aver ridotto i mezzi con i quali le fondazioni bancarie possono esercitare una «influenza decisiva» sulle relative banche conferitarie. Spetta naturalmente al giudice nazionale stabilire se sia così. Per esprimersi sul punto il giudice nazionale dovrebbe tenere in considerazione, a mio giudizio, il fatto che ai membri degli organi amministrativi delle fondazioni bancarie è ora esplicitamente vietato di essere consiglieri di amministrazione di una banca, e che tale divieto è stato esteso nel 2003 a tutte le posizioni di amministrazione o di controllo in società controllate dalla banca conferitaria o nelle quali essa possiede una partecipazione, nonché alle persone che definiscono gli indirizzi della fondazione bancaria. Il giudice nazionale dovrebbe altresì prendere in considerazione che alle fondazioni bancarie è esplicitamente vietato svolgere funzioni creditizie, nonché effettuare, direttamente o indirettamente, operazioni di finanziamento, erogazione o sovvenzione a favore di enti con fini di lucro o di imprese, di qualunque natura, che non siano quelle strumentali.

92.   Per quanto riguarda il rapporto con le imprese strumentali nel nuovo quadro normativo, qualora le fondazioni bancarie, sulla base dei loro diritti di azionista, possano esercitare un’influenza decisiva su tali imprese, allora esse, sulla base della citata giurisprudenza (28), andranno qualificate come imprese, purché naturalmente abbiano tale qualità le imprese strumentali in quanto tali. Il fatto che le imprese strumentali non possano avere scopo di lucro e che debbano operare in uno dei settori rilevanti non esclude la possibilità che esse possano offrire beni o servizi in settori nei quali esiste concorrenza tra soggetti privati. Nel caso fosse così, le fondazioni bancarie svolgerebbero allora anche un’attività economica, in ragione della loro influenza decisiva sulle imprese strumentali, e sarebbero soggette alla normativa comunitaria sulla concorrenza.

93.   Infine, come rileva il governo italiano, nel caso in cui le fondazioni bancarie non abbiano adeguato i propri statuti, o non abbiano ancora ceduto le proprie partecipazioni di controllo come richiesto dalla nuova disciplina legislativa, restano valide le considerazioni che ho illustrato in relazione al precedente quadro normativo.

 La terza questione

94.   Con la terza questione il giudice nazionale chiede se il sistema di agevolazioni ed esenzioni fiscali descritto nell’ordinanza di rinvio costituisca un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87 CE.

95.   La Commissione sostiene che, qualora i beneficiari dell’esenzione – le fondazioni bancarie – fossero imprese, il regime fiscale costituirebbe in linea di principio un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, salvo che non fosse giustificato dalla natura o dalla struttura generale del sistema di cui fa parte.

96.   Il governo italiano accetta il fatto che, se si interpretasse l’art. 12 del D.Lgs. n. 153/99 nel senso che esso estende retroattivamente alle fondazioni bancarie, come configurate originariamente, i benefici fiscali di cui al combinato disposto dell’art. 6 del D.P.R. n. 601/73 e dell’art. 10 bis della L. n. 1745/62, tali benefici costituirebbero un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE.

97.   Le controricorrenti nella causa principale sostengono che il regime fiscale controverso non possiede i requisiti di selettività necessari per costituire un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE.

98.   A mio parere, i benefici fiscali in esame, se concessi a soggetti che sono imprese nei sensi di cui alla giurisprudenza citata trattando la prima e la seconda questione (29), costituirebbero aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE.

99.   Secondo la giurisprudenza, sono aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE gli interventi che, in varie forme, alleviano gli oneri normalmente gravanti sul bilancio di un’impresa e che, senza essere di conseguenza sovvenzioni in senso stretto, hanno analoga natura e producono identici effetti (30).

100. Tali interventi comprendono le agevolazioni fiscali concesse dagli Stati membri, anche se non implicanti, a rigore, un trasferimento di risorse statali. Le agevolazioni fiscali possiedono la caratteristica di fornire un beneficio gratuito, poiché pongono i soggetti che ne usufruiscono in una posizione più favorevole di quella degli altri contribuenti (31). I provvedimenti oggetto della controversia, estendendo l’esenzione fiscale alle fondazioni bancarie, sembrano fare proprio questo a favore dei loro beneficiari.

101. È irrilevante che l’agevolazione fiscale consista nell’esenzione delle fondazioni bancarie da una ritenuta alla fonte, come afferma l’ordinanza di rinvio, o da una ritenuta d’acconto, come sostengono le parti che hanno presentato osservazioni. In entrambi i casi il beneficiario dell’esenzione ottiene un vantaggio gratuito, che si tratti del mancato pagamento di un tributo o di una significativa proroga del pagamento stesso.

102. Per quanto riguarda il criterio della selettività, in base al quale il provvedimento deve beneficiare talune specifiche imprese o la produzione di determinati beni, la Commissione sostiene correttamente, a mio giudizio, che l’art. 10 bis della L. n. 1745/62, favorendo certe imprese per la loro natura giuridica (fondazioni o enti di diritto pubblico) e lo specifico settore in cui operano (istruzione, sanità, ecc.), soddisfa prima facie tale criterio.

103. Lo stesso ragionamento si può fare per il combinato disposto dell’art. 12 del D.Lgs. n. 153/99 e dell’art. 6 del D.P.R. n. 601/73, quando estende la riduzione del 50% dell’imposta sulle società alle fondazioni bancarie, purché esse limitino le proprie attività ai settori rilevanti.

104. Secondo la giurisprudenza della Corte, il giudice nazionale deve tuttavia verificare se tali disposizioni tributarie possano essere giustificate dalla natura o dalla struttura generale del sistema di cui fanno parte, nel qual caso esse esorbiterebbero dall’ambito di applicazione dell’art. 87, n. 1, CE (32). L’estensione delle agevolazioni fiscali controverse alle fondazioni bancarie sembrerebbe una conseguenza dell’obiettivo perseguito dalla legislazione nazionale, vale a dire beneficiare enti con scopi di pubblico interesse o di utilità sociale, anziché della logica interna delle norme fiscali o del metodo impositivo. In tal caso, le agevolazioni concesse alle fondazioni bancarie soddisferebbero il criterio della selettività.

105. Infine, stando alla giurisprudenza, il fatto che i provvedimenti in questione perseguano obiettivi di utilità sociale e di pubblico interesse è irrilevante ai fini della loro classificazione quali aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (33).

106. Pertanto, purché siano presenti gli altri elementi della nozione di aiuto di Stato – ovvero una distorsione della concorrenza e un effetto sul commercio tra Stati membri – e le agevolazioni fiscali non siano giustificate dalla natura o dalla struttura generale del sistema (valutazione che spetta al giudice nazionale compiere), le agevolazioni fiscali in esame nella causa principale, che siano l’esenzione da una ritenuta d’acconto o la riduzione dell’imposta sulle società, presentano le caratteristiche per essere qualificati come aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, se concessi ad «imprese» ai sensi delle norme del Trattato in materia di concorrenza, secondo quanto esposto nell’ambito della prima e della seconda questione.

 La quarta questione

107. Con la sua quarta questione il giudice nazionale chiede alla Corte di pronunciarsi sulla validità della decisione della Commissione.

108. Tale validità deve essere valutata considerando il suo specifico oggetto, vale a dire l’analisi del nuovo quadro normativo.

109. Mi paiono necessarie alcune considerazioni preliminari. La giurisprudenza non è totalmente univoca circa la reale portata del sindacato della Corte. Qualora una decisione della Commissione implichi una complessa valutazione economica, la giurisprudenza ha generalmente limitato la funzione della Corte alla verifica del rispetto delle regole di procedura e di motivazione, dell’accurata ricostruzione dei fatti e dell’eventuale presenza di manifesti errori di valutazione o di abusi di potere, escludendo che i giudici comunitari possano sostituire la propria valutazione economica a quella della Commissione (34). Tale giurisprudenza riguarda decisioni adottate dalla Commissione ai sensi degli artt. 81, n. 3, CE, e 87, n. 3, CE, campi in cui essa gode di ampia discrezionalità, ma anche ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (35).

110. In altri casi, tuttavia, la Corte ha ritenuto che poiché la nozione di aiuto di Stato ha «carattere giuridico e deve essere interpretata sulla base di elementi obiettivi[,] il giudice comunitario deve esercitare, in linea di principio e tenuto conto sia degli elementi concreti della causa sottopostagli sia del carattere tecnico o complesso delle valutazioni effettuate dalla Commissione, un controllo completo per quanto riguarda la questione se una misura rientri nell’ambito di applicazione dell’art. [87, n. 1, CE]» (36).

111. Sarei favorevole ad una verifica più penetrante, da parte della Corte, delle decisioni della Commissione circa la qualificazione di provvedimenti statali quali aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, anche se in effetti ciò può presentare problemi pratici in procedimenti ai sensi dell’art. 234 CE. La natura oggettiva del concetto di aiuto di Stato e il fatto che, contrariamente all’esclusiva e ampia discrezionalità di cui la Commissione gode ai sensi dell’art. 87, n. 3, CE, o dell’art. 81, n. 3, CE, essa condivide con i giudici nazionali, sia pure con scopi differenti, il compito di interpretare ed applicare l’art. 87, n. 1, CE, richiedono, a mio giudizio, che il sindacato della Corte non dev’essere limitato a specifici motivi. Di conseguenza, i giudici comunitari possono, quando necessario, sostituire la propria valutazione economica a quella della Commissione, per quanto complessa questa possa essere.

112. Un diverso approccio si scontrerebbe anche con il fatto che la Corte ha richiesto ai giudici nazionali di effettuare una completa analisi economica di tutti gli elementi rilevanti per determinare se un provvedimento statale costituisca un aiuto di Stato ai sensi del Trattato (37).

113. Tuttavia non è necessario risolvere la questione in questa sede, perché comunque, a mio parere, la decisione della Commissione non può essere considerata invalida.

114. La procedura di rito è stata chiaramente rispettata. I passi intrapresi e le ragioni che hanno condotto ad avviare il procedimento ai sensi dell’art. 88, n. 2, CE sono chiaramente esposti nella decisione della Commissione (38).

115. Secondo la giurisprudenza, «la motivazione prescritta dall’art. 253 CE dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione e deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. (…) La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia» (39).

116. La decisione esordisce con la valutazione iniziale dei provvedimenti contestati, che hanno condotto la Commissione ad avviare il procedimento di cui all’art. 88, n. 2, CE. Si passa quindi ad un’accurata descrizione della competenza, del ruolo e delle funzioni delle fondazioni bancarie secondo la nuova normativa, e dei benefici fiscali annessi. La decisione contiene inoltre le osservazioni del destinatario della decisione, il governo italiano, ed una sintesi delle osservazioni inviate dai terzi interessati.

117. In tale quadro, la Commissione sviluppa il ragionamento giuridico su cui si basano le sue conclusioni, inserendo non solo un richiamo, ma anche una breve discussione della giurisprudenza a sostegno (40). A mio parere il ragionamento è espresso «in forma chiara e inequivocabile», e risponde pertanto ai requisiti richiesti dalla Corte.

118. Per quanto riguarda l’obbligo di ricostruire con precisione i fatti, va osservato che l’ordinanza di rinvio non contesta la ricostruzione dei fatti operata dalla Commissione, ma semmai la loro valutazione giuridica alla luce delle norme del Trattato sulla concorrenza. In ogni caso, come visto in precedenza, i fatti sono stati senza dubbio correttamente descritti e la decisione della Commissione non presenta dunque problemi neppure sotto tale profilo.

119. Né vi sono ragioni, a mio giudizio, per ritenere che la Commissione abbia errato nella sua valutazione economica dei provvedimenti nazionali in esame. In sostanza il giudice della causa principale rimprovera alla Commissione di non aver preso seriamente in considerazione gli effetti che possono avere sul mercato bancario le gestione ed eventualmente la cessione, da parte delle fondazioni bancarie, delle proprie partecipazioni di controllo nelle banche conferitarie, in particolare alla luce del loro compito connesso allo «sviluppo economico del sistema». Il giudice nazionale contesta inoltre alla Commissione di non avere correttamente esaminato la relazione tra le fondazioni bancarie e le loro «imprese strumentali».

120. I punti 36-39, 43-45 e 48-50 della decisione della Commissione sono dedicati all’esame di tali questioni.

121. Sulla base di tale esame la Commissione ha concluso che l’obbligo di cedere ogni partecipazione di controllo entro un preciso termine, unitamente agli obblighi e ai limiti imposti dal nuovo quadro normativo ai membri degli organi interni e agli amministratori delle fondazioni bancarie circa i loro rapporti con le banche conferitarie – in particolare il divieto di svolgere funzioni di amministrazione, direzione o controllo nelle banche conferitarie o in ogni altra impresa finanziaria o bancaria – e alle limitazioni relative alla gestione dei loro patrimoni, ha rafforzato la separazione tra fondazioni bancarie e istituti finanziari, pertanto contribuendo a «dissipare i dubbi espressi al riguardo nella decisione di avvio del procedimento» (41). La Commissione ha quindi ritenuto che la gestione dei patrimoni non costituisca un’attività economica, e perciò non renda le fondazioni bancarie imprese ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE (42).

122. La Commissione ha inoltre rilevato che le fondazioni bancarie non potevano detenere alcuna partecipazione di controllo in imprese diverse dalle imprese strumentali. In tal caso, la Commissione ha affermato che qualora le attività delle imprese strumentali consistano nel fornire servizi in un mercato in cui esiste concorrenza, la possibilità delle fondazioni bancarie «di controllare delle imprese è potenzialmente in grado di falsare la concorrenza e la loro attività non può essere interamente sottratta al controllo del rispetto delle regole di concorrenza» (43). La Commissione ha concluso che la «possibilità di acquisire il controllo di imprese strumentali (…) non conferirebbe alle fondazioni [bancarie] la qualità di imprese nella misura in cui non implica una diretta partecipazione delle fondazioni stesse all’attività dell’impresa controllata» (44).

123. Sulla base di tali premesse, la Commissione ha deciso che le fondazioni bancarie non sono imprese ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, a meno che non svolgano un’attività economica come definita dalla giurisprudenza, vale a dire non offrano beni o servizi in un mercato in cui esiste concorrenza, persino in uno dei «settori rilevanti».

124. Nonostante i dubbi del giudice della causa principale, e come si può comprendere dalle mie argomentazioni (45), sono sostanzialmente d’accordo con la valutazione della Commissione e con le sue conclusioni circa la natura delle fondazioni bancarie nel nuovo quadro normativo. L’ordinanza di rinvio non offre, a mio parere, elementi aggiuntivi, di natura giuridica o economica, né un’analisi alternativa in grado di mettere in dubbio la valutazione della Commissione.

125. Per quanto riguarda il timore del giudice nazionale che l’analisi della Commissione abbia dato insufficiente peso al compito delle fondazioni bancarie di promuovere lo «sviluppo economico del sistema», è giurisprudenza consolidata che un provvedimento statale costituisce un aiuto di Stato non a causa dei suoi scopi, ma a causa dei suoi effetti. Il fatto che tra i compiti delle fondazioni bancarie vi sia lo «sviluppo economico del sistema» non le trasforma, di per sé, in imprese ai fini dell’applicazione delle norme del Trattato CE in materia di concorrenza.

126. Ne concludo quindi che la decisione della Commissione non è viziata da alcun errore di valutazione.

127. Alla luce delle precedenti considerazioni, la risposta alla quarta questione è che non vi sono ragioni per dichiarare invalida la decisione della Commissione 2003/146.

 La quinta questione

128. La formulazione della quinta questione non è del tutto chiara. Tuttavia, considerandola nel contesto dell’ordinanza di rinvio sembra che il giudice nazionale chieda, in sostanza, di chiarire se le agevolazioni fiscali oggetto della causa principale possano costituire una discriminazione vietata dall’art. 12 CE, o una violazione del diritto di stabilimento ai sensi degli artt. 43 CE e segg. e della libera circolazione dei capitali ai sensi degli art. 56 CE e segg., che sono entrambi principi che rappresentano specifiche espressioni del divieto di discriminazione.

129. Stando alla giurisprudenza, se è vero che, allo stato attuale del diritto comunitario, la materia delle imposte dirette non rientra, in quanto tale, nella competenza della Comunità, ciò non toglie tuttavia che gli Stati membri siano tenuti ad esercitare nel rispetto del diritto comunitario – quindi anche del diritto di stabilimento e della libera circolazione dei capitali – le competenze da essi conservate (46).

130. Anche se in ultima analisi spetta al giudice nazionale pronunciarsi sulla portata delle disposizioni nazionali, sembra dal fascicolo che le agevolazioni fiscali in parola non siano specificamente destinate alle fondazioni bancarie. L’art. 10 bis della L. n. 1745/62 non riguarda soltanto i dividendi provenienti dalle attività bancarie, ma si applica in generale a tutti i dividendi percepiti in Italia da soggetti non commerciali che perseguono scopi di utilità sociale o di interesse pubblico. La norma si applica a tutti i dividendi percepiti in Italia da qualunque soggetto che possieda le caratteristiche specificate, senza distinzione circa il luogo in cui esso abbia sede.

131. Lo stesso vale per la riduzione del 50% dell’imposta sulle società a favore degli enti non commerciali che perseguono scopi di utilità sociale o di interesse pubblico, riduzione che l’art. 12 del D.Lgs. n. 153/99 estende alle fondazioni bancarie che abbiano adeguato i propri statuti alle sue disposizioni generali e che operino nei «settori rilevanti». Le fondazioni bancarie ne possono beneficiare in quanto finalizzate unicamente al perseguimento di scopi di interesse pubblico e di utilità sociale. Tali agevolazioni fiscali sembrano concesse ad ogni soggetto passivo dell’imposta sulle società in Italia che possieda i requisiti previsti, indipendentemente dalla sua cittadinanza o dalla sua sede.

132. In conclusione, nulla, nell’ordinanza di rinvio, indica che le disposizioni nazionali in esame siano, di per sé, direttamente o indirettamente discriminatorie in violazione dell’art. 12 CE, o costituiscano un ostacolo al diritto di stabilimento o alla libera circolazione dei capitali ai sensi, rispettivamente, degli artt. 43 CE e segg. e 56 CE e segg.

133. Alla luce delle considerazioni svolte, alla quinta questione si deve rispondere dichiarando che un regime fiscale che preveda agevolazioni fiscali relativamente al reddito percepito in Italia a favore di fondazioni bancarie in ragione dei loro obiettivi di pubblico interesse e di utilità sociale, senza fare distinzioni basate sulla cittadinanza o sulla sede, non viola gli artt. 12 CE, 43 CE e segg. e 56 CE e segg.

 Conclusioni

134. Sulla base delle considerazioni svolte, propongo di rispondere come segue alle questioni proposte dalla Corte suprema di cassazione:

(1)      (Questioni 1 e 2) Le fondazioni bancarie, come disciplinate dalla L. 30 luglio 1990, n. 218, e dal relativo D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, e successive modifiche, nonché dalla L. 23 dicembre 1998, n. 461 e dal D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153, e successive modifiche, sono imprese ai sensi delle norme del Trattato CE sulla concorrenza e, in particolare, dell’art. 87, n. 1, CE in materia di aiuti di Stato, se svolgono un’attività economica come definita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Tale è il caso se:

–       rispetto alla gestione delle loro partecipazioni di controllo nelle banche conferitarie o in qualunque altra impresa, vi è un mercato rilevante in cui imprese private possono svolgere la medesima attività a scopo di lucro;

o

–       nel perseguimento dei propri obiettivi statutari di interesse pubblico e di utilità sociale esse offrono beni o servizi in un mercato in cui esiste concorrenza;

o

–       grazie ai diritti derivanti dalle loro partecipazioni di controllo o altrimenti, esse sono coinvolte, direttamente o indirettamente, nella direzione di imprese che svolgono esse stesse un’attività economica nella definizione datane dalla giurisprudenza.

(2)      (Questione 3) Purché siano presenti gli altri elementi della nozione di aiuto di Stato – ovvero una distorsione della concorrenza e un effetto sul commercio tra Stati membri – e le agevolazioni fiscali non siano giustificate dalla natura o dalla struttura generale del sistema (valutazione che spetta al giudice nazionale compiere), il regime tributario in esame nella causa principale presenta le caratteristiche per essere qualificato come aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, se concesso ad «imprese» ai sensi delle norme del Trattato in materia di concorrenza, secondo quanto esposto nell’ambito della prima e della seconda questione.

(3)      (Questione 4) Non vi sono ragioni per dichiarare invalida la decisione della Commissione 2003/146/CE.

(4)      (Questione 5) Un regime fiscale che preveda agevolazioni fiscali relativamente al reddito percepito in Italia a favore, tra gli altri, di fondazioni bancarie in ragione dei loro obiettivi di pubblico interesse e di utilità sociale, applicato senza fare distinzioni basate sulla cittadinanza o sulla sede, non viola gli artt. 12 CE, 43 CE e segg. e 56 CE e segg.


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – Istituzione di una ritenuta d'acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle società e modificazioni della disciplina della nominatività obbligatoria dei titoli azionari (GURI 7 gennaio 1963, n. 5, pag. 61), come integrata dall'art. 6 del decreto legge 21 febbraio 1967, n. 22, nuove disposizioni in materia di ritenuta d'acconto o di imposta sugli utili distribuiti dalle società (GURI 22 febbraio 1967, n. 47, pag. 1012), convertito, con modificazioni, in legge 21 aprile 1967, n. 209 (GURI 22 aprile 1967, n. 101, pag. 2099).


3 – GURI 16 ottobre 1973, n. 268, pag. 3.


4 – Nell'ordinanza di rinvio il giudice nazionale descrive l'art. 10 bis come un'esenzione da una ritenuta alla fonte piuttosto che da una ritenuta d'acconto. V. i successivi paragrafi 51 e 101.


5 – Di delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all'articolo 11, comma 1, del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria (GURI 7 gennaio 1999, n. 4, pag. 4).


6 – L'art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), ha aggiunto i seguenti settori rilevanti: famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione, incluso l'acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili; prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezione civile; sanità pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportive; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze; patologia e disturbi psichici e mentali; ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale; arte, attività e beni culturali.


7 – Legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004).


8 – Art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e art. 4 del decreto legge 24 giugno 2003, n. 143, convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 212.


9 – V. il precedente paragrafo 13.


10 – La descrizione del procedimento principale contenuta nell'ordinanza di rinvio del giudice nazionale differisce sotto taluni aspetti da quella fornita dalle parti che hanno presentato osservazioni. Così, nell'ordinanza di rinvio il giudice nazionale non menziona il fatto che la controversia a livello nazionale riguarda una domanda di esenzione fiscale per il 1998, quindi precedente al D.Lgs. n. 153/99. Solo le parti che hanno presentato osservazioni hanno formulato questa riserva. Le indicazioni circa il ruolo svolto dalle varie parti nel procedimento principale non sempre coincidono. L'ordinanza di rinvio, ad esempio, cita la Cassa di Risparmio di San Miniato SpA anziché la sua controllante Fondazione come ricorrente originaria. Dalle osservazioni presentate dalle altre parti risulta che all'origine dell'iniziale richiesta di esenzione vi fosse la Fondazione. Tali differenze non modificano tuttavia in modo significativo la sostanza della questione. V. anche i successivi paragrafi 51 e 101.


11 – Sembra che ci sia un legame tra le due disposizioni nel diritto nazionale. V. il successivo paragrafo 67.


12 – GU 2003, L 55, pag. 56.


13 – V., tra le altre, sentenza 7 dicembre 1995, causa C-45/94, Ayuntamiento de Ceuta (Racc. pag. I-4385, punto 26).


14 – V., tra le altre, sentenza 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller (Racc. pag. I-2529, punto 33).


15 – V., tra le altre, sentenza 5 febbraio 2004, causa C-380/01, Schneider (Racc. pag. I-1389, punto 22, e giurisprudenza ivi citata).


16 – Sentenza 9 marzo 1994, causa C-188/92 (Racc. pag. I-833).


17 – V. i precedenti paragrafi 57 e 58 e la giurisprudenza ivi citata.


18– V. sentenza 22 maggio 2003, causa C-18/01, Korhonen e a. (Racc. pag. I-5321, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).


19 – Sentenza 23 aprile 1991, causa C-41/90, Höfner (Racc. pag. I-1979, punto 21). Più recentemente, v. sentenza 28 giugno 2005, cause riunite C-189/02 P, C-202/02 P, C-205/02 P, C-208/02 P e C-213/02 P, Dansk Rørindustri/Commissione (Racc. pag. I-5425, punto 112 e giurisprudenza ivi citata). V., anche, le conclusioni da me presentate il 22 maggio 2003 nelle cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK-Bundesverband e a. (Racc. 2004, pag. I-2493, paragrafo 25).


20 – V., tra le altre, sentenze 16 novembre 1995, causa C-244/94, FFSA e a. (Racc. pag. I-4013, punto 21), e 12 settembre 2000, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e a. (Racc. pag. I-6451, punto 117 e giurisprudenza ivi citata).


21 – V. le conclusioni da me presentate nella causa AOK, cit. alla nota 19, paragrafo 27 e giurisprudenza ivi citata.


22 – V. sentenze 11 aprile 1989, causa 66/86, Ahmed Saeed e a. (Racc. pag. 803, punto 48 e giurisprudenza ivi citata), e 9 giugno 1994, causa C-153/93, Delta (Racc. pag. I-2517, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).


23 – Punto 9, terzo trattino.


24 – Sentenza 12 luglio 1984, causa170/83, Hydrotherm (Racc. pag. 2999, punto 11). V. anche sentenza Dansk Rørindustri/Commissione, cit. alla nota 19, punto 112 e giurisprudenza ivi citata. Analogamente, il Tribunale di primo grado ha affermato che «l'art. 85, n. 1, del Trattato CEE (…), si rivolge ad entità economiche, ognuna delle quali costituita da un'organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali, che persegue stabilmente un determinato fine di natura economica, organizzazione che può concorrere alla realizzazione di un'infrazione della stessa disposizione» (sentenza 10 marzo 1992, causa T-11/89, Shell/Commissione, Racc. pag. II-757, punto 311).


25 – Sentenza del Tribunale 12 gennaio 1995, causa T-102/92, Viho/Commissione (Racc. pag. II-17, punto 51). V., anche, sentenze della Corte 24 ottobre 1996, causa C-73/95 P, Viho/Commissione (Racc. pag. I-5457, punto 16 e giurisprudenza ivi citata), nonché 31 ottobre 1974, causa 15/74, Centrafarm (Racc. pag. 1147, punto 41). Vale anche la pena rilevare che, ai sensi dell'art. 3 del regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU 1990, L 257, pag. 13) (cd. «regolamento sulle concentrazioni»), una controllata non è considerata indipendente se la società controllante può «esercitare un'influenza determinante sull'attività di un'impresa». V. anche i criteri per il consolidamento dei conti tra impresa controllante e controllata contenuti nella direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE, basata sull'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti consolidati (GU L 193, pag. 1) (cd. «Settima direttiva in materia di società») e le conclusioni dell'avvocato generale Warner presentate nella causa Commercial Solvents, in cui egli suggerito, come regola pratica, che ogni volta che la società controllante ha una partecipazione di maggioranza, la controllata, in linea di principio, non è indipendente (cause riunite 6/73 e 7/73, Racc. 1974, pag. 260, in particolare pagg. 263-266).


26 – Sentenza 14 novembre 2000, causa C-142/99, Floridienne e Berginvest (Racc. pag. I-9567, punti 17-19 e giurisprudenza ivi citata). Sono d'accordo sul fatto che, in linea di principio, per ragioni di coerenza e uniformità, al medesimo concetto in diverse aree del diritto comunitario debbano essere assegnati, in generale, identici significati, a meno che una diversa interpretazione ad hoc non sia giustificata dalla natura o da specifiche caratteristiche dell'area in cui il concetto è utilizzato. In questo caso specifico mi sembra ragionevole accettare l'idea della Commissione che si possa applicare alle norme sulla concorrenza, per analogia, la giurisprudenza sulla Sesta direttiva IVA.


27 – Sentenza Floridienne e Berginvest, cit., ibidem.


28 – V. le precedenti note 24, 25 e 26.


29 – V. i precedenti paragrafi 73-93.


30 – V., tra le altre, sentenza 19 maggio 1999, causa C-6/97, Italia/Commissione (Racc. pag. I-2981, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).


31 – Sentenza 15 marzo 1994, causa C-387/92, Banco Exterior de España (Racc. pag. I-877, punto 14). V., anche, sentenza 19 settembre 2000, causa C-156/98, Germania/Commissione (Racc. pag. I-6857, punti 25 e 26 e giurisprudenza ivi citata).


32 – V., tra le altre, sentenza 29 aprile 2004, causa C-308/01, GIL Insurance Ltd e a. (Racc. pag. I-4777, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).


33 – V. la precedente nota 20.


34 – V., tra le altre, sentenze 29 febbraio 1996, causa C-56/93, Belgio/Commissione (Racc. pag. I-723, punto 11 e giurisprudenza ivi citata), 14 gennaio 1997, causa C-169/95, Spagna/Commissione (Racc. pag. I-135, punto 34), 12 dicembre 1996, causa T-380/94, AIUFFASS (Racc. pag. II-2169, punto 56), 28 febbraio 2002, causa T-395/94, Atlantic Container Line e a. (Racc. pag. II-875, punto 257), e 25 giugno 1998, cause riunite T-371/94 e T-394/94, British Airways e a./Commissione (Racc. pag. II-2405, punto 79).


35 – Per quanto riguarda il Tribunale di primo grado, v. sentenze 12 dicembre 2000, causa T-296/97, Alitalia/Commissione (Racc. pag. II-3871, punto 105), 15 settembre 1998, cause riunite T-126/96 e T-127/96, BFM/Commissione (Racc. pag. II-3437, punto 81), 21 ottobre 2004, causa T-36/99, Lenzing/Commissione (Racc. pag. II-3597, punto 150), 12 dicembre 1996, causa T-358/94, Air France/Commissione (Racc. pag. II-2109, punti 71 e 72). La Corte ha seguito il medesimo ragionamento nella sentenza 8 maggio 2003, cause riunite C-328/99 e C-399/00, Italia e SIM 2 Multimedia/Commissione (Racc. pag. I-4035, punto 39). Tutti questi casi riguardavano l'applicazione, da parte della Commissione, del «criterio dell'investitore privato», che richiede una complessa valutazione economica, al fine di determinare se i provvedimenti statali in esame costituissero aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87, n. 1, CE. V. anche sentenza Belgio/Commissione, cit. nella precedente nota 34.


36 – Sentenza 16 maggio 2000, causa C-83/98 P, Francia/Ladbroke Racing e Commissione (Racc. pag. I-3271, punto 25; il corsivo è mio). V. anche sentenza 17 ottobre 2002, causa T-98/00, Linde/Commissione (Racc. pag. II-3961, punto 40). Il Tribunale di primo grado ha sintetizzato la sua interpretazione della giurisprudenza nella sua sentenza Valmont, in cui ha affermato che al principio del controllo completo da parte del giudice comunitario per verificare se un provvedimento ricada nell'art. 87, n. 1, CE si fa eccezione quando sono necessarie valutazioni economiche complesse, nel qual caso il sindacato giurisdizionale è limitato (sentenza 16 settembre 2004, causa T-274/01, Racc. pag. II-3145, punto 37).


37 – Sentenza 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI e a. (Racc. pag. I-3547, punto 62).


38 – Punto 9.


39 – V., fra le altre, sentenza 7 marzo 2002, causa C-310/99, Italia/Commissione (Racc. pag. I-2289, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).


40 – Punti 44 e 49.


41 – Punto 43.


42 – Punto 59.


43 – Punto 49.


44 – Punto 52.


45 – V. i precedenti paragrafi 81 e 82 e 91-93.


46 – Sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, de Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I-2409, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).