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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate l’11 gennaio 2007 1(1)

Causa C-146/05

Albert Collée

contro

Finanzamt Limburg an der Lahn

(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof, Germania)

«Sesta direttiva IVA – Art. 28 quater, punto A, lett. a) – Cessione intracomunitaria – Esenzione – Requisiti di prova»





I –    Considerazioni introduttive

1.     La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della sesta direttiva IVA (2) in ordine ai requisiti concernenti gli obblighi di prova per l’esenzione fiscale nel caso di cessioni intracomunitarie. Si tratta di questioni strettamente correlate a quelle sollevate nelle cause C-409/04 (Teleos e a.) e C-184/05 (Twoh International), relativamente alle quali presento oggi le conclusioni.

2.     Nel procedimento principale della presente causa, dinanzi al Bundesfinanzhof, tra Albert Collée, quale avente causa della Collée KG, (in prosieguo: il «ricorrente») ed il Finanzamt Limburg an der Lahn (in prosieguo: il «convenuto»), si controverte in ordine al riconoscimento dell’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria. Sebbene risulti pacifico che questa sia avvenuta, il ricorrente non ha tuttavia fornito entro i termini la prova contabile richiesta ai sensi del diritto nazionale, nonostante sapesse che si trattava di una cessione intracomunitaria.

II – Contesto normativo

A –    Diritto comunitario

3.     La direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (3), ha introdotto nella sesta direttiva un nuovo titolo XVI bis [Regime transitorio di tassazione degli scambi tra Stati membri (articoli da 28 bis a 28 quaterdecies)]. Queste disposizioni sono tuttora rilevanti, in quanto finora non è stata emanata una disciplina definitiva della tassazione degli scambi commerciali tra Stati membri.

4.     Secondo l’art. 28 quater, punto A, della sesta direttiva, le cessioni intracomunitarie tra due Stati membri sono esentate dall’imposta. La disposizione recita, per estratto:

«Fatte salve altre disposizioni comunitarie e alle condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso, gli Stati membri esentano:

a)      le cessioni di beni ai sensi dell’articolo 5 e dell’articolo 28 bis, paragrafo 5, lettera a), spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio di cui all’articolo 3 ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo o per un ente che non è soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.

(…)».

5.     L’art. 22 della sesta direttiva disciplina gli obblighi di forma a carico del debitore d’imposta e, nella versione che rileva ai fini del presente caso (4), prevede, tra l’altro, quanto segue:

«2.      a) Ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata da consentire l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ed i relativi controlli da parte dell’amministrazione fiscale.

(…)

3.      a) Ogni soggetto passivo deve emettere una fattura, o altro documento equivalente, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che effettua per conto di un altro soggetto passivo o di un ente che non è soggetto passivo. Parimenti, ogni soggetto passivo deve emettere fattura, o altro documento equivalente, per le cessioni di beni di cui all’articolo 28 ter, punto B, paragrafo 1, e per le cessioni di beni che effettua alle condizioni previste dall’articolo 28 quater, punto A. Il soggetto passivo deve conservare copia di tutti i documenti rilasciati.

(…)

4.      a) Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione entro un termine che dovrà essere stabilito dagli Stati membri. (…)

b) Nella dichiarazione devono figurare tutti i dati necessari ad accertare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle deduzioni da operare, compresi, se del caso, qualora risulti necessario per fissare la base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali deduzioni, nonché l’importo delle operazioni esenti.

c) Nella dichiarazione devono inoltre figurare:

–      da un lato, l’importo totale, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, delle cessioni di beni di cui all’articolo 28 quater, punto A, per le quali l’imposta è diventata esigibile nel corso del periodo.

–      (…)

6.      (…)

b) il soggetto passivo titolare di un numero di partita IVA deve inoltre depositare un elenco riassuntivo contenente dati sugli acquirenti titolari di un numero di partita IVA cui ha ceduto dei beni ai sensi dell’art. 28 quater, punto A, lettere a) e d), (…)

7.      (…)

8.      Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire, subordinatamente al rispetto del principio di parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera».

B –    Diritto nazionale

6.     Secondo l’art. 4, n. 1, lett. b), della legge tedesca sull’imposta sulla cifra d’affari (Umsatzsteuergesetz; in prosieguo: l’«UStG») sono esenti dalle imposte di cui all’art. 1, primo comma, n. 1, UStG le cessioni intracomunitarie ai sensi dell’art. 6a dell’UStG.

7.     L’art. 6a dell’UStG definisce, al primo comma, la cessione intracomunitaria e contiene, al terzo comma, la seguente regola in tema di onere probatorio:

«L’onere probatorio dei requisiti di cui ai commi 1 e 2 ricade sull’imprenditore. Il Ministero federale delle Finanze [Bundesministerium der Finanzen] può determinare in via regolamentare, previo assenso del Bundesrat, le modalità con cui l’imprenditore deve fornire la prova».

8.     Tale potere regolamentare ai sensi dell’art. 6a, terzo comma, seconda frase, UStG è rappresentato dal regolamento di esecuzione della legge sull’imposta sulla cifra d’affari (Umsatzsteuer-Durchführungsverordnung) (in prosieguo: l’«UStDV»). Il regolamento di esecuzione della legge sull’imposta sulla cifra d’affari stabilisce concretamente, all’art. 17a, i requisiti della prova documentale per cessioni intracomunitarie in casi di spedizione o trasporto:

«(1) In caso di cessioni intracomunitarie (art. 6a, primo comma, della legge), l’imprenditore, che agisce all’interno della sfera di applicazione del presente regolamento, deve fornire la prova documentale del fatto che egli stesso o il suo acquirente ha trasportato o inviato l’oggetto della cessione nell’ambito del territorio comunitario. Ciò deve emergere con chiarezza ed evidenza dai documenti.

(2) Nei casi in cui l’imprenditore o l’acquirente trasportino l’oggetto della cessione nell’ambito del territorio comunitario, l’imprenditore è tenuto a fornirne la prova nelle modalità che seguono:

1.      tramite copia della fattura (artt. 14 e 14a della legge),

2.      tramite documento conforme alle prassi commerciali, recante il luogo di destinazione, segnatamente la bolla di consegna,

3.      tramite accusa di ricezione dell’acquirente o del suo mandatario, e

4.      quando l’oggetto è trasportato dall’acquirente, tramite assicurazione dell’acquirente o del suo mandatario che l’oggetto della cessione è trasportato nell’ambito del territorio comunitario».

9.     L’art. 17c dell’UStDV sancisce, inoltre, l’obbligo di prova contabile nel caso di cessione intracomunitaria:

«(1) In caso di cessioni intracomunitarie (art. 6a, commi 1 e 2, della legge), l’imprenditore che agisce all’interno della sfera di applicazione del presente regolamento deve fornire la prova contabile di aver soddisfatto i requisiti per l’esenzione fiscale, compresa l’indicazione della partita IVA dell’acquirente. I requisiti devono risultare con chiarezza ed evidenza dalla contabilità.

(2) L’imprenditore deve debitamente annotare quanto segue:

1.      il nome e l’indirizzo dell’acquirente;

2.      il nome e l’indirizzo del mandatario dell’acquirente, qualora la cessione avvenga mediante vendita al dettaglio o secondo le modalità in uso per la vendita al dettaglio;

3.      il ramo d’attività o la professione dell’acquirente;

4.      la denominazione usuale e il quantitativo dell’oggetto della cessione o la natura e l’entità di un’altra prestazione equiparata ad una cessione, effettuata sulla base di un contratto d’opera;

5.      il giorno della cessione o di un’altra prestazione equiparata ad una cessione, effettuata sulla base di un contratto d’opera;

6.      il corrispettivo pattuito o, nel caso di imposizione sui corrispettivi incassati, il corrispettivo incassato ed il giorno dell’incasso;

7.      il tipo e l’entità della lavorazione o della trasformazione occorsa prima del trasporto o della spedizione nell’ambito del territorio comunitario (art. 6a, primo comma, seconda frase, della legge);

8.      il trasporto o la spedizione nell’ambito del territorio comunitario;

9.      il luogo di destinazione nell’ambito del territorio comunitario.

(…)».

III – Fatti e questioni pregiudiziali

10.   Nel 1994 la Collée KG era la società controllante di una rivendita di automobili a responsabilità limitata con sede in Germania, la quale, in veste di concessionario della A-AG, vendeva automobili per conto di quest’ultima. La società a responsabilità limitata aveva diritto ad una provvigione da parte della A-AG solo per le vendite stipulate con acquirenti della zona circostante.

11.   Nella primavera del 1994 la s.r.l. stipulava con un concessionario belga B un contratto scritto avente ad oggetto la compravendita di 20 autovetture dimostrative per un importo complessivo di DEM 1.018.200. B. trasferiva con bonifico alla s.r.l. il prezzo d’acquisto al netto dell’imposta e, dopo l’accredito del denaro, ritirava i veicoli.

12.   Per ottenere la provvigione da parte della A-AG, la s.r.l. faceva intervenire il commerciante d’auto S, con sede in Germania nella zona circostante, il quale si dichiarava disponibile, dietro corrispettivo, ad acquistare pro forma le autovetture dimostrative e a rivenderle poi a B. A questo proposito S consegnava alla s.r.l. dei modelli di fattura in bianco, che questa utilizzava per emettere, in nome di S, fatture a B relative alla cessione delle autovetture dimostrative. Nella sua dichiarazione IVA per il periodo di luglio, agosto e settembre 1994, S faceva valere come imposta assolta a monte l’IVA fatturatagli dalla s.r.l. per un importo di DEM 152.730.

13.   Dopo una verifica IVA effettuata nell’ottobre del 1994, il convenuto negava, però, a S la detrazione dell’IVA con la motivazione che S sarebbe intervenuto solo sulla carta come prestanome. Dopo che il ricorrente, che in un primo momento aveva considerato l’operazione come operazione nazionale imponibile, ne veniva a conoscenza, in data 25 novembre 1994 annullava le relative scritture contabili e registrava gli introiti come «cessioni intracomunitarie esenti da imposta». Costui riportava quindi tale operazione nella dichiarazione provvisoria dell’IVA del novembre 1994.

14.   Il 12 febbraio 1998 il Finanzamt, con una nuova cartella esattoriale relativa al 1994, aumentava il fatturato imponibile del ricorrente a DEM 1.018.200, negandogli l’esenzione fiscale per la cessione delle vetture a B sulla base del rilievo che le necessarie registrazioni non erano state effettuate immediatamente dopo ciascuna operazione.

15.   Tanto l’opposizione quanto il ricorso venivano respinti. Il ricorrente chiede, nell’ambito del ricorso per cassazione, che la cartella esattoriale del 1998 sia modificata nel senso che il fatturato di DEM 1.018.200 venga considerato esente da imposta. A motivazione del proprio ricorso egli sostiene, in sostanza, che, sebbene all’inizio della verifica aziendale presso S non vi fossero ancora le fatture emesse dalla s.r.l. a B, dai documenti commerciali della s.r.l. e dai movimenti contabili sarebbe emerso con chiarezza che si trattava di una cessione intracomunitaria a B.

16.   Il Bundesfinanzhof ha pertanto sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1.      Se l’amministrazione delle Finanze possa negare l’esenzione fiscale ad una cessione intracomunitaria, evidentemente sussistente, per la sola ragione che il soggetto passivo non ha prodotto nei termini le prove contabili richieste a tal fine.

2.      Se la soluzione della questione dipenda dal fatto che il soggetto passivo ha consapevolmente occultato, in un primo momento, l’esistenza di una cessione intracomunitaria.

IV – Analisi

17.   Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la mera inosservanza da parte del soggetto passivo di un determinato requisito formale – nel caso di specie la mancata produzione delle prove contabili nei termini – possa portare a negare l’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria. Per precisare il concetto, la seconda questione mira ad accertare se, eventualmente, nel caso di specie, per poter concedere o negare un’esenzione fiscale, si debba prendere in considerazione un’ulteriore circostanza di fatto, e cioè quella che il soggetto passivo abbia, in un primo momento, consapevolmente nascosto l’esistenza di una cessione intracomunitaria. La seconda questione precisa quindi la prima ed è ad essa strettamente connessa. Le due questioni sollevate in via pregiudiziale dal Bundesfinanzhof devono essere, pertanto, esaminate congiuntamente.

18.   Il Bundesfinanzhof vuole sapere in primo luogo se la sesta direttiva sia contraria ad una prassi dell’amministrazione tributaria nazionale, secondo la quale il solo fatto di produrre fuori termini la prova contabile dell’esistenza di una – non contestata – cessione intracomunitaria comporta, di per sé, la negazione dell’esenzione fiscale.

19.   Il principio dell’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria si rinviene nell’art. 28 quater, punto A, lett. a), della sesta direttiva. Alla base dell’esenzione fiscale della cessione intracomunitaria vi è l’idea che, durante il regime transitorio vigente per l’imposta comunitaria sulla cifra d’affari, l’imposta sul valore aggiunto, in quanto imposta al consumo, debba continuare ad essere riscossa nello Stato membro in cui avviene il consumo (principio del paese di destinazione). Per evitare una doppia imposizione, la cessione intracomunitaria cui corrisponde un acquisto intracomunitario soggetto ad imposizione fiscale deve essere, pertanto, esentata nel paese di origine (5).

20.   La sesta direttiva non contiene, però, indicazioni specifiche su quali prove documentali un soggetto passivo sia tenuto a fornire relativamente alla cessione intracomunitaria (6). L’art. 22 fornisce solo alcune indicazioni generali per le registrazioni contabili del soggetto passivo, per la redazione delle fatture e per le dichiarazioni d’imposta. Per il resto, l’art. 22, n. 8, lascia agli Stati membri la possibilità di «stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi».

21.   Inoltre, gli Stati membri esentano la cessione intracomunitaria di beni ai sensi dell’art. 28 quater, punto A, «alle condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste qui di seguito e prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso».

22.   L’art. 28 quater, punto A, e l’art. 22, n. 8, fissano pertanto solo degli obiettivi, affidando però agli Stati membri la più precisa definizione dei requisiti degli obblighi probatori di forma, alla luce delle circostanze che esentano dall’IVA.

23.   L’idea di fondo è che la sesta direttiva non debba armonizzare completamente il sistema di imposta sul valore aggiunto degli Stati membri. Piuttosto, dalla stessa «risulta nel suo complesso che essa mira a stabilire una base imponibile uniforme destinata a garantire la neutralità del sistema» (7). Come stabilito dalla Corte già nella sua sentenza BP Soupergaz, gli Stati membri dispongono, però, «di un margine di discrezionalità relativamente ampio per l’attuazione di talune disposizioni della sesta direttiva» (8). Sul punto, nelle conclusioni presentate nelle cause riunite Molenheide e Schmeink & Cofreth l’avvocato generale Fennelly ha sostenuto, tra l’altro, che, in linea generale, «gli Stati membri hanno la responsabilità di gestire tutto il sistema IVA» (9).

24.   Nell’adottare provvedimenti per l’attuazione delle disposizioni del sistema IVA gli Stati membri sono vincolati, oltre che agli obiettivi di cui agli artt. 28 quater, punto A, e 22, n. 8, della sesta direttiva, anche al principio di proporzionalità. Così, nella sentenza Halifax, la Corte ha di recente nuovamente ribadito che «i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare ai sensi dell’art. 22, n. 8, della sesta direttiva per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine» (10).

25.   In tale sentenza la Corte ha altresì precisato che i provvedimenti adottati dagli Stati membri «non possono quindi essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia» (11). Tale neutralità sarebbe compromessa qualora la cessione venisse sottoposta a una doppia imposizione, in cui si nega l’esenzione come cessione intracomunitaria e si tassa l’acquisto intracomunitario anche nello Stato di destinazione (12).

26.   L’applicazione concreta del principio di proporzionalità spetta al giudice del rinvio, che deve valutare se i provvedimenti nazionali siano compatibili con il diritto comunitario. La Corte può, tuttavia, fornire tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto comunitario che possano consentire al giudice nazionale di valutare la questione della compatibilità al fine di dirimere la controversia per la quale è stato adito (13).

27.   Il diritto tedesco prevede, agli artt. 17a e 17c dell’UStDV, che i requisiti per l’esistenza di una cessione intracomunitaria debbano emergere «con chiarezza ed evidenza» sia dai documenti sia dalla contabilità. Secondo la giurisprudenza del Bundesfinanzhof concernente l’art. 13, primo comma, seconda frase, UStDV, che disciplina i requisiti per la prova di una cessione all’estero verso un paese terzo e si presenta con una formulazione corrispondente a quella degli artt. 17a e 17c, dell’UStDV, tale requisito è da intendersi nel senso che le registrazioni contabili devono essere effettuate «immediatamente dopo l’esecuzione della relativa operazione».

28.   Nella fattispecie, il ricorrente ha in un primo momento iscritto nella sua contabilità le cessioni effettuate nei mesi di luglio, agosto e settembre 1994 come cessioni nazionali imponibili. Nel novembre 1994, e quindi circa due mesi dopo l’ultima cessione, l’operazione è stata contabilizzata come cessione intracomunitaria esente e, come tale, è stata riportata nella dichiarazione provvisoria dell’IVA del novembre 1994. Facendo presente che le registrazioni contabili necessarie ai fini dell’esenzione fiscale non erano state effettuate immediatamente, il Finanzamt ha negato al ricorrente l’esenzione fiscale, sebbene fosse pacifica l’esistenza di una cessione intracomunitaria.

29.   Il governo tedesco sostiene, a questo riguardo, che i requisiti previsti dal diritto nazionale per la prova documentale e contabile soddisfano il principio di proporzionalità. Il diritto all’esenzione fiscale nel caso di cessione intracomunitaria non sarebbe tuttavia messo sistematicamente in discussione. L’obbligo di prova contabile previsto dagli artt. 17a e segg. dell’UStDV perseguirebbe un fine espressamente previsto dall’art. 28 quater, punto A, della sesta direttiva, ossia quello di rendere la riscossione delle imposte affidabile ed il più semplice possibile e di contrastare gli abusi. A parere del governo tedesco, gli artt. 17a-17c dell’UStDV sono anche necessari per perseguire tale fine, ed in particolare per impedire la cosiddetta “frode carosello dell’IVA”. A tale riguardo è irrilevante che la cessione sia, con certezza, una cessione intracomunitaria oppure non lo sia.

30.   A tale proposito si deve innanzitutto rilevare che nel caso di specie non si tratta di interpretare le disposizioni della direttiva alla luce di quanto prevedono gli artt. 17a-17c dell’UStDV. La questione riguarda piuttosto la giurisprudenza e la prassi amministrativa derivate per dar corpo a tali disposizioni, secondo cui la cessione intracomunitaria deve essere documentata «immediatamente» nella contabilità.

31.   Come risulta dall’art. 22, n. 8, e dall’art. 28 quater, punto A, della sesta direttiva, è legittimo che gli Stati membri richiedano una prova concomitante per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e per evitare le frodi (14). Gli Stati membri possono, infatti, prevedere una tutela adeguata contro il rischio di perdite di entrate fiscali e, allo scopo di contrastare frodi e “frodi carosello dell’IVA”, possono prevedere anche requisiti di forma, inclusi obblighi cronologici.

32.   Non occorre, nel caso di specie, accertare se sia possibile anche stabilire per legge termini concreti per la produzione di prove documentali o contabili per consentire una riscossione efficace delle imposte, da un lato, e garantire il principio della certezza del diritto, dall’altro.

33.   Infatti, da un lato, la disciplina normativa nazionale di cui trattasi non definisce alcun termine concreto. Gli artt. 17a e 17c dell’UStDV prevedono solo vagamente che i requisiti per l’esenzione debbano emergere «con chiarezza ed evidenza» dai documenti e dalla contabilità. La giurisprudenza del Bundesfinanzhof, volta a dare un contenuto a questi concetti e secondo la quale la formulazione usata è da intendersi come un obbligo di tipo cronologico e le necessarie registrazioni contabili devono essere effettuate «immediatamente dopo l’esecuzione della relativa operazione», necessita, anch’essa, d’interpretazione.

34.   Ciò pone di per sé un problema quanto al principio di certezza del diritto sancito dal diritto comunitario, un principio che, secondo la giurisprudenza della Corte, gli Stati membri devono rispettare nell’attuare le direttive (15). Nella sentenza Halifax la Corte ha, inoltre, sottolineato che la necessità di certezza del diritto s’impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari (16).

35.   Dall’altro lato, anche le norme che fissano termini concreti dovrebbero, in linea di principio, prevedere che modifiche a posteriori della qualifica come cessione intracomunitaria possano essere prese in considerazione nella contabilità. È infatti senz’altro possibile che rettifiche del genere dipendano, nel singolo caso, da cause non imputabili al soggetto passivo. Esse non devono necessariamente complicare o mettere a rischio la riscossione delle imposte. Soprattutto se i termini sono brevi, si potrebbe garantire mediante deroghe, rimessione in termini o norme analoghe, che, in casi eccezionali, una cessione intracomunitaria realmente avvenuta sia riconosciuta come tale anche nel caso di una modifica contabile a posteriori.

36.   La mancanza di fattispecie derogatorie di tale sorta andrebbe a limitare eccessivamente il diritto all’esenzione fiscale, un diritto che la sesta direttiva vuole invece conferire nel caso di cessione intracomunitaria, onde tener conto del principio della neutralità fiscale. Anche nel caso in cui la cessione sia classificata tardivamente come intracomunitaria, vale quanto affermato dall’avvocato generale Fennelly in ordine alla possibilità di rettificare l’IVA erroneamente indicata in fatture concernenti operazioni mai eseguite, secondo cui «sarebbe incompatibile con il principio della neutralità fiscale che l’ordinamento nazionale non contenga disposizioni sulla rettifica» (17).

37.   Fintanto che la legge non prevede termini concreti e possibilità di effettuare modifiche a posteriori, nell’applicare gli artt. 17a e 17c dell’UStDV si dovrà, di conseguenza, valutare nel caso specifico, se il divieto di modificare a posteriori la qualificazione della cessione sia conforme al principio di proporzionalità.

38.   Occorre anzi tutto verificare, come giustamente afferma la Commissione, se sussista o meno una cessione intracomunitaria. Nel primo caso la sesta direttiva prevede, infatti, in linea di principio, l’esenzione fiscale, mentre nel secondo caso vige il principio dell’imponibilità. Nella sentenza Transport Service NV, la Corte stabilisce quindi che «spetta al giudice a quo determinare se la cessione di cui trattasi nella causa principale risponda a tali condizioni. Se ciò si verifica, nessuna IVA è dovuta sulla detta cessione» (18). Questa fondamentale affermazione di massima non può essere vanificata da meri requisiti di forma imposti dagli Stati membri. Si può semmai discostarsene solamente qualora ciò sia indispensabile per raggiungere gli scopi previsti dalle disposizioni pertinenti di diritto comunitario. Non si può pertanto accogliere l’opinione del governo tedesco, secondo cui – sempre che la prova contabile non sia stata prodotta nei termini – è irrilevante che vi sia un’effettiva cessione intracomunitaria.

39.   Qualora risulti che effettivamente sussista una cessione intracomunitaria, l’esenzione fiscale potrà essere negata in caso di violazione dei requisiti di forma prescritti dal diritto nazionale solamente se questi servono agli scopi perseguiti dalla direttiva, ovvero alla prevenzione di frodi e all’esatta riscossione delle imposte e, in particolare, alla corretta e semplice applicazione delle fattispecie di esenzione. I requisiti di forma non possono, inoltre, andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questi scopi.

40.   Occorre, pertanto, verificare caso per caso se il ritardo nella presentazione delle prove abbia conseguenze sull’effettività della riscossione delle imposte o se questo ritardo sia da ricondurre a manovre che possano in qualche modo pregiudicare la riscossione delle imposte. Per il raggiungimento degli scopi indicati espressamente nell’art. 28 quater, punto A, e nell’art. 22, n. 8, della sesta direttiva non è invece necessario negare sistematicamente l’esenzione fiscale in tutti i casi in cui la prova contabile sia stata fornita tardivamente.

41.   Se la sussistenza di una cessione intracomunitaria può essere accertata senza lasciar dubbi, anche laddove la necessaria prova contabile non sia stata presentata nei termini, occorre tener conto del principio di esenzione fiscale delle cessioni intracomunitarie sancito dalla sesta direttiva e concedere un’esenzione. Per negare l’esenzione fiscale deve sempre sussistere – oltre ad una violazione dei requisiti di forma elaborati dalla giurisprudenza e dall’amministrazione tributaria – un ulteriore motivo ai sensi di quanto disposto dalla sesta direttiva, motivo che può consistere, in particolare, nel fatto che a causa della tardiva produzione della prova contabile è stato vanificato o notevolmente complicato il corretto calcolo delle imposte ovvero la riscossione delle stesse.

42.   Ciò fornisce anche la risposta alla seconda questione, con la quale il giudice del rinvio intende sapere se la soluzione della questione possa dipendere dal fatto che il soggetto passivo abbia in un primo momento consapevolmente occultato l’esistenza di una cessione intracomunitaria.

43.   Da quanto affermato si evince che, anche relativamente a questo punto, conformemente alle disposizioni della sesta direttiva, l’esenzione fiscale per le cessioni intracomunitarie dipende sostanzialmente dalle cause della produzione tardiva delle prove e dalle conseguenze che un tale ritardo ha sulla corretta riscossione delle imposte. Ciò deve essere valutato e deciso nel caso di specie dal giudice del rinvio. La circostanza che il soggetto passivo abbia voluto, in un primo momento, interporre sulla carta un intermediario nel proprio paese, in maniera che la cessione intracomunitaria non si configurasse immediatamente, ma solo dopo la rivendita, non è, di per sé, determinante.

44.   Ciò trova conferma in quanto statuito dalla Corte nella sentenza Schmeink & Cofreth in ordine alla rettifica a posteriori dell’IVA indebitamente fatturata; in tale sentenza la Corte ha statuito: «(…) in una situazione in cui colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di entrate fiscali, il principio della neutralità dell’IVA richiede che l’IVA indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, senza che una tale regolarizzazione possa essere subordinata dagli Stati membri alla buona fede di chi ha emesso la fattura». «[I]l requisito che colui che ha emesso la fattura dimostri la sua buona fede quando ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di diminuzione delle entrate fiscali non è necessario per garantire la riscossione dell’IVA e prevenire la frode fiscale» (19).

45.   Questo ragionamento è applicabile al caso in cui la cessione sia sottoposta a posteriori al regime della cessione intracomunitaria e in cui sia operata la corrispondente modifica nei libri contabili. Ove la circostanza che il soggetto passivo ha sviato, deliberatamente o meno, la corretta qualifica di un’operazione influisse sul riconoscimento di quest’ultima come cessione intracomunitaria, tale soggetto non godrebbe eventualmente dell’esenzione fiscale nemmeno se il suo comportamento non avesse in definitiva compromesso la riscossione dell’imposta. Il rifiuto di concedere un’esenzione fiscale si tramuterebbe così in uno strumento sanzionatorio nei confronti dell’iniziale dissimulazione della cessione intracomunitaria, il che andrebbe, però, oltre il legittimo fine dei requisiti di forma.

46.   Come già affermato, è compito del giudice nazionale valutare il caso di specie alla luce di queste indicazioni e tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti. Conformemente a quanto detto, egli deve soprattutto verificare se la circostanza che la prova contabile non sia stata fornita nei termini abbia pregiudicato la riscossione delle imposte.

47.   Può rilevare, ad esempio, il fatto che la verifica di una transazione è, di norma, tanto più difficile quanto più remota è tale transazione. Quanto più brevi sono i termini, tanto più importante sarà, invece, poter tenere ancora conto delle modifiche apportate a posteriori. L’esame del caso di specie può, inoltre, tenere conto di quanto il soggetto passivo sia egli medesimo responsabile della produzione tardiva della prova contabile.

48.   Il caso di specie presenta la particolarità che il progettato intervento di un prestanome non era collegato ad una qualche frode fiscale, ma doveva servire a conseguire la provvigione (20). Diversamente da quanto avviene in situazioni tipiche, in questo caso non è stata simulata una cessione intracomunitaria mai avvenuta (21), ma – per motivi non rilevanti sotto il profilo fiscale – ne è stata dissimulata l’esistenza. Considerando i fatti nel complesso, l’intervento del prestanome non avrebbe avuto alcun effetto sull’importo delle entrate fiscali. La cessione intracomunitaria sarebbe stata solamente trasferita dalla s.r.l. ad S, il quale, poi, avrebbe potuto a sua volta detrarre l’IVA e rivendicare l’esenzione della cessione intracomunitaria.

49.   Per quanto riguarda un’eventuale colpa della tardiva produzione della prova, occorrerebbe, inoltre, valutare in che misura il ricorrente doveva sapere che l’amministrazione fiscale avrebbe considerato l’intervento di S un negozio fittizio o S un prestanome. Infatti, dal solo fatto che S non ha provveduto lui stesso alla consegna a B dell’oggetto della cessione e che il ricorrente ha emesso le fatture in nome di S, non si può evincere che una montatura “artificiosa” del genere non possa essere considerata come operazione imponibile. Secondo la giurisprudenza della Corte, per valutare, se sia stata effettuata un’operazione imponibile, occorre fare riferimento solo a criteri oggettivi. Per la qualificazione fiscale della cessione non rileva, invece, né l’intenzione del soggetto passivo né lo scopo di una cessione (22).

50.   In conclusione, si deve risolvere la prima questione dichiarando che la sesta direttiva osta ad una prassi dell’amministrazione tributaria nazionale, in forza della quale l’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria, sulla cui esistenza non vi sono dubbi, viene negata con la sola motivazione che il soggetto passivo non avrebbe fornito la prova contabile, prevista a tal fine, immediatamente dopo l’esecuzione delle operazioni.

51.   A tale proposito non è decisivo solo il fatto che il soggetto passivo volesse soltanto spostare la cessione intracomunitaria, grazie all’intervento di un prestanome nel proprio paese, ad una fase successiva della catena di cessioni e che l’amministrazione fiscale non abbia riconosciuto l’intervento del prestanome come negozio fittizio (seconda questione). Se uno Stato membro non ha previsto per legge alcun termine per fornire la prova, occorre, piuttosto, considerare, nell’ambito della decisione sull’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria, tutte le circostanze rilevanti nel caso specifico. A questo proposito rileva soprattutto un’eventuale colpa del soggetto passivo nel produrre le prove con ritardo, nonché il potenziale rischio per la riscossione delle imposte che una produzione tardiva della prova contabile può comportare.

V –    Conclusione

52.   In conclusione propongo di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dal Bundesfinanzhof nei seguenti termini:

1.      La direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, osta ad una prassi dell’amministrazione tributaria nazionale, in forza della quale l’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria, sulla cui esistenza non vi sono dubbi, viene negata con la sola motivazione che il soggetto passivo non avrebbe fornito la prova contabile, prevista a tal fine, immediatamente dopo l’esecuzione delle operazioni.

2.      Se uno Stato membro non ha previsto per legge alcun termine per fornire la prova, occorre considerare, nell’ambito della decisione sull’esenzione fiscale di una cessione intracomunitaria, tutte le circostanze rilevanti nel caso specifico. A questo proposito rileva soprattutto un’eventuale colpa del soggetto passivo nel produrre le prove con ritardo, nonché il potenziale rischio per la riscossione delle imposte che una produzione tardiva della prova contabile può comportare.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).


3  – GU L 376, pag. 1.


4 – V. art. 28 nonies come introdotto dalla direttiva 91/680 e come modificato dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, 92/111/CEE, che modifica la direttiva 77/388/CEE in materia di imposta sul valore aggiunto e che prevede misure di semplificazione (GU L 384, pag. 47).


5 – Sentenza 6 aprile 2006, causa C-245/04, EMAG Handel Eder (Racc. pag. I-3227, punto 29) e paragrafi 24 e 25 delle conclusioni da me presentate il 10 novembre 2005 relativamente a tale causa. V. anche le conclusioni da me presentate in data odierna nella causa C-409/04, Teleos e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafo 29).


6 – V. in questo senso anche ordinanza 3 marzo 2004, causa C-395/02, Transport Service (Racc. pag. I-1991, punti 27 e 28) e sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a. (Racc. pag. I-1609, punti 90 e 91).


7 – Sentenza 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e a. (Racc. pag. I-7281, punto 42).


8 – Sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz (Racc. pag. I-1883, punto 34).


9 – Conclusioni 20 marzo 1997, causa Molenheide e a. (cit. alla nota 7, paragrafo 41) e conclusioni 13 aprile 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth (Racc. pag. I-6973, paragrafo 18).


10 – Sentenza Halifax e a. (cit. alla nota 6, punto 92). In questo senso, sul diritto alla detrazione, già anche sentenze 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa e a. (Racc. pag. I-1577, punto 52) e Molenheide e a. (cit. alla nota 7, punto 48) nonché, a proposito dell’art. 21, n. 3, della sesta direttiva, sentenza 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries e a. (Racc. pag. I-4191, punto 29).


11 – Sentenza Halifax e a. (cit. alla nota 6, punto 92).


12 – V. sentenza EMAG Handel Eder (cit. alla nota 5, punto 29) e paragrafi 24 e 25 delle conclusioni da me presentate in tale causa.


13 – V., tra le altre, sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 19), e sentenza Molenheide e a. (cit. alla nota 7, punto 49).


14 – V. sentenza Gabalfrisa e a. (cit. alla nota 10, punto 52).


15 – Sentenza Federation of Technological Industries e a. (cit. alla nota 10, punto 29).


16 – Sentenza Halifax e a. (cit. alla nota 10, punto 72).


17 – Conclusioni nella causa Schmeink & Cofreth (cit. alla nota 9, paragrafo 18).


18 – Ordinanza Transport Service (cit. alla nota 6, punto 19).


19 – Sentenza 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth (Racc. pag. I-6973, punti 58 e 60).


20 – Sebbene secondo il contratto di distribuzione non ci sarebbe stato alcun diritto a questa provvigione, non risulta tuttavia chiaro in che misura le relative clausole contrattuali sarebbero state, all’epoca dei fatti, valide sotto il profilo del diritto della concorrenza.


21 – V., per un caso analogo, conclusioni nella causa Teleos e a. (cit. alla nota 5).


22 – V. le sentenze Halifax e a. (cit. alla nota 10, punti 56-60) e 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen (Racc. pag. I-483, punti 44 e 45), nonché 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 41).