Available languages

Taxonomy tags

Info

References in this case

References to this case

Share

Highlight in text

Go

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 19 aprile 2007 1(1)

Causa C-73/06

Planzer Luxembourg Sàrl

contro

Bundeszentralamt für Steuern

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Finanzgericht Köln (Germania)]

«Sesta direttiva IVA – Art. 17, nn. 3 e 4 – Rimborso dell’IVA – Ottava direttiva IVA – Rimborso dell’IVA a soggetti passivi non residenti all’interno del paese – Artt. 3, lett. b), e 9, secondo comma – Allegato B – Attestazione di assoggettamento – Portata giuridica – Tredicesima direttiva IVA – Rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non residenti sul territorio della Comunità – Art. 1, punto 1 – Nozione di sede dell’attività economica»





I –    Introduzione

1.     Un’impresa di trasporto immatricolata in Lussemburgo presentava all’amministrazione tributaria tedesca alcune domande di rimborso dell’IVA da essa pagata in Germania per acquisti di carburante.

2.     Ogni domanda era accompagnata da un’attestazione rilasciata dall’amministrazione tributaria lussemburghese, conformemente all’allegato B dell’ottava direttiva CEE del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese (2), che dichiarava l’interessata soggetta ad IVA con relativo numero di registrazione lussemburghese.

3.     L’amministrazione tributaria tedesca respingeva però le domande di rimborso, ritenendo che la sede di direzione delle attività della suddetta impresa si trovasse in Svizzera e non in Lussemburgo.

4.     Con il presente rinvio pregiudiziale il Finanzgericht Köln chiede alla Corte se tale attestazione implichi obbligatoriamente che il soggetto passivo dev’essere considerato residente nello Stato membro che l’ha rilasciata.

5.     In caso di soluzione negativa il Finanzgericht Köln ritiene che debba accertarsi se la suddetta impresa abbia sede fuori del territorio comunitario, nel qual caso essa non avrebbe diritto, ai sensi della legislazione tedesca, al rimborso dell’IVA pagata per l’acquisto di carburante in Germania e chiede dunque alla Corte quale interpretazione debba darsi alla nozione di sede dell’attività economica di cui all’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva del Consiglio 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità (3).

II – Contesto normativo

A –    Il diritto comunitario applicabile

 1.     La sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (in prosieguo: la «sesta direttiva» (4))

6.     Ai sensi dell’art. 4, nn. 1 e 2:

«1.      Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.

2.       Le attività economiche di cui al paragrafo 1 sono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate (…)».

7.     L’art. 17, nn. 2-4, di tale direttiva preveda secondo la versione applicabile al momento dei fatti: (5)

«2.       Nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore:

a) l’[IVA] dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno forniti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo debitore dell’imposta all’interno del paese;

(…)

3.       Gli Stati membri accordano altresì ad ogni soggetto passivo la deduzione o il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 2 nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini:

a)       di sue operazioni relative alle attività economiche di cui all’articolo 4, paragrafo 2, effettuate all’estero, che darebbero diritto a deduzione se fossero effettuate all’interno del paese;

(…)

4.       Il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto di cui al paragrafo 3 viene effettuato:

–       a favore dei soggetti passivi che non sono stabiliti all’interno del paese ma che sono stabiliti in un altro Stato membro, secondo le modalità d’applicazione stabilite dalla direttiva 79/1072/CEE (…);

–       a favore dei soggetti passivi che non sono stabiliti nel territorio della Comunità, secondo le modalità d’applicazione stabilite dalla direttiva 86/560/CEE (…)».

 2.     L’ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese (in prosieguo: l’«ottava direttiva»).

8.     L’art. 1 di tale direttiva dispone:

«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si considera soggetto passivo non residente all’interno del paese il soggetto passivo di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 77/388/CEE che, nel corso del periodo di cui all’articolo 7, paragrafo 1, primo comma, prima e seconda frase, non ha fissato in tale paese né la sede della propria attività economica né costituito un centro di attività stabile dal quale sono svolte le operazioni né, in mancanza di detta sede o di detto centro di attività stabile, il suo domicilio o la sua residenza abituale e che, nel corso del medesimo periodo, non ha effettuato alcuna cessione di beni o prestazioni di servizi che si consideri localizzata in tale paese, ad eccezione:

a)       delle prestazioni di trasporto e delle prestazioni di servizi ad esse accessorie, esentate ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera i), dell’articolo 15 o dell’articolo 16, paragrafo 1, B, C, e D della direttiva 77/388/CEE;

9.     Ai sensi dell’art. 2 della stessa direttiva:

«Ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non residente all’interno del paese, ma residente in un altro Stato membro, alle condizioni stabilite in appresso, l’imposta sul valore aggiunto applicata a servizi che gli sono resi o beni mobili che gli sono ceduti all’interno del paese da altri soggetti passivi (…)».

10.   L’art. 3 dell’ottava direttiva enuncia:

«Per beneficiare del rimborso, ogni soggetto passivo di cui all’articolo 2 che non ha effettuato alcuna cessione di beni o prestazione di servizi che si consideri localizzata all’interno del paese, deve:

(…)

b)       comprovare, mediante attestazione rilasciata dall’amministrazione dello Stato in cui è residente, che egli è assoggettato all’imposta sul valore aggiunto in tale Stato (…)».

11.   L’art. 5 della suddetta direttiva dispone:

«Ai fini della presente direttiva il diritto al rimborso dell’imposta è determinato conformemente all’articolo 17 della direttiva 77/388/CEE, quale si applica nello Stato membro del rimborso

(…)».

12.   L’art. 6 dell’ottava direttiva prevede:

«Gli Stati membri non possono imporre ai soggetti passivi di cui all’articolo 2, oltre agli obblighi di cui agli articoli 3 e 4, alcun altro obbligo oltre a quello di fornire, in casi particolari, le informazioni necessarie per accertare la fondatezza della domanda di rimborso».

13.   L’art. 9, secondo comma, dell’ottava direttiva enuncia:

«Le attestazioni di cui all’articolo 3, lettera b) e all’articolo 4, lettera a), concernenti la qualità di soggetto passivo, devono essere conformi ai modelli che figurano nell’allegato B».

 3.     Tredicesima direttiva del Consiglio 17 novembre 1986, 86/560/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità (in prosieguo: la «tredicesima direttiva»)

14.   Ai sensi dell’art. 1 di tale direttiva:

«Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si considera:

1)       “soggetto passivo non residente nel territorio della Comunità”, il soggetto passivo di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 77/388/CEE che, nel corso del periodo di cui all’articolo 3, paragrafo 1, non ha fissato in tale territorio né la sede della propria attività economica né costituito un centro di attività stabile a partire dal quale sono svolte le operazioni né, in mancanza di detta sede o di detto centro di attività stabile, il proprio domicilio o la propria residenza abituale e che, nel corso del medesimo periodo, non ha effettuato alcuna cessione di beni o prestazione di servizi che si consideri localizzata nello Stato membro previsto all’articolo 2, ad eccezione:

a)       delle prestazioni di trasporto e delle prestazioni di servizi ad esse accessorie, esentate ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera i), dell’articolo 15 o dell’articolo 16, paragrafo 1, lettere B, C e D della direttiva 77/388/CEE

(…)».

15.   Ai sensi dell’art. 2 della tredicesima direttiva:

«1.       Fatti salvi gli articoli 3 e 4, ciascuno Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo non residente nel territorio della Comunità, alle condizioni stabilite in appresso, l’imposta sul valore aggiunto applicata a servizi che gli sono resi o beni mobili che gli sono ceduti all’interno del paese da altri soggetti passivi, o applicata all’importazione di beni nel paese, nella misura in cui questi beni e servizi sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettere a) e b), della direttiva 77/388/CEE o delle prestazioni di servizi di cui all’articolo 1, punto 1, lettera b), della presente direttiva.

2.       Gli Stati membri possono subordinare il rimborso di cui al paragrafo 1 alla concessione da parte degli Stati terzi di vantaggi analoghi nel settore delle imposte sulla cifra d’affari

(…)».

16.   L’art. 4 della stessa direttiva dispone:

«1.       Ai fini della presente direttiva il diritto al rimborso è determinato conformemente all’articolo 17 della direttiva 77/388/CEE, quale esso è applicato nello Stato membro di rimborso.

2.       Gli Stati membri possono tuttavia prevedere l’esclusione di alcune spese o subordinare il rimborso a condizioni complementari

(…)».

B –    Disposizioni rilevanti del diritto nazionale

17.   In virtù del combinato disposto dell’art. 18, n. 9, della legge del 1993 relativa all’imposta sul valore aggiunto (Umsatzsteuergesetz 1993, in prosieguo: l’«UStG») (6) e dell’art. 59 del regolamento di attuazione dell’imposta sulla cifra d’affari (Umsatzsteuergesetz-Durchführungsverordnung 1993; in prosieguo: l’«UStDV») (7), i soggetti passivi che non risiedono sul territorio comunitario non beneficiano del diritto al rimborso delle imposte pagate a monte relativamente alla fornitura di carburante.

III – La controversia nella causa principale e la domanda di pronuncia pregiudiziale

18.   L’impresa di trasporti Planzer Luxembourg Sàrl (in prosieguo: la «Planzer Luxembourg») ha sede a Frisange (Lussemburgo). Sua unica socia è la società Planzer Transport AG, con sede in Dietikon (Svizzera).

19.   Il sig. Deltgen amministra, presso la sede della Planzer Luxembourg, la ditta Helvetia House da cui la ricorrente ha preso in affitto i propri uffici. Nella sua qualità di rappresentante dell’unica socia, egli ha presieduto alla costituzione della Planzer Luxembourg. Gli amministratori della Planzer Luxembourg sono due impiegati della Planzer Transport AG che risiedono rispettivamente in Svizzera ed in Italia. All’indirizzo della Planzer Luxembourg hanno sede altre 13 società tra cui tre società controllate da imprese svizzere di trasporto

20.   Nel 1997 e 1998 la Planzer Luxembourg ha presentato all’amministrazione tributaria tedesca due domande di rimborso dell’IVA pagata in Germania per acquisti di carburante. Nella prima domanda si chiedeva un rimborso pari a DM 11 004,25 per il 1996 e nella seconda un rimborso di DM 16 670,98 per il 1997. A ciascuna domanda era allegata un’attestazione rilasciata dall’amministrazione tributaria lussemburghese conforme al modello figurante nell’allegato B dell’ottava direttiva.

21.   Nell’attestazione è indicato che la Planzer Luxembourg è soggetta all’IVA con il suo numero di registrazione lussemburghese.

22.   Tuttavia l’amministrazione tributaria tedesca, avvisata dalla sua centrale informativa per l’estero che la Planzer Luxembourg non aveva collegamenti telefonici all’indirizzo menzionato nell’attestazione, ha ritenuto che la ricorrente non avesse dimostrato che la sua sede di direzione si trovava in Lussemburgo ed ha respinto le richieste di rimborso dichiarando che non risultavano soddisfatti i presupposti per la concessione del rimborso previsti dal diritto nazionale.

23.   La normativa tedesca ha difatti scelto l’opzione prevista all’art. 4, n. 2, della tredicesima direttiva e, in forza dell’art. 18, n. 9, dell’UStG, ha quindi escluso da ogni diritto al rimborso per quanto riguarda la fornitura di carburante i soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità.

24.   La Planzer Luxembourg ha presentato ricorso contro tali decisioni. Essa ha prodotto un’attestazione complementare secondo cui è una società commerciale soggetta alle imposte dirette lussemburghesi, facendo valere gli argomenti seguenti: i suoi due amministratori, il sig. Deltgen nonché un’altra persona ugualmente responsabile per l’amministrazione e la contabilità, svolgono le proprie attività in Lussemburgo; cinque dipendenti lavorano a tempo parziale come autisti presso la sua sede; essa dispone di un collegamento telefonico, come risulta dall’intestazione della sua carta da lettere; alcuni autotreni immatricolati in Lussemburgo vengono utilizzati per il trasporto di cargo aereo; le fatture sono emesse presso la sede della ricorrente in Lussemburgo.

25.   Con decisioni datate 1° luglio 1999 l’amministrazione tributaria tedesca, ritenendo che il luogo di direzione delle attività della ricorrente si trovasse in Svizzera, e non in Lussemburgo, ha respinto i suddetti ricorsi.

26.   La Planzer Luxembourg ha presentato ricorso contro tali decisioni di rigetto.

27.   Con decisione 26 ottobre 2001 il Finanzgericht Köln, considerando il Lussemburgo come il punto di partenza principale delle operazioni effettuate dalla Planzer Luxembourg nei confronti della società madre svizzera e ritenendo che la sede della stessa Planzer Luxembourg si trovasse in codesto Stato membro, accoglieva il ricorso.

28.   Con sentenza 22 maggio 2003 il Bundesfinanzhof, ritenendo che il Finanzgericht Köln, basandosi sul luogo in cui si trovava la sede statutaria della Planzer Luxembourg, avesse a torto considerato quest’ultima come stabilita in Lussemburgo, ha annullato tale decisione e rinviato la causa dinanzi al Finanzgericht Köln.

29.   Nella decisione di rinvio il Finanzgericht Köln sottolinea come il problema principale nella presente causa sia quello di determinare se la società Planzer Luxembourg sia stabilita fuori dal territorio della Comunità, nel qual caso essa non sarebbe legittimata, per il diritto nazionale, ad ottenere il rimborso dell’IVA pagata per l’acquisto di carburante in Germania. A suo avviso occorre anzitutto interrogarsi sulla portata giuridica delle attestazioni prodotte dalla Planzer Luxembourg conformemente al modello figurante nell’allegato B dell’ottava direttiva. Il Finanzgericht Köln ammette che tali attestazioni permettono di presumere in maniera irrefutabile la qualità di operatore soggetto ad IVA, ma si chiede se sia possibile derivarne anche un effetto vincolante o una presunzione irrefutabile nel senso dello stabilimento dell’operatore nello Stato che le ha rilasciate. Nell’ipotesi che si debba dare soluzione negativa a tale questione, esso si domanda se la nozione di sede dell’attività economica ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva rinvii al luogo in cui è stabilita la sede statutaria della società e in cui vengono prese le decisioni fondamentali ai fini della sua gestione economica (cioè il Lussemburgo) ovvero al luogo a partire dal quale vengono svolte le sue attività operative (cioè la Svizzera).

30.   Il Finanzgericht Köln ha pertanto deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.       Se da un’attestazione della qualità di imprenditore conforme al modello di cui all’allegato B dell’ottava direttiva risulti un effetto vincolante, o una presunzione irrefutabile a favore dello stabilimento dell’imprenditore nello Stato di rilascio dell’attestazione.

2.      In caso di soluzione negativa della prima questione:

se la nozione di sede dell’attività economica ai sensi dell’art. 1, n. 1, della tredicesima direttiva vada interpretata nel senso che con ciò s’intende il luogo ove la società ha la sede statutaria,

o ci si deve riferire, ai fini di tale interpretazione, al luogo ove vengono adottate le decisioni in materia di gestione economica dell’impresa,

o è rilevante il luogo in cui vengono prese le decisioni determinanti ai fini della normale, operativa gestione quotidiana».

IV – Osservazioni presentate alla Corte

31.   Osservazioni scritte sono state depositate dalla Planzer Luxembourg, dai governi francese, tedesco, italiano e lussemburghese, nonché dalla Commissione.

A –    Sulla prima questione

32.   La Planzer Luxembourg ed il governo lussemburghese suggeriscono alla Corte di risolvere in senso affermativo la prima questione.

33.   La Planzer Luxembourg parte dal principio che l’attestazione presentata produce un effetto vincolante o crea quanto meno una presunzione irrefutabile a favore del suo stabilimento nello Stato che ha rilasciato l’attestazione. Il fatto che uno Stato membro metta in discussione l’attestazione rilasciata da un altro Stato sarebbe contrario all’obiettivo di armonizzazione delle disposizioni giuridiche e di semplificazione della circolazione delle merci all’interno della Comunità.

34.   Secondo il governo lussemburghese la questione del luogo di stabilimento, nel senso che tale luogo debba considerarsi come sede dell’attività economica o come centro di attività stabile, sarebbe secondaria in quanto si tratterebbe solo di uno dei criteri utili per stabilire se un soggetto sia residente o meno ai sensi dell’ottava direttiva. L’attestazione di cui all’art. 3, lett. b), dell’ottava direttiva sarebbe destinata a certificare che un soggetto è registrato in quanto tale nello Stato membro che rilascia l’attestazione. Sarebbe pertanto inconcepibile che le autorità di un altro Stato membro possano legittimamente contestare la situazione attestata.

35.   La Commissione sostiene una posizione analoga a quella della Planzer Luxembourg e del governo lussemburghese. A suo avviso il funzionamento armonioso del meccanismo di cooperazione e di fiducia reciproca tra le amministrazioni fiscali nazionali giustificherebbe l’obbligo di mutuo riconoscimento delle attestazioni rilasciate dalle autorità nazionali competenti, tanto più che un’autorità che nutrisse dubbi circa l’esattezza delle affermazioni contenute in un’attestazione siffatta potrebbe avvalersi dei particolari mezzi previsti dal regolamento (CE) del Consiglio n. 1798/2003 (in prosieguo: il «regolamento n. 1798/2003») (8). La Commissione precisa che a tale possibilità dovrebbe ricorrersi soltanto in caso di gravi dubbi. Pertanto, nel caso in cui lo Stato membro sollecitato verifichi i fatti alla base della sua attestazione e li confermi, gli altri Stati membri ai quali viene chiesto il rimborso non avrebbero altra possibilità se non quella di concederlo.

36.   Per contro, secondo i governi tedesco, italiano e francese, l’attestazione dimostra solo che nello Stato di rilascio l’operatore viene considerato soggetto passivo di IVA, ma non dimostra affatto che sia ivi residente.

37.   Il governo francese aggiunge che lo Stato membro di rimborso, se nutre dubbi sul fatto che l’impresa sia stabilita sul territorio di un altro Stato membro, dovrebbe poter rimettere in discussione l’attestazione rilasciata dallo Stato membro di stabilimento. Tuttavia tale messa in discussione dovrebbe essere possibile solo dopo l’esperimento, da parte dello Stato membro di rimborso, dei procedimenti di cooperazione amministrativa (9).

B –    Sulla seconda questione

38.   La Planzer Luxembourg ritiene che la sede dell’attività economica ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva si trovi nel luogo in cui la società ha la propria sede statutaria. Nel caso in cui la Corte di giustizia non seguisse tale punto di vista, si dovrebbe allora considerare sede dell’attività economica il luogo in cui vengono adottate le decisioni relative alla gestione economica.

39.   Il governo lussemburghese sostiene che, dovendosi a suo avviso risolvere affermativamente la prima questione, non vi sia motivo di rispondere alla seconda.

40.   I governi tedesco, francese e italiano ritengono che le nozioni di sede dell’attività economica e di sede statutaria non si possono confondere e rinviano alla giurisprudenza della Corte relativa all’art. 9, n. 1, della sesta direttiva (10), ai sensi della quale le nozioni di sede dell’attività economica e di centro di attività stabile impiegate nell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva implicano un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea, sul piano del corredo sia umano sia tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi considerate.

41.   Il governo tedesco rinvia inoltre all’art. 3, n. 1, del regolamento (CE) del consiglio 29 maggio 2000, n. 1346, relativo alle procedure di insolvenza (11). Ai sensi di tale disposizione si presume che il centro degli interessi principali di una società sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria.

42.   Il governo tedesco precisa che nel caso specifico presentato dal Finanzgericht Köln, è possibile che la Planzer Luxembourg abbia una sede statutaria sul territorio della Comunità, ma non la sede dell’attività economica. Dai fatti quali presentati dal giudice a quo risulterebbe che l’impresa interessata non svolge alcuna attività economica nel luogo della sede statutaria sul territorio comunitario. La sede statutaria sarebbe stata trasferita dal territorio di uno stato terzo (la Svizzera) su quello della Comunità allo scopo di aggirare l’esclusione del rimborso delle imposte sul valore aggiunto relative alla fornitura di carburante.

43.   Il governo tedesco propone quindi di rispondere che la nozione di sede dell’attività economica «esige che l’impresa svolga un’attività propria in detto luogo o a partire da esso, con un minimo di mezzi materiali e umani».

44.   Il governo francese suggerisce di rispondere che la nozione di sede dell’attività economica deve «presentare un grado sufficiente di permanenza e deve realizzare le operazioni economiche per le quali viene richiesto il rimborso dell’IVA pagata a monte».

45.   Il governo italiano propone di rispondere che la nozione di sede dell’attività economica riguarda il luogo, anche se diverso dal domicilio o dalla residenza abituale, in cui vengono prese le decisioni che regolano le abituali operazioni di gestione quotidiana.

46.   La Commissione, tenuto conto della soluzione da essa suggerita per la prima questione, ritiene che non vi sia motivo di rispondere alla seconda. In via del tutto subordinata essa espone peraltro alcuni argomenti analoghi a quelli presentati dai governi tedesco, francese e italiano e suggerisce di rispondere che «[quando] un’impresa come la [Planzer Luxembourg], che ha la sede statutaria in uno Stato membro e che in detto Stato possiede una propria amministrazione, dispone di uffici e paga spese di riscaldamento, può essere raggiunta telefonicamente, che nello stesso Stato ha fatto immatricolare gli autotreni utilizzati per prestare i suoi servizi ed ha concluso contratti di lavoro, che ivi è registrata ai fini dell’IVA e delle imposte dirette e assume le decisioni relative alla gestione economica, possiede la sede della propria attività economica o un centro di attività stabile a partire dal quale le sue operazioni vengono effettuate nel suddetto Stato membro, ai sensi dell’art. 1 dell’ottava direttiva».

V –    Valutazione

A –    Sulla prima questione

47.   Poiché, a termini dell’art. 3, lett. b), dell’ottava direttiva, l’attestazione viene rilasciata «dall’amministrazione dello Stato in cui [il soggetto passivo] è residente», la presunzione che detto soggetto sia effettivamente residente nello Stato del rilascio è forte.

48.   Peraltro, stando alla formula in essa impiegata, tale attestazione prova soltanto che l’interessato è «assoggettato all’imposta sul valore aggiunto», ma non che egli sia effettivamente residente nello Stato del rilascio. Infatti, prima di concedere l’attestazione di cui si tratta, l’amministrazione non effettua alcuna verifica di tale dato. L’attestazione è dunque un presupposto necessario ma non sufficiente per usufruire del procedimento di rimborso dell’IVA ai sensi dell’ottava direttiva.

49.   Il problema qui non è affatto quello di mettere in dubbio la buona fede dell’amministrazione che redige l’attestazione e che, chiaramente, non può procedere ad una verifica approfondita riguardo all’effettivo stabilimento ogni volta che le viene richiesta un’attestazione.

50.    Si tratta piuttosto di non escludere del tutto l’ipotesi che un soggetto passivo, ossia una persona che esercita un’attività economica (12), sosterrebbe di risiedere nello Stato membro che risulta a lui più favorevole, tenuto conto in particolare della differenza delle aliquote IVA tra gli Stati membri (13).

51.   Infatti, dopo la soppressione delle frontiere fiscali al 1° gennaio 1993, con la possibilità per le imprese di introdurre merci nel territorio comunitario senza dover adempiere alle formalità legate al passaggio delle frontiere interne, la lotta contro la frode è divenuta un argomento di primaria preoccupazione (14).

52.   Ora, va qui sottolineato che l’ottava direttiva è bensì diretta, ai sensi del suo quarto ‘considerando’, a far progredire «la liberalizzazione effettiva della circolazione delle persone, dei beni e dei servizi», ma anche, a termini del suo sesto ‘considerando’, a lottare contro «talune forme di frode o di evasione tributaria».

53.   L’art. 6 dell’ottava direttiva stabilisce infatti esplicitamente che il soggetto passivo può essere tenuto a «fornire, in casi particolari, le informazioni necessarie per accertare la fondatezza della domanda di rimborso».

54.   Il governo francese e la Commissione ritengono che in caso di dubbio lo Stato membro del rimborso sia tenuto obbligatoriamente ad attuare i procedimenti di scambio di informazioni previsti dal regolamento n. 1798/2003 relativo alla cooperazione amministrativa in materia d’IVA. A differenza del governo francese la Commissione sostiene persino che le informazioni ottenute tramite detta cooperazione vincolino lo Stato membro del rimborso.

55.   Gli altri governi intervenienti, ossia i governi tedesco, italiano e lussemburghese, non fanno riferimento a tale cooperazione, cosa che fa supporre che essi non le attribuiscano natura obbligatoria, indipendentemente dal valore riconosciuto all’attestazione di cui si discute.

56.   Il regolamento n. 1798/2003 è diretto alla lotta contro la frode. Nei due primi ‘considerando’ si sottolinea che la pratica della frode e dell’evasione tributaria al di là dei confini degli Stati membri non solo conduce a perdite di bilancio ma lede anche il principio della giustizia tributaria. Detta prassi, che può provocare distorsioni dei movimenti di capitali e delle condizioni di concorrenza, pregiudica il funzionamento del mercato interno. La lotta contro le frodi relative all’IVA esige pertanto una stretta cooperazione tra le autorità amministrative che, in ciascuno degli Stati membri, sono incaricate dell’applicazione delle disposizioni in materia.

57.   Ai sensi del terzo ‘considerando il regolamento n. 1798/2003 è diretto pertanto all’«istituzione di un sistema comune di scambio d’informazioni tra gli Stati membri nell’ambito del quale le autorità amministrative degli Stati membri sono tenute a prestarsi mutua assistenza e a collaborare con la Commissione al fine di assicurare la corretta applicazione dell’IVA alla fornitura di beni e alla prestazione di servizi, all’acquisizione intracomunitaria di beni e all’importazione di beni» (15).

58.   Orbene, il «prestarsi mutua assistenza» implica il dovere di rispondere ad una richiesta di informazioni, e non l’obbligo di domandarne in caso di dubbio, né tanto meno l’essere vincolati dalla risposta ottenuta. Del resto la cooperazione amministrativa in materia tributaria è stata per anni poco efficiente (16).

59.   L’obbligo per uno Stato membro di attenersi all’informazione ottenuta senza ulteriori possibilità di verifica, mentre lo Stato membro che rilascia l’attestazione non può evidentemente, per ogni domanda, effettuare verifiche sistematiche ed approfondite dell’effettivo stabilimento sul suo territorio dell’operatore soggetto all’IVA, sarebbe contrario allo stesso obiettivo di lotta alla frode.

60.   Suggerisco pertanto di risolvere la prima questione nel senso che l’attestazione della qualità di soggetto passivo dell’IVA conforme al modello di cui all’allegato B dell’ottava direttiva non costituisce una presunzione irrefutabile a favore dello stabilimento dell’impresa nello Stato membro di rilascio dell’attestazione.

B –    Sulla seconda questione

61.   In via preliminare va sottolineato che, sebbene né il diritto societario (17) né il diritto tributario delle Comunità abbiano definito la nozione di sede sociale (18), esiste una differenza tra le nozioni di sede sociale nel diritto societario e in quello tributario. In effetti la sede sociale può essere definita in modo diverso nel diritto tributario. Le legislazioni nazionali stabiliscono la nozione di sede sociale per il diritto societario (19). Si può inoltre osservare che, in parallelo con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte (20), è possibile rinvenire in alcuni diritti nazionali disposizioni ben più precise riguardo alla nozione di sede sociale nel diritto societario (21).

62.   La ratio legis della differenza della nozione di sede sociale in diritto tributario costituisce il punto più problematico nella lotta contro la frode e l’evasione tributaria. Tale obiettivo è contemplato per esempio nel terzo ‘considerando’ della tredicesima direttiva. La lotta contro la frode costituisce in effetti un obiettivo primordiale, a livello tanto comunitario quanto degli Stati membri (22). Del resto, la Corte ha già dichiarato che «[l]a lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è (…) un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva» (23).

63.   Va inoltre osservato che il termine «attività economica», come sostenuto dalla Commissione, può presupporre unicamente un’attività effettiva. La Corte ha del resto dichiarato nella sentenza DFDS, cit. (24), «come ha sottolineato l’avvocato generale ai paragrafi 32-34 delle sue conclusioni [(25)], che la presa in considerazione della realtà economica costituisce un criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’IVA».

64.   Più spesso la sede dell’attività economica coincide con la sede sociale. Per esempio, nelle conclusioni in occasione della causa Berkholz, l’avvocato generale Mancini spiega che [L]a nozione di sede dell’attività economica (…) «va intesa in senso tecnico: si riferisce cioè alla sede sociale, com’è indicata nell’atto costitutivo della società titolare dell’impresa prestatrice» (26). Tuttavia la verifica di tale dato può divenire necessaria per evitare le costruzioni di puro artificio finalizzate ad aggirare le regole del regime comunitario dell’IVA.

65.   Nell’ambito dell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva, la Corte, come sottolineato da più di un interveniente, ha fornito utili precisazioni della nozione di sede dell’attività economica. Orbene tale nozione, utilizzata nell’art. 1 dell’ottava direttiva e nell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva, possiede lo stesso senso di quella impiegata nell’art. 9, n. 1, della sesta direttiva, avendo l’ottava e la tredicesima direttiva lo scopo di dare attuazione alla problematica del rimborso dell’IVA previsto dall’art. 17 della sesta direttiva.

66.   La sentenza Berkholz, cit., ha così indicato che il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica appare come il punto di riferimento preferenziale e che il riferimento di una prestazione di servizi ad un centro di attività diverso dalla sede viene preso in considerazione solo se «tale centro d’attività abbia una consistenza minima, data la presenza permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per determinate prestazioni di servizi» (27).

67.   La sentenza ARO Lease, cit., ha inoltre indicato che, affinché un centro d’attività possa essere utilmente preso in considerazione, in deroga al criterio preferenziale della sede, come luogo delle prestazioni di servizi di un soggetto passivo, «è necessario che esso presenti un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi considerate» (28).

68.   Peraltro, se ci si deve riferire, quanto alla definizione di «sede dell’attività economica» ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva, all’apporto della Corte in merito all’art. 9, n. 1, della sesta direttiva, è altresì utile interessarsi, come suggerito alla Corte dal governo tedesco, al contributo che essa ha fornito riguardo al regolamento n. 1346/2000, relativo alle procedure di insolvenza.

69.   Ai sensi dell’art. 3, n. 1, di tale regolamento, «[s]ono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria». Tale regolamento non esclude pertanto l’ipotesi che la sede statutaria e il centro dell’attività economica siano diversi.

70.   Tale disposizione è stata oggetto di una prima interpretazione da parte della Corte. Nell’ambito di una causa in cui il debitore è una società controllata la cui sede statutaria è diversa da quella della società madre, la Corte ha affermato che la presunzione secondo la quale il centro degli interessi principali di tale controllata è collocato nello Stato membro in cui si trova la sua sede statutaria può essere superata soltanto nel caso di una società che non svolga alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è collocata la sua sede sociale. La Corte ha però precisato che, quando una società svolge la propria attività sul territorio dello Stato membro in cui ha sede, il fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate da una società madre stabilita in un altro Stato membro non è sufficiente per superare la presunzione stabilita dal detto regolamento (29).

71.   In tal modo la nozione di sede dell’attività economica riguarda, a priori, la sede sociale. Tuttavia, nelle attività transnazionali, la sede sociale può essere scelta, specie per ragioni fiscali, e non presentare legami reali sufficienti con il luogo dell’esercizio effettivo dell’attività economica. In caso di dubbio una valutazione concreta deve verificare la riunione di un insieme di fatti che dimostrino la realtà dell’attività economica.

72.   Suggerisco pertanto di risolvere la seconda questione dichiarando che la nozione di «sede dell’attività economica», ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva, riguarda il luogo in cui si svolge effettivamente l’attività economica dell’impresa, identificata dalla presenza di mezzi umani e tecnici sufficienti per svolgere tale attività in modo autonomo. Tale luogo, fino a prova contraria, è quello della sede sociale.

73.   In subordine si può aggiungere che la seconda questione, come redatta dal Finanzgericht Köln, è esposta in modo astratto e non entra affatto nell’ipotesi dell’impresa all’origine delle questioni pregiudiziali. Tuttavia il governo tedesco e la Commissione hanno voluto pronunciarsi sulla collocazione di tale impresa. Pur ragionando allo stesso modo, essi arrivano però a conclusioni opposte: per il primo, infatti, la sede della società e quella dell’attività economica dell’impresa in questione sono diverse, mentre per la Commissione sono identiche.

74.   Occorrerà semplicemente insistere sul fatto che, tenuto conto della presunzione confutabile di identità tra la sede dell’attività economica e la sede sociale, se non si può dimostrare che l’attività economica viene svolta in un luogo diverso, si dovrebbe concludere che sono identiche. In altri termini, nel dubbio, dovrà decidersi a favore della soluzione dell’identità delle sedi.

VI – Conclusione

75.   Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco che la Corte voglia risolvere le questioni proposte dal Finanzgericht Köln nel modo seguente:

«1)      L’attestazione della qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto conforme al modello di cui all’allegato B dell’ottava direttiva non costituisce una presunzione irrefutabile a favore dello stabilimento dell’impresa nello Stato membro di rilascio dell’attestazione.

2)      La nozione di sede dell’attività economica, ai sensi dell’art. 1, punto 1, della tredicesima direttiva, riguarda il luogo in cui si svolge effettivamente l’attività economica dell’impresa, identificata dalla presenza di mezzi umani e tecnici sufficienti per svolgere tale attività in modo autonomo. Tale luogo, fino a prova contraria, è quello della sede sociale».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU L 331, pag. 11.


3 – GU L 326, pag. 40.


4 – GU L 145, pag. 1.


5 – Direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, 91/680/CEE, che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE (GU L 376, pag. 1).


6 – BGB1. 1993, I, pagg. 565 e seg.


7 – BGB1. 1993, I, pagg. 600 e seg.


8 – Regolamento (CE) del Consiglio 7 ottobre 2003, n. 1798, relativo alla cooperazione amministrativa in materia d'imposta sul valore aggiunto e che abroga il regolamento (CEE) n. 218/92 (GU L 264, pag. 1).


9 – Nelle sue osservazioni il governo francese cita il regolamento del Consiglio 27 gennaio 1992, n. 218, concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte indirette (IVA) (GU L 24, pag. 1). Tale regolamento è stato però abrogato.


10 – Sentenze 4 luglio 1985, causa 168/84, Berkholz (Racc. pag. 2251, punti 17 e 18); 17 luglio 1997, causa C-190/95, ARO Lease (Racc. pag. I- 4383, punto 16).


11 – GU L 160, pag. 1.


12 – V. i termini dell’art. 4 della sesta direttiva che definisce la nozione di soggetto passivo.


13 – Facendo una sorta di «Stato membro di residenza-shopping».


14 – V. Papon, “La lutte contre la fraude dans le domaine fiscal”, in La lutte contre la fraude à la TVA dans l’Union européenne, Bruylant, Bruxelles, 1996, pag. 203.


15 – Per uno studio approfondito del sistema di scambio di informazioni, v., tra gli altri: Terra e Watte, European Tax Law, 4a edizione, Deventer, 2005, pagg. 708 e seg.; Gormley L.W., EU Taxation Law, Richmond, 2005, pagg. 11 e seg., nonché Aronowitz, Laagland D.C.G. e Paulides, Value-added Tax Fraud in the European Union, Kugler Publications, Amsterdam/New York, 1996, pagg. 19 e seg.


16 – V. Communier, Droit fiscal communautaire, Bruylant, Bruxelles, 2001, pag. 186.


17 – V. Menjucq, “La notion de siège social: une unité introuvable en droit international et en droit communautaire”, Droit et actualité, Études offertes à J. Béguin, Paris, 2005, pag. 499). Faccio semplicemente notare che in diritto comunitario esiste una definizione di sede sociale nell’ambito del procedimento giudiziario. Tale definizione non riguarda però il diritto tributario. Infatti, nell’ambito dei procedimenti giudiziari, l’art. 60, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU L 12, pag. 1), prevede una definizione specifica del domicilio delle persone giuridiche: «Ai fini dell'applicazione del presente regolamento una società o altra persona giuridica è domiciliata nel luogo in cui si trova: a) la sua sede statutaria, o b) la sua amministrazione centrale, oppure c) il suo centro d'attività principale».


18 – Per quanto riguarda le legislazioni nazionali, si può indicare per esempio che nel diritto tributario tedesco, ai sensi dell’art. 1, n. 1, della legge sull’imposta sulle società (Körperschaft steuergesetz), esistono due nozioni per determinare l’obbligo fiscale delle società. Una è la sede («Sitz»), determinata tra l’altro dallo statuto societario [art. 11 del codice tributario («Abgabenordnung»)]. L’altra è il «luogo della gestione economica» («Ort der Geschäftsleitung»), come definito dall’art. 10 del codice tributario; esso viene definito in quanto luogo della gestione principale dell’impresa («Mittelpunkt der geschäftlichen Oberleitung»), ossia come il luogo in cui vengono assunte decisioni di notevole importanza [BFH-Urteil del 1998 (I R 138/97) BStBI. 1999 II, pag. 437]. Il diritto tributario francese adotta una formula molto pragmatica; in effetti l’imposta sulle società è stabilita nel luogo della residenza principale della persona giuridica. Tuttavia l’amministrazione può indicare come luogo di imposizione quello in cui è garantita la direzione effettiva della società o quello della sua sede sociale» (art. 218 A, n. 1, del code général des impôts). Nel Regno Unito l’imposizione delle società poggia su due criteri, cioè la costituzione della società (Finance Act 1988) e il luogo principale di gestione e di controllo («place of central management and control») (Case law).


19 – A titolo di esempio, nel diritto societario tedesco, ai sensi dell’art. 5 della legge sulle società per azioni (Aktiengesetz) e dell’art. 4 bis della legge sulle società a responsabilità limitata (GmbHG), per sede sociale si intende la sede statutaria dell’impresa. Il paragrafo 2 di entrambi i succitati articoli specifica che lo statuto della società fissa in linea generale la sede o nel luogo della direzione o in quello dell’amministrazione della società, o in uno dei luoghi dell’attività dell’impresa. Il diritto societario francese non definisce la nozione di sede sociale ed utilizza indifferentemente le espressioni «sede statutaria» (code de commerce, art. L 210-3, comma 2; code civil, art. 1837), «sede sociale» (per esempio, code de commerce, art. L 210-3, artt. L 221-14, L 225-23, L 225-103 e code civil, art. 1835), «indirizzo della sede sociale» (decreto 23 marzo 1967, n. 67-236, artt. 59, 123 e 130) o ancora «sede della società» (decreto 23 marzo 1967, artt. 3, 206-6, 219, 231 e 295). Nel diritto societario del Regno Unito si intende per «sede statutaria» il «registered office». Ai sensi dell’art. 9, n. 2, della legge sulle società («Companies Act 2006»), lo statuto societario deve stabilire il domicilio, in Inghilterra e Galles, in Scozia o nell’Irlanda del Nord. Il domicilio può essere liberamente stabilito.


20 – Al punto 82 della sentenza 5 novembre 2002, causa C-208/00, Überseering (Racc. pag. I-9919), la Corte ha dichiarato che il rifiuto, da parte di uno Stato membro, di riconoscere la capacità giuridica di una società costituita conformemente al diritto di un altro Stato membro nel quale ha la sede sociale per il motivo, in particolare, che la società avrebbe trasferito la sede effettiva nel suo territorio in seguito all'acquisto della totalità delle quote sociali da parte di cittadini di questo Stato membro che vi risiedono, con la conseguenza che la società non può, nello Stato membro ospitante, stare in giudizio per difendere i diritti derivanti da un contratto, salvo ricostituirsi secondo il diritto di questo Stato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento incompatibile, in via di principio, con gli artt. 43 CE e 48 CE.


21 – A titolo di esempio la nuova legge slovena relativa alle società commerciali (Zakon o gospodarskih družbah, ZGD-1, UL RS 42/2006) dispone, all’art. 3°, che «la sede societaria può essere fissata sia nel luogo della sua attività, sia nel luogo in cui vengono gestite in via principale gli affari della società stessa, sia nel luogo in cui si svolge l’amministrazione della società ».


22 – Per esempio il diritto tributario di alcuni Stati membri, anche se il diritto societario degli stessi Stati è sufficientemente liberale da ammettere la costituzione di società «fantasma» («Briefkastengesellschaft» in tedesco, «Družba poštni nabiralnik» in sloveno), cerca di impedire che tali società possano servire come strumento per aggirare l’obbligo giuridico di pagate imposte come l’IVA.


23 – Sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax (Racc. pag. I-1609, punto 71). V. inoltre, nel settore del diritto comunitario delle società, la sentenza della Corte 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes (Racc. pag. I-0000, punto 51): «(…) una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate a sottrarre l’impresa alla legislazione dello Stato membro interessato».


24 – Punto 23.


25 – Conclusioni dell’avvocato generale La Pergola in tale causa presentate il 16 gennaio 1997, secondo il paragrafo 32 il sistema dell'IVA va applicato con il massimo possibile adeguamento alla realtà economica.


26 – Paragrafo 2.


27– Punti 17 e 18.


28 – Punto 16.


29 – 2 maggio 2006, causa C-341/04, Eurofood IFSC Ltd. (Racc. pag. I-3813).