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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

M. Poiares Maduro

presentate il 16 febbraio 2006 1(1)

Causa C-494/04

Heintz van Landewijk SARL

contro

Staatssecretaris van Financiën

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dallo Hoge Raad (Paesi Bassi)]

«IVA – Prodotti soggetti ad accisa – Sparizione dei contrassegni fiscali per prodotti del tabacco prima della loro utilizzazione»





1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, lo Hoge Raad (Paesi Bassi) sottopone alla Corte questioni concernenti l’interpretazione della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (2), nonché della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle decisioni degli Stati membri relative alle imposte sulle cifre di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (3).

2.        La causa in esame verte sulla tassazione dei prodotti del tabacco, soggetti, da un lato, all’IVA e, dall’altro, ad accise, imposte dirette ad alimentare l’Erario e, paradossalmente, a dissuadere i fumatori dal fumare esortandoli quindi alla virtù.

3.        Nella specie si discute, concretamente, della questione se una società che commercializza prodotti del tabacco possa legittimamente ottenere il rimborso o la compensazione delle somme versate per l’acquisto di contrassegni fiscali rappresentanti gli importi dovuti a titolo di accise e di IVA quando tali contrassegni siano scomparsi prima di essere apposti sui relativi prodotti.

I –    Il contesto normativo, la causa principale e le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte

A –    La pertinente normativa comunitaria

4.        A termini dell’art. 6 della direttiva sulle accise, applicabile, a termini del suo art. 3, n. 1, ai tabacchi lavorati:

1. L’accisa diviene esigibile all’atto dell’immissione in consumo o della constatazione degli ammanchi che dovranno essere soggetti ad accisa ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3.

Si considera immissione in consumo di prodotti soggetti ad accisa:

a)      lo svincolo, anche irregolare, da un regime sospensivo;

b)      la fabbricazione, anche irregolare, dei prodotti in questione al di fuori di un regime sospensivo;

c)      l’importazione, anche irregolare, dei prodotti in questione, quando essi non sono vincolati a un regime sospensivo.

2. Le condizioni di esigibilità e l’aliquota dell’accisa che deve essere applicata sono quelle in vigore alla data dell’esigibilità nello Stato membro in cui è effettuata l’immissione in consumo o la constatazione degli ammanchi. L’accisa viene liquidata e riscossa secondo le modalità stabilite da ciascuno Stato membro, fermo restando che gli Stati membri applicano le medesime modalità di esenzione e di riscossione sia ai prodotti nazionali che ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri.

5.        L’art. 14, n. 1, della direttiva medesima così recita:

«Il depositario autorizzato beneficia di un abbuono d’imposta per le perdite verificatesi durante il regime sospensivo, imputabili a casi fortuiti o di forza maggiore e accertate dalle autorità di ciascuno Stato membro. Egli beneficia, inoltre, in regime sospensivo, di un abbuono d’imposta per le perdite inerenti alla natura dei prodotti avvenute durante il processo di fabbricazione e di lavorazione, il magazzinaggio e il trasporto. Ogni Stato membro fissa le condizioni alle quali tali abbuoni sono concessi. Gli abbuoni d’imposta si applicano anche agli operatori di cui all’articolo 16 relativamente al trasporto in regime di sospensione dei diritti di accisa».

6.        Il successivo art. 21, n. 1, prevede che, «[f]atto salvo l’articolo 6, paragrafo 1, gli Stati membri possono prevedere che i prodotti destinati ad essere immessi in consumo nel loro territorio siano muniti di contrassegni fiscali o di contrassegni nazionali di riconoscimento utilizzati a fini fiscali».

7.        A termini del successivo art. 22, n. 2, lett. b), «i prodotti soggetti ad accisa e immessi in consumo in uno Stato membro nonché muniti a tale titolo di un contrassegno fiscale o di un contrassegno di riconoscimento di detto Stato membro possono formare oggetto di un rimborso dell’accisa dovuta da parte delle autorità fiscali dello Stato membro che ha emesso tali contrassegni fiscali o di riconoscimento, purché la distruzione dei contrassegni sia accertata dalle autorità fiscali dello Stato membro che li ha rilasciati».

8.        Ai sensi dell’art. 10 della direttiva del Consiglio 27 novembre 1995, 95/59/CE, relativa alle imposte diverse dall’imposta sul volume d’affari che gravano sul consumo dei tabacchi lavorati (4):

«1. Le modalità di riscossione dell’accisa sono armonizzate al più tardi nella fase finale. Nel corso delle tappe precedenti, l’accisa è in linea di massima riscossa a mezzo di marche fiscali. Gli Stati membri che riscuotono l’imposta tramite marche fiscali sono tenuti a [metterla a] disposizione dei produttori e commercianti degli altri Stati membri. Se invece riscuotono l’imposta con altri mezzi, gli Stati membri provvedono a che nessun ostacolo amministrativo o tecnico pregiudichi gli scambi tra gli Stati membri.

2. Gli importatori ed i produttori dei tabacchi lavorati sono soggetti al regime di cui al paragrafo 1 per quanto riguarda le modalità di riscossione e di pagamento dell’accisa».

9.        L’art. 2 della sesta direttiva così dispone:

«Sono soggette all’imposta sul valore aggiunto:

1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

2. le importazioni di beni».

10.      L’art. 5, n. 1, della sesta direttiva dispone, inoltre, che «[s]i considera “cessione di bene” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario».

11.      L’art. 10 della direttiva medesima così recita:

«1. Si considera

a)      fatto generatore dell’imposta il fatto per il quale si realizzano le condizioni di legge necessarie per l’esigibilità dell’imposta;

b)      esigibilità dell’imposta il diritto che l’Erario può far valere a norma di legge, a partire da un dato momento, presso il debitore, per il pagamento dell’imposta, anche se il pagamento può essere differito.

2.     Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi. (…)

(…)».

12.      A termini del successivo art. 11, la base imponibile è costituita, per le cessioni di beni, da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo. Il detto articolo, parte C, n. 1, prevede quanto segue:

«In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o di riduzione di prezzo dopo che l’operazione è stata effettuata, la base imponibile viene debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri».

13.      Inoltre, l’art. 27 della sesta direttiva, relativo alle «misure di semplificazione» (5), così dispone:

«1.      Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro a mantenere o introdurre misure particolari di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali. Le misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta non devono influire, se non in misura trascurabile, sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale.

2.      Lo Stato membro che desidera introdurre misure di cui al paragrafo 1 ne riferisce alla Commissione fornendole tutti i dati atti alla valutazione».

(...)

5. Gli Stati membri che il 1° gennaio 1977 applicano misure particolari del tipo di quelle di cui al paragrafo 1 possono mantenerle purché le notifichino alla Commissione anteriormente al 1° gennaio 1978 e purché tali misure siano conformi, se si tratta di misure destinate a semplificare la riscossione dell’imposta, al criterio definito al paragrafo 1».

14.      Ai termini dell’art. 1 della direttiva del Consiglio 26 giugno 1978, 78/583/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (6), alcuni Stati membri sono autorizzati a dare attuazione alla sesta direttiva entro e non oltre il 1° gennaio 1979.

B –    La normativa olandese, i fatti della causa principale e le questioni pregiudiziali

15.      A termini dell’art. 1 della legge sulle accise (Wet op de accijns, 31 ottobre 1991, Staatsblad 1991, pag. 561; in prosieguo: la «legge sulle accise»):

«1. Una tassa denominata accisa è percepita su:

(…)

f. i prodotti del tabacco.

2. L’accisa è dovuta in occasione della vendita e dell’importazione dei beni di cui al n. 1».

16.      Ai sensi dell’art. 73, primo comma, della legge medesima, «i prodotti del tabacco devono essere provvisti, al momento della vendita e dell’importazione, del contrassegno di accisa prescritto per il rispettivo prodotto».

17.      Ai termini dell’art. 76, primo e secondo comma, della legge medesima:

«1. Gli importi delle accise rappresentati dai contrassegni di accisa secondo il loro valore nominale devono essere versati al momento della domanda [di contrassegni].

2. In deroga al primo comma, il pagamento può essere differito entro e non oltre l’ultimo giorno del terzo mese successivo al mese nel quale i contrassegni di accisa sono stati richiesti, previa costituzione di apposita garanzia».

18.      La sociétà Heintz van Landewijk SARL (in proseguo: la «Van Landewijk») esercita in Lussemburgo un commercio all’ingrosso di tabacchi lavorati, per i quali dispone di licenza di depositario autorizzato.

19.      Il 6 ottobre 1998 la Van Landewijk presentava al Belastingdienst/Douane te Amsterdam (amministrazione finanziaria dell’ufficio doganale di Amsterdam; in prosieguo: l’«Ispettore»), due domande di contrassegni di accisa per tabacchi lavorati, ai sensi dell’art. 75 della legge sulle accise (7). Essa affidava all’impresa Securicor Omega l’incarico di procurarle tali contrassegni.

20.      Il 9 ottobre 1998 l’Ispettore contabilizzava gli importi dovuti dalla Van Landewijk a titolo di due domande di contrassegni, vale a dire rispettivamente NLG 177 809 (NLG 140 575 di accise e NLG 37 234 di IVA) e NLG 2 711 474 (NLG 2 202 857 di accise e NLG 508 617 di IVA).

21.      Il 12 ottobre 1998, i contrassegni richiesti venivano ritirati presso la Geldnet Services BV, già PTT Post Filatelie, dal corriere Smit Koerier, agente in nome e per conto della Securicor Omega.

22.      Dal verbale redatto il 17 dicembre 1998 da un perito incaricato dalla compagnia assicurativa lussemburghese Le Foyer emerge che il 13 ottobre 1998 alle 19.40 la Smit Koerier consegnava tre pacchetti di contrassegni presso uno stabilimento della Securicor Omega situato à Utrecht (Paesi Bassi) e che, alle ore 10.00 del giorno seguente, la Securicor Omega constatava che tali pacchetti erano spariti.

23.      Con lettera 23 novembre 1998 la Van Landewijk informava l’Ispettore che i contrassegni consegnati alla Smit Koerier non le erano ancora pervenuti, che non potevano essere utilizzati e che la Securicor Omega declinava qualsiasi responsabilità per la loro scomparsa. Nella stessa lettera la Van Landewijk chiedeva all’Ispettore «di tener conto delle particolari circostanze della specie prima della scadenza del pagamento, vale a dire il 31 gennaio 1999».

24.      L’Ispettore intendeva la detta lettera quale richiesta di compensazione o di restituzione dell’importo versato dalla Van Landewijk per i contrassegni controversi, domanda presentata ai sensi del combinato disposto dell’art. 79, terzo comma della legge sulle accise e dell’art. 52 del decreto di esecuzione della legge medesima. Tale richiesta veniva respinta con decisione 30 gennaio 2001.

25.      L’art. 79, terzo comma, della detta legge sulle accise così dispone:

«Il Ministro può istituire, alle condizioni e con le restrizioni che riterrà opportune, regole concernenti la compensazione o la restituzione degli importi versati o ancora dovuti per effetto della domanda di contrassegni di accise:

a)      restituiti dall’operatore che ne abbia fatto richiesta;

b)      andati smarriti, per caso fortuito o per causa di forza maggiore, senza essere stati apposti sui prodotti del tabacco venduti o importati;

c)      distrutti sotto controllo amministrativo».

26.      Al detto art. 79, terzo comma, è stata data attuazione mediante l’art. 52 del decreto di esecuzione della legge sulle accise (Uitvoeringsregeling accijns, 20 dicembre 1991, n. WV 91/440, Nederlandse Staatscourant 1991, 252; in prosieguo: il «decreto di esecuzione»), a termini del quale l’operatore che abbia fatto domanda di contrassegni di accise può ottenere il rimborso dell’importo delle accise corrispondenti ai contrassegni «che sono andati smarriti per caso fortuito o per causa di forza maggiore» a condizione, segnatamente, di presentare domanda di rimborso entro il termine di un mese a decorrere dalla data dello smarrimento dichiarandolo senza indugio all’Ispettore e indicando il momento, il luogo e la causa dello smarrimento. Il medesimo articolo prevede, al sesto comma, che il rimborso può aver luogo per i contrassegni perduti «solamente laddove l’importo delle accise possa essere stabilito con certezza».

27.      Il reclamo proposto dalla Van Landewijk avverso la decisione dell’Ispettore veniva respinta dal medesimo. Parimenti, il ricorso proposto avverso la detta decisione di rigetto dinanzi al Gerechtshof te Amsterdam veniva dichiarato infondato. Da un lato, il detto giudice rilevava che la ricorrente non aveva dimostrato con sufficiente certezza né che i contrassegni non esistevano più, né che il rischio che venissero ancora utilizzati era trascurabile e che, pertanto, i contrassegni medesimi non potevano essere considerati smarriti ai sensi dell’art. 79, terzo comma, lett. b), della legge sulle accise.

28.      Dall’altro, il Gerechtshof riteneva, a termini dell’art. 28 del codice IVA (Wet op de omzetbelasting 1968, legge 28 giugno 1968, Staatblad pag. 329; in prosieguo: il «codice IVA»), che la domanda di rimborso dell’IVA doveva essere respinta per gli stessi motivi alla base del diniego del rimborso delle accise (8).

29.      La Van Landewijk proponeva conseguentemente ricorso per cassazione dinanzi allo Hoge Raad, il quale decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la direttiva sulle accise debba essere interpretata nel senso che impone agli Stati membri di adottare una normativa in base alla quale, in casi come quello di specie, essi sono tenuti a restituire o compensare gli importi pagati o divenuti esigibili al momento della richiesta di contrassegni per accise, nel caso in cui il richiedente (depositario autorizzato) non abbia utilizzato né potrà utilizzare contrassegni spariti prima di essere apposti ai prodotti soggetti ad accisa, e i terzi non abbiano potuto o non potranno far legittimamente uso di tali contrassegni, benché non sia escluso che essi li abbiano utilizzati o potranno utilizzarli apponendoli a tabacchi lavorati immessi illegalmente in commercio.

2)      a)     Se la sesta direttiva, in particolare l’art. 27, nn. 1 e 5, debba essere interpretata nel senso che la circostanza che solo in una data successiva a quella prevista nell’art. 27, n. 5, della sesta direttiva, nel testo novellato dalla nona direttiva, il governo dei Paesi Bassi ha comunicato alla Commissione che intendeva continuare a mantenere in vigore la modalità particolare per il prelievo fiscale sui tabacchi lavorati comporti che, qualora un singolo, dopo che tale comunicazione ha avuto comunque luogo, invochi il superamento del termine, tale modalità speciale di prelievo fiscale deve essere disapplicata anche successivamente alla comunicazione.

2)      b)     Nell’ipotesi in cui la soluzione alla questione 2 a) sia negativa, se la sesta direttiva, in particolare l’art. 27, nn. 1 e 5, debba essere interpretata nel senso che la modalità particolare di prelievo fiscale sui tabacchi lavorati, di cui all’art. 28 della legge sull’imposta sul valore aggiunto, deve essere disapplicata in quanto incompatibile con i requisiti stabiliti nelle disposizioni menzionate.

2)      c)     Nel caso in cui la soluzione alla questione 2 b) sia negativa, se la sesta direttiva, in particolare l’art. 27, nn. 1 e 5, debba essere interpretata nel senso che è con essa incompatibile il mancato rimborso dell’imposta sul valore aggiunto in circostanze quali quelle descritte alla questione 1».

II – Analisi

30.      Tale controversia è fonte, ad un primo sguardo, di una certa perplessità. La Van Landewijk, quale depositaria autorizzata per i prodotti del tabacco partecipa, per effetto della normativa olandese, al meccanismo di riscossione delle accise e dell’IVA sui prodotti del tabacco, gravanti in ultima analisi sul consumatore. A tal riguardo è tenuta a chiedere e a pagare contrassegni fiscali che dovranno essere apposti sui prodotti del tabacco prima dell’uscita dai suoi depositi.

31.      Orbene, pur avendo versato all’amministrazione finanziaria olandese gli importi delle accise e dell’IVA dovuti per prodotti del tabacco che non sono mai usciti dal deposito, le viene richiesto una seconda volta l’assolvimento dello stesso debito fiscale. Infatti, al fine di poter commercializzare tali prodotti la Van Landewijk deve nuovamente versare le accise e l’IVA.

32.      Orbene, si potrebbe ritenere che si tratti di un caso in cui trova applicazione il proverbio «chi paga male paga due volte». Ma le cose non stanno così. Infatti, come emerge dall’ordinanza di rinvio, non vi è dubbio alcuno che la Van Landewijk abbia regolarmente versato gli importi delle accise dell’IVA dovute sulla base della normativa olandese vigente in materia al fine di poter commercializzare i prodotti del tabacco di cui trattasi. La doppia imposizione deriva, nella specie, dal fatto che i contrassegni, rappresentativi del pagamento delle accise e dell’IVA, sono spariti durante il transito senza lasciare traccia, ragion per cui la Van Landewijk è ora tenuta a pagare una seconda volta, al fine di ottenere nuovi contrassegni che le consentiranno di fare uscire dal deposito i tabacchi in questione.

33.      Per stabilire se tale obbligo sia accettabile alla luce delle direttive in materia di accise e di IVA, è essenziale accertare se i contrassegni possiedano un valore intrinseco distinguendosi in tal modo da semplici documenti cartacei attestanti il pagamento da parte della Van Landewijk di una determinata somma di denaro all’amministrazione finanziaria.

34.      A tal riguardo, il governo dei Paesi Bassi, il governo tedesco, la Commissione e la stessa van Landewijk concordano circa l’esistenza del rischio – molto ridotto, secondo la Van Landewijk, ma comunque esistente – che terzi si siano appropriati dei contrassegni spariti utilizzandoli fraudolentemente. Tali terzi potrebbero infatti apporre i contrassegni medesimi su prodotti del tabacco, ad esempio di contrabbando, o sottratti dal deposito senza contrassegno fiscale, facendo così apparentemente ritenere assolte le accise e l’IVA (9): orbene, il valore intrinseco dei contrassegni deriva proprio dal fatto che, in caso di perdita, possono essere utilizzati, da parte dei terzi che se ne appropriano, per fini illeciti ben specifici. Tale rischio non sussisterebbe se i contrassegni fiscali costituissero semplici documenti recanti la ricevuta di un determinato debito tra due soggetti ben identificati su ogni contrassegno. Tale ipotesi, peraltro, non ricorre, in quanto i contrassegni de quibus contengono unicamente tre indicazioni specifiche, che designano il tipo o la natura del manufatto di tabacco (ad esempio, sigarette o sigari) de quo; il numero di pezzi o la quantità ed il prezzo al dettaglio.

35.      Nella specie, per effetto del valore intrinseco dei contrassegni fiscali, la loro sparizione (in assenza della certezza che siano andati distrutti) fa necessariamente sorgere un problema di ripartizione del rischio relativo alla loro illecita utilizzazione tra la Van Landewijk e l’amministrazione finanziaria olandese. La normativa olandese risolve il problema in termini identici, indipendentemente che si tratti del regime delle accise o dell’IVA. In entrambi i casi, nessuna disposizione normativa consente alla Van Landewijk di ottenere, nella fattispecie in esame, il rimborso o la compensazione delle somme versate a titolo di accise e di IVA.

36.      In considerazione dell’ordine progressivo dei quesiti sottoposti dallo Hoge Raad, inizierei dall’esame della questione del diniego di rimborso delle accise, per poi passare all’analisi del problema del diniego del rimborso dell’IVA.

A –    La prima questione

37.      Il problema della ripartizione del rischio di perdita dei contrassegni non è trattato dalle direttive in materia di accise né in quelle in materia di prodotti del tabacco. Tali direttive si limitano, ai rispettivi artt. 21 e 10, n. 1, a riconoscere agli Stati membri la possibilità di utilizzare contrassegni fiscali quale strumento di riscossione delle accise sui tabacchi lavorati.

38.      Nulla osta, in linea di principio, a che uno Stato membro preveda norme applicabili a tali problemi di ripartizione del rischio di sparizione del conseguente successivo illegittimo uso dei contrassegni fiscali. In tal senso, la normativa olandese prevede che, eccezion fatta per l’ipotesi prevista all’art. 79, terzo comma, della legge sulle accise ed all’art. 52 del relativo decreto di esecuzione (10), il rischio di perdita dei contrassegni ed il conseguente illegittimo uso dei medesimi gravi, come nella specie, sulla persona di chi ha richiesto i contrassegni medesimi, ed in nome e per conto della quale essi sono stati ritirati presso la PTT Post Filatelie. La legge olandese ritiene che tale soggetto, nella cui sfera di controllo si trovano i contrassegni fiscali, sia collocato nella posizione migliore per evitare che il rischio di uso illegittimo si materializzi o, quantomeno, per tutelarsi da tale evenienza mediante la sottoscrizione di un’assicurazione o mediante qualsiasi altro mezzo. Si tratta, verosimilmente, di una regola di ripartizione del rischio basata sulla logica della responsabilizzazione del soggetto meglio collocato per esercitare una sorveglianza sui contrassegni di cui trattasi (11).

39.      Ancorché sembri evidente che il legislatore comunitario ha inteso lasciare agli Stati membri totale libertà di manovra quanto alla ripartizione del rischio di sparizione dei contrassegni fiscali, ciò non implica, tuttavia, che qualsiasi risposta a tale quesito sia necessariamente compatibile con la direttiva sulle accise e con i principi generali del diritto comunitario, particolarmente il principio di proporzionalità.

40.      Secondo la ricorrente, tenuto conto del fatto che i contrassegni di cui trattasi non possono essere utilizzati fraudolentemente da terzi, non vi sarebbe, per l’Erario, alcun accrescimento del lucro cessante in termini di accise, considerato che coloro che commettono malefatte di tal genere non avrebbero mai avuto intenzione di assolvere le accise sui prodotti del tabacco da essi commercializzati. Tale ragionamento non mi sembra tuttavia condivisibile.

41.      È pur vero che la Van Landewijk si trova esposta – nel caso in cui il rischio della perdita dei contrassegni dovesse gravare su di essa – ad un danno economico maggiore rispetto all’Ispettore. Infatti, se l’amministrazione finanziaria sopporta il rischio di un’utilizzazione abusiva o fraudolenta dei contrassegni spariti, ciò non si risolverebbe automaticamente in una perdita di entrate per lo Stato in ragione dell’importo delle accise rappresentato dai contrassegni spariti, non essendo assolutamente certo che tutti i contrassegni saranno utilizzati illecitamente.

42.      Ove sussista la possibilità di utilizzare illecitamente dei contrassegni fiscali, si creano evidentemente, in ogni caso, occasioni di utilizzazione illecita. Pur restando in un quadro di probabilità più o meno elevate (ma sempre inferiori al cento per cento) che l’uso illegittimo dei contrassegni de quibus si verifichi effettivamente, il semplice fatto che vi siano contrassegni disponibili per una siffatta utilizzazione abusiva implica, beninteso, una perdita per l’Erario. Conseguentemente, il diniego di compensazione o di rimborso delle somme corrispondenti ai contrassegni spariti, come quello risultante dalla normativa olandese, contribuisce effettivamente ad impedire che l’Erario subisca perdite.

43.      È fatto notorio che il commercio dei prodotti del tabacco è afflitto dal contrabbando e che i contrassegni fiscali per tali prodotti costituiscono beni ricercati per il commercio illegale dei prodotti del tabacco. Orbene, è evidente che la prevenzione delle frodi, dell’evasione e degli abusi costituiscono obiettivi che possono legittimamente indirizzare la normativa nazionale relativa al regime giuridico dei contrassegni fiscali(12). Tali obiettivi sono anche pertinenti per determinare il regime applicabile nell’ipotesi di sparizione dei contrassegni, come nel caso di specie.

44.      Un regime di ripartizione del rischio di sparizione dei contrassegni che consentisse, nel caso di specie, al richiedente, in nome e per conto del quale i contrassegni sono stati ritirati presso la PTT Post Filatelie, di ottenere il rimborso o la compensazione delle somme versate per i contrassegni medesimi favorirebbe gli abusi. Il richiedente non sarebbe spinto a prendersi cura dei contrassegni delle accise qualora la loro semplice sparizione gli consentisse il rimborso o la compensazione da parte dell’Ispettore. Come sottolineato dal governo dei Paesi Bassi nelle proprie osservazioni scritte, il richiedente potrebbe scegliere di far sparire i contrassegni anche scientemente, per poi successivamente avvalersi del beneficio del loro rimborso.

45.      È pur vero che la ricorrente sostiene che, nelle circostanze della specie, il rischio di un’illecita utilizzazione è talmente ridotto (in considerazione, segnatamente, del prezzo al dettaglio derogatorio da essa praticato, dell’aumento dei prezzi verificatosi successivamente alla sparizione dei contrassegni e della conversione dei prezzi a seguito dell’introduzione dell’euro) che sarebbe sproporzionato negarle qualsiasi rimborso o qualsiasi compensazione delle somme versate al momento della richiesta dei contrassegni successivamente spariti.

46.      A tal riguardo va ricordato che il rispetto dei principi generali del diritto comunitario si impone ad ogni autorità nazionale che debba applicare il diritto comunitario (13). In tal senso è stato affermato che «il principio di proporzionalità è riconosciuto da una giurisprudenza costante della Corte come parte di principi generali del diritto comunitario» (14). Tale principio deve essere quindi rispettato dagli Stati membri nel dare esecuzione alle normative comunitarie (15). Al fine di accertare se il regime olandese di rimborso di compensazione delle somme versate a titolo di accise, oggetto della questione pregiudiziale, sia conforme al principio di proporzionalità, occorre verificare se gli strumenti istituiti dal regime medesimo siano idonei a realizzare gli obiettivi voluti e non vadano al di là di quanto necessario per il loro raggiungimento (16).

47.      A tale riguardo, da un lato, il regime olandese di rimborso costituisce uno strumento idoneo a realizzare l’obiettivo di evitare la sparizione di contrassegni fiscali ed il rischio di una loro successiva fraudolenta utilizzazione, in quanto considera la posizione della Van Landewijk quale soggetto meglio collocato per poter sorvegliare i contrassegni medesimi. Dall’altro, tale regime non va al di là di quanto necessario ai fini della realizzazione degli obiettivi voluti. Le cose sarebbero diverse se il regime non prevedesse alcuna possibilità di rimborso o di compensazione qualora, in caso di forza maggiore o di caso fortuito, i contrassegni fossero andati distrutti o resi definitivamente inutilizzati. Nella specie, mi sembra che il regime olandese di rimborso di compensazione delle somme delle accise in caso di perdita dei relativi contrassegni fiscali sia ben compatibile con i principi generali del diritto comunitario e, segnatamente, con il principio di proporzionalità.

48.      Suggerisco, quindi, alla Corte di risolvere la prima questione sottoposta dal giudice del rinvio nel senso che le disposizioni della direttiva 92/12 non ostano a che gli Stati membri applichino un regime legale per effetto del quale la responsabilità economica della perdita di contrassegni fiscali gravi sui richiedenti e sui consegnatari dei contrassegni stessi, e in base al quale gli Stati non siano tenuti a restituire o a compensare le somme delle accise versate al momento della richiesta dei contrassegni fiscali in circostanze analoghe a quelle della fattispecie. Tale regime legale è, inoltre, conforme al principio di proporzionalità.

B –    Le questioni relative all’IVA

49.      L’art. 28 del codice IVA prevede modalità di riscossione dell’IVA sui prodotti del tabacco analoghe a quelle applicabili alle accise, vale a dire, in una sola fase, in occasione dell’uscita dal deposito dei prodotti assoggettati ad accisa (ovvero all’atto dell’importazione o dell’acquisizione intracomunitaria). L’importo dell’IVA esigibile dev’essere versato, al pari delle accise, in un’unica soluzione, senza diritto a previa detrazione da parte del richiedente, al momento della consegna dei contrassegni delle accise.

50.      Tale regime costituisce un regime particolare derogatorio (ai sensi dell’art. 27, n. 1, della sesta direttiva) al regime comunitario ordinario di riscossione dell’IVA, istituito dalla sesta direttiva. Conformemente a quest’ultima, l’IVA verrebbe percepita al momento della cessione dei prodotti del tabacco. Tale regime derogatorio è diretto, da un lato, a semplificare la riscossione dell’IVA, la quale viene riscossa in un’unica fase della catena di commercializzazione dei prodotti del tabacco, all’atto dell’uscita dal deposito o dell’importazione, conformemente al sistema delle accise, e, dall’altro, alla repressione delle frodi, in quanto il commercio al dettaglio non è incluso nel processo di riscossione dell’imposta.

51.      Le questioni 2 a) e 2 b) sottoposte alla Corte riguardano proprio il problema dell’applicabilità dell’art. 28 del codice IVA, atteso che il regime specifico di riscossione dell’IVA, istituito da detto articolo non è stato notificato alla Commissione entro i termini previsti dall’art. 27, n. 5, della sesta direttiva, vale a dire, il 1° gennaio 1979.

1.      La questione 2a)

52.      La prima questione che sorge riguarda le conseguenze della tardiva notificazione alla Commissione del detto regime, effettuata il 12 giugno 1979.

53.      A parere della ricorrente, la mancata notificazione della misura derogatoria entro i termini previsti dovrebbe implicare le stesse conseguenze di una notificazione omessa. Tale regime derogatorio sarebbe quindi illegittimo e non potrebbe quindi essere applicato nei confronti dei singoli che eccepiscono il vizio. La circostanza che i Paesi Bassi abbiano effettivamente notificato il detto regime derogatorio alla Commissione poco meno di 6 mesi dopo la scadenza del termine resterebbe irrilevante al riguardo. Tale tesi non mi sembra condivisibile.

54.      L’art. 27, n. 5, della sesta direttiva non sancisce formalmente la sanzione applicabile in caso di superamento del termine stabilito. Ciò premesso, occorre tener conto, da un lato, della natura e della finalità della decisione emananda entro il termine di cui trattasi e, dall’altro, della situazione di un destinatario i cui interessi siano stati lesi (17).

55.      Condivido la tesi del governo dei Paesi Bassi e della Commissione, secondo cui il termine di cui trattasi costituisce un termine meramente ordinatorio. L’obiettivo di tale notificazione non consiste nell’ottenere il consenso della Commissione, bensì semplicemente nel consentire all’istituzione di procedere ad una valutazione delle misure di cui trattasi. Dal momento che la notificazione ha effettivamente avuto luogo e la Commissione è stata quindi in grado di valutare le misure derogatorie de quibus e di esprimere la propria opinione in merito (ciò che è avvenuto senza riscontro di alcun relativo problema), l’applicabilità di tali misure non può essere messa in discussione. Diversamente stanno le cose finché la Commissione non ha espresso il proprio parere in ordine alla misura de qua.

56.      È certamente vero che una misura derogatoria che non sia stata notificata alla Commissione ai sensi dell’art. 27, n. 5, non può restare applicabile. Come rammentato dalla ricorrente nelle proprie osservazioni, nella sentenza 27 ottobre 1992, Commissione/Germania (18), è stato affermato che «sebbene l’art. 27, n. 5, della sesta direttiva consenta agli Stati membri di mantenere le particolari misure derogatorie di semplificazione che essi applicavano al 1° gennaio 1977, questa possibilità è subordinata a talune condizioni, fra cui quella di notificare dette misure alla Commissione entro il 1° gennaio 1978» (19).

57.      Tale giurisprudenza non riguarda, tuttavia, la questione più specifica che ci interessa nella specie, vale a dire quella relativa alle precise conseguenze derivanti da una notificazione effettuata tardivamente. A tale riguardo, il superamento del termine stabilito non può restare senza conseguenze per il governo che abbia agito tardivamente, altrimenti resterebbe irrilevante, dal punto di vista dell’applicabilità della relativa misura, la sua notificazione anteriormente al 1° gennaio 1979, ovvero mesi o, addirittura, anni dopo. Dal superamento del termine deriverà la conseguenza che la relativa misura derogatoria non potrà essere applicata ovvero non sarà opponibile ad un soggetto passivo durante il periodo intercorrente tra la scadenza del termine e il momento, successivo alla notificazione, in cui la Commissione ha espresso la propria opinione in merito alla misura medesima, senza rilevare problemi al riguardo.

58.      Suggerisco quindi alla Corte di risolvere la questione sub 2a) nel senso che l’art. 27, n. 5, della sesta direttiva IVA prevede un termine ordinatorio e non deve essere interpretato nel senso che un singolo può ottenere la declaratoria di inapplicabilità di una specifica modalità di riscossione dell’imposta in base al rilievo che è stato superato il termine entro il quale gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione la sussistenza di tale particolare modalità di riscossione, allorché la Commissione ha effettivamente avuto la possibilità di valutare tale modalità di riscossione e di esprimere la propria opinione in merito.

2.      Questione 2 b)

59.      Ancorché la tardività della notificazione non renda inapplicabili la specifica modalità di riscossione dell’IVA sui prodotti del tabacco oggetto di notificazione da parte dei Paesi Bassi e ancorché la Commissione non abbia nulla eccepito al riguardo, occorre esaminare comunque l’incompatibilità di tale regime derogatorio con le esigenze dettate dall’art. 27, n. 1, della sesta direttiva

60.      Infatti, l’art. 27, n. 5, della sesta direttiva stabilisce che le misure disposte ai fini della semplificazione della riscossione dell’IVA devono essere conformi agli specifici requisiti indicati al n. 1 del medesimo articolo. Tali misure «non devono influire, se non in misura trascurabile sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale».

61.      È indiscutibile che la modalità di riscossione dell’IVA per mezzo di contrassegni fiscali semplifica, complessivamente, la riscossione dell’imposta sui prodotti del tabacco, in quanto tale riscossione avviene in un’unica fase. Inoltre, l’IVA viene calcolata sulla base del prezzo al consumatore finale; quindi, come rilevato dalla Commissione nelle proprie osservazioni, tale modalità di riscossione implica che l’importo dell’IVA dovuta fa riferimento al prezzo dei prodotti al consumo finale, come richiesto dall’art. 27, n. 1. In base a tale sistema derogatorio di riscossione dell’IVA per mezzo dell’utilizzazione obbligatoria di contrassegni di accisa e del divieto di vendere prodotti del tabacco ai consumatori ad un prezzo diverso da quello al dettaglio indicato sui contrassegni stessi, l’importo dell’imposta versata risulterà, in linea di principio, strettamente proporzionale al prezzo al dettaglio dei tabacchi lavorati, indipendentemente dal numero di operazioni che hanno avuto luogo durante il processo di produzione e di distribuzione dei manufatti di tabacchi. Da tale sistema non emerge alcuna difformità rispetto ai requisiti sanciti dall’art. 27, n. 1, della sesta direttiva.

62.      Il giudice del rinvio fa tuttavia presente che nel caso in cui, ad esempio, taluni prodotti dovessero restare invenduti o andassero smarriti nella fase del commercio intermedio o al dettaglio ovvero qualora, nel commercio al dettaglio, i prodotti del tabacco dovessero essere (irregolarmente) venduti ad un prezzo diverso da quello al dettaglio indicato sui contrassegni stessi risulterebbe allora dubbia la compatibilità con lo specifico requisito fissato dall’art. 27, n. 1, in fine. Infatti, in tali ipotesi eccezionali, il fabbricante può trovarsi esposto al versamento di un’IVA maggiore di quella che sarebbe tenuto ad assolvere qualora si applicasse il sistema comunitario ordinario di riscossione dell’imposta istituita dalla sesta direttiva. È quindi legittimo porsi la questione dell’incidenza di tale regime derogatorio sull’importo dell’imposta dovuta nella fase del consumo finale e se il regime medesimo non vada in effetti al di là di quanto impongono gli obiettivi perseguiti, vale a dire la semplificazione della riscossione dell’imposta nonché la lotta contro le frodi, l’evasione e gli abusi.

63.      A tal riguardo, ritengo che, non ci si possa basare su circostanze manifestamente eccezionali, quale l’ipotesi di prodotti di tabacco restati invenduti ovvero quella di illegalità compiute nella vendita al dettaglio di prodotti del tabacco ad un prezzo differente dal prezzo al dettaglio indicato sui contrassegni fiscali, per concludere che, in termini generali, il regime di riscossione dell’IVA per mezzo dei contrassegni fiscali in un’unica soluzione ed unitamente all’accisa si pone in contrasto con il requisito fissato all’art. 27, n. 1, secondo cui la misura di semplificazione de qua non deve incidere «se non in misura trascurabile, sull’importo dell’imposta da versare allo stadio del consumo finale». Si deve parimenti rammentare che non ogni variazione è idonea a determinare un’incompatibilità del regime derogatorio con il tenore dell’art. 27, n. 1, ma solo quelle variazioni che non siano trascurabili. Il carattere eccezionale delle possibili variazioni causate dal regime derogatorio olandese e il fatto che esse non si verifichino in modo generale e sistematico non consente di dimostrare che esse implichino, nel loro complesso, modifiche più che trascurabili dell’entità dell’imposta nella fase del consumo finale.

64.      Si deve inoltre sottolineare che, secondo la giurisprudenza della Corte, le misure derogatorie nazionali di cui all’art. 27, n. 5, della sesta direttiva, dirette a semplificare la riscossione dell’imposta o a combattere frodi o evasioni fiscali, «non possono derogare, in via di principio, al rispetto della base imponibile dell’IVA di cui all’art. 11 se non nei limiti strettamente necessari per raggiungere tale obiettivo» (20). Sono autorizzate solamente le misure «necessarie ed idonee alla realizzazione dello specifico obiettivo da esse perseguito e se incidano nella minore misura possibile sulle finalità e sui principi della sesta direttiva» (21).

65.      Il regime derogatorio di riscossione dell’IVA in esame, per mezzo di contrassegni fiscali, è diretto a contribuire alla semplificazione dell’imposta ed alla prevenzione di frodi e di evasioni fiscali. Complessivamente considerato, tale regime persegue detta finalità senza andare al di là di quanto necessario a tal fine e non crea ostacoli sensibili alla realizzazione degli obiettivi della sesta direttiva.

66.      Suggerisco quindi alla Corte di risolvere la questione 2 b), posta dal giudice del rinvio, affermando che i numeri 1 e 5 dell’art. 27 della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che una specifica modalità di riscossione dell’IVA per i prodotti del tabacco, come quella prevista dall’art. 28 del codice IVA, è compatibile con i requisiti ivi stabiliti dalle menzionate disposizioni e non va al di là, complessivamente intesa, di quanto necessario per semplificare la riscossione dell’imposta e prevenire le frodi e le evasioni fiscali.

3.      La questione 2 c)

67.      Tale questione sottoposta dallo Hoge Raad riguarda, rispetto alla questione precedente, più in particolare la compatibilità con la sesta direttiva – e, in particolare, con l’art. 27, nn. 1 e 5, della medesima – del regime di rimborso o di compensazione delle somme dell’IVA versate per contrassegni fiscali smarriti nelle circostanze indicate nella prima questione.

68.      Come già osservato nell’ambito dell’analisi della prima questione pregiudiziale, il fatto che i contrassegni fiscali di cui trattasi possiedano un valore intrinseco e che la loro sparizione implichi un rischio reale di utilizzazione fraudolenta svolge parimenti un ruolo centrale nella soluzione di quest’ultima questione. Come emerge dall’analisi delle due questioni precedenti, il diritto comunitario non osta, nella specie, a che la riscossione delle somme dell’IVA dovute per i prodotti del tabacco avvenga per mezzo di contrassegni fiscali. Orbene, considerato che tali contrassegni possiedono, secondo le loro caratteristiche specifiche e le indicazioni su di essi apposti, il proprio valore intrinseco già rilevato, è comprensibile che il regime di ripartizione del rischio in caso di nuova sparizione si basi sul principio di responsabilizzazione del richiedente, al quale i contrassegni siano stati consegnati, vuoi direttamente vuoi tramite altra persona agente in suo nome e conto, considerato che si tratta del soggetto collocato nella posizione più favorevole per poter vigilare su tali valori.

69.      È certamente vero che l’applicazione di tale regola di ripartizione del rischio di perdita dei contrassegni implica, nelle circostanze della specie, conseguenze finanziarie molto gravose per un operatore economico quale la Van Landewijk, alla quale non può essere imputata alcuna mancanza per la perdita dei contrassegni. Tale regola di ripartizione, che accolla il rischio al consegnatario dei contrassegni che ne detiene il controllo effettivo, dev’essere tuttavia considerata quale regola avente carattere generale ed astratto. La gravità delle conseguenze finanziarie per la parte alla quale il rischio incombe costituisce la conseguenza logica dell’applicazione di qualsiasi regola di ripartizione del rischio per la perdita di beni nella vita commerciale. Ciò non può implicare che tale regola generale sia in contrasto con la sesta direttiva, in particolare con l’art. 27, nn. 1 e 5, della medesima.

70.      È certamente vero che il regime in esame, laddove prevede il mancato rimborso dei contrassegni perduti ma non distrutti, può dar luogo, dal punto di vista pratico, a situazioni di doppia imposizione dell’IVA per gli stessi prodotti del tabacco. Un siffatto regime appare tuttavia giustificato per i motivi ampiamente coincidenti con quelli indicati nella soluzione alla prima questione. In questo caso, tale regime di ripartizione del rischio per la perdita dei contrassegni e per la loro eventuale successiva fraudolenta utilizzazione appare, inoltre, giustificato tenuto conto che «la lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva» (22).

71.      Occorre ancora affrontare un’ultima questione. La Commissione e la ricorrente ritengono che la sentenza British American Tobacco, citata supra, sia pertinente nell’analisi della causa in esame, avvalorando una soluzione positiva a tale ultima questione. Atteso che in tale sentenza la Corte aveva affermato che il furto di prodotti del tabacco da un deposito non costituisce cessione di beni ai sensi della sesta direttiva, tale principio varrebbe, a fortiori, anche in caso di perdita o furto di contrassegni fiscali destinati agli stessi beni.

72.      Tale tesi non mi sembra condivisibile. Nella menzionata sentenza British American Tobacco, citata supra, per effetto della normativa belga in esame, il furto di prodotti del tabacco veniva considerato quale fatto imponibile ai sensi della sesta direttiva. La Corte ha affermato al riguardo che uno Stato membro non può inserire il furto di prodotti soggetti ad accisa nelle categorie di fatti imponibili previste dalla sesta direttiva (23).

73.      Orbene, la situazione di fatto e la normativa olandese oggetto della causa in esame sono ben diverse rispetto alla menzionata causa British American Tabacco. In quest’ultima causa, la misura di deroga in discussione non era giustificata da una logica di incitamento del proprietario dei prodotti del tabacco alla loro sorveglianza. Essa risulterebbe del tutto superflua nei confronti del proprietario che – salvo indizi di partecipazione fraudolenta al furto – cerca naturalmente di evitare la sottrazione dei propri prodotti del tabacco, il che è ampiamente sufficiente a spingerlo a sorvegliare i prodotti medesimi. Al contrario, nel caso di sparizione di contrassegni fiscali, in assenza di una regola che accolli la relativa responsabilità al consegnatario dei contrassegni, come nella specie quella accolta dal governo olandese, non vi sarebbe alcuna incitazione effettiva per il consegnatario dei contrassegni a sorvegliarli, qualora una loro eventuale sparizione senza distruzione desse luogo agevolmente a rimborso o a compensazione delle somme versate per il loro acquisto. Tale differenza consente di respingere l’argomento secondo cui dalla sentenza British American Tobacco emergerebbe, a fortiori, il diritto della Van Landewijk ad ottenere, nella specie, il rimborso o la compensazione delle somme versate a titolo dell’IVA dovuta.

74.      Ritengo quindi che la Corte debba risolvere la questione 2 c) nel senso che la mancata previsione di un obbligo di rimborso delle somme versate per i contrassegni di accisa corrispondenti all’IVA, in circostanze come quelle del caso di specie, è compatibile con la sesta direttiva, in particolare con l’art. 27, nn. 1 e 5, della medesima.

III – Conclusione

75.      Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni sottoposte dallo Hoge Road nei termini seguenti:

«1)      Le disposizioni della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, non ostano a che gli Stati membri applichino un regime legale per effetto del quale la responsabilità economica della perdita di contrassegni fiscali gravi sui richiedenti e sui consegnatari dei contrassegni medesimi e in base al quale gli Stati non sono tenuti a restituire o a compensare le somme delle accise versate al momento della richiesta dei contrassegni fiscali. Tale regime legale risulta anche conforme al principio di proporzionalità.

2)      L’art. 27, n. 5, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle decisioni degli Stati membri relative alle imposte sulle cifre di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, prevede un termine ordinatorio e non dev’essere interpretato nel senso che un singolo può ottenere la declaratoria di inapplicabilità di una specifica modalità di riscossione dell’imposta, in base al rilievo che è stato superato il termine, entro il quale gli Stati membri devono notificare alla Commissione l’esistenza di tale specifica modalità di riscossione, dal momento che la Commissione ha effettivamente avuto la possibilità di valutare tale modalità di riscossione e di esprimere la propria opinione in merito.

3)      L’art. 27, nn. 1 e 5, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che una specifica modalità di riscossione dell’IVA per i prodotti del tabacco, come quella dettata dall’art. 28 del codice IVA, è compatibile con i requisiti ivi stabiliti e non va al di là, nel suo complesso, di quanto necessario e proporzionato per semplificare la riscossione dell’imposta e prevenire le frodi e le evasioni fiscali.

4)      La mancata previsione di un obbligo di rimborso delle somme versate per i contrassegni di accisa corrispondenti all’IVA, in circostanze come quelle del caso di specie, è compatibile con la sesta direttiva, in particolare con l’art. 27, nn. 1 e 5, della medesima».


1 – Lingua originale: il portoghese.


2 – GU L 76, pag. 1 (in prosieguo: la «direttiva 92/12/CEE» o la «direttiva sulle accise»).


3 – GU L 145, pag. 1 (in prosieguo: la «sesta direttiva»).


4 – GU L 291, pag. 40; in prosieguo: la «direttiva sui tabacchi lavorati».


5 – Nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dalla direttiva del Consiglio 20 gennaio 2004, 2004/7/CE (GU L 27, pag. 44).


6 – GU L 194, pag. 16.


7 – Ai termini di tale disposizione, bolli di accisa possono essere richiesti presso l’Ispettore, segnatamente, dal depositario autorizzato per i manufatti di tabacco e dall’operatore che apponga i bolli di accisa sui manufatti di tabacco al di fuori del territorio dei Paesi Bassi.


8 – Il detto art. 28 del codice IVA prevede modalità di riscossione dell’IVA sui manufatti di tabacco analoghe a quelle applicabili alle accise. A termini di tale disposizione, l’aliquota IVA applicabile su tali prodotti è di 19/119esimi del prezzo al dettaglio assunto ai fini del calcolo delle accise e l’IVA non è deducibile.


9 – La causa British American Tobacco (causa C-435/03) da cui è scaturita la sentenza della Corte 14 luglio 2005 (Racc. pag. I-7077) verte appunto su una fattispecie di furto di prodotti del tabacco da un deposito, privi di fascette fiscali.


10 – A termini dell’art. 79 della legge olandese sulle accise, ove fosse risultato dimostrato che i contrassegni, nella specie, fossero andati distrutti, la Van Landewijk avrebbe avuto diritto al rimborso o alla compensazione delle somme versate. Ciò è comprensibile in considerazione del fatto che, in tal caso – ma non nel caso di semplice perdita – il rischio di un’illegittima utilizzazione dei contrassegni sarebbe escluso.


11 – Anche dal punto di vista dell’individuazione dell’assicurazione più idonea, tale soggetto si trova in una situazione decisamente più favorevole rispetto all’amministrazione finanziaria successivamente alla consegna dei contrassegni al relativo richiedente.


12 – V. nuovo testo dell’art. 21, n. 2, secondo comma, della direttiva sulle accise di cui alla direttiva 94/74/CE, a termini del quale «gli Stati membri vigilano affinché i contrassegni non creino ostacoli alla libera circolazione dei prodotti soggetti ad accisa, fatte salve le disposizioni da essi stabilite per assicurare la corretta applicazione delle disposizioni del presente articolo ed evitare qualsiasi frode, evasione o abuso».


13 – V., ad esempio, sentenza 22 aprile 1988, causa 316/86, Krücken, (Racc. pag. 2213, punto 22), e sentenza 27 settembre 1979, causa 230/78, Eridania (Racc. pag. 2749, punto 31).


14 – Sentenza 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder (Racc. pag. 2263, punto 21) e, più recentemente, sentenza 10 marzo 2005, cause riunite C-96/03 e C-97/03, Tempelman e van Schaijk, (Racc. pag. I-1895, punto 47).


15 – V., in tal senso, sentenza 18 maggio 2000, causa C-107/97, Rombi e Arkopharma (Racc. pag. I-3367, punto 65), e sentenza 11 luglio 2002, causa C-62/00, Marks & Spencer (Racc. pag. I-6325, punto 44).


16 – V. sentenza 7 dicembre 1993, causa C-339/92, ADM Oehlenmühlen (Racc. pag. I-6473, punto 15), e sentenza Tempelman e van Schaijk, cit. supra, punto 47.


17 – V. per analogia, la sentenza 27 gennaio 1988, causa 349/85, Danimarca/Commissione (Racc. pag. 169, punto 19), in cui la Corte ha affermato che «in assenza di una sanzione connessa con l’inosservanza di tale termine, quest’ultimo, tenuto conto della natura della decisione di liquidazione dei conti che ha essenzialmente lo scopo di garantire che l’imputazione delle spese da parte delle autorità nazionali sia avvenuta in modo conforme alle norme comunitarie, può essere considerato solo come un termine ordinatorio, salvo pregiudizio agli interessi di uno Stato membro».


18 – Causa C-74/91, Racc. pag. I-5437, punto 21.


19 – Sulla stessa falsariga vedi la sentenza nella causa 5/84, Direct Cosmetics (Racc. pag. 617, punto 22), nonché la sentenza 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz (Racc. pag. I-3795, punto 33), in cui si afferma che «qualora una deroga non sia stata stabilita conformemente all’art. 27, che impone agli Stati membri l’obbligo di notificazione, le autorità tributarie nazionali non possono opporre ad un soggetto passivo una disposizione che deroghi al sistema della sesta direttiva».


20 – Sentenza 10 aprile 1984, causa 324/82, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1861, punto 29); sentenza 9 maggio 1997, causa C-63/96, Skripalle (Racc. pag. I-2847, punto 24), e sentenza British American Tobacco, cit. supra, punto 4.


21 – Sentenza 19 settembre 2000, cause riunite C-177/99 e C-181/99, Ampafrance e Sanofi (Racc. pag. I-7013, punto 43), e sentenza 29 aprile 2004, causa C-17/01, Südholz (Racc. pag. I-4271, punto 46).


22 – Sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C-7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep (Racc. pag. I-5337, punto 76).


23 – V. punti 42 e 48.